Manifesto sul cambiamento climatico e il futuro della sicurezza alimentare1. Un’agricoltura a bassa intensità energetica.
Tutti gli ecosistemi terrestri utilizzano l’energia che ha origine dalla radiazione solare e che viene in parte trasformata in sostanza organica grazie alla fotosintesi. Anche l’uomo, quando diecimila anni fa, con la rivoluzione neolitica, ha cominciato a coltivare la terra e allevare gli animali, ha prodotto cibo sfruttando questo flusso di energia. Le calorie contenute nei vegetali e nei prodotti animali derivano quasi esclusivamente dall’energia solare, salvo l’energia umana e animale utilizzata per il lavoro dei campi (comunque garantita dal cibo così prodotto). Grazie all’agricoltura la popolazione umana è cresciuta al punto di dover sostituire a boschi e foreste campi coltivati e pascoli, eliminando ogni competitore e appropriandosi di sempre maggiori quote dell’energia solare disponibile sul pianeta.
Dopo la rivoluzione industriale, si cercò non solo di aumentare la superficie coltivata, ma anche di accrescerne la resa produttiva, impiegando altre fonti di energia oltre quella solare.
La recente “Rivoluzione verde”, iniziata negli anni ‘60, ha comportato, oltre a un forte incremento di produttività, anche un notevole aumento di energia impiegata in agricoltura. Questa energia aggiuntiva non proveniva da un aumento della luce solare disponibile, ma era fornita dai combustibili fossili sotto forma di fertilizzanti (gas naturale, principale materia prima per la produzione di urea), pesticidi ed energia per i processi dell’agrochimica (petrolio) e irrigazione alimentata da idrocarburi.
Secondo GIAMPIETRO e PIMENTEL (1) la Rivoluzione verde ha aumentato in media di 50 volte il flusso di energia rispetto all’agricoltura tradizionale e nel sistema alimantare degli Stati Uniti sono necessarie fino a 10 calorie di energia per produrre una caloria di cibo consegnato al consumatore. Questo comprende, oltre ai prodotti chimici e all’uso di macchinari agricoli, anche i consumi di confezionamento e di trasporto (ma esclude la cottura domestica). Ciò significa che il sistema alimentare statunitense consuma dieci volte più energia di quanta ne produca sotto forma di cibo o, se si vuole, che utilizza più energia fossile di quella che deriva dalla radiazione solare.
Considerando solo la produzione dei fertilizzanti, va detto che servono circa due tonnellate di petrolio (in energia) per produrre e spargere una tonnellata di concime azotato: gli Stati Uniti in un anno consumano quasi 11 milioni di tonnellate di fertilizzanti e ciò corrisponde a poco meno di cento milioni di barili di petrolio.
Anche in Italia, secondo una ricerca dell’ENEA compiuta nel 1978-1979 (2), tenendo conto del rendimento energetico relativo alla sola produzione, risultò che il rapporto tra l’energia ricavata dal raccolto (output) e l’energia necessaria a produrre il medesimo raccolto (input) era in molti casi inferiore ad uno ed è ragionevole pensare che tale rapporto sia peggiorato nel corso degli ultimi 25 anni.
Un dato interessante emerso dagli studi sui rendimenti enrgetici in agricoltura è che il sistema agricolo di gran lunga più efficiente sembra essere l’agricoltura tradizionale, come ad esempio quella vietnamita, che può vantare un rendimento da 1 a 10: spende cioè una caloria energetica per ottenere dieci calorie alimentari, facendo a meno di macchine e concimi chimici.
Questi dati dimostrano anche che la superficie destinata all’agricoltura industializzata non solo non è in grado di assorbire la CO2 come potrebbe farlo un equivalente bosco o prato o campo coltivato con metodi tradizionali, ma anzi produce più CO2 di quanta possa assorbire.
Dovendo far fronte, da un lato, a una popolazione mondiale rilevante che ha bisogno di cibo, e dall’altro a disponibilità sempre minori di fonti fossili, che comunque inquinano e comportano il rischio di cambiamenti climatici, l’agricoltura dovrebbe evolversi verso sistemi meno insostenibili che:
· migliorino l’efficienza energetica (ad esempio, l’agricoltura biologica usa l’energia in modo molto più efficiente e riduce notevolmente le emissioni di CO2);
· utilizzino fertilizzanti di origine organica (l’agricoltura biologica ristabilisce la materia organica del suolo, aumentando la quantità di carbonio sequestrato nel terreno, quindi sottraendo significative quantità dello stesso dall’atmosfera);
· impieghino fonti energetiche rinnovabili e riducano la distanza tra produzione e consumo (filiera corta).
2. La novità del Manifesto sul cambiamento climatico e il futuro della sicurezza alimentare
Ecco allora l’importanza di orientarci verso i concetti proposti con forza nel “Manifesto sul cambiamento climatico e il futuro della sicurezza alimentare” (3), pubblicato a luglio 2008 da parte della Commissione internazionale per il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura, iniziativa congiunta del Presidente della Regione Toscana e di un gruppo di leader della società civile, di accademici e di rappresentanti governativi (4).
Questi temi fra loro interconnessi sono anche l’oggetto della prossima conferenza delle Nazioni Unite sulla sicurezza alimentare, il cambiamento climatico e i biocarburanti.
Le notizie che giornalmente ci giungono sulle rivolte per il cibo che sempre di più si sviluppano in tutto il mondo dimostrano il fallimento delle politiche agricole e alimentari degli ultimi decenni e il bisogno urgente di passare a politiche che difendano il diritto delle persone al cibo attraverso la promozione di modelli alimentari ecologici e locali, che riducono gli impatti distruttivi sull’ambiente e allo stesso tempo incrementano la disponibilità di diverse fonti alimentari e nutritive. Il documento dimostra che le attuali politiche commerciali ed economiche impongono un sistema alimentare e agricolo ad alta intensità energetica che è direttamente contrario non solo alla sicurezza alimentare e all’imperativo ecologico del pianeta, ma anche agli obiettivi fissati dalle Nazioni Unite e dai governi riguardo alle emissioni di gas serra.
Il Manifesto afferma che il sistema alimentare industriale e globalizzato è un responsabile di primo piano del cambiamento climatico, contribuendo con almeno il 25 per cento del totale delle emissioni di gas serra; allo stesso tempo l’attuale sistema alimentare è anche estremamente vulnerabile al cambiamento climatico. Praticamente ogni angolo del pianeta è già stato toccato dai drammatici cambiamenti meteorologici che hanno danneggiato la produzione agricola e la distribuzione del cibo.
Eppure, i Governi non stanno ancora completamente integrando la contraddizione con la promozione di un sistema alimentare industriale e basato sui combustibili fossili che crea insicurezza alimentare, energetica e climatica. Il documento della Commissione fa una sintesi della ricerca scientifica interdisciplinare che stabilisce come l’agricoltura ecologica e biologica sia una soluzione vitale sia per la mitigazione del cambiamento climatico che per l’adattamento ad esso, nonché per assicurare a tutti la sicurezza alimentare.
Il Manifesto illustra, inoltre, le transizioni necessarie per assicurare cibo a tutti e allo stesso tempo proteggere il nostro fragile pianeta; lancia quindi un appello perché i sistemi alimentari siano parte integrante della discussione su clima ed energia nei negoziati attualmente in corso sul clima. Infine, vengono esplorate alcune delle false soluzioni agricole che sono proposte nel nome dell’energia “pulita” o “verde”- leggi organismi geneticamente modificati (OGM) e produzione su larga scala di biocarburanti. E, cosa più importante di tutte, dimostra che i sistemi alimentari biologici sono una soluzione reale agli attuali problemi climatici in termini di mitigazione e adattamento e una transizione energetica verso un’era post carburanti fossili.
2.1. I princìpi del Manifesto
Il Manifesto costituisce dunque una risposta agro-ecologica alle sfide lanciate dal cambiamento climatico per assicurare il futuro della sicurezza alimentare attraverso la mitigazione, l’adattamento e l’equità. Esso si basa su alcuni princìpi, che qui di seguito riportiamo nei loro tratti essenziali.
A) L’agricoltura globalizzata e industrializzata contribuisce al cambiamento climatico divenendo anche vulnerabile ad esso.
L’agricoltura industrializzata, basata sulla chimica, sui combustibili fossili, sui sistemi alimentari globalizzati, che si fondano a loro volta su trasporti ad alta intensità energetica e a lunga distanza, ha un impatto negativo sul clima.
Attualmente l’agricoltura industrializzata contribuisce per almeno un quarto alle emissioni di gas serra. Il sistema dominante, così come promosso dall’attuale paradigma economico, ha accelerato l’instabilità climatica e ha accresciuto l’insicurezza alimentare. Questo sistema aumenta anche la vulnerabilità perché si basa sull’uniformità e sulle monocolture, su sistemi di distribuzione centralizzati e sulla dipendenza da alti apporti di energia e acqua.
B) L’agricoltura ecologica e biologica contribuisce alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico.
L’agricoltura costituisce l’unica attività umana basata sulla fotosintesi e può essere completamente rinnovabile. L’agricoltura ecologica e biologica mitiga il cambiamento climatico grazie alla riduzione delle emissioni di gas serra e all’aumento del sequestro di carbonio nelle piante e nel suolo. I sistemi agricoli multifunzionali e biodiversi e i sistemi alimentari localizzati e diversificati sono essenziali per garantire la sicurezza alimentare in un’era di cambiamento climatico.
Una rapida transizione globale verso questi sistemi è un imperativo, sia allo scopo di mitigare il cambiamento climatico, sia per garantire la sicurezza alimentare.
C) La transizione verso sistemi alimentari locali e sostenibili va a vantaggio dell’ambiente e della salute pubblica.
La globalizzazione economica ha portato a una transizione alimentare e a un allontanamento dalle diete locali, diversificate e stagionali verso alimenti sintetici trasformati industrialmente, che stanno causando nuove patologie alimentari e un peggioramento della salute. Le politiche economiche della globalizzazione aumentano l’impatto sull’ambiente tramite modalità di consumo intensivo delle risorse e dell’energia. La localizzazione, la diversificazione e la stagionalità sono importanti per migliorare il benessere, la salute e la nutrizione. Una transizione a livello mondiale verso sistemi locali ridurrà i chilometri alimentari accorciando le catene di trasporto e ridurrà il “carico energetico” degli alimenti in termini di confezionamento, refrigerazione, immagazzinamento e trasformazione.
D) La biodiversità riduce la vulnerabilità e aumenta la resilienza. La biodiversità è il fondamento della sicurezza alimentare.
La biodiversità costituisce anche la base per l’agricoltura ecologica e biologica, poiché offre delle alternative ai combustibili fossili e all’uso dei prodotti chimici. Inoltre accresce la resilienza al cambiamento climatico restituendo più carbonio al suolo, migliorando la capacità del suolo di resistere a siccità, inondazioni ed erosione.
La biodiversità è l’unica forma di assicurazione naturale per l’adattamento e l’evoluzione futuri della società. Aumentare la diversità genetica e culturale dei sistemi alimentari e mantenere la biodiversità nei beni comuni sono strategie essenziali per rispondere alle sfide del cambiamento climatico.
E) L’ingegneria genetica applicata a semi e varietà vegetali costituisce una falsa soluzione pericolosamente fuorviante.
Le colture geneticamente modificate sono una falsa soluzione pericolosamente fuorviante rispetto al nostro compito di mitigare il cambiamento climatico, poiché vanno in direzione opposta rispetto alla possibilità di fornire energia e cibo sostenibili e di conservare le risorse. Gli alimenti, le fibre e i combustibili geneticamente modificati aggravano tutti i difetti delle monocolture industriali: più uniformità genetica e quindi meno resilienza agli stress biotici e abiotici, maggiore fabbisogno di acqua e pesticidi.
Sono stati sviluppati seguendo un paradigma genetico deterministico obsoleto e screditato e di conseguenza comportano ulteriori rischi per la salute e per l’ambiente. Portano inoltre a brevetti monopolistici che non solo ledono i diritti degli agricoltori, ma impediscono anche alla ricerca sulla biodiversità di concentrarsi sull’adattamento al cambiamento climatico.
F) I biocarburanti industriali: una falsa soluzione e una nuova minaccia alla sicurezza alimentare.
L’alimentazione costituisce il più basilare dei bisogni umani e l’agricoltura sostenibile deve fondarsi su politiche che mettano l’alimentazione al primo posto. I biocarburanti industriali non sono sostenibili e diffondono subdolamente gli OGM.
Le colture di biocarburanti stanno aggravando il cambiamento climatico tramite la distruzione delle foreste pluviali e la loro sostituzione con coltivazioni di soia, palma da olio e canna da zucchero. Ciò ha portato a un furto senza paragoni di terre di comunità indigene e rurali.
I biocarburanti industriali sono responsabili di sussidi perversi concessi a un’agricoltura non sostenibile, cosa che minaccia i diritti alimentari di miliardi di persone. Per peggiorare la situazione, i prezzi dei prodotti alimentari stanno salendo a causa del rapido passaggio dalla coltivazione di piante alimentari alla coltivazione di biocarburanti. Si prevede che i prezzi dei prodotti alimentari continuino a salire, raggiungendo livelli record, almeno fino al 2010, sviluppando una “nuova fame” in tutto il mondo e anarchia nelle strade delle nazioni più povere.
Le politiche energetiche sostenibili richiedono un’associazione tra decentramento e riduzione generalizzata dei consumi energetici mantenendo al contempo la sicurezza alimentare come obiettivo prioritario dei sistemi agricoli e alimentari.
G) La conservazione dell’acqua è fondamentale per l’agricoltura sostenibile. L’agricoltura industrializzata ha comportato un uso intensivo dell’acqua e un incremento dell’inquinamento idrico riducendo al contempo la disponibilità di acqua dolce. La siccità e la scarsità di acqua in vaste aree del mondo aumenteranno a causa dei cambiamenti climatici. La riduzione dell’uso intensivo di acqua nell’agricoltura costituisce una strategia di adattamento essenziale.
L’agricoltura ecologica e biologica riduce il fabbisogno di irrigazione intensiva aumentando la capacità del suolo di trattenere l’acqua e di migliorarne la qualità.
H) La transizione delle conoscenze ai fini dell’adattamento al clima. (Il cambiamento climatico è l’esame finale per la nostra intelligenza collettiva in quanto umanità.)
L’agricoltura industrializzata ha distrutto quegli aspetti essenziali di conoscenza degli ecosistemi locali e delle tecnologie agricole che sono necessari a una transizione verso un sistema alimentare post-industriale senza combustibili fossili. La diversità delle culture e dei sistemi di conoscenza necessaria per adattarsi al cambiamento climatico deve essere riconosciuta ed esaltata tramite politiche pubbliche e investimenti. Una nuova alleanza tra scienza e cultura tradizionale rafforzerà i sistemi di conoscenza e aumenterà la nostra capacità di risposta.
I) Transizione economica verso un futuro alimentare equo e sostenibile.
L’attuale ordine economico e commerciale ha svolto un ruolo fondamentale nel creare degli incentivi perversi che aumentano le emissioni di anidride carbonica e accelerano il cambiamento climatico. Il paradigma della crescita basato sul consumo illimitato e su falsi indicatori economici quali il prodotto nazionale lordo sta spingendo i Paesi e le comunità verso condizioni di vulnerabilità e instabilità sempre più gravi. Le regole commerciali e i sistemi economici dovrebbero
supportare il principio di sussidiarietà, a vantaggio delle economie e dei sistemi alimentari locali, riducendo così le nostre emissioni di carbonio e al contempo aumentando la partecipazione democratica e migliorando la qualità della vita.
3. Il quarto rapporto di valutazione del Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) delle Nazioni Unite
Il quarto Rapporto di valutazione del Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) delle Nazioni Unite, la più recente valutazione condivisa dei cambiamenti climatici da parte dei principali scienziati del mondo, fotografa la situazione che abbiamo di fronte.
Il Rapporto afferma che “il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile”, con un aumento medio globale della temperatura pari a 0,7°C negli ultimi 100 anni. Tale riscaldamento ha innescato
cambiamenti climatici che hanno già avuto ripercussioni sulla produzione agricola.
L’IPCC conclude che “molto probabilmente la maggior parte dell’aumento registrato nella temperatura media globale a partire dalla metà del XX secolo è dovuta all’aumento delle emissioni di gas serra”. Le concentrazioni atmosferiche totali di anidride carbonica (CO2), metano e protossido d’azoto sono aumentate in misura molto significativa come conseguenza delle attività umane a partire dal 1750 e oggi sono notevolmente superiori ai livelli preindustriali.
Negli ultimi anni le questioni climatiche ed energetiche sono state al centro del dibattito politico in tutto il mondo. La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, svoltasi nel dicembre 2007 a Bali, ha condotto una discussione su quali siano i passi da intraprendere per condurre a un’energia e a sistemi di trasporto che non danneggino il clima. Tuttavia il rapporto tra cibo e sistemi agricoli, da un lato, e clima ed energia, dall’altro, non è entrato in queste discussioni globali.
Eppure, come rivela il Manifesto, oggi la nostra agricoltura industriale e il nostro sistema alimentare contribuiscono in misura rilevante alle emissioni di gas serra: alcuni stimano che siano responsabili addirittura del 25 per cento delle emissioni.
Il dibattito all’interno delle istituzioni politiche, finanziarie e commerciali e sui media deve anche cominciare ad abbandonare l’argomento riduzionista dello “zero carbonio” e del “niente carbonio”, come se il carbonio esistesse solo in forma fossile sotto terra. Ciò che viene ampiamente dimenticato nella discussione e quindi non viene considerato nelle soluzioni, è che la biomassa delle piante è soprattutto carbonio. L’humus del terreno è soprattutto carbonio. La vegetazione delle foreste è soprattutto carbonio. Il carbonio nel terreno, nelle piante e negli animali è carbonio organico e principalmente vivente e fa parte del ciclo della vita. Il problema non è il carbonio in sé, ma il nostro uso crescente del carbonio fossile come carbone, petrolio e gas, che richiedono milioni di anni per formarsi.
Oggi il carbonio fossile viene bruciato in enormi quantità a velocità allarmante. Le piante sono una risorsa rinnovabile; il carbonio fossile non lo è. L’”economia del carbonio”, basata sui combustibili fossili, è un’economia industriale basata sulla crescita e che serve solo quale fonte del gas serra CO2. L’economia e l’ecologia del carbonio rinnovabile comprendono la biodiversità e sono basate su cicli di assimilazione e dissimilazione (sorgente e scolo) e offrono la soluzione per la sicurezza alimentare in tempi di cambiamento climatico.
Il commercio globale e le politiche economiche attuali stanno imponendo un sistema alimentare e agricolo centralizzato, basato sul combustibile fossile, sistema che è direttamente contrario non solo all’imperativo ecologico, ma anche al programma e agli obiettivi di riduzione delle emissioni che la maggior parte dei governi stanno individuando nei forum internazionali. Questa enorme contraddizione deve essere risolta, se vogliamo affrontare le sfide dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale.
Allo stesso tempo il sistema alimentare attuale è anch’esso estremamente vulnerabile al cambiamento climatico, come dimostra anche questo rapporto.
Quasi ogni angolo del globo è già stato toccato da drastici mutamenti atmosferici che hanno avuto effetti negativi sui raccolti e sulla distribuzione del cibo. Il Manifesto esplora, inoltre, alcune delle false soluzioni agricole che vengono promosse in nome dell’energia “pulita” o “verde” – cioè gli organismi geneticamente modificati (OGM) e la produzione di biocarburanti.
La cosa più importante è che il Manifesto dimostra che i sistemi alimentari biologici ed ecologici sono una soluzione reale alle attuali preoccupazioni climatiche in termini di mitigazione e adattamento e a una transizione energetica verso un’era post carburanti fossili.
L’ultimo capitolo di questo rapporto descrive la transizione basata sulla presa di coscienza del fatto che l’agricoltura biologica ed ecologica è una soluzione vitale sia per mitigare i cambiamenti climatici sia per garantire la sicurezza alimentare per tutti.
Infine, esso richiama l’attenzione sul fatto che i sistemi alimentari diventino parte integrante della discussione sul clima e sull’energia nei negoziati post Bali in materia di clima.
L’IPCC prevede fenomeni atmosferici ancora più estremi. L’IPCC ha riscontrato prova del fatto che probabilmente l’area complessiva colpita dalla siccità è aumentata tra il 1900 e il 2005 a causa della riduzione delle precipitazioni nel Sahel, nel Mediterraneo, nell’Africa meridionale e in parti dell’Asia meridionale. L’IPCC dichiara inoltre che probabilmente le ondate di calore sono divenute più frequenti e che la frequenza di forti precipitazioni è aumentata nella maggior parte delle aree della Terra.
L’IPCC avverte che tali impatti peggioreranno via via che le temperature continueranno a crescere; infatti stima che nel 2100 il riscaldamento sarà peggiore di quanto previsto precedentemente, con un probabile aumento della temperatura compreso fra 1,8°C e 4°C, ma che potrebbe raggiungere persino i 6,4°C.
L’impatto sull’agricoltura sarà significativo. Giorni e notti più caldi, ondate di calore più frequenti e un ampliamento delle zone colpite dalla siccità ridurranno i raccolti nelle aree più calde, a causa di stress da calore, aumento delle invasioni di insetti, minore disponibilità di acqua, degrado del terreno, maggiore mortalità del bestiame. Questi effetti negativi sono già sperimentati da molte comunità dei Paesi del Sud del mondo. Vi sarà inoltre un aumento dell’incidenza di forti precipitazioni che danneggeranno ulteriormente i raccolti erodendo e saturando i terreni.
Un’intensificazione dell’attività ciclonica tropicale causerà danni ai raccolti nell’ecosistema costiero, mentre l’innalzamento del livello del mare causerà la salinizzazione delle falde acquifere costiere. Le isole del Pacifico e gli ampi delta sono già affetti da questo problema.
Alcune regioni saranno colpite in modo particolarmente pesante. Entro il 2020, in alcuni Paesi africani i raccolti dell’agricoltura alimentata dalla pioggia – la grande maggioranza dell’agricoltura africana – potrebbero ridursi del 50 per cento. Si prevede inoltre che la produzione agricola di molti Paesi africani verrà seriamente compromessa.
Si prevede che in America Latina la resa di alcuni importanti raccolti diminuirà, con conseguenze negative per la sicurezza alimentare. In gran parte dell’Australia meridionale e orientale e in alcune zone della Nuova Zelanda orientale si prevede che entro il 2030 la produzione agricola diminuirà a causa della siccità. Nell’Europa meridionale l’aumento delle temperature e della siccità ridurrà la resa dei raccolti. Perfino nell’America settentrionale si prevedono gravi difficoltà per le colture vicine all’estremità calda del loro areale o che dipendono da un elevato sfruttamento delle risorse idriche.
Tali circostanze influiscono drammaticamente sulla produzione alimentare e gli esperti prevedono che vi sarà un grave aumento della denutrizione e della fame, fenomeni che colpiranno milioni di persone e che saranno seguiti da una diminuzione della popolazione mondiale a metà del XXI secolo.
Ma non c’è bisogno di attendere il futuro per testimoniare i reali e terribili effetti che i mutamenti climatici hanno sulla capacità delle persone di procurarsi il cibo e di nutrirsi. Questo Manifesto evidenzia l’impatto dell’attuale approccio industrializzato, ottuso e distruttivo sulla produzione di cibo in presenza di parametri meteorologici sempre più variabili e invita invece ad abbracciare una modalità sicura, sostenibile e nutritiva di alimentarci, che aiuti anche a mitigare i rischi del cambiamento climatico e a trovare i modi per adeguarsi a essi.
4. L’attuale ordine economico e commerciale
L’attuale ordine economico e commerciale ha svolto un ruolo fondamentale nel creare degli incentivi perversi che aumentano le emissioni di anidride carbonica e accelerano il cambiamento climatico. Il paradigma della crescita basato sul consumo illimitato e su falsi indicatori economici quali il prodotto nazionale lordo sta spingendo i Paesi e le comunità verso condizioni di vulnerabilità e instabilità sempre più gravi. Le regole commerciali e i sistemi economici dovrebbero supportare il principio di sussidiarietà, a vantaggio delle economie e dei sistemi alimentari locali, riducendo così le nostre emissioni di carbonio e al contempo aumentando la partecipazione democratica e migliorando la qualità della vita.
In termini materiali, fisici e biologici l’economia agricola industriale è un’economia negativa che richiede enormi input di energia. I costi degli input energetici sono esternalizzati e il calcolo finanziario dipende dai sussidi. Ciò deforma il prezzo reale degli alimenti e i suoi costi reali in termini ambientali, sociali culturali e politici.
Le regole finanziarie e commerciali continuano a perpetuare e ad ampliare questa economia negativa. Invece di premiare i sistemi alimentari centralizzati, uniformi e a lunga distanza, le politiche dovrebbero favorire il principio di sussidiarietà. In altre parole, la produzione locale per il consumo locale dovrebbe essere il primo livello della sicurezza alimentare. Ciò significa accorciare la catena alimentare e diminuire i chilometri percorsi dagli alimenti.
La sussidiarietà affida il potere alle comunità locali, ai governi locali e regionali, invece di stabilire a livello internazionale delle politiche uniformi che sono obbligatorie per tutti i Paesi, come viene fatto tramite le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). La localizzazione aumenta più facilmente la democrazia e il controllo da parte delle comunità, delle regioni e degli stati-nazioni. Sebbene il cambiamento climatico sia un problema globale e la comunità globale debba lavorare insieme per il futuro del pianeta, le soluzioni e gli adattamenti devono basarsi su soluzioni locali che assicurino la diversità, strategia chiave per la sopravvivenza.
4.1. I due livelli di azione: azioni delle persone e azioni politiche
Il Manifesto propone due livelli di azione: azioni delle persone e azioni politiche.
Azioni delle persone
1. Mantenere e coltivare la biodiversità – e questo cominciando a promuovere la biodiversità delle sementi e delle razze animali sia in agricoltura che nel proprio giardino.
2. Passare da pratiche agricole basate sulla chimica e su un grande dispendio energetico a una produzione alimentare ecologica e biologica.
3. Scegliere un’agricoltura che sia prudente nell’uso dell’acqua – la conservazione e il recupero dell’acqua dovrebbero essere gli obiettivi primari invece dell’irrigazione intensiva e dell’esaurimento delle risorse acquifere.
4. Scegliere e favorire i mercati degli agricoltori e i prodotti locali, biologici, freschi e di stagione, nonché le filiere corte. In tal modo si alleggerisce il peso energetico.
5. Instaurare e supportare incentivi che permettano il cambiamento per ricostruire economie alimentari locali. Si deve permettere agli agricoltori di essere i garanti della qualità delle sementi e degli alimenti che producono senza essere schiacciati dagli standard burocratici e industriali della registrazione delle sementi e della sicurezza alimentare.
6. Creare degli spazi democratici per gli agricoltori, per le comunità locali e per i consumatori, per decidere come realizzare la transizione a un sistema alimentare post combustibili fossili e basato sulla localizzazione e la sostenibilità.
Queste azioni si sposano alla perfezione con alcune considerazioni concernenti vegetarismo ed ecologia umana.
Negli ecosistemi, a ogni passaggio della catena alimentare (da produttore a consumatore di I ordine, da questo a consumatore di II ordine, e così via) si ha una perdita di produzione biologica fino al 90 per cento dovuta alla respirazione, all’escrezione, alla deiezione e alla decomposizione dei cadaveri, e solo la restante parte è disponibile per l’anello trofico successivo. Pertanto l’uomo, se si comporta come vegetariano, e cioè da consumatore di I ordine, avrà molte più risorse disponibili che se si comporta come carnivoro e cioè da consumatore di II ordine. Gli animali allevati per la carne vengono oggi nutriti prevalentemente con cereali, che potrebbero essere impiegati direttamente per l’alimentazione umana. In particolare, sono necessari 7 kg di cereali per la produzione di 1 kg di carne bovina, 4 kg per per la produzione di 1 kg di carne suina e 2 kg per la produzione di 1 kg di pollame (5).
Inoltre, l’alimentazione a base di carne richiede un maggiore consumo di acqua rispetto a quella a base di vegetali, e l’acqua in molti casi è un fattore limitante della produzione di alimenti. L’alimentazione di paesi come gli Stati Uniti, così ricca di prodotti di origine animale, richiede una quantità di acqua doppia rispetto a quella di molti paesi asiatici ed europei. Se gli americani riducessero il loro consumo di carne, lo stesso volume di acqua potrebbe nutrire il doppio delle persone oppure una parte di esso potrebbe essere lasciata nei fiumi (6).
Azioni politiche
1. Porre fine ai perversi sussidi destinati alle economie alimentari basate sui combustibili fossili: il documento si appella alla Banca mondiale, al Fondo monetario internazionale (FMI) e alle istituzioni finanziarie regionali e globali per porre fine al finanziamento dei mega progetti basati sui combustibili fossili, come la costruzione di dighe, i progetti per la realizzazione di tubazioni e per l’irrigazione, le massicce infrastrutture di trasporto.
2. Eliminare i sussidi destinati ai biocarburanti e le leggi che ne impongono l’impiego.
3. Riassegnare gli investimenti pubblici a modelli alimentari ecologici, locali e biologici che riducono i rischi climatici e aumentano la sicurezza alimentare.
4. Riformare alcune norme chiave dell’OMC. Per far questo, è necessario:
- permettere limitazioni quantitative: poiché le nazioni più ricche non hanno fatto molto per ridurre il livello di sussidi dati ai loro settori agricoli, tutti i Paesi dovrebbero poter rispondere alle distorsioni dovute ai sussidi applicando limitazioni quantitative sulle importazioni, in modo da garantire la sicurezza alimentare.
Come parte degli obblighi di accesso al mercato posti dall’Uruguay Round del GATT (General Agreement on Tariffs and Trade, Accordo complessivo sul commercio e le tariffe doganali), art. XI, unitamente alle norme poste dall’Accordo sull’agricoltura, le nazioni sono state costrette a togliere ogni divieto o limitazione quantitativa sulle importazioni e le esportazioni.
I Paesi in via di sviluppo hanno tradizionalmente usato le limitazioni all’importazione per proteggere la loro produzione alimentare nazionale e per proteggere i produttori nei confronti della valanga di prodotti importati a prezzi artificiosamente bassi; ora questo meccanismo è stato eliminato. Le limitazioni quantitative sono il solo meccanismo sicuro che può cominciare a costruire la sovranità alimentare e la democrazia alimentare e che può proteggere i mezzi di sostentamento delle nostre comunità rurali;
- eliminare i requisiti di accesso minimo: si dovrebbe eliminare la “norma di accesso minimo” dell’OMC. Questa norma richiede a ogni nazione membro di importare fino al 5 per cento del volume della produzione nazionale in ogni settore designato di prodotti alimentari e beni di prima necessità (in base ai livelli delle quote 1986-88).
Questa norma indirizza le politiche agricole nazionali verso un modello di importazione esportazione, invece di incoraggiare le politiche a favore di una produzione locale per un consumo locale. Essa perpetua un sistema alimentare basato sui combustibili fossili. La tendenza dovrebbe essere quella di rafforzare la produzione locale per il consumo locale e di ridurre i trasporti alimentari su lunghe distanze;
- permettere l’introduzione di tariffe doganali e quote selezionate: nuove norme devono permettere l’uso giudizioso di dazi commerciali selezionati, come pure di quote di importazione, allo scopo di regolamentare le importazioni di cibo che può essere prodotto anche localmente. Per i Paesi in via di sviluppo ciò è chiamato Special and Differentiated Treatment – Trattamento speciale e differenziato (STD). Gli STD possono aiutare a compensare la vendita sottocosto dei prodotti sovvenzionati attuata dai Paesi ricchi (cioè vendere al di sotto dell’effettivo costo di produzione).
5. Promuovere i sistemi di agricoltura biodiversa e porre fine alle norme dell’OMC sul diritto di proprietà intellettuale che consentono sia la concentrazione delle multinazionali delle sementi che la pirateria dei sistemi tradizionali di conoscenza.
Considerando l’”Accordo dell’OMC sui diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio”, si dovrebbero apportare i seguenti cambiamenti.
L’art. 27.3 dovrebbe essere modificato per chiarire che: 1) non può essere brevettata nessuna forma di vita di qualsiasi natura; 2) non può essere brevettato nessun processo naturale per produrre piante e animali; 3) un sistema sui generis può includere le leggi nazionali che riconoscono e proteggono le conoscenze tradizionali di comunità indigene e locali.
L’art. 27.1 dovrebbe essere modificato per consentire agli Stati di stabilire che non possono essere brevettati gli alimenti e i medicinali, nonché di limitare l’ambito temporale di un brevetto o processo (più frequentemente applicabile ai medicinali).
6. Permettere zone OGM-free: le politiche e le norme dell’OMC devono essere riformate per sancire in modo inequivocabile il diritto completo ed esplicito delle regioni e degli stati nazione di rimanere liberi da OGM nella misura che scelgono.
7. Includere il sequestro di CO2 attuato dall’agricoltura biologica nel “Dispositivo per lo sviluppo pulito” (all’interno del Protocollo di Kyoto), in quanto produce effetti molto rapidi ed è molto redditizio, contribuendo al contempo allo sviluppo rurale.
8. L’agricoltura biologica ed ecologica deve essere posta al centro di tutte le strategie di adattamento per far fronte al cambiamento climatico.
9. La conservazione della biodiversità deve essere parte vitale dell’adattamento al cambiamento climatico, in quanto la biodiversità costituisce una forma di assicurazione in un contesto di condizioni climatiche imprevedibili.
10. Le conoscenze locali indigene devono essere protette e incentivate come parte integrante di tutte le strategie di adattamento.
11. Rimuovere gli ostacoli normativi, economici e fisici che impediscono la rilocalizzazione.
5. Conclusioni: verso l’agricoltura ecologica del carbonio rinnovabile
Nei negoziati sui cambiamenti climatici si considera di solito il carbonio nella sua forma fossile e non rinnovabile, formatosi in milioni di anni: petrolio, gas e carbone che, bruciati dall’economia “fossile” planetaria aumentano la concentrazione di gas serra nell’atmosfera.
Ma non bisogna dimenticare che anche la biomassa delle piante è soprattutto carbonio, e così l’humus del suolo, la vegetazione delle foreste. L’ “agricoltura ecologica del carbonio rinnovabile”, nella visione di questo Manifesto, è la via per garantire il diritto al cibo per tutti e al tempo stesso alleggerire l’emergenza climatica, ma anche adattarvisi.
Ne siamo lontani: come abbiamo visto, l’agricoltura industriale o del “carbonio morto” – basata su semi commerciali, chimica di sintesi e un elevato consumo di acqua ed energia fossile – e i sistemi alimentari globalizzati, che richiedono lunghe catene di conservazione e trasporto, contribuiscono per almeno il 25 per cento alle emissioni globali di gas serra (anidride carbonica, metano e ossido di azoto).
Complice del cambiamento del clima, dunque, l’agricoltura ne è anche tra le prime vittime, come l’attuale crisi alimentare dimostra. Per mitigare i cambiamenti climatici, adattarvisi e al tempo stesso nutrire il mondo, le pratiche agricole devono tendere all’autosufficienza, ridurre gli input esterni: l’agricoltura preconizzata da questo Manifesto si basa sulla biodiversità colturale (con il ricorso a varietà autoctone) e la rifertilizzazione organica del suolo (che è in grado di assorbire fino a 3 tonnellate di anidride carbonica per ettaro, se mantenuto ricco), sulla protezione delle foreste e la parsiminia nell’uso dell’acqua scarseggiante (in tempi di siccità le coltivazioni biologiche hanno rese maggiori di quelle convenzionali).
Ma è l’intero sistema alimentare, oggi globalizzato e concentrato, a dover cambiare. Localizzazione, diversificazione e stagionalità dell’alimentazione sono importanti. Passare a sistemi locali significa ridurre il carico energetico di imballaggi, refrigerazione, stoccaggio, trasporto (7).
Per arrivare a questo scenario, il Manifesto propone a coltivatori e consumatori un cambiamento radicale, e chiede alla politica azioni decise. Basta sussidi ai sistemi agroalimentari basati sui combustibili fossili, stop a progetti di grandi dighe e infrastrutture di trasporto. Investire sul sostegno a modelli alimentari ecologici e locali. Riformare le regole commerciali per permettere la protezione dei mercati interni. Cambiare i regimi di proprietà intellettuale che sequestrano biodiversità e agrosaperi locali a scopi di profitto.
In conclusione, l’agricoltura biologica ed ecologica e la produzione alimentare locale devono oggi essere urgentemente considerate nell’ambito degli sforzi di livello locale, nazionale e internazionale per combattere il cambiamento climatico.
Alcuni credono che la crisi del caos climatico sia il più grande test che la nostra umanità si sia trovata ad affrontare. L’azione collettiva o l’inazione delle nostre società determinerà il destino di milioni di umani e animali.
Fulvio Di Dio – fulvio.didio@libero.it
Membro della Rete Bioregionale Italiana e del Circolo Vegetariano VV.TT.
Note:
(1) M. GIAMPIETRO, D. PIMENTEL, The Tightening Conflict: Population, Energy Use and the Ecology of Agricolture, Edited by L. Grant. Negative Population Forum. Teanek, NY: Negative Population Growth, Inc., 1993.
(2) Dato riportato in “Biosito: Bioagricoltura: Rendimento energetico”, articolo consultabile in rete su http://www.itlonline.it/biosito/editoriale/bioagricoltura_08.htm.
(3) Il Manifesto sul cambiamento del clima e il futuro della sicurezza alimentare si può trovare ai seguenti indirizzi web: www. future-food.org; www.arsia.toscana.it.
(4) Il gruppo di esperti che hanno collaborato alla realizzazione è composto dalle seguenti persone: Debi Barker, IFG; Marcello Buiatti, Università di Firenze; Gianluca Brunori, Università di Pisa; Andreas Fliessbach, FiBL (Istituto Organic Agriculture Research); Bernward Geier, Rappresentante di COLLABORA e IFOAM; Benny Haerlin, Fondazione Future Farming; MaeWan Ho, Istituto Science in Society; Giampiero Maracchi, Istituto di Agrometeorologia, Consiglio Nazionale Ricerca (IBIMET/CNR); Simon Retallack, Istituto Public Policy Research; Vandana Shiva, RFTSE/Navdanya; Concetta Vazzana, Università di Firenze.
(5) L. BROWN, Nutrire nove miliardi di persone, in L. BROWN (a cura di), State of the world 1999, Edizioni Ambiente, Milano, 1999, pp. 137-57.
(6) S. POSTEL, Riprogettare i sistemi di irrigazione, in L. BROWN (a cura di), State of the world 2000, Edizioni Ambiente, Milano, 2000, pp. 63-84.
(7) Dopo l’insostenibilità insalubre dei cibi precotti, del consumo abbondante di carni, latticini, zuccheri, grassi, la rilocalizzazione alimentare deve essere simbolica (i consumatori devono diventare coscienti), relazionale (con reti dirette tra chi produce e chi mangia), fisica (in uno spazio circoscritto). È cruciale poi il rapporto con l’acqua, come ricordano gli esempi del Darfur, dove il conflitto fra pastori e agricoltori è legato all’esaurimento del lago Ciad, o dell’Himalaya, dove i ghiacciai si assottigliano minacciando l’approvvigionamento di fiumi vitali per l’agricoltura della regione. Il Manifesto sottolinea, come abbiamo visto, proprio la capacità di ritenzione idrica dei suoli gestiti in modo ecologico.