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Racconto di quando fui bacchettato dalla sciamana Etain Addey e come appresi ad amarla — Luglio 2009: il 25 vado a Pratale il 26 torno a Calcata

Conservo ancora nella grotticella di meditazione, al Tempio della Spiritualità della Natura, una fotocopia di uno scatto che fece Jacqueline Fassero a me ed Etain Addey. Avete forse già letto la storia del primo incontro che ebbi con Etain, una scrittrice e bioregionalista inglese che vive da tanti anni in Umbria.

(http://altracalcata-altromondo.blogspot.com/2009/06/da-pratale-calcata-il-pellegrinaggio.html)

Per darmi uno schiaffo morale o forse per rispetto, non so dire, lei decise di fare il viaggio da Pratale a Calcata a piedi, impiegandoci quattro giorni, pian piano assorbendo in tal modo tutta l’energia ctonia della Tuscia. Questo suo gesto non mi meraviglia, considerando che Etain è nata l’anno del Topo di Terra, nell’ora del Cinghiale e nel mese del Cavallo. Solo lei poté, dopo quel pellegrinaggio, tenere a bada la mia irruenza ed arroganza verso tutto e tutti. La “tapasya” (penitenza), con la quale raccolse un’incredibile energia e consenso dagli elementi, le consentì di “addomesticarmi” e rendermi innocuo nelle mie espressioni scimmiesche.

E’ vero però che cercai successivamente di rifarmi andando a casa sua per sfidarla nella sede del potere sciamanico, affrontando assieme a lei tutte le schiere druidiche bioregionali: Giuseppe Moretti, Jim Koller, Martin Lanz e forse qualcun altro. Ma quella volta dovetti abbassare la coda e cedere (se non volevo essere ignominiosamente scacciato dal consesso). Il fatto poi che solo lei ed io fossimo consapevoli della frizione energetica, e dei livelli della profondità della sfida, era uno degli aspetti affascinanti di quel confronto, di cui non menziono ora i particolari tutti, soffermandosi solo sui due punti più salienti.

Uno. Il momento vero e proprio della sfida, fu allorché giunsi a casa sua con un mio piccolo seguito, Riccardo Fortuna di Civita Castellana con l’allora sua amichetta, Marina Canino la maga siciliana ed altri. Ricordo che quel giorno Etain ospitava il poeta Jim Koller il quale, malgrado frequentasse sovente l’Italia e soggiornasse spesso nel nostro paese, continuava a non parlare l’italiano. In compagnia, i filoamericani, stavano confabulando in inglese lasciando la mia cricca all’oscuro dei loro “sapienti” discorsi. Infatti io solo parlavo inglese ma non volevo abbassarmi a fare la parte del “traduttore”, pensavo che sarebbe stato più corretto che il dialogo si svolgesse nella lingua originale del posto: l’italiano. Perciò mentre tutti assieme entravamo dalla corte alla cucina, per avviarci al pasto, ecco che con personificazione li seguii dappresso emettendo una sonora scorreggia ed esclamando ad alta voce “I may talk in English as well…”. Stefano Panzarasa, che stava lì vicino a me, ed i miei compari non compresero affatto il significato del gesto e mi guardavano perplessi, gli altri però (gli anglofoni) furono scossi e Moretti accennò ad una risposta adeguata e pesante, nella sala si formò un silenzio tombale… e compresi che se non uscivo dalla strettoia nella quale mi ero cacciato andava a finir male…

Così con l’energia in pieno vortice chiesi alfine ammenda: “I am just a guest here… I apologise… and I hope to be forgiven..” – Inutile dire che Etain seppe concludere la faccenda molto bene. Mentre tutti stavano già seduti ai loro posti e lei era ancora in piedi presentò in tavola la pentola con il cibo e si sedette, stranamente al suo fianco non c’era nessuno, io stavo ancora in piedi titubante, lei mi fece un cenno e mi accomodai vicino a lei come nulla fosse….

Due. L’indomani mattina, non pago della lezione ricevuta, pensavo di trovare una rivincita, ed a modo mio la ebbi… Mi alzai presto e mi sdraiai al sole nella corte, rimasi lì in “shavasana” (posizione del cadavere) per lungo tempo, avendo ricaricato le mie pile energetiche mi avviai verso la soluzione che cercavo. Tutti gli altri se ne stavano andando a lavorare nei campi, a raccogliere il mais od altre incombenze (una caratteristica della permanenza nella fattoria di Pratale è che bisogna dare una mano ai lavori, sempre). Ovviamente io mi rifiutai di andare a”lavorare nei campi” e chiesi se potevo fare un altro servizio lì nella casa. Etain mi propose di scopare e risistemare la corte, dove c’è anche un bellissimo gelso, e poi lei stessa si allontanò e mi lasciò da solo a svolgere la bisogna….

Compii il mio dovere per benino, come mi è congeniale in certi casi, sistemai gli angoli oscuri e le nicchie trascurate da tempo, annaffiai i vasi di fiori che erano abbastanza rinsecchiti, svuotai il forno pieno di cenere, ricomposi la geometria delle tavole e delle sedie, ripulii l’impiantito dalle cacatine dei canetti e dei gatti e dalle carte sparse, insomma un bel lavoro…. Dovevo solo lasciare il mio marchio, come si usa nei riti sciamanici e stregoneschi, ma non me la sentii di lasciare un marchio troppo “appropriativo” dell’interno… per cui lo rilasciai appena fuori la corte (dopo vi spiego meglio). Infine avendo completato l’opera mi accoccolai su una sedia ed attesi.

Poco dopo giunse Etain, osservò i particolari attentamente, anche negli angoli, mi guardò e disse: “Hai fatto un buon lavoro, esattamente come l’avrei fatto io…”. Reso baldanzoso, ribattei “sì ed ho lasciato anche il mio marchio… visto che i tuoi canetti mi hanno lasciato il loro sotto le scarpe (riferendomi ad alcune cacatine calpestate), così ho pisciato in un angolo…” – Etain mi guardò furente “Dov’è che hai pisciato..!?” e quando con consolazione le dissi ” a fianco del muro esterno..” .. Si rabbonì ammettendo “..va bene, fuori si può pisciare..”.

Ecco vi ho narrato alcuni particolari interessanti, per farvi capire la lotta fra uno stregone ed una sciamana, che alla fine si sono voluti bene…. Avrebbero potuto persino sposarsi… se le cose fossero andate diversamente.

Questa lunga descrizione solo per annunciarvi che il 25 e 26 luglio 2009 andrò a trovare Etain, accompagnato da un piccolo gruppo di amici, se vi interessa conoscerla siete invitati anche voi….

Paolo D’Arpini

Per contatti ed informazioni sul viaggio: 333.5994451

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Natale di Roma, laico e vegetariano, e Giornata della Terra – 21 e 22 aprile 2009 nel Parco Valle del Treja

Lo storico latino Varrone riporta la nascita di Roma al 21 aprile del 753 a.C. ma siccome la giornata fu macchiata da un fratricidio, Romolo uccise Remo, o forse per ragioni legate alla qualità del tempo, questo giorno era considerato nell’antico calendario romano “nefasto puro”. Ciò non ostante il 21 aprile da tempo immemorabile era festeggiato con le cerimonie dette “Palilia”, le feste dedicate a Pales antica dea italica protettrice dei pascoli, importanti per l’economia agricola pastorale, in quel giorno la campagna romana veniva benedetta con le ceneri provenienti da un fuoco di paglia per purificare le messi e gli armenti.Mi sembra che questo rito valga la pena di essere ricordato, anche per riportare l’attenzione ai bisogni primari dell’uomo e sul come soddisfarli in modo naturale. Per questa ragione sarei felice se questo Natale di Roma fosse onorato in modo allargato –diffuso, come si dice oggi- in tutto l’agro romano, senza delineare uno specifico areale ma lasciando alla fantasia di ogni abitante il compito di come e dove svolgere la funzione sacrale commemorativa, dimenticando il fratricidio legato al senso del possesso e del potere e ricordando invece la sacralità dei luoghi che contribuirono al sostentamento dei romani. Sarà al Colle Oppio, nella Villa dei Borghese, a Monte Mario oppure a Vejo….? Chissà? I luoghi verdi di Roma, od attorno Roma, sono molti e la scelta è libera. Fra questi luoghi, ovviamente, non può essere ignorata la “Domusculta di Capracorum” sita nel Parco Valle del Treja, ove sono le famose cascate di Montegelato e la vetusta Narce (o Fescennium)… Anche qui si svolgerà il rito purificatorio teso a celebrare Roma nella purezza agreste delle sue origini….Basta solennizzare in palazzi e caserme, in cattedrali, musei o castelli della burocrazia. Basta con il sistema delle funzioni nei luoghi preposti al funzionariato e basta anche con le riserve indiane, isole della finzione metropolitana, di cui purtroppo Calcata è divenuta un triste esempio. Ritorniamo al grande magma della vita in cui ogni luogo è sacro e rappresentativo della Terra. Roma sorse con un messaggio di superamento delle etnie e delle appartenenze, riportiamo l’attenzione al calderone magico dei primordi, che è la Terra stessa – come dice Marina Canino, ricercatrice delle origini della romanità – in cui ritrovarsi vivi nella circolazione delle cose e delle persone, un fluire che porta ricchezza, e non nella distribuzione schematica e programmatica di un sistema politico-economico-religioso mal sopportato da tutti, ma in silenzio….

Alla ricerca di un “nuovo respiro” e di un’altra dignità umana” ci incontriamo al Circolo vegetariano VV.TT. il 21 ed il 22 aprile 2009. Per celebrare la Roma di 2.762 anni fa e festeggiare la Giornata della Terra. Tra l’altro proprio il 22 aprile verranno consegnate all’ONU le firme raccolte anche dal Circolo Vegetariano per promuovere la dieta senza carne come metodo per la salvezza dell’umanità e del pianeta.

Programma:

21 Aprile 2009 – h. 13.00 – Natale di Roma. Festeggiamenti al Circolo, con il cibo vegetariano da ognuno portato. Alle h. 18.00 – Visita al Tempio della Spiritualità della Natura e cerimonia sacrale davanti al fuoco, con canti orfici e musica naturale.

Chi desidera pernottare nel Tempio porti con sé il sacco a pelo.

22 aprile 2009 – h. 15.00 – Passeggiata nei luoghi antichi del Parco del Treja. Salita al colle di Narce e discesa al Tempio di Giunone-Pales sul fiume Treja, con spargimento delle ceneri del sacro fuoco della notte precedente.

Info: 0761/587200 – circolo.vegetariano@libero.it  

Chi non avesse ancora firmato la Petizione Vegetariana per l’ONU può farlo a:

http://www.circolovegetarianocalcata.it/2008/10/29/petition-food-vs-feed-nourrir-la-population-vs-nourrir-les-animaux-cibo-contro-alimentazione-animale/  

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Competizione fra i sessi… come uscire dal meccanismo dell’uso? Ovvio… ritrovando l’innocenza primordiale in cui non v’è assunzione di privilegio

“…allora lo chiamerò: incontro nell’umana congiunzione!”

Il femmineo e la sua simbologia è mutato radicalmente nel corso dei secoli. Nella remota antichità il femminile era rappresentativo di un potere creativo assoluto e totale. Tutte le divinità si mostravano in aspetto femminile od in forme che evocavano tale qualità, a cominciare dalla Grande Madre, la natura stessa, sino a Madre Acqua, Madre Luna ed anche Madre Sole, etc. (la formula sacra più antica, il Gayatri Mantra, è dedicato a Savitri, la dea dell’energia solare).

Le donne in quanto incarnazione primigenia del potere procreativo erano pertanto degne di amore e di devozione. La paternità era “sconosciuta” (ovvero ignorata), la madre esisteva di certo e questo era un dato incontrovertibile… Come poi l’operazione procreativa accadesse era lasciato agli umori materni che venivano influenzati o sollecitati dall’amore rivolto dai maschi verso tutte le madri. Insomma il padre era un semplice elemento ispirante per promuovere la maternità, non un fattore primo ma un incidentale aiuto….

Questo sino ad un certo punto, finché non cambiarono pian piano le cose e le responsabilità nelle funzioni creatrici si rovesciarono. Ma non avvenne tutto assieme, questo andamento evolutivo dal matrismo al patriarcato prese secoli e secoli per consolidarsi. Gli studi dell’archeologa lituana Gimbutas tendevano proprio a dimostrare l’esistenza di un lunghissimo periodo di transizione fra matrismo e patriarcato. Sicuramente gli “autori” del patriarcato nacquero sulle sponde dell’Indo, la civilizzazione più antica sulla faccia della terra (antecedente ai Sumeri ed agli Egiziani di migliaia di anni), in quel “paradiso terrestre” avvenne il riconoscimento del valore della paternità come fattore “portante” e di conseguenza come elemento stimolativo per una nuova religione e mitologia. Ma il processo anche qui fu lento, dovendo giustificarsi con fatti sostanziali che ne garantissero l’accettazione per mezzo di consequenzialità storica e di significati allegorici.

Avveniva così ad esempio nella mitologia induista in cui Parvati, la Dea primordiale crea da se stessa un figlio che la protegga dall’arroganza dei maschi che servivano Shiva, il suo sposo. Questo suo figlio, Ganesh, è talmente potente che è in grado di impedire l’accesso alla camera della madre a Shiva stesso (perché non aveva chiesto il permesso di avvicinarsi, notate bene questo particolare importante in cui si garantisce alla madre il diritto di scelta nel rapporto). A questo punto Shiva invia le sue truppe maschili all’attacco di Ganesh ma tutti i suoi “gana” vengono sconfitti e Shiva medesimo vien lasciato con un palmo di naso ed infine è solo con l’inganno e chiedendo aiuto all’altro dio maschile, Vishnu, definito il conservatore, che riesce a sconfiggere Ganesh… ma non fu una totale debacle…. poiché poi, per amore di Parvati, Shiva accetta di essere padre, ovvero riconosce che Ganesh è suo figlio e lo ristora alla vita, cambiandogli però testa… (ed anche qui notate le simbologie connesse…).

Questa descrizione fantastica la dice lunga sul significato della trasformazione epocale in corso 15.000 anni prima di Cristo…. Molto più tardi, ma sempre in un ambito di civiltà indoeuropea, vediamo addirittura che è il dio maschile a creare da se stesso. Ed è quanto avviene a Giove che, non aiutato dalla consorte, produce dal proprio cervello Minerva. I tempi a questo punto son già mutati, il patriarcato ormai impera sovrano, le donne sono fattrici (od etere buone solo a passare il tempo), persino l’amore, quello vero e nobile, si manifesta fra maschi (vedasi la consuetudine di tutti i maestri greci di avere ragazzini per amanti). In quel tempo la condizione femminile era alquanto scaduta ed in Europa od in Medio Oriente restavano sacche di resistenza solo qui e lì.

Ad esempio nella tradizione giudaica la trasmissione della appartenenza al “popolo eletto” avveniva (ed è ancora oggi così) per via materna, ultimo rimasuglio matristico in mezzo ad una serie di regole molto patriarcali e misogine. Tale misoginia fu assunta –in modi differenti- anche dalle altre due religioni monoteiste:  il cristianesimo e l’islamismo. Nell’islamismo però, malgrado la visione della donna in chiave di sudditanza, si salvò il criterio di bellezza e nobiltà dell’amore sensuale, infatti il profeta Maometto ebbe diverse mogli e persino il suo paradiso era riempito di belle donne accoglienti. Questo almeno consentiva un naturale intercourse di rapporti fra i due sessi. Purtroppo non avvenne la stessa cosa nel cristianesimo ove prevalse, anzi peggiorò, la misoginia originaria ebraica. Se nell’ebraismo la divinità, sia pur vista in chiave di “dio padre”, manteneva un distacco verso le cose del mondo, essendo un dio non rappresentabile e puro spirito, nel cristianesimo per poter giustificare la divinità del “figlio” si cancellò completamente il ruolo creativo della madre. Maria concepì vergine dallo spirito santo, la sua è una prestazione completamente passiva e deriva da una scelta del dio padre di impalmarla e renderla madre. Insomma la povera Maria è equiparabile ad una “prostituta” spirituale.

Da questa visione deriva anche la ragione cartesiana pseudo scientifica che indica la natura come passiva, inerte e pure stupida… Insomma lo spirito maschio “infonde” la vita e la “buona” madre porta in grembo quanto le viene concesso di portare….

Capite da voi stessi che tale proiezione è ormai improponibile ed obsoleta, sia pur che la maggioranza degli uomini ancora vi si crogiola, illudendosi con favole religiose ed ideologiche della “superiorità” maschile, della “superiorità” dell’intelligenza speculativa scientifica, della “superiorità” del potere e della forza. Così non si fanno passi avanti nell’evoluzione della specie. E’ ovvio che entrambi questi aspetti, matrismo e patriarcato, hanno avuto una loro funzione storica per lo sviluppo delle “qualità” della specie umana. Ora è giunto il tempo di comprenderne la totale complementarietà e comune appartenenza, ma non per andare verso una specie unisex, bensì per riconoscere pari valore e significato ad entrambi gli aspetti e funzioni…. in una fusione simbiotica.

Anche se… diciamola tutta… il femmineo avrà sempre la mia riconoscenza e rispetto ed amore devoto, poiché merita di essere “prediletto” per la sua specialità… Purché rinunci a satana ed alle sue pompe, ovvero all’uso indirizzato e furbo di tali buone qualità..!

Paolo D’Arpini

P.S. Vorrei informarvi che il tardo pomeriggio del 16 febbraio 2009, me assente, l’amica Marina Canino tiene un incontro su temi correlati al presente articolo a Lettere Caffè in Trastevere, Roma, siete invitati a partecipare.

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Un altro pezzetto della Roma che ricordo: l’incontro nell’umana congiunzione, a Lettere Caffè con Marina Canino – Ovvero, quando fra mezzi-sderenati ci si intende….

Molte volte ho ripetuto che muovermi da Calcata è un vero problema.  

“Quando –come dice Costantino Morosin- ti è cresciuto il pelo sullo stomaco ed ha messo radici a Calcata, allora non te ne puoi più andare…”. Condivido questa frase, anche se un po’ troppo fisiologica, essa rappresenta la verità dei fatti. Per me Roma è solo un ricordo. Un pezzo della mia vita sta a Roma ma non ce la faccio più a ritrovarvi le mie radice pelose, non è come la mia Calcata insomma in cui i peli sono affondati nella terra, da Roma me ne sono andato per sempre….. Questo in parte mi preoccupa poiché se dovessi scrivere un libro, come pare che dovrei fare prima o poi, come farò a presentarlo a Roma? Come potrò affrontare la madre matrigna bellamente e coraggiosamente senza svenire per la puzza dei sottopassaggi, senza sentirmi appiccicato di sudiciume fino al midollo, senza strabuzzare gli occhi sulle nefandezze delle strade delle piazze irriconoscibili e deturpate? Chi mi confermerà che quella è proprio Roma, la Roma che ricordo?

Eppure, Roberto Mercuri direttore di “Municipi di Roma.it” mi incoraggia a scrivere le mie memorie, dice che prima o poi un consigliere comunale si deciderà e le farò pubblicare per la gloria futura della capitale che mi diede i natali e mi vide crescere. Fiducioso continuo perciò a tirar fuori pezzetti di Roma dal cervello, stavolta è una briciola alquanto recente, è lo scampolo di una delle ultime visite fatte in città, a Lettere Caffè di Trastevere. Una presenza del 2001, pochi anni fa…. Potete chiedere testimonianza all’allora giornalista in servizio all’ADN Kronos, Antonello Palieri.

La storia è un surrogato di miti e leggende. Anche la storia moderna è solo una visione parziale. Un interpretare l’evento senza connessione alla verità di ciò che è.   Stando così le cose anche un’autobiografia è semplice descrizione di un sentire. Forse che i ricordi possono realmente rappresentare l’agire? Ed anche qui, su queste pagine, tutte le sensazioni evocate attingono al ricordo ed il ricordo è solo un immaginare e l’immagine è possibile unicamente se c’è un ‘riflesso’. E’ perciò evidente che quanto descritto (ciò compreso) “appare”. L’Esistere è un gioco meraviglioso che solo una volta ci è dato ‘vincere’ e questa vittoria corrisponde alla fine del gioco. Questo il senso della storia, il senso della vita. Ma qui siamo in vena di racconti e fra le tante cose fatte a Roma ce n’è una il cui messaggio vibra nel mio cuore. Si tratta de “l’incontro nell’umana congiunzione” tenuto con Marina Canino verso gli ultimi giorni del 2001.

Il discorso abbracciava la condizione maschile e femminile e l’amore e queste che seguono sono alcune considerazioni sorte durante il “dialogo”. Sicuramente viviamo in un momento estremo e ci siamo assuefatti a ciò, divenendo noi stessi apocalittici ed omologati. La distruttività fra i due sessi è diventata anch’essa estrema. Ma in questa condizione di totale scollamento dall’umano spiccano queste due esperienze (mia e di Marina) di vita tesa all’avvicinamento verso l’altro, all’altra parte di sé. Tale approccio, vissuto disgiuntamente e senza specificità alcuna, ha un effetto salvifico universale sia per la donna che per l’uomo. Un processo unificante che realizza il significato della vita, due facce della stessa medaglia che danno completa identità. Il racconto di queste due esperienze, la condizione della loro visione salvifica, è stato l’argomento dell’incontro fra me e Marina, in cui trasmettere il senso di appartenere ad una sola specie, in cui il maschile ed il femminile assumono la valenza di matrici prime che reciprocamente contribuiscono all’unità originaria, fondendosi nell’amore.

La rarità di questo incontro stava nella leggerezza e nella innocenza in cui si è manifestato. Non arroganza di ruolo bensì giocosa condizione: Maschio & Femmina. In questa società in cui il sesso è vissuto e pensato come vincolo d’interscambio assaporiamo solo un arido amore funzionale. Al contrario nella corresponsione indifferenziata (una visione evoluta dell’unione fra maschile e femminile) si riporta l’uomo alla sua pienezza, lontano dall’inquinamento dell’uso. Questa è una presa di coscienza indispensabile, altrimenti la persistenza di un comportamento viziato, teso al consumo, potrebbe condurre alla perdita dell’anima. Infatti far sesso è molto facile, molto meno conservare il cuore integro assieme alla consapevolezza della appartenenza all’unità.

“Visita chi ami e lascia da parte le parole dell’invidioso. L’invidioso non agevola l’amore. Allah non ha creato cosa più bella a vedersi di una coppia di amanti sullo stesso letto. Abbracciati, coperti dall’abito dell’amoroso accordo, essi hanno per cuscino una mano e un braccio. Allorché i cuori sono avvinti nell’amore, la gente invidiosa vuole segretamente separarli. Se una persona nella tua vita ti è sinceramente affezionata è il meglio che si possa desiderare, e vivi con essa sola”. (Da: Le mille ed una notte).

Paolo D’Arpini

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Tutti i colori del precariato…. Risultanze di un incontro informale a Calcata sulla vera luce e sugli specchi. In onore di Santa Lucia e del primo anniversario del nostro sito!

Il 13 dicembre 2008 ci siamo incontrati a Calcata, per la festa di Santa Lucia, ed abbiamo parlato della luce e degli specchi. Fatalità  ha voluto che all’improvviso saltasse la corrente e così siamo rimasti al buio….  ma non per molto, infatti ci siamo attrezzati con qualche moccolo e siamo andati avanti.

 In tal modo, senza luce elettrica, la verità contingente si è fatta vieppiù reale  ed infatti dopo la prima analisi esoterica  sul significato di  verità e finzione, di  naturalezza e seduzione, ecco che inevitabilmente siamo andati a parlare di quello che sembra il problema più toccante per i cuori e le saccocce del popolo (in questo momento), ovvero la sopravvivenza bruta e la dannosità del futile….  

Proprio stamattina, mentre sorseggiavo il mio quotidiano cappuccino bollente al baretto del paese nuovo,  la televisione ammanniva nell’aria notizie melense sulla necessità di “accontentarsi del necessario e di non farci prendere dalla paranoia della crisi imminente e della mancanza di denari per l’acquisto dei regali natalizi”. Non poteva mancare il commento di un monsignore svolazzante, invitato alla bisogna, che consigliava di fare “regali spirituali e con il pensiero”.  Infatti così  si risparmia e non ci si sente in colpa se il regalo non viene fatto. Poi tornando a casa ho trovato  nella posta telematica la lettera di una  giovane donna, Elena, dalla Russia che mi diceva di aver trovato il mio indirizzo su internet e forse avendo visto che mi occupo di problemi sociali ed umani mi raccontava la sua storia di  ragazza madre, del freddo incipiente e della mancanza di legna per scaldare se stessa e la figlia, entrambe abbandonate dal marito-padre. Di questi tempi in cui tutti chiedono qualcosa a tutti (io compreso) non ho saputo immediatamente decifrare la verità della missiva. L’ho lasciata da parte ma stasera dopo la discussione avuta  (che riporto più avanti) sulla precarietà ho riletto questa lettera dalla Russia e non ho potuto fare a meno di ritenerla sincera (prossimamente la pubblicherò qui sul sito).

 Intanto riporto uno stralcio degli interventi odierni, fra i presenti:   Marina Canino, Mario Dumini, qualche altra persona ed il sottoscritto.   Ho raggruppato il tutto sotto forma di memoria personale.

 Tutti  i colori del precariato. 

C’è chi è sempre di “transito” in casa e chi nei sentimenti. Chi è confuso nelle idee e chi cambia lavoro ogni tre mesi. 

Io sento di appartenere alla nuova categoria dei precari spirituali. Quelli che fanno i tarocchi a Piazza Navona, che tengono corsi volanti su energie strane,  che saltano e ballano fra nuove dottrine.  Non io però ho scelto questa forma impropria, che subisco, perché sulla nostra pelle si consuma un disonesto disegno ed esperimento antropologico. Se noi sbagliamo siamo definiti pazzi e ciarlatani, ladri stupidi e persino criminali. Se invece ne azzecchiamo qualcuna veniamo regolarmente “derubati” od usati in vari commerci ed interessi politici ed economici (materialismo spirituale consumista). Tanta delittuosa strumentalizzazione però non ci cambia la testa (se siamo onesti  per davvero) che continua a volare malgrado  globalizzazione e capitalismo (la versione dei nuovi inferni) in un cielo sempre più blu.  I manipolatori sociali economici politici cercano di strumentalizzarci, all’occorrenza trasformandoci in una moda,  oppure   ci ignorano totalmente,  per continuare a farsi i propri giochetti “religiosi” sulla vita, sulla morte e su tutto quello che c’è in mezzo. Qual è il loro  scopo? Sembra solo quello di voler mantenere succube la gente, trasformarla in una  “razza inferiore” timorosa di vivere e di morire. Una specie umana neutra ed amorfa senza odio né vero amore, che non perde né ritrova l’anima. Così mentre si bruciano enormi capitali in armi, esperimenti scientifici inutili, attrezzature dannose, telefonini,  televisioni, aggeggi elettronici, pubblicità  ed altre cazzate,       vengono a dirci che c’è la crisi, che i soldi non ci sono…

Ma qual è il posto dell’uomo nell’universo? Cos’è questa finzione di coscienza ipocrita e perbenista e  questa falsa memoria storica? Tutte menzogne espresse scientemente e intenzionalmente per il mantenimento della finta libertà, la gabbia nella quale siamo finiti,  questa pomposa globalizzazione consumismo licenza dei costumi (che poi è solo esibizione lubrica e finzione di benessere). Non libertà ma abbrutimento collettivo! Fino a quando? 

Paolo D’Arpini

 P.S. Oggi il nostro sito ha compiuto un anno di età….