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“Democrazia: il Dio che ha fallito” – Il mito della democrazia e l’ordine naturale delle cose
La revisione storica
Armato di una semplice teoria economica e politica, nel mio libro[2] presento una ricostruzione revisionista della storia moderna occidentale: dell’emergere dagli ordini feudali [che erano entità non statali] degli Stati monarchici assoluti e della trasformazione del mondo occidentale, cominciata con la rivoluzione francese e completata con la fine della prima guerra mondiale, che ha visto il passaggio degli Stati monarchici a quelli democratici e l’assurgere degli Stati Uniti al ruolo “di impero universale”. Gli scrittori neo-conservatori, come Francis Fukuyama, hanno interpretato questa evoluzione come un progresso della civiltà e hanno proclamato la “fine della storia” che sarebbe arrivata con il trionfo della democrazia occidentale e la globalizzazione ([quest’ultima necessaria] per rendere il mondo sicuro per la [realizzazione della] democrazia). La mia interpretazione teorica è invece completamente diversa. Essa comporta la distruzione di tre miti storici.
Il primo mito
Il primo e più fondamentale mito [da sfatare legato alla democrazia] è che l’emergere da un ordine precedente (il periodo feudale) degli Stati sia stata la causa del progresso economico e civile che ne è seguito. La teoria ci induce invece a ritenere che tale progresso ci sarebbe comunque stato nonostante, e non a causa, la formazione degli Stati.
Lo Stato può essere definito convenzionalmente come: un’agenzia che esercita un monopolio territoriale, imposto con la forza, sia sulla decisione finale da prendersi in caso di controversie (giurisdizione) sia sulla tassazione[3]. Per definizione quindi, ogni Stato, a prescindere dalla sua particolare costituzione è economicamente ed eticamente inadeguato. [Perché è inadeguato?] Ogni monopolio è un “male” dal punto di vista del consumatore. Intendiamo per monopolio la mancanza di libero accesso ad una particolare linea di produzione: solo un’agenzia A può produrre il servizio od il prodotto X.[4]
Ogni monopolio è “maligno” per i consumatori perché, essendo protetto dall’ingresso di altre agenzie nella propria linea di produzione, il prezzo dei suoi prodotti sarà più alto e la loro qualità inferiore di quanto potrebbe invece essere in caso di libero accesso da parte di altre agenzie [cioè essendo il mercato aperto alla competizione di altre agenzie che operassero nella stessa linea di produzione]. Ovviamente il fatto che proprio il potere supremo di prendere decisioni sia esercitato in regime di monopolio è particolarmente “maligno”. Al contrario di altri monopoli che producono beni di qualità inferiore [e prezzo superiore rispetto a un regime di competizione], un monopolio giudiziario oltre a produrre servizi di qualità inferiore produce dei veri e propri “misfatti”, perché un tale monopolista è giudice supremo di ogni conflitto e quindi anche di quelli che lo riguardano direttamente. Di conseguenza, invece di tendere a prevenire e risolvere conflitti, un giudice supremo monopolista sarà portato naturalmente a causare e provocare conflitti da comporre a proprio vantaggio.[5]
Non solo nessuno, potendo evitarlo, accetterebbe un tale monopolio nella fornitura di servizi giudiziari, ma [non accetterebbe] nemmeno il fatto che sia il giudice monopolista a determinare unilateralmente il prezzo dei propri “servizi”. È facilmente prevedibile, che un tale monopolista userebbe sempre più risorse (proventi della tassazione) per produrre sempre meno beni e perpetrare sempre più misfatti. Questa situazione non è la ricetta per la protezione dei cittadini ma per la loro oppressione e sfruttamento. Il risultato del costituirsi di uno Stato, quindi, non è la pacifica cooperazione [economica tra i cittadini] e l’ordine sociale, ma il conflitto, la provocazione, l’aggressione, l’oppressione e l’impoverimento in altre parole la de-civilizzazione (imbarbarimento). Questo, soprattutto, è quello che ci ha mostrato la storia degli Stati. Essa è infatti, in primo luogo, la storia di milioni di vittime innocenti del potere statale[6].
Il secondo mito
Il secondo mito riguarda la transizione dalle monarchie assolute agli Stati democratici. Non solo i neo-conservatori interpretano questo sviluppo come progresso, ma c’è un accordo pressoché universale sul fatto che la democrazia rappresenta un progresso nei confronti della monarchia e che sia la causa dello sviluppo morale ed economico recente. Questa interpretazione è particolarmente curiosa alla luce del fatto che la democrazia è stata invece la fonte di tutte le forme di socialismo:[7] del socialismo democratico europeo, del liberalismo e del neo-conservatorismo americano così come del socialismo internazionalista, quello sovietico, del fascismo italiano e del nazionalsocialismo in Germania. Ma più importante è il fatto che la teoria contraddice questa interpretazione: sia la monarchia, sia la democrazia sono inadeguate in quanto Stati, ma la democrazia è peggiore della monarchia.
Dal punto di vista teorico, la transizione dalla monarchia alla democrazia riguarda né più né meno il fatto che un “proprietario” monopolista ereditario, il principe o il re, sia sostituito da un “curatore” monopolista temporaneo e intercambiabile, il presidente, il primo ministro, e i membri del Parlamento. Sia i re sia i presidenti democratici produrranno dei misfatti[8], ma un re, poiché “possiede” il monopolio e può venderlo o tramandarlo ai propri eredi, si curerà degli effetti delle proprie azioni sul valore di questo suo capitale. In quanto proprietario del capitale sul “suo” territorio[9], il re sarà relativamente orientato al futuro. Per conservare e migliorare il valore della sua proprietà, egli lo sfrutterà moderatamente e in maniera calcolata. Al contrario, un curatore democratico temporaneo e intercambiabile non “possiede” il paese ma, per il tempo che rimane in carica, gli è consentito di usarlo a proprio beneficio. Questo non solo non elimina lo sfruttamento, anzi lo rende di corte vedute (orientato al presente) e non calcolato [(sfrenato)], cioè condotto senza alcun riguardo per il valore futuro del capitale presente nel paese.[10]
Neppure il libero accesso [da parte di tutti i cittadini] a qualsiasi carica dello Stato è un vantaggio della democrazia (rispetto ad un regime monarchico, in cui l’accesso al potere è regolato discrezionalmente dal sovrano). Al contrario, è solo la competizione nella produzione di merci e servizi che è buona cosa mentre la competizione nella produzione dei misfatti non è affatto cosa buona. I re, che giungono alla loro carica in funzione della loro nascita, possono essere o dei dilettanti incapaci di fare danni o invece degli uomini decenti (mentre se sono dei pazzi, di essi ci si prenderà cura rapidamente e se necessario verranno eliminati proprio dei parenti più stretti, preoccupati del futuro della dinastia). Questo [processo di salita al potere] è in un acuto contrasto con [quanto avviene per] la selezione dei governanti democratici per mezzo delle elezioni popolari che rende praticamente impossibile, per una persona incapace o decente, di arrivare al vertice dello Stato. Presidenti e primi ministri raggiungono le loro posizioni come risultato della loro efficienza in quanto demagoghi moralmente privi di inibizioni. Pertanto la democrazia fa si che virtualmente solo persone pericolose giungeranno ai vertici del governo.
In particolare la democrazia può essere vista come un mezzo per promuovere nella società un aumento del tasso di preferenza temporale ([un maggior] orientamento al presente) ovvero condurre ad una maggiore una “infantilizzazione”[11] della società stessa. Un [ulteriore] risultato della democrazia è il continuo aumento delle tasse, della circolazione di denaro cartaceo [(al posto di denaro merce, come oro e argento]), dell’inflazione di denaro cartaceo, un infinito flusso di nuova legislazione e un debito “pubblico” continuamente crescente. Così la democrazia conduce alla riduzione dei risparmi, all’aumento dell’incertezza legale, al relativismo morale, all’illegalità e al crimine. Inoltre, la democrazia è uno strumento di confisca e redistribuzione della ricchezza e del reddito.[12] Essa conduce al prelievo, per mezzo della legge, della proprietà di alcuni, coloro i quali hanno [gli abbienti], e alla distribuzione di quanto preso loro ad altri, quelli che non hanno [i non abbienti][13]. E poiché è presumibile che sia qualcosa che ha valore ciò che è ridistribuito, si tratta di qualcosa che coloro i quali “hanno”, hanno troppo e coloro i quali “non hanno”, hanno poco. Tale redistribuzione fa sì che l’incentivo a produrre qualcosa di valore sia sistematicamente ridotto.[14] In altre parole, la proporzione delle persone dai comportamenti, dalla forma e dall’apparenza poco corretta aumenterà e la vita sociale diventerà sempre meno piacevole.
Infine, per ultimo ma non ultimo, l’avvento della democrazia ha causato un radicale cambiamento nella condotta delle guerre. Poiché è possibile esternalizzare i costi della propria aggressione nei confronti di altri (attraverso il ricorso alla tassazione) sia i re che i presidenti saranno più che “normalmente” aggressivi e guerrafondai.[15] Comunque, il motivo che ha un re per dichiarare una guerra è tipicamente una disputa di proprietà o ereditaria. L’obiettivo di questa guerra monarchica è tangibile e di carattere territoriale: guadagnare il controllo su un territorio e sui suoi abitanti. Per conseguire questo obiettivo è nell’interesse del re distinguere fra i combattenti (i suoi nemici e interessanti dell’attacco) e i non-combattenti e le loro proprietà (affinché vengano tenute fuori della guerra e non vengano danneggiate [visto che in caso di vittoria entreranno a fare parte del patrimonio reale e sarà necessario spendere soldi per ricostruirle]). La democrazia ha invece trasformato le guerre limitate dei sovrani in guerre totali. La ragione della guerra [da territoriale] è diventata ideologica: [con l’avvento della democrazia si fa una guerra per] la democrazia, la libertà, la civilizzazione, l’umanità. Gli obiettivi sono adesso intangibili ed elusivi: la conversione ideologica degli sconfitti, preceduta dalla loro resa incondizionata (la quale, poiché non si può mai essere certi della sincerità di una conversione, può richiedere mezzi come l’omicidio di massa di civili). E la distinzione tra i combattenti e i non-combattenti diventa sempre più sfumata e, alla fine, scompare e il coinvolgimento popolare nella guerra di massa, la leva universale obbligatoria e le adunanze oceaniche, così come i “danni collaterali” diventano parte integrante della strategia di guerra.
Il terzo mito
Infine, il terzo mito infranto è la convinzione che non esistano alternative alle democrazie sociali occidentali, all’americana. Di nuovo, la teoria dimostra il contrario. Prima di tutto, questa convinzione è falsa perché le moderne social-democrazie non costituiscono un sistema economico stabile e sono destinate a collassare sotto il proprio peso parassitario,[16] in maniera del tutto simile all’implosione del socialismo sovietico di due decenni orsono. Ma cosa ancora più importante è che una stabile alternativa alla democrazia esiste. Il termine che propongo per quest’alternativa è: “ordine naturale”.
In un ordine naturale ogni risorsa scarsa, inclusa tutta la terra, è posseduta privatamente, ogni impresa è finanziata da clienti paganti volontariamente oppure da donatori privati e l’ingresso in qualsiasi linea di produzione, inclusa quella della protezione della proprietà, dell’arbitraggio dei conflitti e della difesa, è libero.
Se lo Stato disarma i propri cittadini per potere essere capace di derubarli più facilmente, rendendoli più vulnerabili ad attacchi criminali terroristici, l’ordine naturale, al contrario, è caratterizzato da una cittadinanza armata. Quest’ultima caratteristica è, infatti, favorita dalle compagnie di assicurazione, le quali svolgono un ruolo importante in quanto fornitori di sicurezza e protezione in un regime di ordine naturale. Gli assicuratori incoraggeranno i loro clienti a detenere armi, offrendo loro il pagamento di premi bassi se essi sono armati e ben addestrati all’uso delle armi. Per loro natura, le assicurazioni sono agenzie difensive. Siccome solo i danni accidentali e non ha auto-inflitti, causati o provocati sono assicurabili, gli aggressori e i provocatori si vedranno negare la copertura assicurativa e rimarranno pertanto più deboli [di fronte ad aggressioni da parte di terzi][17]. Poiché gli assicuratori devono indennizzare i propri clienti in caso di conflitto, devono preoccuparsi continuamente della prevenzione delle aggressioni criminali, del recupero della refurtiva e della cattura dei responsabili dei danni causati[18].
Inoltre la relazione tra assicuratori e clienti è di tipo contrattuale. Le regole del gioco sono mutuamente accettate e definite. Un assicuratore non può “legiferare” o, in maniera unilaterale, cambiare i termini del contratto. In particolare se un assicuratore vuole attrarre una clientela pagante[19] deve tenere conto, nei propri contratti, della possibilità di conflitto non solo tra i propri clienti ma specialmente con i clienti di altre assicurazioni. L’unica possibilità per un assicuratore in grado di coprire in maniera soddisfacente questo ultimo caso è di essere legato contrattualmente a un arbitro terzo. Comunque non basterà un qualsiasi arbitro perché gli assicuratori in conflitto tra loro devono concordare sull’arbitro o l’agenzia di arbitraggio da scegliere e, per essere accettabile agli assicurati, un arbitro deve offrire un prodotto (una procedura legale e un giudizio effettivo) che dia luogo al consenso morale più ampio possibile tra gli assicuratori e i clienti. Così, contrariamente alle condizioni statuali, un ordine naturale è caratterizzato da una legge stabile e prevedibile e da una migliorata armonia legale.
Inoltre, le compagnie di assicurazione promuovono lo sviluppo di un ulteriore elemento di sicurezza. Gli Stati non solo hanno disarmato i loro cittadini portandogli via le armi, ma le democrazie in particolare hanno privato i propri cittadini del diritto all’esclusione promuovendo invece, attraverso politiche di non discriminazione, di azioni positive, e multiculturali un’integrazione forzata.[20] In un ordine naturale il diritto all’esclusione inerente alla stessa idea di proprietà privata è invece restituito ai legittimi proprietari.
Così per ridurre i costi di produzione della sicurezza e migliorarne la qualità, un ordine naturale si caratterizza per un aumento di discriminazione, di segregazione, di separazione spaziale, di mono-culturalismo (omogeneità culturale), di esclusività e di esclusione. In aggiunta dove gli Stati hanno indebolito le istituzioni sociali di intermediazione (i nuclei familiari, le chiese, di accordi tra gruppi, le comunità locali, i circoli) e i livelli di autorità ad essi associati per incrementare il loro potere nei confronti di individui sempre più isolati e uguali l’un l’altro, un ordine naturale è distintamente non ugualitario: elitista, gerarchico, proprietario, patriarcale e autoritario e la sua stabilità dipende essenzialmente sull’esistenza di una aristocrazia naturale conscia di sé stessa e volontariamente riconosciuta [dagli altri cittadini].
Strategia
Come può l’ordine naturale emergere dalla democrazia? Nel mio libro, chiarisco il ruolo delle idee, degli intellettuali, delle elite e della pubblica opinione nella legittimazione e delegittimazione del potere statale. Un ruolo importante ha la secessione e la proliferazione di entità politiche indipendenti verso la realizzazione di un ordine naturale e il come fare a privatizzare la proprietà “pubblica” e quella “socialista”.[21]
INTERVENTO CHE IL PROFESSOR HANS HERMANN HOPPE HA FATTO DURANTE IL CONVEGNO TENUTOSI ALL’UNIVERSITA’ DI PADOVA. GRAZIE A MAURIZIO BALESTRIERI PER LA TRADUZIONE.
[1] Hans Hermann Hoppe. Traduzione di Maurizio Balestrieri, 18 ottobre 2009. La traduzione del testo originale in lingua inglese, che si trova a questo indirizzo web: http://j.mp/3ywD1B, è completa ad eccezione dei primi due e dell’ultimo paragrafo.
[2] “Democrazia: il dio che ha fallito”, H. H. Hoppe, Liberilibri, 2006. http://j.mp/In9nm (NdT).
[3] Nessun altro oltre lo stato può imporre tasse sul territorio in cui lo stato è presente. Basti pensare alla lotta contro il pizzo.
[4] Nel campo della telefonia in Italia fino agli anni ’80, la SIP era il monopolista delle telecomunicazioni perché non era possibile, per legge, per nessuna altra azienda occuparsi di telecomunicazioni. E così era anche con l’ENEL nel settore della produzione e distribuzione di energia elettrica. (NdT)
[5] Ad esempio, alzerà l’aliquota IVA e se qualcuno tenterà di opporsi attraverso il sistema legale verranno poste in essere delle norme apposite per impedire che ci possano essere ricorsi in materia tributaria o sugli espropri. (NdT)
[6] Le vittime dei conflitti del XX° secolo scatenati dagli stati (prima e seconda guerra mondiale e conflitti regionali). (NdT)
[7] E’ chiaro il disprezzo per l’autore dell’ideologia socialista, ovvero una ideologia che nega il valore fondamentale della proprietà privata.
[8] Agendo entrambi in regime di monopolio. (NdT)
[9] Le terre, le strade, i palazzi, i paesaggi, ecc.
[10] La differenza è la stessa che esiste tra la cura con la quale il proprietario di un appartamento tratta gli infissi, le porte, i pavimenti, i bagni e di come li tratta un inquilino che abiterà un appartamento non suo per un periodo di tempo limitato. Se devo costruire, ad esempio, una strada per avere il consenso della popolazione locale, non mi interessa se quella strada distrugge il paesaggio e l’economia di una vallata che attraversa perché danneggia il turismo di quel luogo, perché questo danno si manifesterà nel lungo periodo e nel lungo periodo non sarò più al mio posto e non sarò nemmeno chiamato a rispondere dei danni che ho creato. (NdT)
[11] Basti pensare ai “bamboccioni”, che stanno a casa con babbo e mamma fino a 35 anni, o alle persone che spendono tutto quello che hanno senza risparmiare per la vecchiaia, che acquistano a credito spendendo di più di quello che hanno perché attratti dal luccichio dei gadget e della moda. (NdT)
[12] Riduzione dei risparmi: se c’è inflazione è preferibile spendere i propri risparmi materializzandoli in beni tangibili anziché farseli erodere progressivamente ed irrimediabilmente dall’inflazione; incertezza legale, relativismo morale ed illegalità: il continuo ed inarrestabile flusso di nuove leggi e regolamenti non fa altro che creare confusione e nella notte scura tutte le vacche sembrano nere, ovvero non si sa più dove stia il male ed il bene perché qualunque cosa si faccia c’è una legge od una norma amministrativa che si infrange; crimine: il fatto che i cittadini sono privati delle armi fa si che le armi le abbiano solo i delinquenti. (NdT)
[13] Basti pensare alle imposte progressive sul reddito. (NdT)
[14] Se mi prendono forzatamente quello che ho per darlo ad altri che hanno meno perché hanno lavorato meno di me o hanno risparmiato meno di me, che incentivo ho io a comportarmi correttamente, a risparmiare e a produrre di più se poi verrò espropriato dei miei guadagni? (NdT)
[15] Rispetto a coloro i quali devono pagare di tasca propria le attività belliche, anziche farle pagare al contribuente. (NdT)
[16] Esistono delle ragioni teoriche del perché questo avverrà e sono legate alla impossibilità, in assenza di un sistema di prezzi originatisi dal libero scambio, di valutare quale azione o scelta economica sia da fare o meno. (NdT)
[17] Non potranno sottoscrivere dei contratti di protezione a loro favore perché si tratta di persone che causano guai con il loro comportamento provocatorio, rimanendo quindi non protetti da attacchi portati loro da terzi ancora più aggressivi di loro o dal personale di sicurezza delle assicurazioni deputato alla cattura di persone che hanno causato danni a terzi. (NdT)
[18] Perché li rimborsino o siano messi ai lavori forzati per ripagare la vittima. (NdT)
[19] La clientela qui paga volontariamente il servizio di protezione offerto e non forzosamente (tassazione), come avviene per i servizi di protezione erogati dallo stato. (NdT)
[20] Qui il concetto è quello della forzata integrazione, anziché quella che avviene per libera scelta quando, ad esempio, si chiama dalle Filippine una collaboratrice domestica offrendole contrattualmente un alloggio e uno stipendio. (NdT)
[21] Tutto questo è spiegato estesamente nel libro. (NdT)