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“Eolico pesante in Tuscia…. si comincia da Piansano e Tuscania” – Luca Bellincioni della onlus Oreas scrive a Simonetta Coletta della Provincia di Viterbo

 Ciao caro Paolo,

ti allego una mia lettera alla dott. ssa Coletta della Provincia di Viterbo, riguardo il caso-eolico. A quanto pare, infatti, a Piansano hanno appena aperto i cantieri e la stessa cosa sta accadendo a Tuscania. Stiamo per assistere all’Apocalisse della Tuscia, e tutto ciò nell’ignavia e nell’indifferenza di tutta l’opinione pubblica della Tuscia, che annovera tanti “pseudo-intellettuali” che fanno tanti “bla bla” e poi alla fin fine se ne fregano di tutto e tutti. Davvero una vergogna. Ciao, sono indignato e inferocito.

L. B.

……….

Gentile dott. ssa Simonetta Coletta, mi permetto di contattarla nuovamente per un altro serio problema che riguarda il territorio della Tuscia. Sono in contatto con numerosi ambientalisti e cittadini della provincia, dai quali sono stato informato che nei Comuni di Tuscania e Piansano stanno per iniziare i lavori per la realizzazione di due grosse centrali eoliche con torri alte circa 130 metri. Numerosi altri Comuni come Arlena, Canino, Tessennano, Cellere, Faleria, Calcata, Monte Romano, ecc… hanno ratificato la realizzazione di impianti simili e hanno avviato gli studi di fattibilità. Io stesso ho fatto dei sopralluoghi e le posso assicurare che tutti i siti prescelti (e i paesaggi in cui sono inseriti) sono fra i più pregevoli non solo della Provincia di Viterbo ma del Lazio intero.

Appare ovvio che se davvero tutti tali impianti fossero davvero realizzati, in pratica scomparirebbe il paesaggio della Tuscia. Credo che tale evenienza non sia realistica né tanto meno auspicabile. Credo ancor meno che l’attuale amministrazione provinciale voglia passare alla storia come quella che ha lasciato distruggere, in una manciata di mesi, un paesaggio che in gran parte si era conservato integro per secoli. Studiando i “coni visivi” delle maggiori emergenze paesaggistiche del territorio, le posso dire che tutti gli scorci magnifici che oggi noi ammiriamo, e che sono vanto della Tuscia (e il suo vero patrimonio), in località come Norchia, Vulci, Tuscania, il Lago di Bolsena, Calcata, il Monte Soratte ecc… risulterebbero deturpati.

Oltre tutto l’impatto sarebbe non solo paesaggistico ma anche (e forse più) ambientale, visto che tali centrali producono un consumo di suolo gravissimo, con centinaia di ettari irreparabilmente urbanizzati per ogni centrale. Una verità che contrasta con le vacue proclamazioni dell’eolico industriale quale “energia pulita”, da parte di un ambientalismo casalingo e salottiero, assolutamente slegato dalla conoscenza (e dall’amore) del territorio.

Infine, non dobbiamo dimenticare che con l’eolico industriale il settore turistico nella Provincia (e dintorni) subirebbe un vero tracollo, poiché sappiamo bene che chi viene a visitare oggi la Tuscia lo fa per i suoi paesaggi straordinari in cui mirabile è il connubio fra natura e monumenti antichi. Cosa rimarrebbe alla Tuscia se tali impianti eolici fossero effettivamente realizzati, contando pure che questo territorio soffre già a causa di fenomeni come la speculazione e l’abusivismo edilizi? Non sarebbe più sensato iniziare a parlare seriamente di tutela, valorizzazione e promozione della Tuscia, magari puntando su progetti quali la candidatura Unesco e l’istituzione di un nuovo, vasto parco nazionale e di altre aree protette a carattere regionale?

Riguardo a quest’ultimo proposito, le segnalo i miei articoli per un Parco Nazionale dell’Etruria e per la Valorizzazione turistica del Paesaggio della Tuscia.

Concludendo, lo sviluppo delle energie rinnovabili è oggi una sfida essenziale, ma occorre riflettere bene su quali siano le tecnologie che meglio si adattano ai diversi contesti ambientali e paesaggistici, altrimenti si rischia di fare quasi più danni che con le fonti di energia tradizionale! E poi la Tuscia nemmeno potrebbe (sia pur ipocritamente a mio modo di vedere) definirsi una Provincia “pulita” perché, come sappiamo bene, le centrali di Civitavecchia e Montalto – con le loro emissioni di CO2 – rimarrebbero tranquillamente lì dove sono (anzi sarebbero probabilmente rafforzate)…

Sono a sua disposizione per eventuali chiarimenti od approfondimenti sul tema, premettendo che è nella mia formazione professionale anche lo studio delle energie rinnovabili, di cui sono consulente riconosciuto dalla Regione Lazio. Ed è per questo che su basi fondate posso dire che l’eolico industriale non si addice affatto alle caratteristiche della Tuscia. La sfida oggi è trovare applicazioni di energia rinnovabile con un impatto sull’ambiente nullo o quasi, e molte soluzioni esistono già: l’eolico industriale invece si presenta ormai come una cosa già ampiamente sorpassata. Auspico quindi che il vs assessorato possa bloccare questi scellerati progetti prima che sia troppo tardi, in quanto non c’è più tempo da perdere, essendo stati già aperti i cantieri.

Speranzoso di non averle recato tedio, la saluto cordialmente,

dott. Luca Bellincioni – segr. ass. cult. onlus Oreas

consulente per la valorizzazione turistica del paesaggioconsulente per il risparmio energetico e le energie rinnovabili

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Dal circolo vegetariano di Calcata ecco a voi l’ennesimo comunicato… – Articoli su articoli… ma chi li legge ed in cosa risultano? Analisi sulla comunicazione mistificata nell’era di internet

Il 27 settembre 2009 è arrivata al Circolo la ragazza Diana, giunta apposta da Milano per conoscere me e la realtà del Circolo e di Calcata. La “colpa” di tanto interesse è ancora una volta la mole di leggende sorte sul luogo  e raccontate  sui vari siti  e su alcuni libri (non ultimo quello di Malatempora sulle Comuni, Comunità, Ecovillaggi d’Italia).  “Gutta cavat lapidem” dice l’adagio antico ed è verissimo…  giorno dopo giorno, anno dopo anno, a forza di scrivere su e da Calcata ormai la fama del luogo è insopprimibile… e che fama!  La prima cosa che Diana mi ha detto appena arrivata è stata: “Ma lo sai che l’autista dell’autobus appena ha saputo che venivo qui mi ha detto  -Ah vai a farti le canne a Calcata…-“. Insomma la diceria del paese alternativo colpisce ancora, le masse metropolitane credono che questo sia il luogo dell’amore libero e delle canne…

Com’è stato travisato e fuorviato il messaggio trascritto in migliaia di articoli… Che in essi  si parli di amore libero e di libertà espressiva  ed antiproibizionista è anche vero… ma andate un po’ a leggere il reale significato di queste parole nei numerosi testi da me inseriti  nel sito del Circolo, oppure riscoprite tutte le storie raccontate sui giornali dal 1978 ad  oggi sulla “verità” di questa libertà espressiva.  Si tratta di esperimenti in cui la licenza è totalmente assente… ma ciò non ostante diversi sderenati sono venuti qui, hanno occupato lo spazio e si sono esibiti nei loro vizi approfittando della discrezione a loro concessa….  Ed alla fine cosa resta… invece del messaggio  liberatorio dai condizionamenti  ecco che l’immaginifico su Calcata è macchiato da indesiderati condizionamenti.

La società della licenza e della stupidità cerca un suo sfogo e dove trova spazio libero fa diventare  la cultura “pettegolezzo” e il costume “pornografia”… e non solo  a Calcata… mi pare che  questo avvenga in tutto il mondo, tanto è il vuoto intellettuale lasciato dopo vent’anni di televisione e di internet…..  Eppure  continuo a scrivere e pure ad usare internet, che posso farci… sono malato di comunicazione.

Sicuramente la vecchia penna procurava meno guai, l’unico inconveniente essendo la fine  dell’inchiostro. Ricordo ancora come da bambino scrivessi con una penna di legno, intingendo il pennino dentro un calamaio, le dita sempre sporche d’inchiostro e spesso anche il foglio.

Poi cominciò il momento della penna stilografica anche questa però perdeva inchiostro da vari punti (dal pennino e dalle giunture), giunse la bic, la biro, ma anche con questa bisognava stare attenti al defluire dell’ inchiostro dal fondo e  dalla punta. Quando le penne iniziarono a scrivere senza perdere inchiostro avevo già finito di andare a scuola. Insomma pare che in ogni epoca la comunicazione abbia avuto i suoi problemi e questa corrente ha  le disinformazioni telematiche, lo spam ed i virus…

 Sembra che tutto sia lì lì in procinto di concludersi eppure manca sempre uno per far trentuno…. Manca sempre 1 o lo zero per arrivare a dieci….
Il mio numero d’ordine è il 9, l’ho scoperto nel 1950/51 in prima elementare allorché avendo imparato a memoria la lezione di religione, chiedevo di essere interrogato per prendere un bel 10, la cosa non funzionò giacché mi impappinai su una parola e presi 9. Ritornai al banco e  ripassai la lezione bene bene, ripetei a mente tutto e chiesi ancora di essere interrogato. Che disdetta, ancora una volta  mi impappinai e mi fu confermato il 9 di prima. Volli ancora riprovarci dopo aver ulteriormente ripassato il testo, sicuro stavolta di farcela, ma la maestra mi disse che non mi avrebbe più interrogato e mi lasciò il 9, con mio grande disappunto e frustrazione. 

Poi ancora sempre verso quegli anni venne a trovarci un giorno  mio zio Fausto, che distribuì a ciascun bambino, le mie sorelle e cuginetti ebbero 10 caramelle. Purtroppo quando venne il mio turno erano rimaste solo 9 caramelle e quelle ebbi da mio zio. le mie proteste servirono a poco egli  mi disse “le caramelle rimaste son queste e queste ti toccano”. Ricordo che quella volta ero proprio arrabbiato, scesi giù nel giardino condominiale e regalai tutte  le caramelle (meno una che mangiai subito…) ai bambini che  stavano lì, con loro grande gioia 

Ed ancora accadde qualcosa di simile quando andai per la prima volta in India, mi trovavo all’ashram di Muktananda, in uno stato di pieno zelo, in quei mesi sentivo la
forte presenza della Grazia del Guru, stavo vivendo momenti di grande enfasi spirituale. Avevo messo ‘in naftalina’ ogni altro desiderio dedicando tutte le mie attenzioni alla pratica spirituale. Un giorno fui preso da un ‘raptus’ di golosità ed acquistai al ‘chaishop’ (negozietto del tè) 10 monete di menta bianca, ne misi in bocca  subito una, con grande avidità, poi mi diressi verso la porta dell’ashram, appena entrato vidi Baba seduto lì all’ingresso ed improvvisamente mi ricordai della mia lotta per il 10. Una mentina era nella mia bocca, le altre 9 nella mia mano. Mi avvicinai al Guru pensando “fammi vedere tu che son 10”  e tesi la mano verso di lui, Baba aprì la sua e prese nel palmo le mentine, sorrideva, io mi girai di scatto e mi allontanai senza più voltarmi indietro né aspettare un’ipotetica risposta….

Insomma pare proprio che il 9 sia il mio numero, tra l’altro è anche il numero d’ordine  della Scimmia che dice: “Io sono l’esperta viaggiatrice del labirinto, il genio dell’alacrità, la maga dell’impossibile. Il mio cuore è colmo di potenti magie e sa gettare cento incantesimi. Io esisto per il mio piacere. Io sono la scimmia”.  Muktananda era nato scimmia di terra del 1908 ed io son nato scimmia di legno del 1944. 
Intanto nella memoria continuo a sfogliare pagine e pagine sulle iniziative del Circolo, come la festa del grande cocomero o l’ostello per animali erbivori o l’ampliamento del parco del Treja o l’istituzione dell’anagrafe canina o proposte sull’energia rinnovabile o gli scavi archeologici dell’agro falisco o l’alimentazione vegetariana o l’arte e la cultura locale ed internazionale o problemi d’inquinamento da traffico od analisi sociologiche su Calcata o storie sulla montagna sacra del Soratte o sul come dipingere annusando o sulla salvaguardia degli antichi mestieri o sulla
filosofia dell’uomo e sulla spiritualità laica…. Insomma su tutti quegli argomenti che sono riuscito a trasmettere, con fantasia e caparbietà su quasi tutti i giornali d’Italia, sulle agenzie di stampa, sulle reti televisive e radiofoniche… e qui su internet. Eppure cosa è rimasto? “Ah, Calcata… quel posto dell’amore libero e delle canne…

Paolo D’Arpini

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Italia, Lazio e Provincia di Viterbo: la mappa del nucleare possibile – Dove possibile sta per “distruttibile” – Silvio Berlusconi e l’Armageddon

Ante Scriptum: “L’Armageddon (anche scritto Armaghedòn) o Har-Mageddon indica la battaglia finale tra i re della terra (incitati da Satana) e il Dio …” (Wikipedia)

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Ormai è definitiva la ratifica ministeriale per il ritorno ufficiale dell’Italia al nucleare. Nel progetto c’è sia il ripristino delle vecchie centrali bloccate dal referendum sia la costruzione di nuove centrali “di buona generazione”. Chi è informato sulla materia sa che in realtà le “centrali di nuova generazione” sono quelle di “IV generazione”, tuttora in via di sperimentazione, ma che qui ci installeranno quelle di “III” (la centrale di Cernobyl era di II generazione tanto per intenderci…)… cioè roba già vecchia e non sappiamo quanto pericolosa (ma possiamo immaginarcelo). Greenpeace si è dichiarata contraria alla svolta nucleare in Italia ma ha avallato –a quanto pare– la lista dei siti prescelti per la loro presunta scarsa pericolosità a livello idrogeologico (http://energianucleare.blogspot.com/2009/05/centrali-nucleari-in-italia-ecco-i-siti.html).

C’è anche la zona fra Magliano Sabina ed Orte, ovvero un sito nei pressi del Tevere (precisamente nel punto di confluenza del Nera) il cui letto come sappiamo non è “assolutamente” (!) a rischio idrogeologico (nonostante cambi forma praticamente ogni 100 anni!)… Da parte sua la stessa Greenpeace lascia molte perplessità in merito alle sue posizioni energetiche. Come è noto, Greenpeace è il simbolo di un ambientalismo assolutamente slegato dalla località e quindi dai territori ove realmente si vive, simbolo insomma di un ambientalismo ideologico (che spesso trova sostenitori fra l’ambientalismo “casalingo” e “virtuale”) che nei fatti si traduce più nella promozione di particolari lobbies politiche ed economiche che nella tutela reale dei territori e delle loro vocazioni naturali. Questo ambientalismo “astratto” è oggi anch’esso probabilmente una minaccia, e rattrista il fatto che la stessa Legambiente l’abbia adottato nelle sue politiche “nazionali” e vi si stia accodando. L’ideologismo di queste associazioni sta portando alla diffusione di molte mistificazioni, come quella per la quale l’alternativa in fatto di energia è oggi semplicemente fra nucleare e carbone da un lato e energie rinnovabili senza vincoli dall’altro.

Alla base di tale ideologizzazione dei problemi ambientali e climatici sta ad esempio la promozione dell’eolico selvaggio da parte di Greenpeace e Legambiente: manca infatti a queste discutibili posizioni il legame con le realtà territoriali locali, con i loro problemi, le loro aspettative, lo loro potenzialità in fatto di “sviluppo sostenibile”. A qualsiasi fazione si appartenga, rimane il fatto che se abbassiamo le emissioni producendo energia con l’eolico selvaggio o con il nucleare, distruggeremo però l’economia delle aree locali interessate dagli impianti, con risvolti negativi non solo dal punto di vista strettamente ambientale, ma anche dal punto di vista urbanistico, sociale, culturale ed economico; oggi chi conosce davvero “la realtà dei luoghi” sa benissimo che dove si vive meglio è perché si è avviato un processo di industrializzazione moderato e si sono conservate le attività tradizionali (silvo-agro-pastorali), che a loro volta hanno innestato lo sviluppo dell’indotto turistico; in sintesi dove si è gestita bene l’urbanistica, dando spazio allo sviluppo di diversi settori economici (agricoltura, industria, turismo, terziario) senza che essi “si calpestassero i piedi” l’un l’altro. In verità l’alternativa non è affatto tra il ritorno al nucleare oppure l’uso scellerato e irrazionale dell’energie rinnovabili. L’alternativa è fra il perseverare nell’uso-consumo sconsiderato ed irrazionale del territorio e delle sue risorse da un lato ed una sua gestione razionale dall’altro. Partendo dal presupposto che il ritorno al nucleare è una cosa da evitare assolutamente, oggi è possibile produrre energia pulita in maniera massiccia sfruttando tutte le potenzialità del territorio senza danneggiarne in alcun modo le caratteristiche ambientali ed economiche. Ma per far ciò occorre una sana politica urbanistica del territorio, che è l’aspetto che più è mancato dal Dopoguerra ad oggi, e non solo in Italia ma in tutto il mondo. Il cemento chiama energia, e l’energia per essere prodotta richiede sempre in qualche modo il danneggiamento del territorio. Per bloccare questo circolo vizioso, servirebbe una visione politica più ampia e lungimirante, sia a livello locale sia a livello globale: i due aspetti sono inscindibili. Nessuna persona intelligente del resto penserebbe che si salverebbero i ghiacciai riempiendo di torri eoliche i nostri territori naturali ed agricoli, poiché tale erosione nel breve o nel medio termine produrrebbe a livello locale danni ambientali, culturali ed economici tali da avviare in quei luoghi attività che a loro volta richiederebbero energia sempre maggiore, senza contare che la rovina degli ecosistemi locali danneggerebbe – come è ovvio – l’ecosistema globale. E’ da questo terribile circolo vizioso che dobbiamo liberarci. Iniziamo a liberarci da ideologie pseudo-ambientaliste proposte da chi ha interessi personali e avallate da chi non pensa col proprio cervello, e chiediamo a gran voce uno SVILUPPO MASSICCIO E RAZIONALE DELLE ENERGIE RINNOVABILI.

E’ stato studiato ad esempio, che ricoprendo di pannelli fotovoltaici tutte le superfici attualmente occupate da aree industriali e produttive in Italia, Paese del sole, si giungerebbe all’efficientamento energetico nazionale! Sviluppando fra l’altro un business industriale ed economico dalle proporzioni spaventose! Perché ciò non avviene? Perché si continuano ad alimentare con centrali termoelettriche o nucleari gli insediamenti produttivi, quando essi dovrebbero – per la sacrosanta logica del risparmio e dell’efficienza energetica – prodursi l’energia in loco?

E perché invece di utilizzare gli edifici esistenti si costruiscono demenziali centrali fotovoltaiche a terra contribuendo così alla devastazione dei territorio? E perché l’idroelettrico, che ancora alimenta gran parte delle nostre attività e che è così presente del nostro Paese, è attualmente abbandonato a se stesso e non viene rinnovato nei suoi impianti? Eppure l’idroelettrico rappresenta un tipo di energia davvero rinnovabile e pulita, poiché – particolare su cui forse pochi hanno mai riflettuto – è l’unica che ad un ecosistema alterato (la valle sommersa) ne sostituisce un altro (il lago artificiale), e che quindi in un certo senso riequilibra l’impatto antropico dell’uomo (pur mutandone logicamente le caratteristiche originarie); mentre TUTTI gli altri sistemi di produzione energetica (tradizionale e alternativa), che utilizzano fisicamente il territorio, alterano o cancellano un ecosistema (il sito dove vengono realizzati) senza sostituirlo con nulla di utile all’ambiente.

Cosa ci dicono Greenpeace e Legambiente a riguardo? Forse i produttori dell’energia eolica industriale pagano bene? E quindi veniamo appunto all’eolico, che invece di essere sviluppato nella modalità dell’eolico industriale, con le sue centrali immense e così devastanti per gli ecosistemi e le realtà locali, potrebbe essere sviluppato – anch’esso massicciamente – in una forma più “diffusa”. Sull’eolico insomma la sfida è fra l’eolico industriale dei potenti e degli speculatori e l’eolico diffuso, magari domestico: ogni palazzo, ogni villa, ogni condominio dovrebbe avere il proprio impianto di microeolico (in aggiunta o in alternativa a quello fotovoltaico), mentre l’illuminazione (pubblica e privata) nelle zone moderne dovrebbe essere alimentata da lampioni eolici-fotovoltaici già in uso in Giappone e Cina. Pensiamo a quante costruzioni moderne esistono sul suolo italiano (ed europeo) ed immaginiamo quanta energia si produrrebbe già solo col microeolico! O meglio con il connubio fra fotovoltaico ed eolico diffuso!!! Perché tale soluzione non viene promossa dalle amministrazioni e dai governi? Forse perché chi costruisce le centrali nucleari o le grandi centrali eoliche, non vuole che tali realtà vengano conosciute dai cittadini? Fermo restando che gli impianti di grande taglia (anche di “minieolico”, con torri comunque alte fino a 30 mt circa) potrebbero essere realizzati in aree non di pregio ed energivore, come ad esempio tutti gli insediamenti industriali di una certa entità che esistono nel nostro Paese che naturalmente abbiano le sufficienti caratteristiche di ventosità.

E allora perché Greenpeace e Legambiente, invece di fornirci inquietanti liste di siti di pregio naturalistico da devastare con l’eolico industriale (accompagnate da propagande demenziali e legate alla più squallida techno-stupidity), non si mettono a lavorare su una mappa dei siti industriali italiani in cui tecnicamente sarebbe possibile produrre energia dal vento davvero ad impatto zero. Forse perché gli industriali dell’eolico industriale devono vendere (o meglio devono “ammollare” come si dice a Roma) a qualche amministrazione-popolazione disgraziata i grandi impianti che altrimenti gli resterebbero “sul groppone”? O perché con lo sviluppo del micro-eolico domestico essi non potrebbero creare monopoli di produzione energetica, come invece stanno cercando di fare stuprando i nostri territorio ancora integri? “Non” sarà che gli speculatori e i politicanti non vogliono che tutti noi – come singoli, come famiglie, come condomini – diveniamo piccoli produttori indipendenti? Perché le amministrazioni non realizzano centri di produzione energetica nei pressi degli insediamenti produttivi come sarebbe razionale? Forse perché i terreni agricoli costano molto meno di quelli edificabili limitrofi alle aree industriali? Forse perché molti uffici tecnici comunali non vogliono deludere né gli industriali alla ricerca della spesa minima né gli immobiliaristi-costruttori alla ricerca di terreni edificabili?

Infine, quante altre energie alternative – come le biomasse ad esempio – potrebbero trovare adeguata collocazione senza ferire territori vergini? Quanta energia si potrebbe produrre grazie a questi impianti?

Sulla base di tutto ciò non vi sembra che da una parte e dall’altra ci stiano prendendo un po’ in giro? E che – COME SEMPRE – ognuno cerca di farsi gli affaracci suoi sulla pelle del territorio e dei suoi abitanti? Non è il caso di svegliarci? Non è il caso di iniziare a ragionare con la propria testa e di chiedere un utilizzo più sano e razionale dei territori in cui viviamo?

Ad ogni modo ecco di seguito la lista dei possibili nuovi siti per una centrale nucleare. Buona lettura.

Luca Bellincioni

Piemonte: Provincia di Vercelli: tutta la zona intorno al Po, da Trino Vercellese fino alla zona a nord di Chivasso.

Provincia di Biella: la zona intorno alla Dora Baltea a sud di Ivrea.

Lombardia: Provincia di Pavia: la zona dell’Oltrepò Pavese a nord di Voghera.

Provincia di Mantova: l’intera zona a sud di Mantova in corrispondenza del Po

Provincia di Cremona:zona a sud di Cremona in corrispondenza del Po (vicino a Caorso)

Veneto: Provincia di Rovigo: la zona compresa tra l’Adige e il Po (a sud di Legnago)

Friuli: Provincia di Udine e provincia di Pordenone: tutta la zona interna, intorno al fiume Tagliamento, da Latisana fino a Spilimbergo

Emilia Romagna : Provincia di Parma: la zona a nord di Fidenza, compresa tra il Po e il Taro

Toscana: L’isola di Pianosa

Lazio: Provincia di Viterbo: la zona interna a sud del Tevere, nella zona di affluenza della Nera, tra Magliano Sabina e Orte.

Calabria: Provincia di Catanzaro: la zona costiera ionica in corrispondenza di Sellia Marina, tra il fiume Simeri e il fiume Alli (Principali località: Belladonna, Marindi, Simeri Mare, Sellia

Marina).

Provincia di Crotone: la zona costiera ionica in corrispondenza della foce del fiume Neto, a nord di Crotone (Marina di Strongoli, Torre Melissa, Contrada Cangemi, Tronca).

Provincia di Cosenza: la zona costiera tra il fiume Nicà e la città di Cariati

Puglia: Provincia di Taranto: la zona costiera ionica, in corrispondenza della località di Manduria.

Provincia di Lecce: la zona costiera ionica a nord di Porto Cesareo e quella a sud di Gallipoli; la zona costiera adriatica a nord di Otranto e quella a sud di Brindisi (esistono su

queste ultime dei vincoli naturalistici).

Provincia di Brindisi: la zona costiera in corrispondenza di Ostuni.

Sicilia: Provincia di Ragusa: la zona costiera tra Marina di Ragusa e Torre di Mezzo.

Provincia di Caltanissetta: la zona costiera intorno a Gela.

Provincia di Agrigento: la zona costiera intorno Licata.

Provincia di Trapani: la zona costiera a sud di Mazzara del Vallo, in corrispondenza della località Tre Fontane.

Sardegna. Ogliastra: la zona costiera in corrispondenza del fiume Riu Mannu e della località di Torre di Bari.

Provincia di Nuoro, la zona costiera a sud della località di Santa Lucia e in corrispondenza dell’isola Ruja.

Provincia di Cagliari: la zona costiera tra Pula e Santa Margherita di Pula

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Appunti dal diario di bordo del Circolo Vegetariano di Calcata (anno 2002): “Perchè alcuni anni, dal punto di vista della comunicazione, sono più prolifici di altri?”

Spulciando fra gli appunti dal diario di bordo del Circolo VV.TT. ho scoperto l’analisi che segue sulle “coincidenze” e collegamenti fra le qualità degli specifici anni ed i modi espressivi delle azioni compiute in sintonia con quegli alementi. Nel 2002 scrivevo questi appunti che di seguito vi sottopongo:

“Perché durante il 1992 e 1993 c’è stata una così ampia messe di articoli? L’ho scoperto esaminando dall’oroscopo cinese l’elemento di quegli anni, entrambi d’acqua, i successivi due anni, ‘94 e ‘95 che sono anch’essi alquanto pieni hanno l’elemento legno, poi il ‘96 e ‘97 che sono marchiati dal fuoco, seguiti dal ‘98 e ‘99 con la terra ed i micidiali 2000 e 2001 con il metallo. Con il ritorno dell’acqua, cavallo 2002 e capra 2003, sento che la comunicazione potrà riprendere a fluire smootly. Eppure oggi 26.2.02 c’è stata per la seconda volta la contaminazione di un virus nel computer di Roberto Caivano, che invia le Email per conto del Circolo. Un virus bizzarro che pesca nei reparti segreti della memoria ed invia come Email lettere personali e segrete o messaggi inventati anche di carattere erotico. Poi pian piano il programma impazzisce, perde pezzi, sino a non rispondere più ai comandi. Già ieri l’altro Danilo D’Antonio mi diceva che il messaggio da lui ricevuto portava la data del 2000 (il famigerato metallo) e forse era già l’inizio della fine. Mi dispiace per Roberto che dovrà ancora spendere soldi appresso a questa storia ed un po’ mi dispiace anche per chi ha ricevuto, inavvertitamente tramite lui, questo strano virus che forse viene dall’America.

Sicuramente la vecchia penna procura meno guai, l’unico inconveniente essendo la fine dell’inchiostro. Ricordo ancora come da bambino scrivessi con una penna di legno, intingendo il pennino dentro un calamaio, le dita sempre sporche d’inchiostro e spesso anche il foglio. Poi cominciò il momento della penna stilografica anche questa però perdeva inchiostro da vari punti (dal pennino e dalle giunture), giunse la bic, la biro, ma anche con questa bisognava stare attenti al defluire dell’ inchiostro dal fondo e dalla punta. Quando le penne iniziarono a scrivere senza perdere inchiostro avevo già finito di andare a scuola. Insomma pare che ogni epoca abbia avuto i suoi problemi… quella presente ha i virus telematici.  Mi chiedo, nel caso che, come farei a continuare questo diario che scrivo al computer, dovrei ricominciare con la penna? Divertente, ma non troppo se penso alle correzioni….

Il mio numero simbolico è il 9, l’ho scoperto a Roma nel 1950/51 in prima elementare allorché avendo imparato a memoria la lezione di religione, chiedevo di essere interrogato per prendere un bel 10, la cosa non funzionò giacché mi impappinai su una parola e presi 9. Ritornai al banco e ripassai la lezione bene bene, ripetei a mente tutto e chiesi ancora di essere interrogato. Che disdetta, ancora una volta mi impappinai e mi fu confermato il 9 di prima. Volli ancora riprovarci dopo aver ulteriormente ripassato il testo, sicuro stavolta di farcela, ma la maestra mi disse che non mi avrebbe più interrogato e mi lasciò il 9, con mio grande disappunto e frustrazione. Poi ancora sempre verso quegli anni venne a trovarci un giorno lo zio Fausto, che distribuì a ciascun bambino, le mie sorelle e cuginetti, 10 caramelle. Purtroppo quando venne il mio turno erano rimaste solo 9 caramelle e quelle ebbi da mio zio. le mie proteste servirono a poco egli mi disse “le caramelle rimaste son queste e queste ti toccano”.

Ricordo che quella volta ero proprio arrabbiato, scesi giù nel giardino condominiale e regalai tutte le caramelle (meno una che mangiai subito…) ai bambini che stavano lì, con loro grande gioia. Un’altra volta accadde qualcosa di simile quando andai per la prima volta in India, mi trovavo all’ashram di Muktananda, in uno stato di pieno zelo, in quei mesi sentivo la forte presenza della Grazia del Guru, stavo vivendo momenti di grande enfasi spirituale. Avevo messo ‘in naftalina’ ogni altro desiderio dedicando tutte le mie attenzioni alla pratica spirituale. Un giorno fui preso da un raptus di golosità ed acquistai al chaishop (negozietto del tè) 10 monete di menta bianca, ne misi in bocca subito una, con grande avidità, poi mi diressi verso la porta dell’asharam, appena entrato vidi Baba seduto lì all’ingresso ed improvvisamente mi ricordai della mia lotta per il 10. Una mentina era nella mia bocca, le altre 9 nella mia mano. Mi avvicinai al Guru pensando “fammi vedere tu che son 10″ e tesi la mano verso di lui, Baba aprì la sua e prese nel palmo le mentine, sorrideva, io mi girai di scatto ed entrai nell’ashram senza più voltarmi indietro.

Insomma pare proprio che il 9 sia il mio numero, tra l’altro è anche il numero d’ordine della scimmia che dice: “Io sono l’esperta viaggiatrice del labirinto, il genio dell’alacrità, la maga dell’impossibile. Il mio cuore è colmo di potenti magie e sa gettare cento incantesimi. Io esisto per il mio piacere. Io sono la scimmia”. Muktananda era nato scimmia di terra del 1908 ed io son nato scimmia di legno del 1944. Buon per noi.

Intanto ritornando al 1993 continuo a sfogliare pagine e pagine sulle iniziative del Circolo, come la festa del grande cocomero o l’ostello per animali erbivori o l’ampliamento del parco del Treja o l’istituzione dell’anagrafe canina o proposte sull’energia rinnovabile o gli scavi archeologici dell’agro falisco o l’alimentazione vegetariana o l’arte e la cultura locale ed internazionale o problemi d’inquinamento da traffico o stereotipi vacanzieri su Calcata o storie sulla montagna sacra del Soratte o sul come dipingere annusando o sulla salvaguardia degli antichi mestieri o sulla filosofia dell’uomo. Insomma su tutti quegli argomenti che sono riuscito a ri-trasmettere, con fantasia e caparbietà su quasi tutti i giornali, sulle agenzie di stampa, sulle reti televisive e radiofoniche. Forse sarà ancora quella caramella che deve essere digerita, chissà.

A questo punto dovrei ricominciare a trascrivere qualcuno di questi articoli. Se lo facessi potrebbe essere un’altra prova una dimostrazione, un tentativo postumo di sentirmi gratificato…  Mi sia concesso di non farlo. Mi sia concesso di essere creduto o non creduto, che tanto è lo stesso. Intanto lasciatemi parlare a ruota libera e siccome sento fortemente questa libertà di poter esprimere ogni cosa che penso, allora mi fermo, interrompo questo gioco descrittivo. Lasciando la mia memoria ferma all’evento di questo pomeriggio. Alle capre pelose, maschio e femmina, che son rimaste agli Orti di Cristo, nell’ex pollaio di Pio, non son volute uscire da lì. Togliendomi così da ogni impaccio nei confronti di Felix a cui avevo promesso di affidarle, e che aveva preparato un recintino al terreno dei Grotticelli, ma che non era nemmeno lui convinto e nemmeno io. Queste due capre, che sto nutrendo a pan secco e cicuta, sono in questo momento il simbolo di una volontà che non ha qualificazione, una volontà basata solo sull’immediato presente”.

Paolo D’Arpini

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Fulvio Di Dio: “Manifesto sul cambiamento climatico e sulla sicurezza alimentare vegetariana” – Tavola Rotonda Arte ed Agricoltura – Fiera Arti Creative 28 marzo 2009 – Palazzo Baronale di Calcata

Manifesto sul cambiamento climatico e il futuro della sicurezza alimentare1. Un’agricoltura a bassa intensità energetica.

Tutti gli ecosistemi terrestri utilizzano l’energia che ha origine dalla radiazione solare e che viene in parte trasformata in sostanza organica grazie alla fotosintesi. Anche l’uomo, quando diecimila anni fa, con la rivoluzione neolitica, ha cominciato a coltivare la terra e allevare gli animali, ha prodotto cibo sfruttando questo flusso di energia. Le calorie contenute nei vegetali e nei prodotti animali derivano quasi esclusivamente dall’energia solare, salvo l’energia umana e animale utilizzata per il lavoro dei campi (comunque garantita dal cibo così prodotto). Grazie all’agricoltura la popolazione umana è cresciuta al punto di dover sostituire a boschi e foreste campi coltivati e pascoli, eliminando ogni competitore e appropriandosi di sempre maggiori quote dell’energia solare disponibile sul pianeta.

Dopo la rivoluzione industriale, si cercò non solo di aumentare la superficie coltivata, ma anche di accrescerne la resa produttiva, impiegando altre fonti di energia oltre quella solare.

La recente “Rivoluzione verde”, iniziata negli anni ‘60, ha comportato, oltre a un forte incremento di produttività, anche un notevole aumento di energia impiegata in agricoltura. Questa energia aggiuntiva non proveniva da un aumento della luce solare disponibile, ma era fornita dai combustibili fossili sotto forma di fertilizzanti (gas naturale, principale materia prima per la produzione di urea), pesticidi ed energia per i processi dell’agrochimica (petrolio) e irrigazione alimentata da idrocarburi.

Secondo GIAMPIETRO e PIMENTEL (1) la Rivoluzione verde ha aumentato in media di 50 volte il flusso di energia rispetto all’agricoltura tradizionale e nel sistema alimantare degli Stati Uniti sono necessarie fino a 10 calorie di energia per produrre una caloria di cibo consegnato al consumatore. Questo comprende, oltre ai prodotti chimici e all’uso di macchinari agricoli, anche i consumi di confezionamento e di trasporto (ma esclude la cottura domestica). Ciò significa che il sistema alimentare statunitense consuma dieci volte più energia di quanta ne produca sotto forma di cibo o, se si vuole, che utilizza più energia fossile di quella che deriva dalla radiazione solare.

Considerando solo la produzione dei fertilizzanti, va detto che servono circa due tonnellate di petrolio (in energia) per produrre e spargere una tonnellata di concime azotato: gli Stati Uniti in un anno consumano quasi 11 milioni di tonnellate di fertilizzanti e ciò corrisponde a poco meno di cento milioni di barili di petrolio.

Anche in Italia, secondo una ricerca dell’ENEA compiuta nel 1978-1979 (2), tenendo conto del rendimento energetico relativo alla sola produzione, risultò che il rapporto tra l’energia ricavata dal raccolto (output) e l’energia necessaria a produrre il medesimo raccolto (input) era in molti casi inferiore ad uno ed è ragionevole pensare che tale rapporto sia peggiorato nel corso degli ultimi 25 anni.

Un dato interessante emerso dagli studi sui rendimenti enrgetici in agricoltura è che il sistema agricolo di gran lunga più efficiente sembra essere l’agricoltura tradizionale, come ad esempio quella vietnamita, che può vantare un rendimento da 1 a 10: spende cioè una caloria energetica per ottenere dieci calorie alimentari, facendo a meno di macchine e concimi chimici.

Questi dati dimostrano anche che la superficie destinata all’agricoltura industializzata non solo non è in grado di assorbire la CO2 come potrebbe farlo un equivalente bosco o prato o campo coltivato con metodi tradizionali, ma anzi produce più CO2 di quanta possa assorbire.

Dovendo far fronte, da un lato, a una popolazione mondiale rilevante che ha bisogno di cibo, e dall’altro a disponibilità sempre minori di fonti fossili, che comunque inquinano e comportano il rischio di cambiamenti climatici, l’agricoltura dovrebbe evolversi verso sistemi meno insostenibili che:

· migliorino l’efficienza energetica (ad esempio, l’agricoltura biologica usa l’energia in modo molto più efficiente e riduce notevolmente le emissioni di CO2);

· utilizzino fertilizzanti di origine organica (l’agricoltura biologica ristabilisce la materia organica del suolo, aumentando la quantità di carbonio sequestrato nel terreno, quindi sottraendo significative quantità dello stesso dall’atmosfera);

· impieghino fonti energetiche rinnovabili e riducano la distanza tra produzione e consumo (filiera corta).

2. La novità del Manifesto sul cambiamento climatico e il futuro della sicurezza alimentare

Ecco allora l’importanza di orientarci verso i concetti proposti con forza nel “Manifesto sul cambiamento climatico e il futuro della sicurezza alimentare” (3), pubblicato a luglio 2008 da parte della Commissione internazionale per il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura, iniziativa congiunta del Presidente della Regione Toscana e di un gruppo di leader della società civile, di accademici e di rappresentanti governativi (4).

Questi temi fra loro interconnessi sono anche l’oggetto della prossima conferenza delle Nazioni Unite sulla sicurezza alimentare, il cambiamento climatico e i biocarburanti.

Le notizie che giornalmente ci giungono sulle rivolte per il cibo che sempre di più si sviluppano in tutto il mondo dimostrano il fallimento delle politiche agricole e alimentari degli ultimi decenni e il bisogno urgente di passare a politiche che difendano il diritto delle persone al cibo attraverso la promozione di modelli alimentari ecologici e locali, che riducono gli impatti distruttivi sull’ambiente e allo stesso tempo incrementano la disponibilità di diverse fonti alimentari e nutritive. Il documento dimostra che le attuali politiche commerciali ed economiche impongono un sistema alimentare e agricolo ad alta intensità energetica che è direttamente contrario non solo alla sicurezza alimentare e all’imperativo ecologico del pianeta, ma anche agli obiettivi fissati dalle Nazioni Unite e dai governi riguardo alle emissioni di gas serra.

Il Manifesto afferma che il sistema alimentare industriale e globalizzato è un responsabile di primo piano del cambiamento climatico, contribuendo con almeno il 25 per cento del totale delle emissioni di gas serra; allo stesso tempo l’attuale sistema alimentare è anche estremamente vulnerabile al cambiamento climatico. Praticamente ogni angolo del pianeta è già stato toccato dai drammatici cambiamenti meteorologici che hanno danneggiato la produzione agricola e la distribuzione del cibo.

Eppure, i Governi non stanno ancora completamente integrando la contraddizione con la promozione di un sistema alimentare industriale e basato sui combustibili fossili che crea insicurezza alimentare, energetica e climatica. Il documento della Commissione fa una sintesi della ricerca scientifica interdisciplinare che stabilisce come l’agricoltura ecologica e biologica sia una soluzione vitale sia per la mitigazione del cambiamento climatico che per l’adattamento ad esso, nonché per assicurare a tutti la sicurezza alimentare.

Il Manifesto illustra, inoltre, le transizioni necessarie per assicurare cibo a tutti e allo stesso tempo proteggere il nostro fragile pianeta; lancia quindi un appello perché i sistemi alimentari siano parte integrante della discussione su clima ed energia nei negoziati attualmente in corso sul clima. Infine, vengono esplorate alcune delle false soluzioni agricole che sono proposte nel nome dell’energia “pulita” o “verde”- leggi organismi geneticamente modificati (OGM) e produzione su larga scala di biocarburanti. E, cosa più importante di tutte, dimostra che i sistemi alimentari biologici sono una soluzione reale agli attuali problemi climatici in termini di mitigazione e adattamento e una transizione energetica verso un’era post carburanti fossili.

2.1. I princìpi del Manifesto

Il Manifesto costituisce dunque una risposta agro-ecologica alle sfide lanciate dal cambiamento climatico per assicurare il futuro della sicurezza alimentare attraverso la mitigazione, l’adattamento e l’equità. Esso si basa su alcuni princìpi, che qui di seguito riportiamo nei loro tratti essenziali.

A) L’agricoltura globalizzata e industrializzata contribuisce al cambiamento climatico divenendo anche vulnerabile ad esso.

L’agricoltura industrializzata, basata sulla chimica, sui combustibili fossili, sui sistemi alimentari globalizzati, che si fondano a loro volta su trasporti ad alta intensità energetica e a lunga distanza, ha un impatto negativo sul clima.

Attualmente l’agricoltura industrializzata contribuisce per almeno un quarto alle emissioni di gas serra. Il sistema dominante, così come promosso dall’attuale paradigma economico, ha accelerato l’instabilità climatica e ha accresciuto l’insicurezza alimentare. Questo sistema aumenta anche la vulnerabilità perché si basa sull’uniformità e sulle monocolture, su sistemi di distribuzione centralizzati e sulla dipendenza da alti apporti di energia e acqua.

B) L’agricoltura ecologica e biologica contribuisce alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico.

L’agricoltura costituisce l’unica attività umana basata sulla fotosintesi e può essere completamente rinnovabile. L’agricoltura ecologica e biologica mitiga il cambiamento climatico grazie alla riduzione delle emissioni di gas serra e all’aumento del sequestro di carbonio nelle piante e nel suolo. I sistemi agricoli multifunzionali e biodiversi e i sistemi alimentari localizzati e diversificati sono essenziali per garantire la sicurezza alimentare in un’era di cambiamento climatico.

Una rapida transizione globale verso questi sistemi è un imperativo, sia allo scopo di mitigare il cambiamento climatico, sia per garantire la sicurezza alimentare.

C) La transizione verso sistemi alimentari locali e sostenibili va a vantaggio dell’ambiente e della salute pubblica.

La globalizzazione economica ha portato a una transizione alimentare e a un allontanamento dalle diete locali, diversificate e stagionali verso alimenti sintetici trasformati industrialmente, che stanno causando nuove patologie alimentari e un peggioramento della salute. Le politiche economiche della globalizzazione aumentano l’impatto sull’ambiente tramite modalità di consumo intensivo delle risorse e dell’energia. La localizzazione, la diversificazione e la stagionalità sono importanti per migliorare il benessere, la salute e la nutrizione. Una transizione a livello mondiale verso sistemi locali ridurrà i chilometri alimentari accorciando le catene di trasporto e ridurrà il “carico energetico” degli alimenti in termini di confezionamento, refrigerazione, immagazzinamento e trasformazione.

D) La biodiversità riduce la vulnerabilità e aumenta la resilienza. La biodiversità è il fondamento della sicurezza alimentare.

La biodiversità costituisce anche la base per l’agricoltura ecologica e biologica, poiché offre delle alternative ai combustibili fossili e all’uso dei prodotti chimici. Inoltre accresce la resilienza al cambiamento climatico restituendo più carbonio al suolo, migliorando la capacità del suolo di resistere a siccità, inondazioni ed erosione.

La biodiversità è l’unica forma di assicurazione naturale per l’adattamento e l’evoluzione futuri della società. Aumentare la diversità genetica e culturale dei sistemi alimentari e mantenere la biodiversità nei beni comuni sono strategie essenziali per rispondere alle sfide del cambiamento climatico.

E) L’ingegneria genetica applicata a semi e varietà vegetali costituisce una falsa soluzione pericolosamente fuorviante.

Le colture geneticamente modificate sono una falsa soluzione pericolosamente fuorviante rispetto al nostro compito di mitigare il cambiamento climatico, poiché vanno in direzione opposta rispetto alla possibilità di fornire energia e cibo sostenibili e di conservare le risorse. Gli alimenti, le fibre e i combustibili geneticamente modificati aggravano tutti i difetti delle monocolture industriali: più uniformità genetica e quindi meno resilienza agli stress biotici e abiotici, maggiore fabbisogno di acqua e pesticidi.

Sono stati sviluppati seguendo un paradigma genetico deterministico obsoleto e screditato e di conseguenza comportano ulteriori rischi per la salute e per l’ambiente. Portano inoltre a brevetti monopolistici che non solo ledono i diritti degli agricoltori, ma impediscono anche alla ricerca sulla biodiversità di concentrarsi sull’adattamento al cambiamento climatico.

F) I biocarburanti industriali: una falsa soluzione e una nuova minaccia alla sicurezza alimentare.

L’alimentazione costituisce il più basilare dei bisogni umani e l’agricoltura sostenibile deve fondarsi su politiche che mettano l’alimentazione al primo posto. I biocarburanti industriali non sono sostenibili e diffondono subdolamente gli OGM.

Le colture di biocarburanti stanno aggravando il cambiamento climatico tramite la distruzione delle foreste pluviali e la loro sostituzione con coltivazioni di soia, palma da olio e canna da zucchero. Ciò ha portato a un furto senza paragoni di terre di comunità indigene e rurali.

I biocarburanti industriali sono responsabili di sussidi perversi concessi a un’agricoltura non sostenibile, cosa che minaccia i diritti alimentari di miliardi di persone. Per peggiorare la situazione, i prezzi dei prodotti alimentari stanno salendo a causa del rapido passaggio dalla coltivazione di piante alimentari alla coltivazione di biocarburanti. Si prevede che i prezzi dei prodotti alimentari continuino a salire, raggiungendo livelli record, almeno fino al 2010, sviluppando una “nuova fame” in tutto il mondo e anarchia nelle strade delle nazioni più povere.

Le politiche energetiche sostenibili richiedono un’associazione tra decentramento e riduzione generalizzata dei consumi energetici mantenendo al contempo la sicurezza alimentare come obiettivo prioritario dei sistemi agricoli e alimentari.

G) La conservazione dell’acqua è fondamentale per l’agricoltura sostenibile. L’agricoltura industrializzata ha comportato un uso intensivo dell’acqua e un incremento dell’inquinamento idrico riducendo al contempo la disponibilità di acqua dolce. La siccità e la scarsità di acqua in vaste aree del mondo aumenteranno a causa dei cambiamenti climatici. La riduzione dell’uso intensivo di acqua nell’agricoltura costituisce una strategia di adattamento essenziale.

L’agricoltura ecologica e biologica riduce il fabbisogno di irrigazione intensiva aumentando la capacità del suolo di trattenere l’acqua e di migliorarne la qualità.

H) La transizione delle conoscenze ai fini dell’adattamento al clima. (Il cambiamento climatico è l’esame finale per la nostra intelligenza collettiva in quanto umanità.)

L’agricoltura industrializzata ha distrutto quegli aspetti essenziali di conoscenza degli ecosistemi locali e delle tecnologie agricole che sono necessari a una transizione verso un sistema alimentare post-industriale senza combustibili fossili. La diversità delle culture e dei sistemi di conoscenza necessaria per adattarsi al cambiamento climatico deve essere riconosciuta ed esaltata tramite politiche pubbliche e investimenti. Una nuova alleanza tra scienza e cultura tradizionale rafforzerà i sistemi di conoscenza e aumenterà la nostra capacità di risposta.

I) Transizione economica verso un futuro alimentare equo e sostenibile.

L’attuale ordine economico e commerciale ha svolto un ruolo fondamentale nel creare degli incentivi perversi che aumentano le emissioni di anidride carbonica e accelerano il cambiamento climatico. Il paradigma della crescita basato sul consumo illimitato e su falsi indicatori economici quali il prodotto nazionale lordo sta spingendo i Paesi e le comunità verso condizioni di vulnerabilità e instabilità sempre più gravi. Le regole commerciali e i sistemi economici dovrebbero

supportare il principio di sussidiarietà, a vantaggio delle economie e dei sistemi alimentari locali, riducendo così le nostre emissioni di carbonio e al contempo aumentando la partecipazione democratica e migliorando la qualità della vita.

3. Il quarto rapporto di valutazione del Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) delle Nazioni Unite

Il quarto Rapporto di valutazione del Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) delle Nazioni Unite, la più recente valutazione condivisa dei cambiamenti climatici da parte dei principali scienziati del mondo, fotografa la situazione che abbiamo di fronte.

Il Rapporto afferma che “il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile”, con un aumento medio globale della temperatura pari a 0,7°C negli ultimi 100 anni. Tale riscaldamento ha innescato

cambiamenti climatici che hanno già avuto ripercussioni sulla produzione agricola.

L’IPCC conclude che “molto probabilmente la maggior parte dell’aumento registrato nella temperatura media globale a partire dalla metà del XX secolo è dovuta all’aumento delle emissioni di gas serra”. Le concentrazioni atmosferiche totali di anidride carbonica (CO2), metano e protossido d’azoto sono aumentate in misura molto significativa come conseguenza delle attività umane a partire dal 1750 e oggi sono notevolmente superiori ai livelli preindustriali.

Negli ultimi anni le questioni climatiche ed energetiche sono state al centro del dibattito politico in tutto il mondo. La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, svoltasi nel dicembre 2007 a Bali, ha condotto una discussione su quali siano i passi da intraprendere per condurre a un’energia e a sistemi di trasporto che non danneggino il clima. Tuttavia il rapporto tra cibo e sistemi agricoli, da un lato, e clima ed energia, dall’altro, non è entrato in queste discussioni globali.

Eppure, come rivela il Manifesto, oggi la nostra agricoltura industriale e il nostro sistema alimentare contribuiscono in misura rilevante alle emissioni di gas serra: alcuni stimano che siano responsabili addirittura del 25 per cento delle emissioni.

Il dibattito all’interno delle istituzioni politiche, finanziarie e commerciali e sui media deve anche cominciare ad abbandonare l’argomento riduzionista dello “zero carbonio” e del “niente carbonio”, come se il carbonio esistesse solo in forma fossile sotto terra. Ciò che viene ampiamente dimenticato nella discussione e quindi non viene considerato nelle soluzioni, è che la biomassa delle piante è soprattutto carbonio. L’humus del terreno è soprattutto carbonio. La vegetazione delle foreste è soprattutto carbonio. Il carbonio nel terreno, nelle piante e negli animali è carbonio organico e principalmente vivente e fa parte del ciclo della vita. Il problema non è il carbonio in sé, ma il nostro uso crescente del carbonio fossile come carbone, petrolio e gas, che richiedono milioni di anni per formarsi.

Oggi il carbonio fossile viene bruciato in enormi quantità a velocità allarmante. Le piante sono una risorsa rinnovabile; il carbonio fossile non lo è. L’”economia del carbonio”, basata sui combustibili fossili, è un’economia industriale basata sulla crescita e che serve solo quale fonte del gas serra CO2. L’economia e l’ecologia del carbonio rinnovabile comprendono la biodiversità e sono basate su cicli di assimilazione e dissimilazione (sorgente e scolo) e offrono la soluzione per la sicurezza alimentare in tempi di cambiamento climatico.

Il commercio globale e le politiche economiche attuali stanno imponendo un sistema alimentare e agricolo centralizzato, basato sul combustibile fossile, sistema che è direttamente contrario non solo all’imperativo ecologico, ma anche al programma e agli obiettivi di riduzione delle emissioni che la maggior parte dei governi stanno individuando nei forum internazionali. Questa enorme contraddizione deve essere risolta, se vogliamo affrontare le sfide dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale.

Allo stesso tempo il sistema alimentare attuale è anch’esso estremamente vulnerabile al cambiamento climatico, come dimostra anche questo rapporto.

Quasi ogni angolo del globo è già stato toccato da drastici mutamenti atmosferici che hanno avuto effetti negativi sui raccolti e sulla distribuzione del cibo. Il Manifesto esplora, inoltre, alcune delle false soluzioni agricole che vengono promosse in nome dell’energia “pulita” o “verde” – cioè gli organismi geneticamente modificati (OGM) e la produzione di biocarburanti.

La cosa più importante è che il Manifesto dimostra che i sistemi alimentari biologici ed ecologici sono una soluzione reale alle attuali preoccupazioni climatiche in termini di mitigazione e adattamento e a una transizione energetica verso un’era post carburanti fossili.

L’ultimo capitolo di questo rapporto descrive la transizione basata sulla presa di coscienza del fatto che l’agricoltura biologica ed ecologica è una soluzione vitale sia per mitigare i cambiamenti climatici sia per garantire la sicurezza alimentare per tutti.

Infine, esso richiama l’attenzione sul fatto che i sistemi alimentari diventino parte integrante della discussione sul clima e sull’energia nei negoziati post Bali in materia di clima.

L’IPCC prevede fenomeni atmosferici ancora più estremi. L’IPCC ha riscontrato prova del fatto che probabilmente l’area complessiva colpita dalla siccità è aumentata tra il 1900 e il 2005 a causa della riduzione delle precipitazioni nel Sahel, nel Mediterraneo, nell’Africa meridionale e in parti dell’Asia meridionale. L’IPCC dichiara inoltre che probabilmente le ondate di calore sono divenute più frequenti e che la frequenza di forti precipitazioni è aumentata nella maggior parte delle aree della Terra.

L’IPCC avverte che tali impatti peggioreranno via via che le temperature continueranno a crescere; infatti stima che nel 2100 il riscaldamento sarà peggiore di quanto previsto precedentemente, con un probabile aumento della temperatura compreso fra 1,8°C e 4°C, ma che potrebbe raggiungere persino i 6,4°C.

L’impatto sull’agricoltura sarà significativo. Giorni e notti più caldi, ondate di calore più frequenti e un ampliamento delle zone colpite dalla siccità ridurranno i raccolti nelle aree più calde, a causa di stress da calore, aumento delle invasioni di insetti, minore disponibilità di acqua, degrado del terreno, maggiore mortalità del bestiame. Questi effetti negativi sono già sperimentati da molte comunità dei Paesi del Sud del mondo. Vi sarà inoltre un aumento dell’incidenza di forti precipitazioni che danneggeranno ulteriormente i raccolti erodendo e saturando i terreni.

Un’intensificazione dell’attività ciclonica tropicale causerà danni ai raccolti nell’ecosistema costiero, mentre l’innalzamento del livello del mare causerà la salinizzazione delle falde acquifere costiere. Le isole del Pacifico e gli ampi delta sono già affetti da questo problema.

Alcune regioni saranno colpite in modo particolarmente pesante. Entro il 2020, in alcuni Paesi africani i raccolti dell’agricoltura alimentata dalla pioggia – la grande maggioranza dell’agricoltura africana – potrebbero ridursi del 50 per cento. Si prevede inoltre che la produzione agricola di molti Paesi africani verrà seriamente compromessa.

Si prevede che in America Latina la resa di alcuni importanti raccolti diminuirà, con conseguenze negative per la sicurezza alimentare. In gran parte dell’Australia meridionale e orientale e in alcune zone della Nuova Zelanda orientale si prevede che entro il 2030 la produzione agricola diminuirà a causa della siccità. Nell’Europa meridionale l’aumento delle temperature e della siccità ridurrà la resa dei raccolti. Perfino nell’America settentrionale si prevedono gravi difficoltà per le colture vicine all’estremità calda del loro areale o che dipendono da un elevato sfruttamento delle risorse idriche.

Tali circostanze influiscono drammaticamente sulla produzione alimentare e gli esperti prevedono che vi sarà un grave aumento della denutrizione e della fame, fenomeni che colpiranno milioni di persone e che saranno seguiti da una diminuzione della popolazione mondiale a metà del XXI secolo.

Ma non c’è bisogno di attendere il futuro per testimoniare i reali e terribili effetti che i mutamenti climatici hanno sulla capacità delle persone di procurarsi il cibo e di nutrirsi. Questo Manifesto evidenzia l’impatto dell’attuale approccio industrializzato, ottuso e distruttivo sulla produzione di cibo in presenza di parametri meteorologici sempre più variabili e invita invece ad abbracciare una modalità sicura, sostenibile e nutritiva di alimentarci, che aiuti anche a mitigare i rischi del cambiamento climatico e a trovare i modi per adeguarsi a essi.

4. L’attuale ordine economico e commerciale

L’attuale ordine economico e commerciale ha svolto un ruolo fondamentale nel creare degli incentivi perversi che aumentano le emissioni di anidride carbonica e accelerano il cambiamento climatico. Il paradigma della crescita basato sul consumo illimitato e su falsi indicatori economici quali il prodotto nazionale lordo sta spingendo i Paesi e le comunità verso condizioni di vulnerabilità e instabilità sempre più gravi. Le regole commerciali e i sistemi economici dovrebbero supportare il principio di sussidiarietà, a vantaggio delle economie e dei sistemi alimentari locali, riducendo così le nostre emissioni di carbonio e al contempo aumentando la partecipazione democratica e migliorando la qualità della vita.

In termini materiali, fisici e biologici l’economia agricola industriale è un’economia negativa che richiede enormi input di energia. I costi degli input energetici sono esternalizzati e il calcolo finanziario dipende dai sussidi. Ciò deforma il prezzo reale degli alimenti e i suoi costi reali in termini ambientali, sociali culturali e politici.

Le regole finanziarie e commerciali continuano a perpetuare e ad ampliare questa economia negativa. Invece di premiare i sistemi alimentari centralizzati, uniformi e a lunga distanza, le politiche dovrebbero favorire il principio di sussidiarietà. In altre parole, la produzione locale per il consumo locale dovrebbe essere il primo livello della sicurezza alimentare. Ciò significa accorciare la catena alimentare e diminuire i chilometri percorsi dagli alimenti.

La sussidiarietà affida il potere alle comunità locali, ai governi locali e regionali, invece di stabilire a livello internazionale delle politiche uniformi che sono obbligatorie per tutti i Paesi, come viene fatto tramite le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). La localizzazione aumenta più facilmente la democrazia e il controllo da parte delle comunità, delle regioni e degli stati-nazioni. Sebbene il cambiamento climatico sia un problema globale e la comunità globale debba lavorare insieme per il futuro del pianeta, le soluzioni e gli adattamenti devono basarsi su soluzioni locali che assicurino la diversità, strategia chiave per la sopravvivenza.

4.1. I due livelli di azione: azioni delle persone e azioni politiche

Il Manifesto propone due livelli di azione: azioni delle persone e azioni politiche.

Azioni delle persone

1. Mantenere e coltivare la biodiversità – e questo cominciando a promuovere la biodiversità delle sementi e delle razze animali sia in agricoltura che nel proprio giardino.

2. Passare da pratiche agricole basate sulla chimica e su un grande dispendio energetico a una produzione alimentare ecologica e biologica.

3. Scegliere un’agricoltura che sia prudente nell’uso dell’acqua – la conservazione e il recupero dell’acqua dovrebbero essere gli obiettivi primari invece dell’irrigazione intensiva e dell’esaurimento delle risorse acquifere.

4. Scegliere e favorire i mercati degli agricoltori e i prodotti locali, biologici, freschi e di stagione, nonché le filiere corte. In tal modo si alleggerisce il peso energetico.

5. Instaurare e supportare incentivi che permettano il cambiamento per ricostruire economie alimentari locali. Si deve permettere agli agricoltori di essere i garanti della qualità delle sementi e degli alimenti che producono senza essere schiacciati dagli standard burocratici e industriali della registrazione delle sementi e della sicurezza alimentare.

6. Creare degli spazi democratici per gli agricoltori, per le comunità locali e per i consumatori, per decidere come realizzare la transizione a un sistema alimentare post combustibili fossili e basato sulla localizzazione e la sostenibilità.

Queste azioni si sposano alla perfezione con alcune considerazioni concernenti vegetarismo ed ecologia umana.

Negli ecosistemi, a ogni passaggio della catena alimentare (da produttore a consumatore di I ordine, da questo a consumatore di II ordine, e così via) si ha una perdita di produzione biologica fino al 90 per cento dovuta alla respirazione, all’escrezione, alla deiezione e alla decomposizione dei cadaveri, e solo la restante parte è disponibile per l’anello trofico successivo. Pertanto l’uomo, se si comporta come vegetariano, e cioè da consumatore di I ordine, avrà molte più risorse disponibili che se si comporta come carnivoro e cioè da consumatore di II ordine. Gli animali allevati per la carne vengono oggi nutriti prevalentemente con cereali, che potrebbero essere impiegati direttamente per l’alimentazione umana. In particolare, sono necessari 7 kg di cereali per la produzione di 1 kg di carne bovina, 4 kg per per la produzione di 1 kg di carne suina e 2 kg per la produzione di 1 kg di pollame (5).

Inoltre, l’alimentazione a base di carne richiede un maggiore consumo di acqua rispetto a quella a base di vegetali, e l’acqua in molti casi è un fattore limitante della produzione di alimenti. L’alimentazione di paesi come gli Stati Uniti, così ricca di prodotti di origine animale, richiede una quantità di acqua doppia rispetto a quella di molti paesi asiatici ed europei. Se gli americani riducessero il loro consumo di carne, lo stesso volume di acqua potrebbe nutrire il doppio delle persone oppure una parte di esso potrebbe essere lasciata nei fiumi (6).

Azioni politiche

1. Porre fine ai perversi sussidi destinati alle economie alimentari basate sui combustibili fossili: il documento si appella alla Banca mondiale, al Fondo monetario internazionale (FMI) e alle istituzioni finanziarie regionali e globali per porre fine al finanziamento dei mega progetti basati sui combustibili fossili, come la costruzione di dighe, i progetti per la realizzazione di tubazioni e per l’irrigazione, le massicce infrastrutture di trasporto.

2. Eliminare i sussidi destinati ai biocarburanti e le leggi che ne impongono l’impiego.

3. Riassegnare gli investimenti pubblici a modelli alimentari ecologici, locali e biologici che riducono i rischi climatici e aumentano la sicurezza alimentare.

4. Riformare alcune norme chiave dell’OMC. Per far questo, è necessario:

- permettere limitazioni quantitative: poiché le nazioni più ricche non hanno fatto molto per ridurre il livello di sussidi dati ai loro settori agricoli, tutti i Paesi dovrebbero poter rispondere alle distorsioni dovute ai sussidi applicando limitazioni quantitative sulle importazioni, in modo da garantire la sicurezza alimentare.

Come parte degli obblighi di accesso al mercato posti dall’Uruguay Round del GATT (General Agreement on Tariffs and Trade, Accordo complessivo sul commercio e le tariffe doganali), art. XI, unitamente alle norme poste dall’Accordo sull’agricoltura, le nazioni sono state costrette a togliere ogni divieto o limitazione quantitativa sulle importazioni e le esportazioni.

I Paesi in via di sviluppo hanno tradizionalmente usato le limitazioni all’importazione per proteggere la loro produzione alimentare nazionale e per proteggere i produttori nei confronti della valanga di prodotti importati a prezzi artificiosamente bassi; ora questo meccanismo è stato eliminato. Le limitazioni quantitative sono il solo meccanismo sicuro che può cominciare a costruire la sovranità alimentare e la democrazia alimentare e che può proteggere i mezzi di sostentamento delle nostre comunità rurali;

- eliminare i requisiti di accesso minimo: si dovrebbe eliminare la “norma di accesso minimo” dell’OMC. Questa norma richiede a ogni nazione membro di importare fino al 5 per cento del volume della produzione nazionale in ogni settore designato di prodotti alimentari e beni di prima necessità (in base ai livelli delle quote 1986-88).

Questa norma indirizza le politiche agricole nazionali verso un modello di importazione esportazione, invece di incoraggiare le politiche a favore di una produzione locale per un consumo locale. Essa perpetua un sistema alimentare basato sui combustibili fossili. La tendenza dovrebbe essere quella di rafforzare la produzione locale per il consumo locale e di ridurre i trasporti alimentari su lunghe distanze;

- permettere l’introduzione di tariffe doganali e quote selezionate: nuove norme devono permettere l’uso giudizioso di dazi commerciali selezionati, come pure di quote di importazione, allo scopo di regolamentare le importazioni di cibo che può essere prodotto anche localmente. Per i Paesi in via di sviluppo ciò è chiamato Special and Differentiated Treatment – Trattamento speciale e differenziato (STD). Gli STD possono aiutare a compensare la vendita sottocosto dei prodotti sovvenzionati attuata dai Paesi ricchi (cioè vendere al di sotto dell’effettivo costo di produzione).

5. Promuovere i sistemi di agricoltura biodiversa e porre fine alle norme dell’OMC sul diritto di proprietà intellettuale che consentono sia la concentrazione delle multinazionali delle sementi che la pirateria dei sistemi tradizionali di conoscenza.

Considerando l’”Accordo dell’OMC sui diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio”, si dovrebbero apportare i seguenti cambiamenti.

L’art. 27.3 dovrebbe essere modificato per chiarire che: 1) non può essere brevettata nessuna forma di vita di qualsiasi natura; 2) non può essere brevettato nessun processo naturale per produrre piante e animali; 3) un sistema sui generis può includere le leggi nazionali che riconoscono e proteggono le conoscenze tradizionali di comunità indigene e locali.

L’art. 27.1 dovrebbe essere modificato per consentire agli Stati di stabilire che non possono essere brevettati gli alimenti e i medicinali, nonché di limitare l’ambito temporale di un brevetto o processo (più frequentemente applicabile ai medicinali).

6. Permettere zone OGM-free: le politiche e le norme dell’OMC devono essere riformate per sancire in modo inequivocabile il diritto completo ed esplicito delle regioni e degli stati nazione di rimanere liberi da OGM nella misura che scelgono.

7. Includere il sequestro di CO2 attuato dall’agricoltura biologica nel “Dispositivo per lo sviluppo pulito” (all’interno del Protocollo di Kyoto), in quanto produce effetti molto rapidi ed è molto redditizio, contribuendo al contempo allo sviluppo rurale.

8. L’agricoltura biologica ed ecologica deve essere posta al centro di tutte le strategie di adattamento per far fronte al cambiamento climatico.

9. La conservazione della biodiversità deve essere parte vitale dell’adattamento al cambiamento climatico, in quanto la biodiversità costituisce una forma di assicurazione in un contesto di condizioni climatiche imprevedibili.

10. Le conoscenze locali indigene devono essere protette e incentivate come parte integrante di tutte le strategie di adattamento.

11. Rimuovere gli ostacoli normativi, economici e fisici che impediscono la rilocalizzazione.

5. Conclusioni: verso l’agricoltura ecologica del carbonio rinnovabile

Nei negoziati sui cambiamenti climatici si considera di solito il carbonio nella sua forma fossile e non rinnovabile, formatosi in milioni di anni: petrolio, gas e carbone che, bruciati dall’economia “fossile” planetaria aumentano la concentrazione di gas serra nell’atmosfera.

Ma non bisogna dimenticare che anche la biomassa delle piante è soprattutto carbonio, e così l’humus del suolo, la vegetazione delle foreste. L’ “agricoltura ecologica del carbonio rinnovabile”, nella visione di questo Manifesto, è la via per garantire il diritto al cibo per tutti e al tempo stesso alleggerire l’emergenza climatica, ma anche adattarvisi.

Ne siamo lontani: come abbiamo visto, l’agricoltura industriale o del “carbonio morto” – basata su semi commerciali, chimica di sintesi e un elevato consumo di acqua ed energia fossile – e i sistemi alimentari globalizzati, che richiedono lunghe catene di conservazione e trasporto, contribuiscono per almeno il 25 per cento alle emissioni globali di gas serra (anidride carbonica, metano e ossido di azoto).

Complice del cambiamento del clima, dunque, l’agricoltura ne è anche tra le prime vittime, come l’attuale crisi alimentare dimostra. Per mitigare i cambiamenti climatici, adattarvisi e al tempo stesso nutrire il mondo, le pratiche agricole devono tendere all’autosufficienza, ridurre gli input esterni: l’agricoltura preconizzata da questo Manifesto si basa sulla biodiversità colturale (con il ricorso a varietà autoctone) e la rifertilizzazione organica del suolo (che è in grado di assorbire fino a 3 tonnellate di anidride carbonica per ettaro, se mantenuto ricco), sulla protezione delle foreste e la parsiminia nell’uso dell’acqua scarseggiante (in tempi di siccità le coltivazioni biologiche hanno rese maggiori di quelle convenzionali).

Ma è l’intero sistema alimentare, oggi globalizzato e concentrato, a dover cambiare. Localizzazione, diversificazione e stagionalità dell’alimentazione sono importanti. Passare a sistemi locali significa ridurre il carico energetico di imballaggi, refrigerazione, stoccaggio, trasporto (7).

Per arrivare a questo scenario, il Manifesto propone a coltivatori e consumatori un cambiamento radicale, e chiede alla politica azioni decise. Basta sussidi ai sistemi agroalimentari basati sui combustibili fossili, stop a progetti di grandi dighe e infrastrutture di trasporto. Investire sul sostegno a modelli alimentari ecologici e locali. Riformare le regole commerciali per permettere la protezione dei mercati interni. Cambiare i regimi di proprietà intellettuale che sequestrano biodiversità e agrosaperi locali a scopi di profitto.

In conclusione, l’agricoltura biologica ed ecologica e la produzione alimentare locale devono oggi essere urgentemente considerate nell’ambito degli sforzi di livello locale, nazionale e internazionale per combattere il cambiamento climatico.

Alcuni credono che la crisi del caos climatico sia il più grande test che la nostra umanità si sia trovata ad affrontare. L’azione collettiva o l’inazione delle nostre società determinerà il destino di milioni di umani e animali.

Fulvio Di Dio – fulvio.didio@libero.it  

Membro della Rete Bioregionale Italiana e del Circolo Vegetariano VV.TT.

Note:

(1) M. GIAMPIETRO, D. PIMENTEL, The Tightening Conflict: Population, Energy Use and the Ecology of Agricolture, Edited by L. Grant. Negative Population Forum. Teanek, NY: Negative Population Growth, Inc., 1993.

(2) Dato riportato in “Biosito: Bioagricoltura: Rendimento energetico”, articolo consultabile in rete su http://www.itlonline.it/biosito/editoriale/bioagricoltura_08.htm.

(3) Il Manifesto sul cambiamento del clima e il futuro della sicurezza alimentare si può trovare ai seguenti indirizzi web: www. future-food.org; www.arsia.toscana.it.

(4) Il gruppo di esperti che hanno collaborato alla realizzazione è composto dalle seguenti persone: Debi Barker, IFG; Marcello Buiatti, Università di Firenze; Gianluca Brunori, Università di Pisa; Andreas Fliessbach, FiBL (Istituto Organic Agriculture Research); Bernward Geier, Rappresentante di COLLABORA e IFOAM; Benny Haerlin, Fondazione Future Farming; MaeWan Ho, Istituto Science in Society; Giampiero Maracchi, Istituto di Agrometeorologia, Consiglio Nazionale Ricerca (IBIMET/CNR); Simon Retallack, Istituto Public Policy Research; Vandana Shiva, RFTSE/Navdanya; Concetta Vazzana, Università di Firenze.

(5) L. BROWN, Nutrire nove miliardi di persone, in L. BROWN (a cura di), State of the world 1999, Edizioni Ambiente, Milano, 1999, pp. 137-57.

(6) S. POSTEL, Riprogettare i sistemi di irrigazione, in L. BROWN (a cura di), State of the world 2000, Edizioni Ambiente, Milano, 2000, pp. 63-84.

(7) Dopo l’insostenibilità insalubre dei cibi precotti, del consumo abbondante di carni, latticini, zuccheri, grassi, la rilocalizzazione alimentare deve essere simbolica (i consumatori devono diventare coscienti), relazionale (con reti dirette tra chi produce e chi mangia), fisica (in uno spazio circoscritto). È cruciale poi il rapporto con l’acqua, come ricordano gli esempi del Darfur, dove il conflitto fra pastori e agricoltori è legato all’esaurimento del lago Ciad, o dell’Himalaya, dove i ghiacciai si assottigliano minacciando l’approvvigionamento di fiumi vitali per l’agricoltura della regione. Il Manifesto sottolinea, come abbiamo visto, proprio la capacità di ritenzione idrica dei suoli gestiti in modo ecologico.