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Israele e le sue bombe nucleari “segrete”

Pochi nordamericani sanno che nessun funzionario del governo degli Stati Uniti, inclusi del Congresso, può in alcun modo menzionare o discutere l’arsenale nucleare di Israele, stimato da alcuni osservatori in ben 200 armi nucleari tattiche che possono essere lanciate sul bersaglio per via aerea, terrestre o marittima. Il divieto è enunciato in un “bollettino di classificazione” del dipartimento dell’Energia classificato Segreto, emesso il 6 settembre 2012 e porta il numero WPN-136.

La riga dell’oggetto recita “Guida al rilascio di informazioni relative al potenziale di una capacità nucleare israeliana”. Sarebbe interessante sapere esattamente cosa si legge nel testo della nota, ma nonostante i ripetuti tentativi di ottenerne una copia ai sensi del Freedom of Information Act, il documento è completamente oscurato. Ciò che è noto è che il memo è fondamentalmente un ordine di bavaglio, presumibilmente emesso dall’amministrazione Barack Obama per impedire a qualsiasi funzionario di fare commenti che verrebbero interpretati come un riconoscimento del governo federale che Israele possiede armi nucleari. Il silenzio sull’arsenale israeliano risale a un accordo del presidente Richard Nixon colla prima ministra israeliana Golda Meir.

Nella manifestazione più recente, il presidente Barack Obama, quando gli fu chiesto se conosceva “un Paese del Medio Oriente che dispone di armi nucleari”, rispose “non voglio speculare”. Ovviamente mentiva. La prima vittima nota del bollettino fu lo specialista di politica nucleare del Los Alamos National Laboratory, James Doyle, che nel 2013 scrisse una frase suggerendo che Israele avesse l’arsenale nucleare. Apparve nell’articolo “Perché eliminare le armi nucleare?” autorizzato da Los Alamos per la rivista dell’International Institute for Strategic Studies. Uno sconosciuto membro dello staff del Congresso chiese una revisione e a Doyle fu perquisito il computer di casa prima di essere licenziato.

Israele, come spesso accade, ottiene un pass gratuito su ciò che per gli altri è un crimine. Il suo programma nucleare fu creato derubando uranio e tecnologia bellica statunitensi. Impedire la proliferazione nucleare era infatti uno dei principali obiettivi del governo degli Stati Uniti quando all’inizio degli anni ’60, il presidente John F. Kennedy apprese che Tel Aviv sviluppava l’arma nucleare da un rapporto della CIA. Disse agli israeliani di terminare il programma o rischiare di perdere il sostegno politico ed economico nordamericano, ma fu ucciso prima che venissero prese misure per porre fine al programma. Israele accelerato ill programma nucleare dopo la morte del presidente Kennedy. Nel 1965 ottenne la materia prima per una bomba dall’uranio altamente arricchito di proprietà del governo degli Stati Uniti, ottenuto da una società in Pennsylvania chiamata NUMEC, fondata nel 1956 e di proprietà di Zalman Mordecai Shapiro, capo del capitolo di Pittsburgh dell’Organizzazione sionista d’America.

La NUMEC era un fornitore di uranio arricchito per i progetti governativi ma anche fin dall’inizio facciata del programma nucleare israeliano, col suo principale finanziatore David Lowenthal, importante sionista, che si recava in Israele una volta al mese ad incontrare il vecchio amico Meir Amit, a capo dell’intelligence israeliana. Il NUMEC coprì a spedizione di uranio arricchito in Israele affermando che il metallo andò “perso”, perdite che ammontavano a 250 kg, sufficienti a produrre dozzine di armi. Tale era l’importanza dell’operazione che nel 1968 NUMEC ricevette persino una visita privata ed in incognito dall’importante capo delle spie israeliane, Rafi Eitan, che in seguito diresse la spia Jonathan Pollard.

C’erano anche prove fisiche sulla diversione dell’uranio. L’uranio raffinato ha una firma tecnica che consente l’identificazione della fonte. Tracce di uranio dalla NUMEC furono identificate dagli ispettori del dipartimento dell’Energia in Israele nel 1978. La Central Intelligence Agency esaminò la deviazione dell’uranio arricchito dall’impianto NUMEC e concluse che faceva parte di un programma per ottenere la tecnologia e i materiali per un ordigno nucleare israeliano. Coll’uranio in mano, il furto della tecnologia avanzata era necessario per realizzare l’arma nucleare, ed è qui che entrò in gioco il produttore cinematografico di Hollywood Arnon Milchan, nato in Israele ma trasferitosi negli Stati Uniti, divenendo fondatore e proprietario della New Regency Films.

In un’intervista del 25 novembre 2013 alla televisione israeliana, Milchan ammise di aver trascorso i suoi anni a Hollywood come agente dell’intelligence israeliana, aiutando ad ottenere tecnologie e materiali sottoposti a embargo che permisero ad Israele di sviluppare l’arma nucleare. Lavorò per l’Ufficio israeliano della scienza e la divisione di acquisizione dei collegamenti del Mossad, denominata agenzia di spionaggio LAKAM. Milchan ammise che “l’ho fatto per il mio Paese e ne sono orgoglioso”. Non si riferiva agli Stati Uniti. Ed anche disse che “altri grandi nomi di Hollywood erano collegati ai [suoi] affari segreti”. Tra gli altri successi, ottenne attraverso la sua società Heli Trading 800 kryton, i sofisticati inneschi per armi nucleari. I dispositivi furono acquisiti dall’appaltatore top secret della difesa della California MILCO International. Milchan reclutò personalmente il presidente della MILCO Richard Kelly Smyth, come agente, prima di consegnarlo a un altro dipendente della Heli Trading, il futuro primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Smyth fu infine arrestato nel 1985, ma per quanto si sa né Milchan né Netanyahu furono mai interrogati dall’FBI sui furti.

Armi nucleari di Israele sono ora nei notiziari per un editoriale sorprendentemente apparso sul New York Times l’11 agosto, scritto da Peter Beinart, intitolato “Gli USA devono dire la verità sul nucleare di Israele”. Beinart scrisse che “Israele ha già armi nucleari. Non lo saprete mai dai capi nordamericani, che hanno passato l’ultimo mezzo secolo a fingere ignoranza. Questo inganno mina il presunto impegno degli USA alla non proliferazione nucleare e distorce il dibattito nordamericano sull’Iran. È tempo che l’amministrazione Biden dica la verità”. Beinart sottolinea che il pubblico nordamericano difficilmente può dare un giudizio serio su ciò che va fatto in Medio Oriente se non è sicuro che Israele sia una potenza nucleare o meno, ma una questione che non discute è il denaro. Grant Smith dell’IRMEP, che sfidava la segretezza sull’arsenale israeliano, recentemente osservò che “Il Symington & Glenn provisions of the Arms Export Control Act (22 USC §2799aa-1: Trasferimenti di ritrattamento nucleare, esportazioni illegali di ordigni esplosivi nucleari, trasferimenti di ordigni esplosivi nucleari e detonatori nucleari) vietano gli aiuti esteri degli Stati Uniti a Paesi con programmi di armi nucleari che non sono firmatari del Trattato sulla proliferazione delle armi nucleari, in assenza delle procedure speciali richieste…

Ma nessun membro del Congresso ha affrontato questo problema, né ha nemmeno menzionato l’arsenale nucleare di Israele”. Smith era frustrato dalla riluttanza dei progressisti al Congresso, che si opposero ai 735 milioni di dollari in aiuti militari ad Israele che gli permisero di riarmarsi dopo l’assalto agli abitanti di Gaza, di ignorare l’ordine del bavaglio e porre la questione dell’arsenale nucleare. Scrive “Sembra che anche questi membri del Congresso, così come il resto del governo degli Stati Uniti, rispettino tale ordine segreto quando potrebbero intraprendere azioni sfidando il rifiuto dell’amministrazione di riconoscere le armi nucleari d’Israele e possibilmente impedire che 3,8 miliardi di dollari dei contribuenti vadano in Israele”.

Il fatto che il documento del dipartimento dell’Energia esista è un riconoscimento dello stupefacente potere della lobby israeliana sul governo degli Stati Uniti a tutti i livelli, in particolare perché intende ignorare o addirittura negare altre leggi approvate dal congresso per combattere la proliferazione nucleare. E la negazione di ciò che tutti sanno essere vero, cioè che Israele ha un arsenale nucleare, sembra riconducibile alla capacità del governo degli Stati Uniti di continuare a premiare riccamente Israele con miliardi di dollari dei contribuenti, ogni anno. Suggerire che l’accordo sia nefasto sarebbe un eufemismo, ma è più di questo. È criminale.

A Israele è stato permesso di farla franca con un massiccio spionaggio e il furto di materiale e tecnologia diretti contro gli Stati Uniti, mentre dagli anni ’70 fu nche coinvolto in una cospirazione col governo degli Stati Uniti per distorcne la politica estera, in sostanza volto a continuare a ottenere i miliardi di dollari che non ha diritto di ricevere in base alla legge nordamericana. È vergognoso. Oltre a ciò, potrebbe essere interpretato come tradimento.

Philip Giraldi – https://www.strategic-culture.org/news/2021/08/19/israel-secret-arsenal-its-not-so-secret-anymore/

Traduzione di Alessandro Lattanzio – Aurora Sito

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Storia del nucleare, come funziona il sistema immunitario?, Covid-19: Italia dai colori cangianti, forum terzo settore, para-spiritualità e psico-analisi…

Il Giornaletto di Saul del 15 novembre 2020 – Storia del nucleare, come funziona il sistema immunitario?, Covid-19: Italia dai colori cangianti, forum terzo settore, para-spiritualità e psico-analisi…

Care, cari, in 101 pagine la Storia del nucleare. Ovvero da Bosco Marengo al Forum nazionale dei Movimenti Antinucleari e al Referendum 2011, dal dopo Referendum ai governi verde-giallo-rossi (tutti colori inappropriati). Ovvero storia della mobilitazione popolare che contrastò il nucleare e che perseguì la fuoriuscita definitiva anche tramite una sentenza pilota valida per tutti i siti nucleari italiani. (Rete Ambientalista) – Continua: https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2020/11/storia-del-nucleare-in-alessandria.html

Venezuelans Want to Vote! International Webinar – UNAC write: “A discussion with Venezuelan peace organizations on the upcoming legislative elections in Venezuela and how peace forces around the world can help protect the people’s right to vote in the face of U.S. blockade and intervention. November 18, 2020, 6:00 – 8:00 PM (EST) – Info: unac@lists.riseup.net”

Come funziona il sistema immunitario…? – Scrive FLM: “Il sistema immunitario è la nostra polizia interna in difesa della nostra salute e le armi gliele fornisce il nostro stile di vita, la corretta alimentazione, il movimento, l’aria pulita, i pensieri positivi, la serenità di spirito. Il sistema immunitario è un esercito di soldati che si oppongono rapidamente e in modo efficace ad ogni potenziale nemico: microrganismi, proteine estranee, cellule infettate o tumorali. I batteri simbiotici, i microbi che si trovano su pelle e mucose, che impediscono lo sviluppo di altri microbi dannosi…” – Continua: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2020/11/14/come-funziona-il-sistema-immunitario/

Il centro della bellezza – Scrive Spiritual: “Esiste un “centro della bellezza” nel cervello? Per decenni psicologi e neuroscienziati hanno indagato sulla questione senza raggiungere un verdetto. Ora una meta-analisi di studi sull’fMRI di quasi 1.000 persone conclude che no, non abbiamo un centro della bellezza. Ne abbiamo due…”

Il Sudan che ci fa sudare… – Scrive J.E.: “Casino in Tigrai, base russa in Sudan, Suez-Negev sta poco più su. Basta collegare i puntini. Petrolio o gas? Biden o Trump? Cina o Russia? Armeni o Azeri? Covid o Terrorismo ‘islamico’? Greta o Elkann? Ce le stanno tirando come scelte, ma scelte non sono. La soluzione, se c’è, sta fuori dal quadro. E ad ogni modo mai definitiva: qualcuno però la definiva “permanente”…”

Covid-19. L’Italia dai colori cangianti – Scrive Michele Rallo: “Parliamo dei guai di casa nostra. Ultimi – in ordine di tempo – quelli di una divisione in zone dell’Italia che risulta semplicemente ridicola, con coloriture regionali che sembrano distribuite a casaccio dai pennarelli di un bambino daltonico. Come mai?…” – Continua: https://paolodarpini.blogspot.com/2020/11/covid-litalia-dai-colori-cangianti-e.html

Uranio impoverito: il “metallo del disonore” – Scrive Erre Emme: “Un mese fa è morto Marco Diana, 50 anni, ex maresciallo dell’Esercito, simbolo della lotta all’uranio impoverito: aveva un tumore al sistema linfatico. Per oltre 10 anni impegnato in missioni militari in Somalia e Kosovo. Salgono così a 381 le morti accertate di militari per esposizione all’uranio impoverito, e oltre 7.800 gli ammalati, tra i soldati che hanno partecipato alle cosiddette “missioni di pace”, sin dagli anni ‘90, con invasioni e bombardamenti in Bosnia, Serbia, Afghanistan, Iraq, ecc.”

Forum terzo settore. DL Ristori – Scrive Claudia Fiaschi: “La nuova ondata epidemiologica ha portato all’adozione, tramite vari DPCM, di norme restrittive per lo svolgimento di numerose attività. Molti sono i soggetti toccati dai provvedimenti e pertanto il governo ha previsto l’introduzione di diverse misure di ristoro…” – Continua: https://auser-treia.blogspot.com/2020/11/nota-dal-forum-terzo-settore-dl-ristori.html

Incertezze – Scrive Paola Manduca: “Deterrenza o preparazioni? africa come medio oriente o africa che eviterà altre guerre magari per un altro 30ennio? e cosa succederà ancora nel nord Africa? Ogni tanto negli ultimi 2-3 anni faccio delle liste dei conflitti violenti in corso, o elezioni democratiche contestate o guerre. Sono sempre liste molto lunghe e sempre si allungano…”

Situazione negli USA. Trump-Biden ed altro ancora. Una analisi di Jimmie Moglia: https://attivo.news/jimmie-moglia-elezioni-usa-ecco-tutto-quel-che-non-torna-e-che-dovreste-sapere/?fbclid=IwAR1JrouD-sfLoJ9pzZWXr8IK_iVUKEu_Nd9_a-CMuyP6hEsCA1XvdIiva04

La storia di Nesara-Gesara – Scrive M.B.: “Sono in contatto diretto con l’uff. USA che si occupa della parte economica del progetto e sto aspettando da un momento all’altro che mi avvisino della data/ora dell’annuncio, nella speranza che non ci siano più impedimenti – https://mednat.news/finanza/nesara.htm – Si notino le ragioni vere dell’attentato dell’11.09.2001, che non ha nulla a che vedere con Bin Laden…”

Para-spiritualità e psico-analisi… – Scrive Giovanni Lamagna: “Ho sempre avuto la sensazione, una specie di intuizione prelogica, che tra esperienza mistico/spirituale ed esperienza psicoterapeutica, soprattutto psicoanalitica, ci fossero delle analogie, delle omologie. Di questa sensazione/intuizione ho avuto una piccola conferma leggendo…” – Continua: http://riciclaggiodellamemoria.blogspot.com/2019/12/para-spiritualita-e-psico-analisi.html

Ciao, Paolo/Saul

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Pensieri poetici del dopo Giornaletto:

“Siate pazienti con voi stessi poiché siete l’unico ostacolo.” (Sri Nisargadatta Maharaj)

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“La Libertà vale più della vita…
per cui, se te la vendi o te la fai togliere….
non rimarrà loro che darti il colpo di grazia
…perché sei già moribondo”
(Giuseppe Altieri)

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Bioregionalismo e identità ecologica, Treia: scuolina di agricoltura bioregionale, tutti i danni dell’energia nucleare, lo sputo in faccia come insegnamento…

Il Giornaletto di Saul del 9 agosto 2020 – Bioregionalismo e identità ecologica, Treia: scuolina di agricoltura bioregionale, tutti i danni dell’energia nucleare, lo sputo in faccia come insegnamento…

Care, cari, la natura opera secondo un sistema di nutrienti e metabolismi in cui non esistono rifiuti. Un ciliegio fa germogliare fiori e (forse) produce frutti. È per questo che gli alberi fioriscono. Ma i fiori che danno frutti sono tutt’altro che inutili. Cadono al suolo, si decompongono, nutrono vari organismi e microrganismi, e arricchiscono il terreno. Gli animali e gli uomini emettono biossido di carbonio che le piante assorbono e usano per crescere. L’azoto contenuto nei rifiuti viene trasformato in proteine da microrganismi, animali e piante… – (Fulvio Di Dio) – Continua: http://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2018/04/bioregionalismo-e-identita-ecologica.html

Bugie USA sui “lavori forzati” degli Uiguri – Scrive Marx21: “Alcuni media occidentali “trovano” solo materiali che si adattano alle loro previsioni o ai loro scopi”, ha detto al Global Times Mao Junxiang, direttore esecutivo e professore del Human Rights Studies Center. Tutto ciò allo scopo di diffamare le politiche di riduzione della povertà della Cina nello Xinjiang, poiché il trasferimento di manodopera in eccedenza è un modo importante per aumentare i redditi dei residenti locali. Le “accuse” alla Cina sul lavoro forzato nello Xinjiang trascurano la volontà dei residenti dello Xinjiang di lavorare e di perseguire una vita migliore, ha detto Zhu Ying, vice direttore della National Human Rights Education al Global Times…”

Tutti i danni dell’energia nucleare – Per fabbricare bombe atomiche serve uranio arricchito (ed anche sporco), plutonio, ed altre cosette, e come meglio mascherare questa produzione se non giustificandola con la scusa della produzione energetica? E la cosa si evidenzia da sé quando osserviamo l’attenzione fissata sugli impianti nucleari dell’Iran o Nord Corea, così osteggiati da USA e Israele… – Continua: https://paolodarpini.blogspot.com/2020/08/lenergia-atomica-e-cattiva-sia-in-pace.html

Treia. Reduci da contrada Moje l’8 agosto in commemorazione del Mahasamadhi del mio nonno spirituale Nityananda siamo stati a contrada Moje di Treia a casa di Andrea e Chiara, dove si è tenuta la Festa dell’acquacotta. Domani vi racconteremo qualcosa su quanto abbiamo vissuto assieme a numerosi bambini, donne e anziani…

Treia. Una scuolina di agricoltura bioregionale – Continuando il discorso sul ritorno alla terra a questo punto è necessario che io parli della reale condizione della nostra ‘azienda agricola sperimentale’ di Treia, che in effetti azienda non è ma trattasi di un orticello urbano in cui apprendere (o ricordare) un diretto contatto con la natura e con le piante… – Continua: http://www.lteconomy.it/blog/2020/08/08/treia-una-scuolina-di-agricoltura-bioregionale-sempre-aperta/

Basta violenza contro le donne – Scrive Donna George: “On behalf of (EVAWI) End Violence Against Women International, I invite you to the up coming International conference, Taking place from September 13-18 2020 in The United States, and in Lome Togo, from September 21-25 2020. Info: donad9@abv.bg”

Lo sputo in faccia come insegnamento – Scrisse Osho: “Il Buddha era seduto sotto un albero a parlare ai suoi discepoli. Arrivò un uomo e gli sputò in faccia. Egli si asciugò, e chiese all’uomo, “E poi? Cosa vuoi dire dopo?”. L’uomo era un po’ perplesso perché non si aspettava che, dopo aver sputato sul volto di qualcuno, gli si chiedesse: “E poi?” Non era mai successo in suo passato. Aveva insultato persone e loro si erano arrabbiati, avevano reagito. Ma Buddha non è come gli altri, non si è arrabbiato, né in alcun modo offeso. Ma ha detto semplicemente: “E poi?”…” – Continua: http://riciclaggiodellamemoria.blogspot.com/2014/03/lo-sputo-in-faccia-come-insegnamento.html

Ciao, Saul, Paolo

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Pensiero poetico del dopo Giornaletto:

“Il frutto tamarindo è appiccicoso al tocco ma le anime grandi sono come il seme di tamarindo, puro e immacolato. I loro cuori sono eternamente giovani.” (Sutra 35)

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“Guerre e Armi della Nato sono Nemiche del Clima” – “Eco-pax unica via”… di Marinella Correggia ed Angelo Baracca

Ante Scriptum – Come Rete No War abbiamo portato alla manifestazione di Roma, del 27 settembre 2019, cartelli tipo: Guerre e Armi, il “Clima Brucia i Popoli Muoiono” e “Guerre e Armi della Nato sono Nemiche del Clima” e “Eco-pax unica via” (M.C.)

Non dimentichiamo che anche le guerre e il complesso militar industriale uccidono il clima – oltre ai popoli!

Ci fu chi parlò di «seconda superpotenza mondiale»: il 15 febbraio 2003
milioni di persone scesero in piazza in quasi tutti i paesi del pianeta,
simultaneamente, per dire no alla guerra di Bush Blair e valvassori contro
l’Iraq, «no alla guerra per il petrolio e per gli affari». Quell’esperienza di rivolta
pacifica planetaria, epica ma senza successo (non fu fermata nemmeno una
bomba), non si è ripetuta in occasione di successive guerre di aggressione
diretto o per procura, né per altre emergenze, ambientali e sociali.
Oggi è il movimento dei giovani per il clima e per un’esistenza futura a dilagare
come uno tsunami – metafora non casuale – in tutto il pianeta.

Impegnarsi contro il caos climatico e – allo stesso tempo – opporsi alle
guerre e al complesso militar industriale dovrebbe essere un’ovvietà. Il
raggiungimento dell’obiettivo primario di zero emissioni è impossibile senza
includere il complesso militar-industriale, le sue basi territoriali, i suoi eserciti
e il suo risultato più tragico: le guerre di aggressione, gli interventi umanitari
responsabili di devastazioni ambientali, vittime umane e spostamenti di
popolazione. incalcolabili. Aeree e terrestri. Un carrarmato e un
cacciabombardiere fanno guerra anche al clima.

Eppure, non solo i governi presenti al Climate Action Summit dell’Onu
non hanno fatto parola dell’argomento bellico (nascosto sotto il tappeto
anche nei negoziati annuali, le Cop), ma anche a livello di movimenti di
massa per il clima, manca la contestazione delle attività militari in tutti i
loro sensi. L’antimilitarismo dovrebbe imporsi fra gli ecomilitanti insieme al
concetto di carbon bootprint (impronta climatica degli scarponi militari):
l’impatto climalterante di energivori sistemi d’arma, basi e apparati, aerei, navi,
carri armati, eserciti; soprattutto durante gli interventi bellici veri e propri.
Secondo il rapporto A Climate of War. The war in Iraq and global warming
(http://priceofoil.org/2008/03/01/a-climate-of-war/ ), i primi quattro anni di
pesantissime operazioni militari in Iraq dal 2003 hanno provocato l’emissione
di oltre 140 milioni di tonnellate di gas serra (CO2 equivalente), più delle
emissioni annuali di 139 paesi. Lo studio Pentagon Fuel Use, Climate
Change, and the Costs of War
(https://watson.brown.edu/costsofwar/files/cow/imce/papers/2019/Pentagon%20Fuel%20
Use,%20Climate%20Change%20and%20the%20Costs%20of%20War%20Final.pdf ) di
Neta Crawford della Boston University nell’ambito del progetto Cost of war,
analizza il consumo di carburante nelle guerre Usa «antiterrorismo» post-11
settembre (non dimentichiamo che l’Italia è corresponsabile avendo
partecipato). Dal 2011 al 2017: la stima al ribasso, per il solo consumo di
combustibile, arriva all’emissione di 1,2 miliardi tonnellate di gas serra (CO2
equivalente). Ma queste stime non comprendono la produzione di armi e il suo
zaino ecologico e climatico, né l’impatto sul clima e sull’ambiente delle
distruzioni massicce di infrastrutture, case, servizi, tutto da ricostruire. Milioni
di tonnellate di cemento (fra le produzioni industriali più energivore),
combustibili per i macchinari ecc. Un cappio al collo del pianeta, come
sintetizzava l’appello «Stop the Wars, stop the warming» lanciato dal
movimento World Beyond War (Wbw) alla vigilia della Conferenza sul clima
di Parigi (2015): «L’uso esorbitante di petrolio da parte del settore militare
statunitense serve a condurre guerre per il petrolio e per il controllo delle
risorse, guerre che rilasciano gas climalteranti e provocano il riscaldamento
globale. È tempo di spezzare questo circolo: farla finita con le guerre per i
combustibili fossili, e con l’uso dei combustibili fossili per fare le guerre».
Stesso tono nel rapporto Demilitarization for Deep Decarbonization
( https://www.ipb.org/wp-
content/uploads/2017/03/Green_Booklet_working_paper_17.09.2014.pdf ) curato da
Tamara Lorincz per l’International Peace Bureau (Ipb): «Ridurre il complesso
militar-industriale e ripudiare la guerra è una condizione necessaria per salvare
il clima, destinando le risorse risparmiate all’economia post-estrattiva e alla
creazione di comunità resilienti». Si consideri anche – dice Lorincz – che per
avere speranze, «l’80-90% dei combustibili fossili dovrebbe rimanere
sottoterra», dunque «tutto quello che viene estratto andrebbe usato per la
transizione a un sistema a zero emissioni, non per i militari».

Il più studiato è il complesso militar-industriale statunitense, che certo è
l’imputato principale (solo 35 paesi al mondo consumano più energia fossile di
quest’entità. Ma gli altri paesi sono complici.

Lo scorso luglio, Wbw ha presentato un nuovo rapporto, The US military
and climate change ( https://worldbeyondwar.org/wp-
content/uploads/2019/07/impact.pdf ), nel quale si visualizza, grazie al calcolatore
di emissioni, il confronto fra l’impatto climatico dei consumi per usi civili e
quello di un mezzo di trasporto grigioverde. Nel libro The Green Zone. The
Environmental Costs of Militarism (2009), l’ex docente di storia delle idee
Barry Sanders riporta un calcolo impressionante: l’esercito Usa, strumenti
connessi, contribuirebbe da solo ad almeno il 5% delle emissioni di gas serra
totali; a questo vanno aggiunti gli eserciti, le armi e le operazioni degli altri. Le
spese militari mondiali (gli Usa fanno la parte della tigre) sono arrivate a 1,74
trilioni di dollari nel 2017, secondo il Sipri di Stoccolma. Trilioni traducibili in
un’enormità di tonnellate di gas serra. Trilioni per distruggere.

I militari si occupano di clima, ma non certo per produrre meno armi e
fare meno guerre. Il libro The Secure and the Dispossessed. How the Military
and Corporations are Shaping a Climate-Changed World (Pluto Press) curato
da Nick Buxton e Ben Hayes illustra le strategie del settore militare e delle
multinazionali per gestire i rischi (anche con la geoingegneria che
pretenderebbe di attenuare gli effetti del riscaldamento globale senza la
necessaria drastica riduzione delle emissioni). Il fine è proteggere pochi in
nome della sicurezza escludendo i non privilegiati. In barba alla giustizia
climatica. Del resto il National Defense Authorization Act (Ndaa) per il 2018
firmato dallo stesso Donald Trump si preoccupa della «vulnerabilità delle
installazioni militari ai prossimi eventi climatici» e la US Navy ha pubblicato
un manuale sulle tecniche di resilienza grigioverde. Loro sono preparati.
Anche la Nato, nella «Wales Summit Declaration»
(http://www.europarl.europa.eu/meetdocs/2014_2019/documents/sede/dv/sede2
40914walessummit_/sede240914walessummit_en.pdf ) che concludeva nel
2014 una riunione del North Atlantic Council (organo decisionale
dell’Alleanza), vede fra i cambiamenti climatici uno dei fattori che hanno e
avranno un «impatto sulla sicurezza ambientale» e che possono «interessare in
modo significativo la pianificazione e le operazioni della Nato». La quale si
impegna non certo a estinguersi o quantomeno a non far più guerre ma a
migliorare la propria efficienza energetica…Ma come farà il settore militare ad
affrontare una vera transizione post-fossile? Improbabile che le guerre del
futuro si facciano con cacciabombardieri a pannelli solari, carri armati a
idrogeno e successiva ricostruzione degli edifici con balle di paglia e canapa.

E non finisce qui. Il settore militare non solo inquina ma contamina, trasfigura,
rade al suolo. Il destino della Terra e del mondo è nelle mani delle armi» (Barry
Sanders). Le attività militari sono responsabili di molte forme di inquinamento
e danni alla salute delle popolazioni: dai metalli pesanti per finire all’uranio
impoverito, e anche al torio per la sperimentazione di razzi nei poligoni di tiro.
Non meno grave è l’occupazione di territori che dovrebbero essere adibiti a
coltivazioni o altre attività umane utili, e che invece rimangono gravemente e
permanentemente contaminati dalle attività militari. Come esempio sono noti -
ma i procedimenti giudiziari sono insabbiati – i danni alla salute umana e degli
animali, e ovviamente all’ambiente, dei poligoni di tiro in Sardegna, regione
che detiene il record di servitù militari in Italia. In molti casi si inquinano anche
le fonti idriche, come sottolineano i pacifisti tedeschi che lottano per la chiusura
della base di Ramstein (hanno anche presentato un piano per la sua eco-
riconversione).

Uranio impoverito: i casi riconosciuti di tumori (e di decessi) che hanno
colpito i soldati italiani che servirono all’estero hanno superato i 300.
Ovviamente poco si sa sull’aumento di tumori e malattie a danno delle
popolazioni vittime degli indiscriminati attacchi militari, e che ovviamente non
hanno canali per ricorrere alla giustizia o ottenere risarcimenti (il Tribunale per
la ex Jugoslavia archiviò le denunce contro la Nato).

C’è da aggiungere che le spese militari (oltre 1.700 miliardi di dollari a livello
mondiale, in Italia 80 milioni di euro al giorno) sono risorse sottratte agli
investimenti sociali e alla riconversione verso un’economia equa ed ecologica.
E poi, il nucleare militare. La fine della civiltà umana per la minaccia dello
sconvolgimento del clima potrebbe avvenire a causa di una «scorciatoia»: una
guerra nucleare, anche con l’uso di un numero ridotto delle armi nucleari ancora
esistenti (quasi 15.000) e operative (quasi 5.000) causerebbe per la sola
emissione di polveri e detriti (anche senza contare le distruzioni dirette e il fall-
out radioattivo e le sue conseguenze sanitarie) un drastico oscuramento, e
conseguente raffreddamento dell’atmosfera terrestre, un cosiddetto «inverno
nucleare» con drastici danni all’agricoltura e drammatiche carestie. Le
simulazioni indicano che una guerra nucleare fra India e Pakistan
(costantemente sull’orlo di un conflitto) che esplodano la metà dei loro arsenali
nucleari, circa 260 testate complessive, potrebbe causare fino a 2 miliardi di
vittime. Non per nulla, la rete Peace and Planet e l’International Peace Bureau
organizzano a New York il prossimo aprile la conferenza mondiale «Abolire le
armi nucleari; affrontare la crisi climatica; per la giustizia economica e sociale».
Le mobilitazioni in Italia dovrebbero chiedere al governo di firmare e ratificare
il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari approvato dall’Onu il 7 luglio del
2017.

Angelo Baracca
Marinella Correggia

Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata su Il Manifesto del 27 settembre 2019

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Commento di M.M. di No War Roma: “Anche i più riottosi infine si sono decisi a partecipare alla manifestazione del 27 settembre, facendosi una ragione del perché è bene esserci “malgrado Greta”. Non siam proprio l’ombelico del mondo, a quanto pare!…”

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Hiroshima e Nagasaki… e la lezione dimenticata

Col passare dei decenni si fa sempre più pallido e formale il ricordo dell’esplosione, il 6 agosto del 1945, della prima bomba atomica americana sulla città giapponese di Hiroshima, seguita, il 9 agosto, da quella di una simile bomba atomica sull’altra città giapponese di Nagasaki: con duecentomila morti finiva la seconda guerra mondiale (1939-1945), e cominciava una nuova era, quella atomica, di terrore e di sospetti, eventi che hanno cambiato il mondo e che occorre non dimenticare.

L’ ”atomica” era il risultato dell’applicazione militare di una rivoluzionaria scoperta scientifica sperimentale: i nuclei dell’uranio e di alcuni altri atomi, urtati dai neutroni, particelle nucleari prive di carica elettrica, subiscono “fissione”, si frantumano in altri nuclei più piccoli con liberazione di altri neutroni che assicurano la continuazione, a catena, della fissione di altri nuclei. In ciascuna fissione, come aveva previsto teoricamente Albert Einstein (1879-1955) nel 1905, si liberano grandissime quantità di energia sotto forma di calore. Energia che avrebbe potuto muovere turbine elettriche, navi e fabbriche, ma che avrebbe potuto essere impiegata a fini bellici.

La fissione anche solo di alcuni chili dello speciale isotopo 235 dell’uranio, o dell’elemento artificiale plutonio, libera energia con un effetto distruttivo confrontabile con quello di alcuni milioni di chili di tritolo, uno dei più potenti esplosivi disponibili. I danni sono ancora più grandi perché molti frammenti della fissione dell’uranio o del plutonio sono radioattivi per decenni o secoli. Dal 1945 Stati Uniti, Unione Sovietica (l’attuale Russia), Francia, Regno Unito, Cina, India, Pakistan, Israele, hanno costruito bombe atomiche sempre più potenti a fissione, o bombe a idrogeno, termonucleari, nelle quali la liberazione del calore si ha dalla fusione, ad altissima temperatura e pressione, degli isotopi dell’idrogeno, il deuterio e il trizio.
Circa duemila esplosioni sperimentali di bombe nucleari nei deserti, negli oceani, nel sottosuolo, hanno mostrato che cosa una moderna bomba atomica potrebbe fare, se sganciata su una città. Ciascuna potenza nucleare si è dotata di bombe nucleari per avvertire qualsiasi potenziale nemico che, se usasse una bomba atomica, verrebbe a sua volta immediatamente distrutto: la chiamano deterrenza e questa teoria finora ha fatto vivere il mondo con un continuo stato di tensione. L’esistenza delle bombe nucleari ha sollevato proteste finora inascoltate; anzi si può dire che la contestazione ecologica sia cominciata proprio con la protesta contro tali armi.

Con la graduale distensione internazionale, a poco a poco le potenze nucleari hanno cominciato a smantellare una parte delle bombe esistenti. Nel 1986, l’anno della massima tensione, nel mondo esistevano 65.000 bombe atomiche e termonucleari; oggi tale numero è diminuito a circa 17.000 bombe, delle quali alcune migliaia sono montate su missili pronti a partire entro un quarto d’ora dall’ordine. La potenza distruttiva delle bombe nucleari ancora esistenti nel mondo equivale a quella di duemila milioni di tonnellate di tritolo, settecento volte la potenza distruttiva di tutte le bombe impiegate durante la seconda guerra mondiale.

Basterebbe l’esplosione, anche accidentale, di una nelle bombe nucleari esistenti, un atto di terrorismo con esplosivi nucleari, per devastare vasti territori, per uccidere migliaia di persone, per contaminare l’ambiente naturale, le acque, gli esseri viventi con sostanze che restano radioattive per secoli. Un famoso libro di Nevil Shute, “L’ultima spiaggia”, del 1956 (da cui fu tratto un drammatico film), descriveva la scomparsa della vita dalla Terra in seguito ad uno scambio di bombe nucleari iniziato per errore; il film finiva con il tardivo avvertimento: “Fratelli, siamo ancora in tempo”.

Purtroppo, fino a quando alcune potenze possiedono bombe nucleari, sarà difficile convincere altre a rinunciare alla costruzione di un loro arsenale nucleare, nell’illusione di scoraggiare l’aggressione da parte di “qualcun altro”. L’unica soluzione consiste nel disarmo nucleare totale, peraltro imposto dall’articolo VI del Trattato di non proliferazione nucleare, firmato da quasi tutti i paesi, ma che nessuno finora si è sognato di rispettare.

Eppure sarebbe anche questione di soldi; le enormi somme, oltre mille miliardi di euro all’anno, che oggi le potenze nucleari spendono per tenere in efficienza, per aggiornare e perfezionare i propri arsenali, anche detratti i costi per lo smantellamento e la messa in sicurezza delle bombe nucleari esistenti e dei relativi “esplosivi”, sarebbero sufficienti per assicurare scuole e ospedali, opere di irrigazione e cibo a chi ne è privo, per estirpare cioè le radici della violenza che è la vera causa delle tensioni politiche e militari internazionali.

Fratelli, non crediate che siano utopie: davvero “siamo ancora in tempo” a fermare il pericolo di un olocausto nucleare molte volte più grande di quello di Hiroshima e Nagasaki, a condizione di chiedere ai governanti di ciascuno e di tutti i paesi della Terra di inserire il disarmo nucleare totale fra le loro priorità di azione politica. Nel nome dei soldi risparmiati, se non gli importa niente della sopravvivenza degli abitanti del pianeta e del suo ambiente naturale.

Giorgio Nebbia – nebbia@quipo.it

Fonte: https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2018/08/hiroshima-e-nagasaki-e-la-lezione.html

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