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Cronistoria sulla produzione energetica in Italia e favola sul nucleare necessario – Articolo veritiero di Sergio Zabot

Il nucleare, l´emotività e l´ideologia I luoghi comuni, le bugie e le paure legate al tentativo di rinascita del nucleare in Italia. I veri costi del nucleare e i futuri prezzi dell´elettricità, il mito dell´atomo francese, la sicurezza, le emissioni da nucleare, lo sviluppo tecnologico. A chi giova veramente ripartire con il nucleare? Ci servirà tutta questa elettricità in vista degli obiettivi 20-20-20 del 2020?Un articolo di Sergio Zabot.

E´ innegabile che l´uscita dell´Italia dal nucleare sia stata determinata  dall´emotività indotta della catastrofe di Cernobyl. I quesiti referendari  chiave, peraltro, erano diretti ad abolire le norme sulla localizzazione delle centrali nucleari e i contributi a Comuni e Regioni sedi di centrali nucleari, cosa che avrebbe reso impossibile trovare un Comune disposto a ospitare sul suo territorio un impianto nucleare o anche un deposito di scorie radioattive.

E´ il caso di ricordare anche, come a quell´epoca la DC e il PCI fossero  decisamente contrari ai quesiti proposti dal Partito Radicale, dal Partito  Liberale e dal Partito Socialista. La prima strategia adottata contro i  referendum fu quella dello scioglimento anticipato delle camere per lo stallo che si era prodotto nei rapporti tra Dc e Psi: protagonista fu Ciriaco De Mita, che decise le elezioni anticipate per rompere la convergenza di quei mesi tra i partiti laici e in particolare tra Craxi e Pannella.

Dopo le elezioni anticipate, di fronte all´appuntamento referendario, Dc e  Pci, inizialmente ostili ai quesiti, si schieravano a favore del «sì». Questo repentino cambio di rotta dei due maggiori partiti derivava dalle implicazioni politiche che poteva provocare una eventuale sconfitta dello schieramento del «no» imperniato sull´asse Dc e Pci, in contrapposizione ad uno schieramento laico-progressista formato da Radicali e Socialisti.

La rilettura di quel periodo dimostra che il risultato del referendum del  1987, oltre ad essere stato frutto dell´emotività fu soprattutto figlio dell´ideologia. E´ corretto quindi affermare che quella scelta fu emotiva e ideologica. Quello che è meno evidente è come anche l´attuale rientro dell´Italia nel nucleare sia dovuto a un´altrettanta ondata emotiva ancorché ideologica, sapientemente pilotata da un Governo che altera i fatti e stimola le paure più ancestrali dei cittadini.

Di fatto, rispetto il 1987, la situazione si è ribaltata: gli emotivi di  allora, ancorché mossi da una forte preoccupazione per le possibili conseguenze sanitarie e ambientali del fallout radioattivo, contestano il ritorno al nucleare su basi razionali e i sostenitori del nucleare implorano ora tale ritorno su basi emotive e ideologiche, quali la paura dell´aumento del costo del petrolio, l´inaffidabilità dei paesi produttori di gas naturale, la fatalità di uno sviluppo che ci porterà ad un consumo sempre maggiore di energia, l´inevitabilità che per salvaguardare il nostro pianeta e ridurre le emissioni di gas serra, si debba scegliere il male minore.

Per sostenere la necessità di realizzare in Italia una nuova filiera  nucleare, molte sono le menzogne che vengono regolarmente diffuse e  propagandate, al punto che anche molti esponenti del mondo ambientalista  finiscono per crederci.

Ecco le bugie e le paure che vengono più frequentemente diffuse.

LE BUGIE

A) “L´energia elettrica in Italia è più cara perché in nostro mix di produzione è troppo sbilanciato verso il gas naturale e non abbiamo centrali atomiche”.

Ciò è assolutamente falso. L´alto costo dell´energia elettrica italiana è  dovuta a quattro principali fattori:

1. il sistema di formazione del prezzo dell´elettricità nella borsa  elettrica, detto anche “sistema del prezzo marginale”. Con questo sistema l´energia elettrica offerta non viene remunerata in base al singolo prezzo  richiesto da ogni produttore, ma in base al prezzo più alto offerto tra i  produttori, con il risultato di consentire loro grossi extra-profitti e un   prezzo finale per i consumatori più alto anche del 10%.

2. I cosiddetti “oneri generali di sistema”, che pesano per un altro 10%  sulle bollette elettriche e che servono a pagare lo smantellamento delle 4  vecchie centrali nucleari italiane (212 milioni di euro nel 2008), a ripagare le imprese elettriche e l´Enel in particolare per gli investimenti fatti prima della liberalizzazione (680 milioni di euro nel 2007), e soprattutto per incentivare le fonti assimilate alle rinnovabili, ossia la produzione di elettricità con gli scarti delle raffinerie di petrolio, con i rifiuti, con la cogenerazione a gas naturale. In particolare, queste fonti non rinnovabili, nel 2008 hanno rappresentato l´83,3% dei ritiri obbligati CIP6 e il costo per i consumatori è stato di 1.720 milioni di Euro.

3. L´inadeguatezza della rete elettrica nazionale sia in alta, che media e  bassa tensione. La rete di trasporto e di distribuzione è stata progettata  negli anni `60 del secolo scorso, gli anni del monopolio, e realizzata  principalmente come monodirezionale e quindi passiva. Le odierne esigenze sono invece di sviluppare reti di trasmissione attive, cioè in grado di accogliere e smistare efficientemente anche i flussi provenienti dai tanti piccoli e medi impianti (la cosiddetta generazione distribuita). Nel Sud Italia e nelle Isole, la rete di trasmissione è particolarmente insufficiente e congestionata, con il risultato che l´energia elettrica raggiunge prezzi molto elevati con punte, nella Borsa Elettrica, di 180 €/MWh contro medie di 70 €/MWh del resto dell´Italia (vedi GME). Possiamo sostenere quindi che un’altra buona fetta della tariffa elettrica è imputabile alla inadeguatezza della rete elettrica italiana.

4. Infine, quasi il 20% della bolletta elettrica se ne va in tasse e IVA.  Secondo una indagine svolta da Confartigianato la tassazione dell´energia in Italia risulta superiore del 30% rispetto alla media europea. Certamente la tassazione più consistente riguarda i prodotti petroliferi, ma anche sull´energia elettrica lo Stato non scherza. L´impatto di questo sistema d´imposizione è particolarmente pesante sull´industria: escludendo l´iva, un´impresa che consuma 160 megawattora all´anno, paga il 25,4% di imposte sui suoi consumi elettrici, contro una media del 9,5% in Europa.

Mettendo assieme questi elementi scopriamo che la modalità con cui si produce la corrente elettrica non c´entra proprio nulla e che l´alto costo dell´elettricità in Italia è dovuto esclusivamente ai privilegi di cui ancora godono i produttori di elettricità e i petrolieri, all´inefficienza del sistema elettrico italiano e alla voracità dello Stato.

B) “In Francia l´energia elettrica costa meno perché ha il nucleare”.

E´ il cavallo di battaglia dei fautori del nucleare, purtroppo incapaci di  comprendere la storia e l´intimo rapporto che ha legato da sempre il nucleare civile con il nucleare militare. Di fatto le condizioni che hanno portato la Francia a diventare una potenza nucleare sono frutto dell´azione politica del generale De Gaulle per creare, in piena guerra fredda, un polo nucleare europeo a guida francese.

De Gaulle tentò prima di pervenire ad un accordo con gli USA e la GB per  istituire un “direttorio franco-anglo-americano” alla guida dell´Alleanza  Atlantica, ma al “no” di Londra e Washington, uscì dalla NATO ed elaborò un disegno politico in cui l´Europa si poneva come “terza forza” fra USA ed URSS e in questo quadro, doveva essere accentuata la leadership francese. Necessità e condizione preliminare per tale politica era che la Francia si dotasse di una capacità militare nucleare (”La force de frappe”), per cui una delle prime decisioni del generale fu di accelerare i piani per l´atomica francese che esplose così nel 1960 nel Sahara algerino.

Il nucleare civile francese è nato quindi in simbiosi con il nucleare  militare, per ripartire gli enormi costi per produrre l´uranio e soprattutto per arricchirlo al cosiddetto “weapon grade”. Lo sforzo civile e militare francese è stato imponente e la maggior parte dei costi, dalla Ricerca e Sviluppo fino al trattamento del combustibile esausto non sono mai entrati nel costo dei kWh che i cittadini pagano in tariffa, ma sono nascosti nelle tasse che pure i francesi pagano. Non dimentichiamo che EdF, la società elettrica che gestisce le centrali nucleari è statale e che anche gli arsenali militari e gli impianti di arricchimento e di ritrattamento dell´uranio sono statali.

L´esperienza francese è irripetibile, soprattutto in un mercato liberalizzato dove i costi devono essere trasparenti e le attività industriali devono competere sul mercato. D´altra parte basta leggersi i rapporti della Corte dei Conti per rendersi conto delle gravi omissioni e dell´assoluta mancanza di trasparenza riscontrata nel settore nucleare e in particolare nel “decommissioning”, stigmatizzati regolarmente dai giudici francesi nei loro rapporti periodici (pdf).

C) “Le centrali nucleari non emettono CO2″.

Altra leggenda metropolitana alla quale peraltro sembrano crederci anche  alcuni ambientalisti. La produzione dell´uranio, è una attività mineraria e industriale piuttosto lunga e complessa che comporta tutta una serie di  lavorazioni che richiedono l´utilizzo di combustibili fossili, di elettricità, di enormi quantità di acqua, di acido solforico e infine di fluoro, gas altamente velenoso e che provoca un effetto serra migliaia di volte più potente della CO2.

Solo le attività nel reattore non emettono CO2. Ma poi comincia la lunga e  tormentata fase del ritrattamento del combustibile esausto, che dura decine e decine di anni con costi enormi in termini di uso di combustibili fossili ed elettricità per trasportarlo da un posto all´altro, riprocessarlo, condizionarlo, confinarlo in depositi provvisori, dato che in tutto il mondo non esiste ancora un deposito definitivo.

Ma vediamo alcuni numeri prendendo come riferimento un EPR da 1.600 MW, come quelli che si vorrebbero costruire in Italia. Per produrre 12.000 GWh (12 TWh o 12 mld di kWh) all´anno occorre partire da qualcosa come 8.000.000 di tonnellate di roccia che vanno prima estratte, macinate, poi diluite con 1.400.000 metri cubi di acqua e 22.000 tonnellate di acido solforico. Alla fine si ottengono 350 tonnellate di Yellowcake, un ossido che contiene lo 0,7% di uranio fissile, più l´equivalente di una piramide di Cheope di scarti. Poi quest´uranio va arricchito per incrementare la parte fissile, cioè l´Uranio 235, almeno al 3,5%. L´arricchimento avviene per centrifugazione trasformando l´uranio in gas, l´esafluoruro di uranio. Per fare questo servono 370 tonnellate di fluoro, gas molto leggero, altamente volatile e che alla fine del processo è altamente radioattivo, impossibile da smaltire e che comporta una gestione molto onerosa.

Finalmente si ottengono 40 tonnellate di uranio combustibile in forma di Bi-Ossido di Uranio, oltre che 250 tonnellate di uranio impoverito, che poi tanto povero non è, dato che contiene ancora lo 0,3% di uranio fissile, quindi radioattivo.

In conclusione, per far funzionare un EPR per un anno si consumano 190.000  tep con l´immissione in atmosfera di 670.000 tonnellate di CO2. Poca cosa, dato che ciò corrisponde a soli 56 grammi di CO2/kWh. Se però consideriamo che la costruzione della centrale è responsabile dell´emissione di altri 12 grammi di CO2/kWh e che la gestione delle scorie comporta un “debito” stimato tra i 30 e i 65 grammi di CO2/kWh arriviamo a una cifra che oscilla tra i 96 e i 134 grammi di CO2/kWh, circa un terzo delle emissioni di un ciclo combinato a gas (eedi “Secure energy, civil nuclear power and global warming” Oxford Research Group, 2007).

Ma la pacchia dura fino a che dura la disponibilità di minerale con  concentrazioni di uranio piuttosto elevate. Man mano che la purezza del  minerale di uranio diminuirà, ci vorrà più energia fossile per estrarre l´ uranio e le emissioni di CO2 arriveranno inevitabilmente a eguagliare le  emissioni di una centrale a gas.

LE PAURE

A) “La sicurezza dell´approvvigionamento energetico”.

Questa è una delle più forti pressioni ideologiche e mediatiche operate per convincere gli italiani della necessità dell´energia nucleare: il petrolio proviene in prevalenza dai paesi arabi, il gas dalla Russia e dalla Libia, tutti paesi politicamente inaffidabili, per non parlare del Venezuela di Chavez e della Bolivia di Morales che nazionalizzano le industrie del petrolio e del gas.

Ebbene, pochi sanno che su un fabbisogno mondiale annuo di circa 70.000  tonnellate di uranio, solo 20.000 tonnellate, pari al 28%, provengono da paesi cosiddetti stabili, quali Australia, Canada, USA; altre 20.000 tonnellate arrivano da Kazakhstan, Russia, Niger, Namibia e Uzbekistan e le altre 30.000 tonnellate necessarie a equilibrare il fabbisogno dei reattori nucleari provengono dagli arsenali militari in smantellamento, per lo più ex Sovietici.

La caccia all´uranio è ormai uno degli sport preferiti dei Capi di Stato. Il tema centrale della tournée di Nicolas Sarkozy in Africa nel marzo di quest´anno è stato l´uranio. Accompagnato dal presidente di Areva, la più grande multinazionale dell´energia atomica, Sarkozy si è assicurato i diritti di esplorazione e di sfruttamento di tutti i giacimenti di uranio della Repubblica del Congo. Poi è volato a Niamey, in Niger, dove si è assicurato, battendo la concorrenza dei cinesi, i diritti di sfruttamento sul gigantesco giacimento di Imouraren, destinato a diventare una delle maggiori miniere di uranio del mondo. In cambio Sarkozy ha promesso che, oltre che investire 1,2 miliardi di dollari nel paese, avrebbe smesso di fomentare la rivolta dei Tuareg armando il Movimento dei Nigerini per la Giustizia (MNJ) in lotta contro il governo centrale per via dell´espropriazione degli immensi territori ricchi di uranio.

B) “Se non rientriamo nel nucleare saremo “tagliati fuori” dallo sviluppo  tecnologico”.

E´ la grande preoccupazione dell´industria italiana dopo la sigla del  memorandum tra Enel e EdF per l´avvio del nucleare in Italia. L´allarme è stato lanciato da Giuseppe Zampini, amministratore delegato di Ansaldo Energia, intervenendo a un convegno su “Innovazione energetica e rilancio del nucleare”, organizzato dall´Oice, associazione delle organizzazioni di ingegneria, il 18 marzo u.s. a Roma. Zampini ha spiegato infatti, che l´impostazione di fondo dell´intesa Enel-EdF prevede la scelta della tecnologia francese EPR con il rischio di essere colonizzati in una situazione in cui l´80% delle attività ingegneristiche per la realizzazione delle nuove centrali sarebbero in mano a società e aziende  transalpine, incluse le attività di manutenzione.

Ha affermato Zampini: “se non c´è una ricaduta per le nostre aziende in  termini di partecipazione tecnologica, perché fare il nucleare?”

Già, perché fare il nucleare? Non certo per produrre energia elettrica a  costi minori: tutti gli studi internazionali seri riferiscono ormai che il  costo del kWh nucleare dei nuovi impianti sarà inevitabilmente più elevato del kWh prodotto con il gas o il carbone; nessuna banca è disponibile a finanziare nuovi impianti senza garanzie dallo Stato, nessuna società è disponibile ad assicurare il rischio di incidente, i costi per il trattamento delle scorie nucleari sono sconosciuti e soprattutto non si sa ancora dove metterle.

L´unica solida ragione per avventurarsi nella costruzione di un sistema  nucleare in Italia può essere quello di dare lavoro a poche grandi imprese. Questo perché una filiera nucleare non è cosa da piccole e medie imprese: è un affare per giganti.

Nell´ultimo decennio abbiamo assistito a una serie di fusioni e  concentrazioni societarie che non hanno precedenti nella storia industriale del pianeta. Quando le grandi imprese manifatturiere si fondono e si concentrano vuol dire che sono messe molto male. Basta guardare quello che sta succedendo nel settore automobilistico, dove siamo in presenza di una notevole sovracapacità produttiva e la strategia dei grandi gruppi è stata quella di scatenare una guerra totale per contendersi il mercato mondiale e poter così sopravvivere razionalizzando la produzione di automobili e accaparrarsi i mercati emergenti. Anche il settore nucleare è nella stessa condizione di sovracapacità  produttiva, anche se la problematica non occupa le prime pagine dei giornali come la vicenda Fiat-Opel.

I costruttori di impianti atomici sono alla ricerca disperata di nuove  commesse, al punto che, per riuscire a vendere centrali nucleari nei paesi in via di sviluppo, si muovono i Capi di Stato. Perfino Barak Obama, propugnatore del new deal verde, ha appena approvato un accordo per vendere centrali atomiche agli Emirati Arabi Uniti (”Il manifesto”, 24 maggio 2009) che frutterà almeno 40 miliardi di dollari a vantaggio delle multinazionali americane dell´atomo, peraltro in partnership con i colossi giapponesi. Altri accordi con l’Arabia Saudita, il Baharain, l´Egitto, l´Algeria, il Marocco, sono in corso di negoziazione. Siamo in piena campagna promozionale, cui partecipano anche Russia e Cina, oltre che la solita Francia, per vendere impianti “chiavi in mano” non importa dove e non importa a chi, pur di rilanciare l´industria nucleare in crisi e legare quei Paesi alle tecnologie nucleari per i secoli a venire, accelerando di fatto la possibilità della proliferazione delle armi  atomiche.

C) “Siamo accerchiati da centrali nucleari: se succede un incidente in Francia o in Svizzera, ne saremo coinvolti anche noi”.

Questo è vero. Oltretutto il parco francese è piuttosto vecchiotto e gli  incidenti minori con fuoriuscite di materiale radioattivo sono ormai all´ordine del giorno. Ma questo non giustifica una politica masochista del “mal comune mezzo gaudio”. Cioè facciamo anche noi le centrali nucleari, così se c´è un incidente almeno è colpa nostra.

Anche perché dopo gli ultimi ripetuti incidenti all´impianto di Tricastin e dopo lo scandalo, denunciato da France-3, dei 300 milioni di tonnellate di rifiuti radioattivi sparpagliati metodicamente e discretamente nelle campagne, in prossimità di villaggi, usati per costruire strade, case, parcheggi, parchi giochi per bambini, sarà difficile far digerire ai francesi la costruzione di nuove centrali nucleari.

D´altra parte già nel giugno del 2008 un gruppo di dipendenti dell´EdF aveva diffuso un appello per ridurre nell´arco di 5 anni il consumo di elettricità nucleare dall´80% al 60% chiudendo i reattori più vecchi, più costosi e più inquinanti e sostituendoli con una produzione elettrica decentralizzata, adattata alle risorse locali quali la cogenerazione alimentata da metano, biogas, biomasse, impianti solari, eolici, ecc.

LE VERITA’:

A) “Le centrali nucleari sono inutili”.

La verità è che l´efficienza energetica e le fonti rinnovabili sono in forte competizione con il nucleare e i sostenitori del nucleare mentono  spudoratamente quando affermano che non c´è concorrenza tra nucleare ed  efficienza energetica. Questa divergenza è destinata ad aumentare per due  ordini di motivi: tutte le tecnologie dell´energia distribuita, comprese le tecnologie del risparmio energetico sono destinate inesorabilmente a diventare sempre meno care per via dei grandi volumi di produzione e dei miglioramenti continui che consentono di sfornare sempre più nuovi prodotti “più risparmiosi” dei precedenti. Questo non succede per gli impianti centralizzati e soprattutto per gli impianti nucleari che storicamente tendono a costare sempre di più, in contrasto con le cosiddette “curve di apprendimento delle tecnologie”. D´altra  parte, dalla progettazione di un componente nucleare fino alla sua  realizzazione passano talmente tanti anni che, anche quando si inventano nuovi prodotti e nuove tecnologie, non è possibile utilizzarli immediatamente e bisogna aspettare che entri in produzione una nuova filiera.

Il mercato sta cominciando a riconoscere i benefici ottenibili con le  tecnologie distribuite, sia in termini di profitti, sia per l´elevata ricaduta che questo comporta sui livelli occupazionali a livello locale. Il risparmio energetico, la produzione distribuita di elettricità e le fonti rinnovabili in particolare, cominciano a mostrare il loro potere dirompente per sfondare barriere che fino a poco fa sembravano impenetrabili, riducendo drasticamente i costi e migliorando le prestazioni. Solo in impianti di cogenerazione, in Italia se ne stanno installando centinaia all´anno per una potenza di 4.000 MW/anno. Stanno peraltro emergendo nuove classi di tecnologie, alcune ancora immature come il solare termodinamico o le celle a combustibile alimentate a idrogeno, che sono destinate a rivoluzionare il mercato dei trasporti.

Le previsioni di Terna sull´evoluzione della domanda elettrica in Italia,  aggiornate nel Novembre 2008, indicano, secondo uno scenario cosiddetto “di sviluppo”, ovvero senza l´attuazione degli obiettivi di risparmio energetico, in 415 TWh il fabbisogno di elettricità e in 74 GW il fabbisogno di potenza al 2018.

Ora, senza entrare nel dettaglio di quanto inciderà il tracollo economico in atto sui consumi finali e spostando in prima approssimazione al 2020 il  fabbisogno indicato da Terna al 2018, gli obiettivi del “pacchetto 20-20-20″ comportano che al 2020 ci sia una riduzione di consumi finali di circa 80 TWh e che altri 70 TWh vengano prodotti con fonti rinnovabili. Il fabbisogno integrativo con fonti convenzionali, si riduce così a 265 TWh di energia elettrica e poco meno di 60 GW di potenza termoelettrica convenzionale, inferiore al 30% al fabbisogno elettrico del 2009 (350 TWh) e del 22% alla potenza termoelettrica lorda installata attualmente (73,3 GW).

A questo punto qualcuno ci deve spiegare dove è lo spazio per costruire 4-5 centrali nucleari che dovrebbero produrre 60 TWh di elettricità all´anno, come chiede Fulvio Conti, amministratore delegato dell´Enel, quando già al 2020, attuando il “pacchetto 20-20-20″ rischiamo un surplus che oscilla tra il 20% e il 30%.

Quello che è preoccupante del nostro Governo è che invece di rafforzare  il sostegno all´efficienza energetica e alle fonti rinnovabili, stia stipulando patti faustiani con le lobby industriali e finanziarie,  promettendo contratti miliardari per realizzare una filiera nucleare,  estremamente rischiosa e costosa, garantita dallo Stato, quindi con i soldi dei contribuenti. Di fatto il Governo rallenta lo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell´efficienza energetica, le vere alternative pulite, per far spazio agli interessi delle lobby nucleari.

In ultima analisi, questi fondi verranno sottratti al dispiegamento di uno  sviluppo duraturo e distribuito sul territorio, che solo l´efficienza  energetica e le vere fonti rinnovabili possono produrre.

Sergio Zabot

noscorietrisaia@libero.it  - ecologia@peacelink.it  

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Giorgio Nebbia: “Fumi e nebbie atomiche, dal grigio cenere… ai nuovi venti di pace”

Ho apprezzato questo articolo di Giorgio Nebbia, bioregionalista ed ecologista, sul problema delle scorie radioattive e di come affrontare l’emergenza energetica, anche in vista della strombazzata intenzione del governo Berlusconi di ritorno al nucleare. Sull’argomento dell’energia atomica abbiamo già pubblicato diversi articoli ( vedi: http://www.circolovegetarianocalcata.it/?s=uranio+  ) credo però che non guasti un ulteriore approfondimento, anche perché la nostra terra di Tuscia è un’area estremamente a rischio nuclearizzazione, sia per la presenza della centrale di Montalto Di Castro che potrebbe ritornare in funzione sia per la sospetta stipatura di materiale fissile alla Casaccia (il laboratorio dell’Enea a pochi chilometri da Calcata, vicino a Trevignano).

Avevo già indicato ai lettori un metodo per allontanare il rischio del ritorno al nucleare, oltre alla diversificazione della produzione con fonti rinnovabili, soprattutto diminuendo il consumo di energia elettrica nelle nostre case. Infatti perlopiù i consumi sono legati all’uso smodato di elettrodomestici inutili e dannosi, quali: televisione, condizionatori, apparecchi stereo, etc. etc.

Ecco a voi il testo tratto da La Gazzetta del Mezzogiorno di martedì 28 aprile 2009

Nei giorni scorsi, nella riunione a Siracusa dei ministri dell’ambiente degli otto paesi più industrializzati, si è discusso a lungo di come combattere i cambiamenti climatici realizzando una comunità mondiale di paesi a basse emissioni nell’atmosfera di anidride carbonica, il “gas serra” principale responsabile di tali cambiamenti climatici, con tecnologie “a basso contenuto di carbonio”. E’ così riemersa la prospettiva di una ripresa dell’uso dell’energia nucleare che, effettivamente, produce elettricità quasi senza emissione di anidride carbonica, anche se le centrali nucleari lasciano, come residuo, “scorie” radioattive, il cui smaltimento è quanto mai problematico.

La materia prima per la produzione dell’energia nucleare è l’uranio-235, una piccola frazione dell’uranio naturale. Dall’uranio naturale, per trattamenti mediante “centrifugazione”, si ottiene, uranio “arricchito”contenente dal 3 al 4 percento di uranio-235, il “combustibile” necessario per il funzionamento delle centrali nucleari commerciali. Nel corso di alcuni mesi di permanenza nei reattori, entro speciali tubi, l’uranio 235, in seguito all’urto dei neutroni, libera calore (che è poi la “merce” che si vuole ottenere e che si trasforma in elettricità commerciale) subendo “fissione”.

In tale operazione si formano dei prodotti di fissione, tutti radioattivi, costituiti da elementi che hanno più o meno la metà del peso atomico dell’uranio. Inoltre una parte dell’uranio si trasforma in elementi “transuranici”, con peso atomico maggiore di quelli dell’uranio, fra cui il plutonio. Quando gran parte dell’uranio-235 ha subito fissione, i tubi contenenti il “combustibile irraggiato”, pieni di elementi radioattivi, vengono estratti dal reattore. Il combustibile irraggiato può essere conservato in contenitori isolati, a perfetta tenuta, in modo che perda lentamente la maggior parte della sua radioattività con contemporanea liberazione di calore. In alternativa.il combustibile irraggiato può essere sottoposto a operazioni chimiche e fisiche di “ritrattamento” per recuperare il plutonio il quale è “utile” (si fa per dire) come esplosivo per bombe nucleare ma che, essendo anche lui fissile come l’uranio-235, potrebbe essere usato insieme all’uranio in altri reattori nucleari.

In tale “ritrattamento” del combustibile irraggiato il plutonio deve essere separato dai prodotti di fissione da altri elementi tutti radioattivi, un insieme di sostanze che costituiscono le “scorie”. Da anni si discute come e dove sistemare il combustibile irraggiato e le scorie nucleari: occorre un posto in cui gli elementi radioattivi siano perfettamente isolati dall’ambiente circostante, non vengano a contatto con le acque e con nessuna forma di vita.

Tale sepoltura deve essere sicura per tempi lunghissimi. Alcuni prodotti di fissione perdono la maggior parte della loro radioattività in pochi giorni o anni (sono i componenti delle scorie “a vita breve”); altri continuano ad emettere radioattività e calore per migliaia di anni. Il plutonio-239, uno dei componenti delle scorie “a vita lunga”, perde “appena” metà della sua radioattività in 24.000 anni, cioè in 240 secoli, un periodo quattro volte più lungo di quello che ci separa dalle antiche civiltà egiziane e mesopotamiche, due volte e mezzo volte più lungo di quello che ci separa da quando i nostri lontani predecessori hanno smesso di vagare nelle foreste e nelle pianure e hanno costruito i primi villaggi. Le scorie delle attività nucleari devono perciò essere “sepolte” per secoli e millenni: il plutonio per 100.000 anni, praticamente “per l’eternità”. Un cimitero di scorie è difficile da trovare. Finora la proposta più convincente è stata quella di un grande deposito americano a Yucca Mountain, nel Nevada, a 150 chilometri da Las Vegas, nelle viscere di una montagna costituita dalle “ceneri” consolidate di un’eruzione vulcanica avvenuta milioni di anni fa; la località si trova in terre demaniali, di proprietà del governo americano, accanto al luogo in cui negli anni cinquanta del Novecento, sono state fatte esplodere centinaia di bombe nucleari sperimentali.

Nella montagna è stato scavato un sistema di gallerie del diametro di otto metri con sale di deposito, per una lunghezza di otto chilometri. Gallerie e sale sono attraversate da una speciale rete ferroviaria che collega Yucca Mountain con le principali località, sparse nel grande paese, in cui si trovano attualmente i depositi provvisori delle scorie radioattive. Il deposito di Yucca Mountain avrebbe dovuto raccogliere 70.000 tonnellate di rifiuti radioattivi derivanti dai reattori che producono elettricità nucleare commerciale e che producono gli “esplosivi” delle bombe atomiche. I sostenitori dell’energia nucleare hanno sempre sostenuto, citando Yucca Mountain, che non esiste un problema di sistemazione delle scorie radioattive. Invece proprio nei giorni scorsi il governo americano ha dichiarato che intende sospendere le operazioni relative al deposito progettato per Yucca Mountain e che per ora le scorie resteranno dove sono.

Come se non bastasse, subito dopo il governo americano ha deciso anche il disimpegno da un’altra iniziativa “globale” che prevedeva l’ampliamento delle attività di ritrattamento del combustibile irraggiato. Il gesto degli Stati Uniti di voler così evitare la produzione di nuovo plutonio e i rischi di moltiplicazione delle armi nucleari ha il fine di scoraggiare anche altri paesi — quelli che le bombe atomiche già hanno, come India, Pakistan e Israele, e quelli che vorrebbero costruirle, come Iran e Corea del Nord — dalla produzione di altre bombe atomiche: ce ne sono già troppe nel mondo.

La chiusura di Yucca Mountain e il ritiro da iniziative che produrrebbero altro plutonio indicano la volontà degli Stati Uniti di mantenere la promessa fatta dal presidente Obama, in campagna elettorale, di realizzare un mondo senza ami nucleari. Forse un vento di pace e di distensione internazionale comincia a soffiare su questa povera umanità.

Forse comincia anche a soffiare un vento migliore per l’ambiente perché le decisioni americane rendono anche meno conveniente l’energia nucleare commerciale; altro che venti nuove centrali nucleari all’anno, come qualcuno ha detto alla riunione dei ministri dell’ambiente a Siracusa !

Giorgio Nebbia – nebbia@quipo.it  

Lettera condivisa di Ecologia-Politica dei gruppi Yahoo

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Luigi Paganetto dell’Enea: “Riqualificazione energetica degli edifici per uscire dalla crisi e non ampliamenti edili indiscriminati e grandi opere inutili”

«Una quota di oltre il 45% della riduzione totale al 2020 delle emissioni di gas serra è conseguenza di interventi di efficientamento nei settori di uso finale dell’energia. In particolare gli interventi nel settore civile (residenziale e terziario) coprono da soli oltre il 25% del totale delle riduzioni». Lo ha sostenuto il presidente dell’Enea Luigi Paganetto sulla base degli studi dell’ente durante l’incontro all´ambasciata del Regno Unito in merito alle politiche e strategie per l´efficienza energetica negli edifici quale strada per uscire dalla crisi. Un punto di vista che è, come noto, punto di programma anche del neo presidente Usa Barack Obama.

Già da tempo l’Enea sottolinea la rilevanza dell’efficientamento del patrimonio edilizio della pubblica amministrazione perché si tratta di un comparto che per la sua dimensione e per la presenza di strutture di grande ampiezza e complessità può rappresentare un significativo avvio di una concreta attuazione di politiche nazionali di risparmio energetico e di riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera.

Secondo lo studio, rendere più efficienti il 35% degli edifici pubblici consente un risparmio immediato di circa il 20% della bolletta attuale, ma ha anche un effetto positivo sull’economia del paese, stimato in un incremento di circa lo 0,6% del PIL. È il risultato di uno studio sui consumi energetici degli edifici pubblici e sulle potenzialità degli interventi di Efficienza Energetica presentato dall’Enea. In particolare lo studio è rivolto al settore non residenziale e quindi alle scuole e agli uffici.

Lo studio ha valutato non solo i benefici economici diretti (riduzione della bolletta energetica) ma anche gli effetti indotti che, da un intervento eseguito su larga scala, potrebbero derivare all’economia del paese. Lo studio ipotizza uno scenario di risparmio sui consumi di energia nei sottosettori con destinazione d’uso “direzionale pubblico” occupato da: enti pubblici non economici, enti di ricerca, Regioni, ministeri, agenzie fiscali, Pres. consiglio ministeri, monopoli di stato, e “scuole” (divise tra materne e elementari – medie – superiori), con esclusione degli edifici universitari.

Dall’indagine sono quindi esclusi ospedali, caserme e carceri in quanto si tratta di tipologie di edifici che operano in deroga alle normative energetiche che sono alla base della metodologia applicata nello studio.

Nell’indagine relativa agli uffici, sono stati considerati solo gli edifici totalmente occupati da enti riconducibili alla pubblica amministrazione, valutati da uno studio condotto dal Cresme per Enea in 13,580 unità. Lo studio non considera quindi le unità immobiliari costituite da appartamenti localizzati in edifici occupati anche da altri enti o adibiti anche a residenziale. Gli edifici scolastici italiani sono attualmente stimati in circa 43200 unità.

Per ciascuna tipologia edilizia, individuata per la corrispondente destinazione d’uso, localizzazione climatica e caratteristica energetica, sono stati quindi calcolati i consumi, prendendo a riferimento l’edificio tipo, e moltiplicandone il valore ottenuto per la corrispondente consistenza numerica.

I consumi attuali relativi riscaldamento, illuminazione e condizionamento degli edifici esaminati sono stimati in 14,5 milioni di MWh termici e 6 milioni di MWh elettrici, e comportano una spesa complessiva di circa 1,8 miliardi di euro. Tale valore è in linea con le stime effettuate da CONSIP sul totale della spesa energetica della Pubblica Amministrazione.

Lo studio ipotizza di intervenire su circa il 35% degli edifici delle tipologie considerate (da individuare tra quelli con le maggiori potenzialità di risparmio e tra quelli che necessitano comunque interventi di tipo strutturale) e comporterebbero una spesa complessiva di 8,2 miliardi di euro.

I risparmi ottenuti dall’intervento suddetto, calcolati sul totale del consumo energetico attuale del parco edilizio considerato, sono valutati in circa il 18% di energia termica e il 23% di energia elettrica: nel complesso il 20% in termini di Energia Primaria. Il costo complessivo della bolletta energetica per riscaldamento, illuminazione e condizionamento passa da 1,79 Miliardi a 1,37 Miliardi di euro, 419 Mio €/anno in meno, con una riduzione del 23% rispetto alla bolletta attuale per il totale degli edifici.

La valutazione dell’impatto economico degli interventi di riqualificazione dice che a fronte di una spesa di 8,2 miliardi di euro, ci si può attendere una crescita della produzione attivata di 19 miliardi di euro, la creazione di valore aggiunto per 14 miliardi di euro ed un incremento complessivo del pil nell’ordine dello 0,6 punti percentuali in un anno. I maggiori consumi e la crescita della produzione sarebbero inoltre in grado di attivare un incremento della domanda di lavoro di 147.834 unità.

I benefici creati dall’intervento sono riconducibili principalmente al risparmio nel consumo energetico. Questi sono stati stimati, pari a 337 milioni di euro per le scuole e 91 milioni di euro per gli uffici, per un totale di 428 milioni di euro all’anno. Considerando una durata di 20 anni ed un tasso di sconto del 6%, il valore atteso dei benefici attesi complessivi, in termini di risparmio energetico è pari a 4,6 miliardi di euro.

Non sono stati quantificati ulteriori benefici come il miglioramento della produttività del lavoro, il miglioramento della qualità ambientale del posto di lavoro, la maggiore sicurezza degli edifici, perché di difficile quantificazione. Anche da questo studio appare evidente almeno che con investendo in efficienza energetica si contribuisce contemporaneamente sia al rilancio economico sia a una riduzione dei flussi di energia. Insomma, una manovra sostenibile da diversi punti di vista, ma il governo preferisce investire nel Ponte e nella grandi opere, punti di vista diversi, non compatibili e non sovrapponibili.

Fonti: www.gevam.it  - http://www.greenreport.it  

Risultato della ricerca:

Acquapendente, Frascati, Pisa: rifiuti urbani ed inquinamento – Uccisione della bio-diversità uguale annullamento della vita sul pianeta – Soluzioni urgenti possibili

Mentre ad Acquapendente (Viterbo) continua la polemica sull’ipotesi di installazione di un inceneritore in località Campo Morino, definito eufemisticamente “impianto per biomasse” (ma secondo gli ambientalisti “l’impianto brucerà circa cento tonnellate al giorno dei materiali più fetidi che ci siano in circolazione: feci animali,  urina, letame,  fanghi, sanse, scarti vegetali, rifiuti tessili, ecc.”) in quel di Frascati la locale sezione di Italia Nostra, presieduta da Enrico Del Vescovo, ha organizzato per il 24 p.v. un incontro con il prof. Paul Connett per osteggiare, dati scientifici alla mano, ogni fattibilità e convenienza dell’incenerimento RSU, ciò in vista dell’installazione di un impianto di incenerimento ad Albano Laziale.

(http://www.circolovegetarianocalcata.it/2009/01/12/24-gennaio-2009-incontro-di-ecologia-profonda-a-frascati-con-paul-connet-ed-enrico-del-vescovo-rifiuti-zero/)

Il professor Connet ha già tenuto diversi incontri in Campania, proprio nel periodo più cruento dell’emergenza, ventilando l’unica soluzione possibile al problema dei rifiuti: “Rifiuti: opzione zero”. Egli negli ultimi venti anni ha studiato le problematiche legate alla gestione dei rifiuti, con un’attenzione particolare ai pericoli derivanti dall’incenerimento ed alle alternative di non combustione più sicure e più sostenibili.

E qui mi rivolgo ancora una volta agli Assessorati Ambiente del Lazio e della Tuscia, ritornando sul tema di come far entrare nelle maglie della consuetudine culturale l’idea che “non esiste altro posto che questa Terra in cui possiamo vivere e di conseguenza è meglio mantenerla pulita” A volte esperimenti encomiabili son stati avviati, come ad esempio “il gioco della raccolta differenziata” proposto nella scuola materna di Blera, ma sono iniziative sporadiche e senza risultati sostanziali.

Perciò è importante partire dall’ecologia delle piccole cose, nella casa di ognuno. Cominciando da queste si possono sempre trovare successive forme di sensibilità ambientale e di educazione civica.

Ad esempio quanti scarti alimentari produciamo? Forse quegli scarti possono essere diminuiti se badiamo di più all’essenziale, in tutte le nostre piccole abitudini di ogni giorno, e magari prontamente riutilizzati in natura come compost o cibo per animali oppure anche per produrre semplice biogas.

A Roma con la situazione di Malagrotta al pieno, c’è il rischio di dover risolvere il problema dei rifiuti urbani (in perenne emergenza) con il sistema “terminator” berlusconico che porterà inevitabilmente alla creazione di una serie di nuove discariche ed inceneritori attorno alla capitale. Le province storiche diverranno una pattumiera gigante o terra bruciata, si tratta solo di scegliere se si vuole l’inceneritore o la discarica oppure l’impianto di produzione elettrica.

E se vogliamo che la vita continui nel Lazio asfissiato dai fumi e dalle puzze non possiamo pensare di risolvere in tal modo il problema dei RSU. L’incenerimento, già lo sappiamo, è fonte di inquinamento pesantissimo ed inoltre è diseducativo dal punto di vista della salvaguardia delle risorse.

Proprio lo stesso giorno in cui si svolge l’incontro con Paul Connet a Frascati in Toscana si tiene un convegno per denunciare la scomparsa dal pianeta delle api… un segnale preoccupante di come la vita sta cambiando sulla faccia della terra… (Sabato 24 gennaio, Tenuta Presidenziale di San Rossore, Pisa http://www.teatronaturale.it/ “Dove non volano le api”)

Le api, a centinaia di miliardi, in tutti i continenti o sono trovate morte, o non ritornano più nelle arnie. All’inizio, qualche anno fa, sembrava una delle solite “fisiologiche” epidemie, dovuta a fattori ormai ben conosciuti, come la Varroa: governi e istituzioni scientifiche hanno ignorato o sottovalutato le prime grida di allarme degli apicoltori. Poi, dal 2007, a partire dagli Stati Uniti, si è percepito che si trattava di qualcosa di ben più grave, per la quantità delle api scomparse e per i killer che potevano essere chiamati in causa: pesticidi, riscaldamento globale, onde emanate dai telefoni cellulari, Ogm, fumi, neoticonoidi presenti dentro i prodotti per la concia del mais, stress dovuto a molteplici altre fonti. Si è cominciato a percepire vera la “profezia” (attribuita ad Einstein) secondo cui: “Quando le api spariranno, all’umanità resteranno quattro anni di vita”. La scomparsa delle api può mettere profondamente in crisi non solo la produzione di miele o di fiori o di frutta, ma l’intero già precario equilibrio ecologico e biologico del pianeta.

Non si può continuare a tamponare aumentando sempre più la piaga dell’inquinamento e da qualche parte occorre partire per fermarsi e lanciare un segnale positivo. Partiamo da noi stessi…. Per evitare il disastro tamponato ed imbellettato da nuovi impianti inquinanti occorre partire dalla consapevole e personale azione di ognuno di noi. Faccio esempi pratici: rinunciare alle bustine di plastica e girare con una borsa, rifiutare imballi superflui, reperire il proprio cibo direttamente dai produttori locali, interrompere l’uso smodato di elettrodomestici, lavorare con le mani, stare meno davanti al televisore e di più nei boschi….

La battaglia contro la produzione rifiuti e sprechi energetici deve partire dalla casa di ognuno, dalla consapevole e personale azione di ognuno di noi. Non posso far a meno di affermare che se non iniziamo da noi stessi il processo non decolla…

Paolo D’Arpini

Risultato della ricerca:

Tempio della Spiritualità della Natura: un rifugio per la sopravvivenza creativa…. Un “Mein Kampf” senza risvolti politici, un luogo sacro liberato dall’intervento speculativo dell’uomo!

Non vi spaventate, non è che io voglia passare all’altra sponda….

 Purtroppo per mia composizione genetica e ideologica (si fa per dire…) sono ubicato inamovibilmente nel settore sinistro del pensiero, cioè fra i progressisti liberali, quindi non posso né voglio assumere una veste destrorsa ordinata. La mia vita è tutta un caos e completamente priva di costrutto materiale, tutto ciò che faccio è sempre nell’ambito dell’oggi, del carpe diem, perciò non ho nulla da difendere e quindi il “mio campo” è un campo in cui crolli e cambiamenti, scavi e riempimenti avvengono in continuazione come natura comanda, con poco o nulla di mio intervento intenzionale.

Questo è un bene ed un male allo stesso tempo, è un bene perché in tal modo non persiste grande attaccamento verso una specifica forma ed è un male perché nulla di costruito o costruibile è a me imputabile…. Quando tanti anni fa decisi di denominare un pezzo di terra di cui ero e sono il custode “Tempio della Spiritualità della Natura” lanciai un’idea buona anche per esaltare valori estetici naturali, infatti qualcuno ne approfittò per costruire un più solido “Museo della Natura”. Eppure per il mio “tempio della natura” (a volte detto anche “tempio sincretico di tutte le religioni”) il battage pubblicitario era stato fortissimo, articoli su articoli, trasmissioni tv su trasmissioni tv, anche Paolo Portoghesi aveva promesso di “regalare” uno stupa simbolico, insomma le premesse di una grande edificazione c’erano tutte… ma –ahimé- c’ero anch’io e come sapete io amo “inneggiare ed evocare” senza costrutto!

Alla fine il tempio restò un terreno più o meno abbandonato a se stesso, “lasciato agli impulsi spontanei creativi della natura e delle sue creature” mentre io continuo a restarne il solitario custode, osservando ciò che mamma creazione vi plasmava e vi plasma giorno per giorno, anno per anno. Questo campo sacro è il mio “mein kampf” e nient’altro.

A questo punto è necessario che io parli della reale condizione di questo “kurushetra” di Calcata che come ho già detto non è un “campo di battaglia” piuttosto il mio “buen retiro”, un luogo in cui apprendere (o ricordare) un diretto contatto con la natura, con gli animali e con le piante. La visita al Tempio della Spiritualità della Natura prevede un incontro riavvicinato con il luogo in modo da trarne un senso di appartenenza e di presenza. Teoricamente questo è un discorso ancora molto sentito in tante realtà rurali, ed in verità i miei veri maestri ecologisti son stati proprio quei ‘vecchi contadini calcatesi’ dai quali ho appreso alcune verità basilari sulla terra e sull’arte di trarne frutto senza danneggiarla. Parlando in termini di agricoltura ‘naturale’ vorrei fare l’esempio della cura rivolta alla prole, che si manifesta con l’incoraggiamento alla crescita e non con la coercizione, allo stesso modo poniamoci verso le risorse che madre terra offre. In termini di agricoltura bioregionale ciò significa prima di tutto rendersi consapevoli di quello che spontaneamente cresce nel posto in cui si vive. Questo iniziale processo di osservazione, o accomunamento alla terra, è necessario per scoprire quante erbe e frutti commestibili son già disponibili, cresciuti in armonia organolettica con il suolo e quindi esprimenti un vero cibo integrato per chi là vive. Lo stesso corso va applicato anche alla vita animale selvatica che condivide la presenza in equilibrio naturale. Una accurata analisi consente l’immediato utilizzo di cibo integrativo spontaneo per arricchire la dieta corrente, oggi limitata a poche specie coltivate (sia pure in modo biologico). Il passo successivo e quello di sperimentare l’eventuale inserimento nel terreno prescelto di piante coltivate che siano in sintonia o meglio delle stesse famiglie di quelle spontanee. Questa graduale promozione ovviamente non può essere fatta con l’occhio distaccato di un botanico o di un tecnico agricolo ma va accompagnata da una reale presenza e compartecipazione al luogo, in modo da trarne occasione per un riconoscimento di appartenenza e condivisione (con la vita ivi presente) divenendo in tal modo noi stessi cooperatori della natura e suoi conservatori. E’ una convergenza, una osmosi, che si viene pian piano a creare fra noi e l’ambiente ed è anche la base della produzione di cibo vero (per uomini veri) che non va però relegata alla sola categoria dei contadini ma vista come la premura di ognuno. E’ un atteggiamento di consapevolezza alimentare.

Infatti il mio consiglio -dopo una breve permanenza presso il Tempio della Spiritualità della Natura- è quello di intraprendere piccole coltivazioni casalinghe ovunque sia possibile, nel giardino dietro casa o sulla terrazza di un condominio, e di approfittare di ogni passeggiata per cogliere delle erbe commestibili, in modo da spezzare la totale dipendenza dal cibo fornito dal mercato, rendendoci così responsabili -sia pure in minima parte- della nostra alimentazione. E’ un aspetto essenziale della cura per la vita quotidiana e della presenza consapevole nel luogo.

Ho iniziato ad occuparmi di attività ecologiste, vegetariane e di spiritualità laica prima esperimentando in vari luoghi d’Africa e India (Ashram e comunità rurali) e dal 1977 a Calcata (in provincia di Viterbo). A questo punto del percorso mi sembra ‘opportuno’ trasmettere la conoscenza acquisita a quelle persone ‘esterne’, interessate a questo tipo di ricerca, volendo con ciò sviluppare quelle attività ecologiche, culturali e spirituali sinora portate avanti. E questo testo è anche un modo di condividere la mia esperienza. Come dicevo, da parecchio tempo occupo alcuni terreni (siti in località Orti di Cristo e Grotticelli e Vignale) nei quali da tempo pratico la raccolta di erbe, svolgendovi inoltre un programma di riscoperta di valori naturali, meditazione, allevamento animali salvati dalla mattanza. In particolare uno di questi terreni, quello principale di circa ½ ettaro, è servito precedentemente come discarica comunale, quindi il lavoro verte anche sulla riqualificazione del luogo. Nel corso degli anni ho sporadicamente ospitato persone che intendevano trascorrevi brevi periodi di “lavoro e di rilassamento’. Sui terreni insistono alcune semplici strutture: una casetta minuscola di pietra, una capanna in legno, alcune grotte ripulite ed imbiancate.

La proposta per gli ospiti è quella di collaborare nelle varie necessità del Tempio, per qualche ora giornaliera e collaborare alle varie iniziative e programmi, in cambio offro pasti frugali ed ospitalità. Nel Tempio non c’è energia elettrica, il riscaldamento è a legna, i servizi da campo, l’acqua potabile è disponibile da un rubinetto esterno. Chiedo inoltre agli ospiti, possibilmente non più di due persone alla volta, di astenersi dal far uso di apparecchi elettrici (anche a batteria) assumendo un atteggiamento morigerato e silenzioso. Insomma siamo in un tempio…

Per prenotare le permanenze è opportuno scrivere a circolo.vegetariano@libero.it

Pure telefonando allo 0761-587200.

Paolo D’Arpini