L’ARTICOLO CHE SEGUE VUOLE ESSERE UNA SORTA DI GUIDA PER TUTTI COLORO (E SONO TANTI, DIREI LA MAGGIOR PARTE) CHE PARLANO DEL CONFLITTO TRA PALESTINESI E ISRAELIANI SENZA CONOSCERE MINIMAMENTE LA STORIA. OVVIAMENTE LA MIA RICOSTRUZIONE CERCHERÀ DI ESSERE IL PIÙ POSSIBILE OBIETTIVA E NON PRETENDO CERTO CHE VENGA PRESA COME “FONTE DI VERITÀ ASSOLUTA”, MI PIACEREBBE PERÒ CHE CHI ABITUALMENTE MI LEGGE (ANCHE SU TUTT’ALTRI ARGOMENTI) CONSIDERASSE QUESTO MIO LAVORO COME IL RISULTATO DI UN RAGIONAMENTO E DI UNA RICERCA FATTA CON LA MASSIMA RIGOROSITÀ E BUONA FEDE. SE POI QUALCUNO NON SARÀ D’ACCORDO CON QUANTO SCRITTO È LIBERO DI LASCIARE I SUOI COMMENTI (OVVIAMENTE SE SUPPORTATI DA PROVE, DOCUMENTI E NON SOLO DA SENTITO DIRE O DA LINK DI SITI DI DISINFORMAZIONE). AVVISO TUTTI CHE QUESTO PIÙ CHE UN ARTICOLO SI RIVELERÀ UNA SORTA DI PICCOLO LIBRO PER CUI CONSIGLIO DI AFFRONTARE LA LETTURA SOLO A CHI HA MOLTA PAZIENZA E CHI REALMENTE VUOLE CONOSCERE ED ESSERE INFORMATO. Stefano Davidson – (stefanodavidson@virgilio.it)
Bagnata a Ovest dalle acque del Mediterraneo, chiusa a Sud dal deserto del Sinai e a Est da quello di Siria, confinante a Nord con le propaggini meridionali del Libano, la Palestina si estende longitudinalmente per non più di 140 km e latitudinalmente per circa 240 km.
Anticamente interessata, per la sua posizione lungo la rotta che conduce dall’Egitto alle vaste pianure mesopotamiche, da ampi fenomeni migratori e percorsa da importanti piste commerciali, sul finire del XIII secolo a.C. il primo nucleo di coloro che avrebbero costituito il regno di Israele elesse la regione a propria dimora, incidendo profondamente sul ruolo che avrebbe ricoperto nel lungo cammino della storia.
In quell’epoca il Medio Oriente e il bacino del Mediterraneo vivevano un periodo di instabilità politica caratterizzato dal graduale, e talvolta perfino improvviso, declino degli imperi che avevano assunto un ruolo egemonico durante l’intero II millennio e dalla comparsa di nuove popolazioni. In Egitto, dopo la crisi interna che aveva portato alla caduta della XVIII dinastia, Ramesse, un generale originario di Avaris, aveva assunto il potere e, nonostante un breve regno durato poco più di un anno, dal 1305 al 1036, riuscì a passare lo scettro al figlio Sethi. La XIX dinastia riuscì a riportare sotto il proprio controllo la Palestina e altre terre confinanti solo grazie a un dispendioso impegno militare nel confronto con il rivale Ittita, il regno di Mitanni e l’astro nascente della potenza Assira.
Durante il XIII secolo, l’interesse dell’Egitto verso l’Asia fu tale che vennero adottate centinaia di parole di origine semitica, gli dei di Canaan, il nome ufficiale di una provincia che comprendeva però solo una parte della Palestina, entrarono nel pantheon egizio e la capitale fu trasferita a Avaris, non molto distante dallo stretto di Suez. Il nuovo centro amministrativo diede l’impulso a un’imponente opera di costruzione nella quale vennero impiegati degli schiavi di stato identificati con il nome di ‘Apiru. Un termine che indicava più una classe sociale che un popolo, ma di cui fece probabilmente parte il ceppo originario degli Israeliti.
Un’iscrizione che invoca il Dio degli ‘Apiru con un tono simile a quello utilizzato nella Bibbia per il Dio degli Ebrei, assieme a una certa affinità etimologica di entrambe i nomi, può far ritenere che gli Ebrei fossero effettivamente identificati con gli ‘Apiru. Il primo riferimento a Israele compare del resto solo verso la fine del secolo quando il faraone Marniptah, nel quinto anno del suo regno, intorno al 1220, per commemorare le proprie vittorie in palestina, fece erigere una stele sulla quale vennero incisi i nomi dei popoli sconfitti. Gli studiosi avanzano però numerosi dubbi sul fatto che il popolo di Israele battuto dall’esercito egizio fosse lo stesso di cui si parla nel libro dell’Esodo. É infatti possibile, se non altamente probabile, che un gruppo tribale riconosciuto come Israele si fosse stanziato in Palestina ben prima di Mosè. Questi avrebbe forse guidato fuori dai confini dell’Egitto un gruppo che, dopo aver adottato le pratiche monoteistiche che l’avrebbero contraddistinto nei secoli successivi, sarebbe stato successivamente assorbito dall’Israele cui fa riferimento la stele di Marniptah.
Intorno agli inizi del II millennio avanti Cristo, i rilevamenti archeologici e le numerosi fonti scritte finora ritrovate, attestano inoltre la migrazione di gruppi seminomadi dedite alla pastorizia dalle pianure mesopotamiche alla Palestina. Queste tribù, dello stesso ceppo Amorita, come venivano identificate le popolazioni semitiche nord-occidentali, dal quale trae origine, per larga parte, il popolo ebraico, furono verosimilmente guidate da coloro che nei racconti biblici avrebbero ricoperto la figura dei patriarchi.
Sul finire del III millennio avanti Cristo la Palestina era stata oltretutto coinvolta da un lungo periodo di crisi che aveva visto scomparire, in alcune aree anche per diversi secoli, i primi esempi di insediamenti urbani, favorendo lo stanziamento di nuovi popoli.
Una situazione analoga si verificò sul finire del XIII secolo, quando ebbe luogo la conquista israelita della regione. L’intera area era controllata da una serie di sovrani locali di stirpe canaanita a loro volta vassalli dell’Egitto, l’insoddisfazione che aleggiava nelle campagne, e perfino tra gli abitanti delle città, rendeva però il loro dominio a dir poco precario. I gruppi tribali guidati da Mosè, o da capi carismatici dai tratti non troppo differenti da quelli riportati nella Bibbia, avevano da poco adottato il culto di Yaweh e la prospettiva della Terra Promessa animava i loro animi. Non è da trascurare che nessuno fra loro provenisse dall’aristocrazia guerriera, per la maggior parte erano semplici lavoratori e pochi erano persino quelli specializzati. Lo scontento delle popolazioni locali spinse queste ultime a accogliere con favore i nuovi venuti, adottando la nuova religione e dando inizio alla classica struttura tribale del popolo di Israele.
Nel corso dell’aspro confronto che si susseguì nei decenni successivi i re canaaniti vennero gradualmente privati del proprio trono e le loro città vennero distrutte una ad una. Non è però da escludere che la vittoria delle tribù israelite fosse stata favorita da insurrezioni scoppiate all’interno degli stessi centri canaaiti. Durante questa prima fase della colonizzazione, gli uomini delle tribù posero la propria fiducia nelle mani di uomini che, non potendosi ergere come capi supremi, essendo la figura del monarca antitetica alla struttura originaria della società israelitica, si affidarono al proprio carisma. Gedeone, Sansone e Iefta sono solo alcuni fra i nomi riportati nel libro dei Giudici.
Intorno alla metà dell’XI secolo, la solidità dell’ordinamento tribale subì però un grave colpo quando i Filistei, che potevano contare su un’aristocrazia guerriera determinata e un’organizzazione militare più evoluta, iniziarono a minacciare l’indipendenza degli israeliti. I Filistei si erano trasferiti nella regione quasi contemporaneamente agli anni dell’Esodo. Alcuni dotti amano associare al loro nome l’etimo della parola Palestina, mentre altri fanno derivare quest’ultima da una variazione greca, e poi latina, di Israele. Senza dubbio i Filistei ricoprivano intorno all’XI secolo un ruolo non trascurabile nell’intera provincia. Intorno al 1050 a.C., in seguito alla decisiva sconfitta nei pressi di Afek, agli estremi del piano costiero, gli Israeliti dovettero, almeno temporaneamente, accettare il ruolo del nuovo dominatore. Furono loro imposte drastiche limitazioni, fra cui l’impossibilità di portare armi.
La gravità della situazione, spinse la confederazione delle tribù a infrangere il principio fino ad allora rispettato di non accettare un’autorità regale. A Saul, un beniamita della città di Gibeah, fu offerta la corona israelita. La scelta fu senza dubbio felice perchè il primo monarca del popolo ebraico fu in grado di affrontare e sconfiggere il nemico ora affiancato anche dagli Ammoniti. A Saul successe David, che trasferì l’Arca dell’Alleanza a Gerusalemme, probabilmente scelta per la posizione neutrale di cui godeva, e unificò sotto il proprio controllo l’intera Palestina.
Durante il regno di Davide Israele raggiunse una relativa importanza politico-militare al punto che lo stesso Egitto ne rispettava i confini trattando la giovane nazione come proprio pari. Salomone, il cui governo si protrasse per quasi quarant’anni, dal 961 al 922, fu l’ultimo dei grandi sovrani israeliti. L’aspra politica fiscale adottata dal monarca passato ai posteri per la propria saggezza, fu però la causa di un generale malcontento, sentito soprattutto dalle tribù del Nord. L’assenza di figure carismatiche sulla scena politica contemporanea fece sì che il dissenso sfociasse nell’aperta ribellione e le regioni settentrionali ottenessero l’indipendenza. Il popolo ebraico, e la Palestina, si trovò così diviso in due entità ben distinte fra loro, il modesto Regno di Giuda a Sud, sotto il cui controllo si trovava Gerusalemme, e il più ricco Regno di Israele a Nord. Rivalità intestine e i continui conflitti con la vicina Damasco indebolirono però quest’ultimo che, coinvolto in uno scontro aperto con la sorgente potenza Assira, venne definitivamente sottomesso dalle truppe di Sargon II fra il 722 e il 721 a.C.
Il nuovo dominatore non tardò a far sentire la propria influenza con un vasto piano di colonizzazione, attuato attraverso la deportazione sia delle popolazioni israelitiche sia di popolazioni mesopotamiche, delle regioni conquistate. La nuova componente, pur portando con sé usi e costumi fino ad allora estranei all’area palestinese, si amalgamò ben presto con le popolazioni locali di origine ebraica. I loro discendenti furono successivamente identificati con il nome di Samaritani di cui alcune comunità sussistono tuttora nel moderno stato di Israele. Il Regno di Giuda, adottando una politica isolazionista, mantenne invece la propria indipendenza per quasi quattro secoli, pur caratterizzata, negli ultimi due, da un rapporto di sudditanza con l’Assiria, l’Egitto o Babilonia.
Nello stesso periodo, anche grazie all’opera di profeti come Ezechia e Isaia, la religione ebraica attraversò un’ulteriore fase di evoluzione, probabilmente grazie alla quale, negli anni più difficili dell’occupazione babilonese, fu in grado di resistere alle influenze esterne mantenendo così compatta l’identità del popolo di Giuda. Il quale, nel 586 a.C., diede inizio a un aspro tentativo di rivolta contro l’autorità del nuovo impero mesopotamico che, fallito drammaticamente dopo quasi cinque anni di accanita resistenza, diede inizio alla deportazione e al triste periodo, ricordato nella Bibbia, dell’Esilio Babilonese.
La deportazione di parte della classe dirigente della Giudea era già stata condotta nel 597 a.C., ma le misure adottate nel 586 a.C. e, in seguito a ulteriori disordini, nel 582 a.C., furono tali da provocare una profonda crisi socio economica in tutta la Giudea. La quale, assimilata amministrativamente alla Samaria, scomparve come entità a se stante all’interno dell’ordinamento babilonese. In Palestina rimasero solo i contadini e i manovali, mentre, fra il Tigri e l’Eufrate, gli ultimi profeti tentavano di mantenere viva l’identità religiosa e culturale del popolo ebraico.
Se le deportazioni non avevano coinvolto che più di 15.000 persone nel loro complesso, numerosi furono coloro che abbandonarono la Palestina per l’Egitto. La fedeltà verso le proprie tradizioni fu però ben presto premiata quando l’Impero Babilonese venne travolto dall’avanzata persiana. Ciro, il fondatore della dinastia achemenide che avrebbe regnato sull’intero Medio Oriente per i due secoli successivi, ansioso di poter contare sulla fedeltà dei propri sudditi alle frontiere con l’Egitto, si fece promotore della restaurazione della Giudea, che entrò a far parte del grande Impero Persiano come uno stato vassallo.
Il Tempio di Gerusalemme fu ricostruito, ma la città, oltre che alla regione circostante, soffriva ancora della crisi demografica seguita al periodo delle deportazioni e ancora nel V secolo a.C. non si contavano più di 50.000 abitanti. Per timore di contaminazioni i Samaritani, che occupavano la parte settentrionale della Palestina, furono però esclusi dalla ricolonizzazione. Per quasi duecento anni lo scenario politico della regione rimase inalterato, ma allorché le falangi di Alessandro Magno penetrarono nelle provincie dell’Impero Persiano sostituendosi all’antico dominatore, l’area costiera e la valle del Giordano divennero sede di colonie greche. La loro presenza non ebbe però influssi radicali sulla sorte della comunità ebraica.
Alla morte del sovrano macedone la Giudea venne annessa al regno dei Ptolomei per passare sotto il controllo, fra il 200 e il 198 a.C. della dinastia Seleucide.
La situazione deteriorò quando Antioco Epifane di Siria cercò di imporre il processo di ellenizzazione anche a quella parte del popolo di Giuda che aveva preservato le antiche tradizioni. Nel 169 a.C. il tempio di Gerusalmme fu saccheggiato dalle truppe seleucidi di ritorno dall’Egitto, nel 168 a.C. un editto cercò di sostituire il culto di Yaweh con quello di Zeus. Nel 165 a.C. esplose la rivolta, questa volta vittoriosa. Tre anni dopo, Giuda Maccabeo, che aveva condotto le armate israeliti contro l’occupazione straniera, ricevette le insegne regali e, per la prima volta dal 586 la Giudea godeva ancora una volta della piena indipendenza.
Le successive guerre di conquista, in particolare durante il regno di Giovanni Ircani permisero di estendere il controllo di Gerusalemme sull’intera area originariamente occupata dal Regno di Israele. Con l’espansione di Roma nell’area Medio Orientale anche la dinastia Asmonea entrò però nell’orbita di influenza quirite e, a partire dal 63 a.C., godette di un’autonomia limitata e spesso puramente nominale. La presenza ebraica e il culto di Yaweh contraddistinguevano però in maniera ancora marcata l’intera area palestinese. Sotto il principato di Vespasiano il malcontento e la speranza di riconquistare l’antica libertà sfociò ancora una volta nell’aperta rivolta che insanguinò la regione dal 66 al 70 d.C.
Come avvenne più di seicento anni prima, la sedizione fu soppressa con energia dalle implacabili legioni di Roma. I vessilli imperiali entrarono vittoriosi in Gerusalemme ma la comunità ebraica rifiorì velocemente nei decenni successivi. Ancora più drammatici furono gli effetti dell’insurrezione guidata da Bar Kochba, fra il 132 e il 135 d.C., che costò, a Ebrei e Romani, circa 580.000 morti. L’imperatore Adriano celebrò la vittoria cambiando il nome di Gerusalemme in Elia Capitolina e ordinando la costruzione di un tempio dedicato a Giove, come del resto era già accaduto all’epoca di Antioco, dove sorgeva il Tempio sede del culto di Yahweh. Questa volta il colpo inferto alla comunità israelitica fu ben più profondo, in migliaia cercarono rifugio lungo le coste dell’Arabia, ma, a differenza di quanto comunemente si reputa, altrettanto numerosi furono coloro che scelsero di rimanere.
L’ingresso di nuovi coloni dalle altre province dell’Impero, pose però le basi perchè in alcuni distretti della Palestina, soprattutto quelli meridionali, la presenza ebraica diventasse minoritaria. Dediti a attività prevalentemente agricole, i discendenti del popolo di Giuda si ricompattarono sotto l’autorità dei Patriarchi, un gruppo di intellettuali il cui ruolo era riconosciuto anche dal governo romano. Fu nella Palestina del II e del III secolo che vennero elaborati la Mishnah e la Midrash, opere fondamentali della tradizione talmudica. La diffusione del cristianesimo costituì una nuova minaccia per le popolazioni di religione ebraica in Palestina.
Furono emanati editti che limitavano la libertà sia di culto che economica della comunità ebraica che, in seguito all’abolizione del Patriarcato, nel 425 d.C., non costituiva che una minoranza all’interno della regione che l’aveva ospitata per oltre 1500 anni. Il processo di cristianizzazione dell’area fu seguito con particolare tenacia dai sovrani Bizantini, al punto che, durante le incursioni persiane dell’inizio del VII secolo, quella che ormai era la minoranza israelita non esitò a sostenere il nuovo dominatore. L’Impero Bizantino avrebbe comunque abbandonato ben presto la regione, quando le orde islamiche occuparono la Palestina nei cinque anni che vanno dal 635 al 640. L’area cadde sotto il controllo della dinastia Ummaiade, che aveva la propria capitale a Damasco.
L’intera regione conobbe un nuovo periodo di prosperità, da cui non fu esclusa la comunità ebraica, ma il sopravvento degli Abbasidi, che avevano il proprio centro amministrativo a Baghdad, e i continui conflitti con le altre nazioni islamiche, portarono ulteriori devastazioni. Il periodo più difficile per le sorti della presenza israelita in Palestina si deve però probabilmente collocare fra il XII e il XIII secolo. La prima Crociata ebbe luogo nel 1099 e, per quasi due secoli, fino al 1291, quando la caduta di Acri segnò la fine della presenza militare cristiana in Medio Oriente, la Palestina fu il campo di battaglia dello scontro cruento fra l’Islam e l’Europa. Le incursioni dei Tartari, anch’esse collocabili nel XIII secolo contribuì alla crisi demografica dell’intero territorio. Successivamente la piattaforma palestinese passò sotto il controllo dell’Egitto diventandone una provincia di minima importanza politica.
La comunità giudaica conobbe un nuovo periodo di splendore quando, in seguito all’espulsione degli Ebrei da Spagna e Portogallo del 1492, fu al centro di un importante flusso migratorio. All’interno del quale emerge la figura di Joseph Nasi e Solomon ibn Yaish che, con l’approvazione delle autorità ottomane, le quali avevano sostituito l’Egitto nel controllo della regione a partire dal 1517, cercarono di stabilire delle colonie nell’area di Tiberiade. In particolare il centro di Safed emerse per l’importanza agli studi cabbalistici della sua scuola rabbinica.
Le sorti della comunità israelitica in Palestina conobbero alterne fortune durante i secoli successivi, talvolta oggetto di rappresaglie indiscriminate, come accadde nel 1625 agli ebrei di Gerusalemme in seguito a alcune disposizioni emanate da Muhammad Ibn Farukh, che all’epoca governava la città per conto della Sacra Porta, altre volte in grado di avvantaggiarsi della benevolenza degli amministratori locali . I contatti fra la Palestina e le comunità della Diaspora vennero però mantenuti attraverso apposite istituzioni localizzate nelle città di Gerusalemme, Safed, Hebron e Tiberia, quest’ultima ricostruita nel 1740 con il non indifferente contributo della popolazione ebraica. Il legame fra il popolo di Giuda e la Palestina non si era infatti incrinato nonostante fossero trascorsi oltre millecinquecento anni dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme. A rinsaldarlo accorsero, sul finire del XVIII secolo, i primi rifugiati dalle comunità ashkenazite dell’Est Europa.
Stanziatisi principalmente nella Galilea, i Hassidim, il gruppo più zelante fra il variegato universo della fede israelita, tornarono in Palestina a partire dal 1777. Di lì a pochi anni la Rivoluzione Francese e le campagne napoleoniche avrebbero sconvolto l’assetto politico mondiale aprendo la strada all’influenza delle grandi potenze europee nel Medio Oriente e a una nuova fase della storia del popolo ebraico. Napoleone abolì infatti i ghetti, ed emancipò gli ebrei e dato loro la cittadinanza. Molti ebrei accettano di essere “assimilati”, e cioè di diventare francesi, italiani, inglesi ecc. Una minoranza, costituita dai più legati alla fede e alle tradizioni, non vide di buon occhio questa rottura della comunità. L’assimilazione non fu quindi un processo che si verificò tranquillamente senza tensioni. Non era infatti morto il vecchio odio antiebraico (cfr nota 1), e accanto ad esso nasceva un antisemitismo più “moderno”, che pretendeva di fondarsi su assurdi argomenti “scientifici” derivati dal positivismo. In Francia nel 1894, un ufficiale ebreo, Alfred Dreyfus, venne accusato ingiustamente di tradimento e tenuto in galera sull’isola del Diavolo per cinque anni. Il caso fece discutere tutta la Francia.
È proprio l’affare Dreyfus a far pensare l’ebreo ungherese Theodor Herzl e ad indurlo a fondare il sionismo. Il sionismo è un movimento per la riunificazione degli ebrei della diaspora in uno stato ebraico in Palestina. Il nome del movimento deriva da Sion, la collina su cui era edificato il tempio di Gerusalemme. Nato alla fine dell’ottocento, il suo scopo era il ritorno degli ebrei a Gerusalemme perché potessero avere una patria e governarsi da sé. Fu tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo iniziarono a migrare in Palestina alcune migliaia di ebrei, grazie all’aiuto finanziario di facoltose personalità delle precedenti diaspore, come il banchiere tedesco Rothschild. Sorto nel XIX secolo il sionismo culminò nel 1948 con la nascita dello stato di Israele (cfr. nota 2).
Bene, siamo qui arrivati al momento “critico”, analizziamo quindi con cura, attraverso il testo dei “comunicati stampa” ufficiali del periodo (e non attraverso il “sentito dire”) come avvenne questa nascita. Vi prego di leggere tutto con estrema attenzione:
18 FEBBRAIO 1947 – Londra – La questione palestinese va all’ONU. – Il ministro degli esteri britannico Bevin ha annunciato oggi ai Comuni la decisione del governo britannico di deferire all’Onu la questione della Palestina. E ha dichiarato che il fallimento della conferenza è dovuto all’atteggiamento irresponsabile degli arabi e degli ebrei e che nessuna soluzione appare per il momento possibile (Comun. Ansa del 18 febbraio 1947, ore 18,45)
2 APRILE 1947 – I cinque Grandi chiedono una sessione speciale. Le grandi potenze hanno convenuto che una speciale sessione dell’Assemblea Onu venga dedicata alla discussione della questione palestinese.(Ib ore 20.40)
27 APRILE 1947 – Gli Ebrei in guerra con i britannici. – Gerusalemme – Da fonte ben informata si è appreso che le due principali organizzazioni terroristiche ebraiche, la banda Stern e la Irgum Zwei Leumi – stanno progettando (con i medesimi Arabi !) un’intima collaborazione nella loro “guerra” con i britannici in Palestina. Nella città araba di Giaffa sono stati distribuiti volantini che incitano gli arabi a collaborare con questi ebrei contro l’imperialismo britannico in Palestina (Ib. ore 20.30).
10 OTTOBRE 1947 – Il segretario generale della Lega Araba, Azzam pascià, ha dichiarato che le truppe egiziane e siriane sono in marcia verso i confini della Palestina, pronte a dare agli arabi palestinesi (e agli ebrei !) gli aiuti militari, morali ed economici necessari nell’eventualità dell’evacuazione degli inglesi” (Ib. ore 10,15)
30 NOVEMBRE 1947 – Flushing Meadows . L’ONU APPROVA LA SPARTIZIONE DELLA PALESTINA. – L’ASSEMBLEA GENERALE DELLA NAZIONI UNITE HA APPROVATO OGGI CON 33 VOTI FAVOREVOLI, 13 CONTRARI E 10 ASTENSIONI IL PIANO PER LA SPARTIZIONE DELLA PALESTINA (IB. ORE 00,30). LA VOTAZIONE È AVVENUTA PER CHIAMATA. PRIMA INTERPELLATA LA FRANCIA, CHE NEL SILENZIO PIÙ ASSOLUTO DELLA SALA HA RISPOSTO “SÌ”. QUESTA RISPOSTA INASPETTATA È STATA ACCOLTA DA UNO SCROSCIO DI APPLAUSI. HANNO VOTATO CONTRO AFGHANISTAN, CUBA, EGITTO, INDIA, IRAN, IRAQ, LIBANO, PAKISTAN, ARABIA SAUDITA, FRA GLI ASTENUTI, INGHILTERRA, JUGOSLAVIA, MESSICO, HONDURAS, ETIOPIA, SALVADOR, COLOMBIA, CINA, CILE, ARGENTINA. (IB. ORE 10.50) (cfr. Nota 3)
A questo punto che accade?
IMMEDIATAMENTE LA LEGA ARABA DICHIARA GUERRA AL NEONATO STATO.
Anche a questo proposito, quindi, basiamo la nostra analisi sul testo dei comunicati stampa:
30 NOVEMBRE 1947 – Il Cairo – Il segretario della Lega Araba, Azzam pascià, ha dichiarato che la decisione della partizione “darà fuoco al Medio Oriente”, aggiungendo ” Il destino della Palestina si deciderà in Palestina. Gli arabi sono capaci di ogni sacrificio” (Comun. Ansa del 30 nov ore 22.15).
8 DICEMBRE 1947 – Gerusalemme – Gli inglesi cominciano ad andarsene. – Secondo notizie raccolte della New York Herald Tribune, l’amministrazione britannica in Palestina avrebbe deciso di iniziare il 15 corrente l’evacuazione delle forze di polizia e delle truppe da Tel Aviv e da Giaffa. (Ib. ore 14.45).
12 DICEMBRE 1947 – Londra – Bevin annuncia la fine del mandato inglese. Il ministro degli esteri britannico ha dichiarato ai Comuni che la Gran Bretagna considera il 15 maggio 1948 come termine ultimo per la rinuncia del suo mandato sulla Palestina (Ib. ore 16.50).
17 DICEMBRE 1947 – Il Cairo – I CAPI ARABI SI ACCORDANO ALLA RIUNIONE TERMINATA OGGI. HANNO RAGGIUNTO “UN ACCORDO COMPLETO PER IMPEDIRE CON TUTTI I MEZZI LA SPARTIZIONE DELLA PALESTINA. ALCUNI SCONTRI SONO GIÀ COMINCIATI SIN DAL 30 NOVEMBRE 1947: SUBITO DOPO L’ADOZIONE DEL PIANO DI SPARTIZIONE DA PARTE DELL’ONU. (Ib. ore 20.40).
2 APRILE 1948 – Lake Success – La questione torna all’ONU. Il consiglio di sicurezza ha approvato questa sera all’unanimità la proposta americana per una tregua in Palestina. Il Consiglio ha deciso di convocare per il 16 aprile una sessione speciale dell’assemblea generale sulla questione palestinese. (Ib. ore 00.30).
SULLA QUESTIONE ISRAELE-ARABO LA POSIZIONE DEL CREMLINO È BIZANTINA: LA PRAVDA HA SCRITTO CHE “L’URSS SOSTIENE L’INDIPENDENZA DEI POPOLI ARABI, MA DEV’ESSERE PERÒ CHIARO CHE GLI ARABI NON SI BATTONO OGGI PER I LORO INTERESSI NAZIONALI E PER LA LORO INDIPENDENZA MA CONTRO IL DIRITTO DEGLI EBREI A COSTITUIRE UN LORO STATO INDIPENDENTE. L’OPINIONE PUBBLICA SOVIETICA NON PUÒ QUINDI CHE CONDANNARE L’AGGRESSIONE ARABA CONTRO ISRAELE”. La situazione è tesissima. La propaganda sugli arabi rimasti in territorio israeliano è tambureggiante e ha un certo gioco soprattutto a causa di un tragico incidente accaduto nella notte del 10 aprile 1948.
10 APRILE 1948 – STRAGE A DEIR YASSIN – “Tel Aviv -Forze miste dell’Irgun Zvei Leumi e della Banda Stern hanno tentato nella notte di sgombrare il villaggio arabo di Deir Yassin, lungo la strada per Gerusalemme, considerato una posizione strategica vitale. Dopo un parziale sgombero e una finta resa, sono state attaccate, perdendo il 40 per cento degli effettivi. Hanno reagito sparando all’impazzata, uccidendo 250 arabi fra armati e civili. Fra i cadaveri si scoprono anche corpi di donne e bambini (Comun. Ansa, del 10 aprile, ore 12.30)
“L’HAGANÀ, PER ORDINE DI BEN GURION CHE GIÀ MAL SOPPORTAVA LE DUE FORMAZIONI IRREGOLARI… ENTRÒ NEL VILLAGGIO INGIUNGENDO ALL’IRGUN DI ABBANDONARLO. PIÙ TARDI BEN GURION SCIOGLIERÀ LE DUE FORMAZIONI INCORPORANDOLE NELL’ESERCITO. LA RADIO EBRAICA È LA PRIMA A DARE L’ANNUNCIO: “NON VOGLIAMO PIÙ VITTORIE COME QUELLA DI DEIR YASSIN”. BEN GURION TELEGRAFA ALL’EMIRO ABDULLAH DI TRANSGIORDANIA ESPRIMENDO “LA SUA PROFONDA RIPROVAZIONE” PER IL MASSACRO E IL GRAN RABBINO DI GERUSALEMME NE MALEDICE GLI AUTORI. “NONOSTANTE LA DEPLORAZIONE UFFICIALE DA PARTE EBRAICA E LA SINCERA UNANIME CONDANNA CHE SI LEVÒ DAL PAESE, POCHI GIORNI DOPO, IL 13 APRILE, FORZE ARABE DAVANO UNA RISPOSTA NON MENO CRUDELE… A UN CONVOGLIO DI MEDICI E INFERMIERI CHE SI STAVANO RECANDO ALL’OSPEDALE DI MONTE SCOPUS, CHE DOMINA LA CITTÀ DI GERUSALEMME, FU TESO UN AGGUATO. CIRCONDATI, FURONO TUTTI MASSACRATI CON BOMBE A MANO E FUCILI MITRAGLIATORI. RESTARONO SUL TERRENO 77 MORTI, TUTTI EBREI, TUTTI MEDICI E SANITARI CHE CORREVANO IN SOCCORSO DI MALATI E FERITI. MOLTI DEGLI UCCISI ERANO MIRACOLOSAMENTE SFUGGITI AI CAMPI DI STERMINIO NAZISTI (COME L’ITALIANA ANNA DI GIOACCHINO CASSUTO) E ALCUNI DI ESSI ERANO GIUNTI DA POCHI GIORNI IN TERRA D’ISRAELE. FRA LE VITTIME UN ILLUSTRE PIONIERE DELLA PSICANALISI ITALIANA, IL FIORENTINO PROFESSOR ENZO BONAVENTURA”.
Gli arabi sfruttano così la strage di Deir Yassin, per seminare anche il terrore nella loro stessa popolazione musulmana e convincerla ad abbandonare (dicono temporaneamente) i territori controllati dagli ebrei. È un grande esodo. Lunghe colonne di arabi lasciano Haifa, Safed, Tiberiade, Jaffa: dal 15 aprile al 15 maggio del 1948 fuggono 250.000 arabi. Che non saranno certo sistemati dignitosamente, non avranno condizioni di vita civili, ma verranno ammassati in campi profughi formati da tende, dove vegeteranno in condizioni penose, privi di avvenire. Naturalmente il malcontento, la tensione provocate da questa situazione verranno indirizzate dalla propaganda degli alti comandi arabi verso l’Yshuv.
13 APRILE 1948 – Gerusalemme – Nasce il primo governo ebraico. L’Agenzia ebraica ha annunciato oggi ufficialmente la formazione di un gabinetto formato da 13 membri; un capo del governo e 12 ministri – che “costituirà l’organo centrale del progettato stato ebraico in Palestina. (Ib. ore 16.50).
15 APRILE 1948 – Il Cairo – I CRISTIANI CONTRO LA SPARTIZIONE – Il Patriarca, i vescovi e i capi delle comunità religiose cristiane in Palestina hanno deciso di rendere noto alla Lega Araba che nell’interesse dei Luoghi Santi e dei Cristiani in Palestina, essi chiedono l’abbandono del progetto di spartizione. (Ib. ore 10.20)
(PER LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA I CRISTIANI SI SCHIERANO CON GLI ARABI – GLI EX INFEDELI).
QUINDI NON È VERO CHE TUTTI GLI STATI DEL MONDO ERANO FAVOREVOLI AL NUOVO STATO D´ISRAELE. IL VATICANO (E NON SOLO QUESTO) AD ESEMPIO HA MOSTRATO SEMPRE DUBBI SULLA COSA, TANTO DA NON RICONOSCERE LO STATO D’ISRAELE FINO A NON MOLTO TEMPO FA (30 DICEMBRE 1993).
17 APRILE 1948 – (ore 11.45) – Il Consiglio di sicurezza ha votato una mozione per la tregua tra arabi e ebrei.
24 APRILE 1948 – (ore 18.15) – L’Onu costituisce una commissione di tregua tra arabi e ebrei.
26 APRILE 1948 – (ore 12.25) – Si concentrano le forze arabe. Truppe dell’ Iraq sono penetrate in Palestina.
27 APRILE 1948 – (ore 10.50) – Violenti combattimenti a Haifa, Giaffa, Acri, e altre località della Palestina. I britannici – secondo un comunicato – avrebbero aperto un violento fuoco di mitragliatrici contro le forze delle organizzazioni ebraiche penetrate in Giaffa. Truppe irachene combatterebbero a fianco di truppe della Legione araba. IL PIROSCAFO “CASTEL” CON A BORDO 600 IMMIGRATI EBREI È STATO ABBORDATO AL LARGO DELLE COSTE PALESTINESI DA UN CACCIATORPEDINIERE BRITANNICO. A NICOSIA DAGLI INGLESI È STATA ANCHE INTERCETTATA LA NAVE “EXODUS” CON A BORDO 793 IMMIGRATI (ORE 11.05).
DOPO VARI GIORNI IN BALIA DEL MARE, LA NAVE EXODUS VIENE RIMANDATA SOTTO SCORTA AD AMBURGO.
UN FATTO CHE LASCIA ESTERREFATTI GLI STESSI TEDESCHI. UN EPISODIO CHE PORTA L’YSHUV ALLA DECISIONE INEVITABILE: ORGANIZZARE LA RESISTENZA PER LIBERARE IL TERRITORIO DAL DOMINIO INGLESE. E’ L’UNICO MODO PER CONQUISTARE L’INDIPENDENZA DEFINITIVA E DAR MODO AGLI EBREI DELLA DIASPORA, AI VARI PROFUGHI, DI TORNARE IN ISRAELE.
E resistenza è, dura e decisa: la conducono l’Haganà, l’Irgun Zvai Leumi (Organizzazione militare nazionale) e il Lohamei Herut Ìsrael (Combattenti d’Israele per la libertà) (entrambe considerate dagli inglesi delle bande terroristiche). Le organizzazioni agiscono indipendentemente, ma ognuna di loro conduce con maestria una guerriglia che, per la fulminea mobilità dei commandos, per l’intelligenza tattico-strategica con la quale questa task force si muove sui terreni più difficili, mette in ginocchio le truppe inglesi. Da queste tre organizzazioni, quando l’appena sorto stato ebraico si troverà davanti all’attacco arabo, nasceranno le regolari Forze di difesa israeliane.
28 APRILE 1948 – (ore 10.20) – I primi profughi palestinesi sono già arrivati in Egitto, completamente sprovvisti di mezzi di sostentamento. Il governo egiziano ha istituito un comitato di soccorso e ha stanziato 10 mila sterline per i primi aiuti ai fuggiaschi.
14 MAGGIO 1948 – - TEL AVIV – GLI EBREI PROCLAMANO LO STATO DI ISRAELE – “La Costituzione dello Stato Ebraico è stata proclamata nel pomeriggio di oggi a Tel Aviv nel corso di una solenne cerimonia,. Il proclama ufficiale dice: “Noi membri del Consiglio nazionale che rappresenta il popolo ebraico in Palestina e il movimento ebraico nel mondo, riuniti in solenne assemblea nel giorno della scadenza del mandato britannico sulla Palestina, per virtù dei diritti naturali e storici del popolo ebraico, in forza della risoluzione dell’assemblea generale dell’Onu, proclamiamo la costituzione di uno stato ebraico in Palestina, che prenderà il nome di ISRAELE.” (Comun. Ansa, 14 maggio 1948, ore 16.45).
NASCE IL GOVERNO d’ISRAELE – Gli Ebrei agiscono subito, senza aspettare l’ONU. Il Consiglio nazionale ebraico assume provvisoriamente funzioni di governo dello Stato di Israele. BEN GURION sarà il primo ministro e ministro della difesa (Ib. ore 22.00)”.
BEN GURION riuscì a fare un distinguo sul movimento. Tutti gli ebrei della diaspora sparsi per il mondo erano sì “sionisti” cioè “Amici di Israele”, ma considerava sionisti in senso stretto soltanto gli ebrei che si erano trasferiti o si volevano trasferire in Palestina.
Inutile dire che queste dispute di carattere politico e religioso (appoggiando il nuovo governo una o l’altra fazione) crearono divisioni dentro lo stesso stato di Israele mentre era in fase di realizzazione la grande opera concepita da Herzl.
Ben Gurion verrà poi eletto primo ministro prima nel governo provvisorio poi riconfermato in quello ufficiale. Ma le due fazioni continueranno reciprocamente nelle loro ostilità. La più moderata esprime dei dubbi su questa decisione, nel voler ignorare così ostentatamente una decisione dell’ONU. E che il nuovo Stato parte debole, è accerchiato dagli Arabi, e inizia a farsi nemici in tutto il mondo per lo schiaffo che si vuol dare alle Nazioni Unite. Ben Gurion, sicuro di sè, tranquillizza (sa di avere l’appoggio degli Stati Uniti, ma anche della Russia (sempre contro il colonialismo inglese in Medio Oriente)
15 MAGGIO 1948 – Stati Uniti . IL PRESIDENTE TRUMAN DETIENE IL RECORD NEL RICONOSCIMENTO DEL NUOVO STATO; HA FIRMATO IL DECRETO CON CUI RICONOSCE UFFICIALMENTE IL NUOVO STATO EBRAICO IN QUANTO AUTORITÀ “DE FACTO” IN TERRA SANTA. – BEN GURION, HA INSOMMA AVUTO RAGIONE. HA DALLA SUA PARTE UNA GRANDE POTENZA. (IB. ORE 02.40).
E SE TRUMAN NON DECIDEVA SUBITO, ERA PRONTO STALIN, L’ALTRA GRANDE POTENZA CHE RICONOSCE LO STATO D’ISRAELE DUE GIORNI DOPO, IL 17 MAGGIO, OVVIAMENTE IN FUNZIONE DEL PREDOMINIO BRITANNICO NEL MEDIO ORIENTE. GLI ALTRI STATI SI ADEGUANO, NON POSSONO COMPORTARSI DIVERSAMENTE. SALVO LA SANTA SEDE, CHE NON VUOLE EBREI IN TERRASANTA.
15 MAGGIO 1948 – L’Egitto è in guerra. L’ordine del primo ministro Nokrashi pascià, in un messaggio alla radio ha ordinato alle forze armate egiziane di entrare in Palestina per ristabilirvi la sicurezza. (Ib. ore 02.45).
15 MAGGIO 1948 (ore 06.00)- SUBITO DOPO LA PROCLAMAZIONE DELLO STATO D’ISRAELE, SCOPPIA LA PRIMA GUERRA ARABO-ISRAELIANA. GLI ESERCITI DELLA TRANSGIORDANIA, DELL’EGITTO E DELLA SIRIA, CON L’APPOGGIO DI CONTINGENTI LIBANESI E IRACHENI, SONO ENTRATE NEL TERRITORIO PALESTINESE “PER MANTENERE L’ORDINE E LA PACE E PER SALVARE I LUOGHI SANTI DALLE VIOLENZE E UMILIAZIONI DEGLI EBREI”.
IN REALTÀ GLI SCONTRI ERANO GIÀ COMINCIATI SIN DAL 30 NOVEMBRE 1947: SUBITO DOPO L’ADOZIONE DEL PIANO DI SPARTIZIONE DA PARTE DELL’ONU. DA PARTE ARABA SI RIFIUTAVA LA SPARTIZIONE E LA CONSEGUENTE CREAZIONE DI UNO STATO EBRAICO; DA PARTE EBRAICA, ANCHE SE SI ACCETTÒ LA DECISIONE DELL’ONU, SI SPERAVA DI MIGLIORARLA, AUMENTANDO, COSÌ, LA SUPERFICIE DI ISRAELE. ED INFATTI -COME VEDREMO- CON QUESTA PRIMA INVASIONE GLI ISRAELIANI RESPINSERO LE FORZE ARABE ED ESTESERO IL TERRITORIO A LORO DESTINATO DALL’ONU NEL 1947.
15 MAGGIO 1948 – TEL AVIV È STATA BOMBARDATA STAMATTINA ALL’ALBA DA TRE APPARECCHI ARABI.(IB. ORE 09.00). MASSACRO A KFAR ETZION ANCORA COME RAPPRESAGLIA ALLA STRAGE DI DEIR YASSIN DEL 10 APRILE, GLI ARABI HANNO MASSACRATO L’INTERA POPOLAZIONE DELLE COLONIE EBRAICHE DI KFAR ETZION, A SUD DI GERUSALEMME” (Ib. ore 14.25)
Il precedente massacro di Deir Yassin ha comunque provocato delle reazioni nella popolazione araba che, come detto, ha dato il via a una fuga di massa degli Arabi dalla parte della Palestina di cui l’Onu prevede l’attribuzione agli ebrei.
La Jewish Agency di Ben Gurion lancia agli arabi un appello perchè rimangano, dicendo che la loro esistenza è garantita dentro lo Stato ebraico.
17 MAGGIO 1948 – (ore 23.35) – Radio Mosca annuncia che il governo sovietico ha riconosciuto ufficialmente lo stato di Israele. La Russia si è convinta che il nuovo Stato Ebraico che sorgerà riuscirà a far breccia nel tradizionale predominio britannico nel Medio Oriente. – Ben Gurion ha avuto un’altra volta ragione, ha pure Stalin dalla sua parte. E gli altri Stati occidentali seguono le due grandi potenze.
28 MAGGIO 1948 – (ore 11.30) Termina la battaglia per la vecchia Gerusalemme. Il quartiere ebraico della città si è arreso oggi alla Legione Araba dopo 12 giorni di accanita resistenza. Il numero degli ebrei che si sono arresi ammonta a 1500.
Rabin è impegnato in questa battaglia per Gerusalemme; proprio lui che è nato a Gerusalemme a 26 anni si trova sulle spalle la responsabilità di salvare la vita di decine di migliaia di persone e di difendere la città più cara alla storia ebraica. La città che le Nazioni Unite avrebbero voluto porre sotto amministrazione internazionale ma che poi, in pratica, hanno abbandonato alle sorti della guerra.
1 GIUGNO 1948 – (ore 12.20) Controffensiva ebraica. E’ stata bombardata Amman, capitale della Transgiordania, da forze ebraiche, colpiti obiettivi militari. (ore 24.00) Bernadotte (mediatore dell’Onu) ha proposto una tregua in Palestina che cominci alle ore 8 di venerdi 11 giugno.
9 GIUGNO 1948 – (ore 16.30) La tregua è accettata. Da buona fonte si apprende che sia arabi che ebrei hanno dato riposta positiva alle proposte di tregua di Bernadotte.
11 GIUGNO 1948 – (ore18.10) Il fuoco è cessato, ma in altri settori del Paese gli scontri continuano.
12 GIUGNO 1948 – - (ore 08.10) Da Marsiglia sono partiti armi e volontari con la nave “Altalena” battente bandiera panamense. I volontari sono polacchi, francesi, americani, britannici, ungheresi, cechi, austriaci e tedeschi. Pare che si tratti di ebrei ex internati nel campo di Belsen.
22 GIUGNO 1948 – (ore 18,20) Primi conflitti interni in Israele. Una tensione dovuta al conflitto tra il governo provvisorio d’Israele e le bande di Irgun Zvei Leumi e quelle di Stern; entrambe antigovernative.
25 GIUGNO 1948 – (ore 20.30) – Compare BEGIN, il comandante delle truppe israeliane irregolari dell’Irgun. Non riconosce il governo provvisorio, ne chiede lo scioglimento, e minaccia con le sue forze di intervenire.
29 GIUGNO 1948 – (ore 01.00) – Trapela il “Piano di Bernadotte”. In alcuni punti principali si apprende 1) mantenimento di uno stato ebraico più ridotto; 2) Mantenimento dell’unità palestinese tra la zona ebrea e quella araba; 3) Libertà d’immigrazione senza limiti nella zona ebraica; 4) Statuto internazionale e corridoi di accesso a Gerusalemme.
Alle ore 12.43, dello stesso giorno 29 GIUGNO si conclude l’evacuazione delle truppe inglesi dalla Palestina, con l’ ammaino della bandiera britannica. Termina ufficialmente dopo 25 anni l’occupazione britannica.
3 LUGLIO 1948 – (ore 24.00) – La lega araba ufficialmente rifiuta il piano del mediatore Onu Bernadotte.
6 LUGLIO 1948 – (ore 14.35) – Anche il Consiglio di stato d’Israele ha deciso di respingere completamente le proposte di pace fatte dal mediatore delle Nazioni Unite, conte Bernadotte.
9 LUGLIO 1948 (ore 10.20) – La guerra riprende. Arabi ed ebrei hanno stamani riaperto le ostilità e il fuoco.
9 AGOSTO 1948 – (ore 14.00) – Israele propone nuovamente un negoziato di pace, ancora una volta tramite il mediatore ONU Bernadotte.
10 AGOSTO 1948 – (ore 23.00) – La Lega Araba respinge le proposte di pace avanzate dal governo Israele, perchè -affermano- non riconoscendo il governo non possono di conseguenza entrare in simili trattative.
17 SETTEMBRE 1948 – (ore 21.00) – Il mediatore di pace dell’Onu BERNADOTTE è stato assassinato oggi alle ore 12.00 a Gerusalemme assieme al colonnello Serot osservatore delle Nazioni Unite.
16 NOVEMBRE 1948 – (ore 15.00) – L’ONU ordina un armistizio. 8 voti contro 1 (Siria) mentre Urss e Ucraina si sono astenute.
7 GENNAIO 1949- (ore 14.00) – Alle ore 13.00 il governo di Israele ha dato ordine a tutte le sue forze di terra, di mare e d’aria di cessare il fuoco.
13 GENNAIO 1949 – (ore 15.00) – Si comincia oggi a Rodi a negoziare. BUNCHE ha sostituito Bernadotte.
17 FEBBRAIO 1949 – (ore 08.00) – Ieri sera è stato eletto Presidente dello Stato di Israele CHAIM WEIZMANN.
24 FEBBRAIO 1949 – (ore 01.00) – Rodi: La Reuter informa che è stato firmato oggi un armistizio generale fra l’Egitto e lo Stato d’Israele.
20 MARZO 1949 – (ore 20.00) – Accordo armistiziale fra Israele e lo stato del Libano. Mercoledì la firma.
3 APRILE 1949 – (ore 22.00) – Firmato l’armistizio anche fra Israele e i rappresentanti della Trangiordania.
20 LUGLIO 1949 – (ore 11.00) – Cerimonia ufficiale oggi per la firma fra Siria e Israele dopo mesi di negoziati
E’ da qui, nonostante gli armistizi siglati e non rispettati, che guerra dopo guerra, battaglia dopo battaglia, inizia la lunga serie di sconfitte militari subite dagli arabi da parte degli Israeliani. Cominciano a nascere così i primi campi profughi. Questi vengono allestiti in Libano, Siria e Giordania con al loro interno quasi due milioni di persone povere, turbolente ed invise anche agli arabi locali TANTO CHE NEL SETTEMBRE 1973 I GIORDANI VI MASSACRANO MIGLIAIA DI PALESTINESI.
La vita dei Palestinesi in tali campi si trasforma presto in un inferno e così, del resto, continua ad esserlo ancora oggi.
Altra guerra nel 1956 con relativa altra vittoria di Israele e così via fino alla guerra dei sei giorni (1967) quando solo l’intervento internazionale ferma la incontenibile avanzata di Israele verso i paesi arabi limitrofi (in particolare l’Egitto). Suddetta guerra è da molti imputata ad un attacco proditorio da parte di Israele nei confronti dell’Egitto, ma come al solito la disinformazione la fa sempre da padrona per cui nessuno si prende mai la briga di ricordare che nel maggio 1967 Nasser ricevette falsi rapporti dall’Unione Sovietica secondo i quali Israele stava ammassando truppe al confine siriano; Nasser iniziò allora ad ammassare truppe nella Penisola del Sinai, lungo il confine israeliano (16 maggio) ed espulse la forza UNEF da Gaza e dal Sinai (19 maggio) occupando le posizioni dell’UNEF a Sharm el-Sheikh, sugli Stretti di Tiran.
Israele allora ripeté le dichiarazioni fatte nel 1957, secondo le quali una chiusura degli stretti sarebbe stato considerato un atto di guerra o comunque una giustificazione per la guerra.
Nasser di contro, dichiarò gli Stretti chiusi alle navi israeliane il 22-23 maggio. Immediatamente dopo il 30 maggio, la Giordania e l’Egitto firmarono un patto di mutua difesa. Il giorno successivo, dietro invito giordano, anche l’esercito iracheno iniziò a schierare truppe e unità corazzate in Giordania, con un successivo rinforzo di un contingente egiziano. Soltanto allora, considerato il precipitare degli eventi, in data Iº giugno, Israele formò un governo di unità nazionale allargando il gabinetto e, solo il 4 giugno, dopo aver preso definitivamente coscienza dei rischi che lo Stato d’Israele stava correndo visto l’allargamento dell’alleanza araba, fu presa la decisione di aprire le ostilità. Il mattino successivo quindi, Israele lanciò l’Operazione Focus, e un attacco aereo a sorpresa a larga scala, sancì l’inizio della Guerra dei sei giorni.
A questo punto l’ONU emise la famosa risoluzione 242 ove si chiedeva il ritiro di Israele dai territori occupati e che segnò la nascita dell’OLP (cfr. Nota 4).
Nel 1973 gli arabi ci riprovano di nuovo e, questa volta, a tradimento (la famosa guerra del Kippur) con il solito risultato disastroso di una sonora sconfitta e con il solito intervento affannoso dell’ONU che ferma le truppe israeliane ormai dirette a un tranquillo week end alle piramidi di El Giza
Nel 1993 gli accordi di Oslo, firmati a Washington, sancirono nuovamente l’applicazione della risoluzione 242.
Ora è necessario però spiegare meglio cosa sia questa “risoluzione” visto che pare essere uno dei principali oggetti del contendere.
Dunque, il 22 novembre 1967, all’indomani della Guerra dei Sei Giorni, il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite adottò la risoluzione 242. Essa fu internazionalmente riconosciuta come la base giuridica dei negoziati tra Israele e i vicini arabi. Fu il risultato di cinque mesi di intense trattative. Ogni sua parola fu attentamente soppesata. Da allora, per i successivi quarant’anni, la 242 ha rappresentato la cornice legale per una soluzione di pace del conflitto arabo-israeliano. La 242 è infatti la sola risoluzione del Consiglio di Sicurezza che sia stata accettata da tutte le parti del contenzioso come base per la ricerca della pace: sia i due accordi di pace rispettivamente con Egitto e Giordania, sia gli accordi ad interim di Oslo con l’Olp si fondano infatti sulla 242.
Purtroppo i siti di “disinformazione scorretta” e di propaganda filo-araba forniscono quotidianamente un’ interpretazione completamente errata della succitata risoluzione 242, e sostengono che essa prescriverebbe il ritiro di Israele sulle linee del 4 giugno 1967 (i ‘confini indifendibili’), ‘restituendo’ cioè Gaza (ad oggi già ceduta) e la West Bank.
Questo modo di informare scorrettamente alimenta la leggenda che Israele non rispetti le risoluzioni dell’Onu (cfr. nota 5), sostenendo che Israele le violerebbe dal momento che,nonostante la 242, non si è ritirato da tutti i territori conquistati nel 1967.
LA VERITÀ È INVECE BEN DIVERSA: LA RISOLUZIONE 242 NON CHIEDE AFFATTO A ISRAELE DI RITIRARSI UNILATERALMENTE E SENZA CONDIZIONI.
La 242 infatti è composta da due parti:
A) I paesi coinvolti nel conflitto devono negoziare la pace e riconoscersi a vicenda.
B) Israele deve operare un ritiro (ma non è non definito).
Il primo punto espresso dalla risoluzione riguarda la ‘inammissibilità dell’acquisizione di territori mediante la guerra’. Alcuni interpretano questo come a voler dire che Israele dovrebbe ritirarsi da tutti i territori conquistati durante la sua difesa. Al contrario, il riferimento si applica chiaramente solo ad una guerra offensiva. Se così non fosse, la risoluzione sarebbe di fatto un incentivo alle aggressioni. Se un paese ne attaccasse un altro, e il difensore respingesse l’attacco acquisendo così nuovi territori, questa interpretazione obbligherebbe il difensore a restituire all’aggressore tutti i territori in questione. Ogni paese potrebbe attaccarne un altro e, in caso di sconfitta, recuperare sempre e comunque tutto il suo territorio, senza aver nulla da perdere.
NON DIMENTICHIAMOCI CHE LA GUERRA DEL 1968 FU SCATENATA UNILATERALMENTE DAGLI ARABI, CON L’INTENTO DICHIARATO DI ANNIENTARE ISRAELE.
In secondo luogo, la 242 chiede il “ritiro delle forze armate israeliane da territori (“FROM TERRITORIES”) occupati nel recente conflitto”.
L’ARTICOLO DETERMINATIVO “I” (“DAI TERRITORI”) O IL TERMINE “TUTTI” DAVANTI ALLA PAROLA TERRITORI NON VENNERO INSERITI NELLA RISOLUZIONE. E NON SI TRATTÒ CERTO DI UN ERRORE DI BATTITURA. LO SCOPO DEGLI ESTENSORI DEL TESTO DELLA RISOLUZIONE, INFATTI, ERA CHIEDERE CHE ISRAELE SI RITIRASSE SENZA INDICARE L’ESTENSIONE ESATTA DEL RITIRO: LA COSA VENIVA LASCIATA AL NEGOZIATO FRA LE PARTI.
HUGH MACKINTOSH FOOT BARON CARADON CHE INSIEME AD ALTRI DIPLOMATICI REDIGETTE LA BOZZA DELLA RISOLUZIONE MISE BENE IN CHIARO, SUCCESSIVAMENTE, CHE QUESTA ERA ESATTAMENTE LA LORO INTENZIONE.
ED ESSENDO LA RISOLUZIONE SCRITTA OVVIAMENTE IN INGLESE L’ESPRESSIONE USATA PER IL RITIRO FU: WITHDRAWAL [...] FROM TERRITORIES che alla lettera non è assolutamente prescrittiva sui termini esatti del ritiro. I DISINFORMATORI SI BASANO OVVIAMENTE SULLA TRADUZIONE DELLA RISOLUZIONE IN FRANCESE DOVE L’ESPRESSIONE SI TRASFORMA IN: retrait [...] des territoires che sembrerebbe implicare un ritiro integrale.
Tutto questo accade nonostante Lord Caradon abbia dichiarato esplicitamente in un’intervista:
« La frase essenziale e mai abbastanza ricordata e’ che il ritiro deve avvenire su confini sicuri e riconosciuti. Non stava a noi decidere quali fossero esattamente questi confini. Conosco le linee del 1967 molto bene e so che non sono un confine soddisfacente. »
Nonché anche l’allora Presidente degli Stati Uniti, il democratico Lyndon Baines Johnson abbia sottolineato come:
« Non siamo noi che dobbiamo dire dove le nazioni debbano tracciare linee di confine tra di loro tali da garantire a ciascuna la massima sicurezza possibile. È chiaro, comunque, che il ritorno alla situazione del 4 giugno 1967 non porterebbe alla pace. Devono esservi confini sicuri e riconosciuti. E questi confini devono essere concordati tra i paesi confinanti interessati. »
Tutto ciò avviene perché la parte araba, di cui i siti di disinformazione sono portavoce, ha sempre sostenuto che la risoluzione chiede a Israele di ritirarsi completamente dai territori conquistati durante la guerra dei sei giorni. A ‘riprova’, se ci fate caso, da costoro viene sempre esibita SOLO ED UNICAMENTE la versione della risoluzione in lingua francese.
I SOVIETICI, GLI ARABI E I LORO ALLEATI FECERO DI TUTTO PER INSERIRE NELLA BOZZA DI TESTO DELLA RISOLUZIONE LA PAROLA “TUTTI” DAVANTI AI “TERRITORI” DA CUI ISRAELE DOVEVA RITIRARSI. MA LA LORO RICHIESTA FU RESPINTA. Alla fine, lo stesso primo ministro sovietico Kossygin contattò direttamente il presidente americano Lyndon Johnson per chiedere l’inserimento della parola “tutti” davanti a “territori”. Anche questo tentativo fu respinto. Kossygin chiese allora, come formula di compromesso, di inserire l’articolo determinativo ‘i’ davanti a “territori” (”dai territori” anziché “da territori”). Johnson rifiutò rispondendo quanto già citato sopra.
Subito dopo la Guerra dei Sei Giorni, il primo ministro israeliano Eshkol chiarì la posizione di Israele, ponendo le logiche condizioni per un negoziato:
“FINCHE’ I NOSTRI VICINI PERSISTERANNO NELLA LORO POLITICA DI BELLIGERANZA E CONTINUERANNO A PROGETTARE LA NOSTRA DISTRUZIONE, NOI NON LASCEREMO I TERRITORI CHE SONO ORA SOTTO IL NOSTRO CONTROLLO E CHE RITENIAMO NECESSARI PER LA NOSTRA SICUREZZA E AUTODIFESA. SE INVECE I PAESI ARABI ACCETTERANNO DI DISCUTERE DI PACE CON NOI DIRETTAMENTE, ALLORA NON VI SARÀ PROBLEMA CHE NON POSSA ESSERE RISOLTO IN NEGOZIATI DIRETTI A VANTAGGIO DI TUTTE LE PARTI”.
(Sembra quasi di sentire dichiarazioni attuali mi sembra, o no?
LA RISPOSTA ARABA NON SI FECE ATTENDERE. IL 1 SETTEMBRE LA LEGA ARABA RIUNITA A KHARTOUM (SUDAN) RIBADÌ ‘I TRE NO’: “NO AL RICONOSCIMENTO DI ISRAELE, NO AL NEGOZIATO CON ISRAELE, NO ALLA PACE CON ISRAELE”.
CUI PRODEST?
A chi giova tutto ciò?
Lo status quo, è scontato che faccia comodo agli occidentali, e in particolare agli americani, perché una forte potenza militare filo-occidentale e di frontiera è assolutamente indispensabile nel tormentato Medio Oriente, soprattutto se direttamente a ridosso degli stati arabi più fanatici e più follemente integralisti. Ma nel contempo fa anche molto comodo ai dirigenti delle organizzazioni palestinesi, Hamas compresa, perché non ci avranno certo messo troppo tempo a capire quello che è ovvio: la formazione dello Stato palestinese significherebbe inevitabilmente la fine delle loro posizioni di privilegio, la fine di una situazione che sotto certi aspetti è per loro una vera pacchia poiché oggi non hanno certo la onerosa responsabilità di gestire una nazione che sarà assolutamente ingestibile e possono invece pompare fiumi di dollari dalle casse dei Paesi arabi vicini. Il giorno che si realizzasse uno stato palestinese come farebbero i dirigenti palestinesi e Hamas a mandare avanti una baracca che non potrà mai funzionare e che ora, invece, così monca e incompiuta riesce a convogliare aiuti da mezzo mondo e, in definitiva dollari?
Tra l’altro le terre reclamate dai palestinesi, e delle quali comunque hanno già avuto dagli israeliani la maggior parte di essi, consistono nella striscia di Gaza (sul Mediterraneo), nella Cisgiordania (attorno al Mar Morto), di sei città già tutte palestinesi (Qualqiliya, Jenin, Nablus, Tulkare, Ramallah e Betlemme) sparse qua e là per Israele e di 400 villaggi attorno alle città di cui sopra.
Il futuro stato palestinese, quindi, consiste in due territori abbastanza estesi, di cui uno praticamente desertico (Gaza) e l’altro in buona parte (la Cisgiordania) e di qualche villaggio, cittadina o villaggio sparsi qua e là per lo stato di Israele.
Il futuro stato palestinese, DICONO LE FONTI PALESTINESI, potrebbe contare su un prodotto interno lordo di 240 milioni di dollari (numero molto importante che rappresenterebbe poco più della decima parte del bilancio del Comune di Roma!). Ammettiamo perciò che il funzionario palestinese abbia dimenticato uno zero alla cifra che ha dichiarato, siamo sempre e comunque a bilanci assolutamente ridicoli per uno Stato che voglia definirsi tale o che, comunque voglia anche minimamente contrapporsi al suo potente vicino che ha un PIL di 150 mila miliardi. Non credo si debba essere degli esperti di politica per capire che uno Stato come quello sognato dal popolo palestinese non potrà mai esistere se nella sua forma e nei suoi confini non verrà ridiscusso soprattutto con i Paesi Arabi confinanti.
Ma secondo voi è possibile che esista uno Stato dove per andare da un posto all’altro ci vuole il passaporto? Uno stato privo di un tessuto industriale, agricolo e commerciale? Uno stato dove le merci per spostarsi dai luoghi di produzione (ammesso che ne esista qualcuno) a quelli di commercializzazione dovrebbero sottostare all’arbitrio del vicino? Uno stato ove la erogazione dell’acqua è nel più completo arbitrio di quello Stato che fino a poco tempo ha bombardato con razzi e massacrato con attacchi terroristici, kamikaze e non, e che quindi prima della fondazione del suo Staterello era il nemico? Uno stato che non produce energia e dove, quindi, quando il povero palestinese deciderà di accendere la lampadina dovrà pregare Allàh di far alzare dal letto per il verso giusto il gestore israeliano della più vicina centrale elettrica? E questo sarebbe uno Stato indipendente?
Ma non basta: l’impossibilità di gestire le reti elettriche, idriche, stradali e ferroviarie del loro futuro Stato li porterebbe ad un asservimento assoluto agli arbitrii degli israeliani; molto peggio di come accade oggi.
SI, PERCHÉ OGGI GLI ISRAELIANI SONO I SOLI CHE ASSICURANO UN MINIMO DI SOPRAVVIVENZA ALLA POPOLAZIONE PALESTINESE E UN MINIMO DI ISTRUZIONE E DI ASSISTENZA.
Gli Stati arabi si limitano a finanziare Hamas e chiunque sia disposto a portare avanti la guerra ad Israele, punto e basta. Dei palestinesi non gliene può fregar di meno.
SONO STATI INFATTI GLI STESSI LEADERS ARABI A NEGARE L’ESISTENZA DI UN POPOLO ARABO PALESTINESE DISTINTO, ANZI A RIGETTARE PERFINO L’INDENTIFICAZIONE DI QUELLA REGIONE CON IL NOME DI PALESTINA! Gli arabi in ‘Palestina’ erano perlopiù immigrati siriani, e giustamente non si consideravano (e rifiutavano di essere considerati) come un’entità separata dagli arabi degli stati limitrofi. A questo proposito cito un po’ di dichiarazioni di fonte araba:
Auni Bey Abdul-Hadi, un leader arabo locale, dichiarò alla Commissione Peel nel 1937:
“Non esiste alcun paese noto come [Palestina]! ‘Palestina’ è un termine che i sionisti hanno inventato! Non c’è alcuna ‘Palestina’ nella Bibbia. Il nostro paese è stato per secoli parte della Siria”.
Il rappresentante dell’Alto Comitato Arabo alle Nazioni Unite rilasciò la seguente dichiarazione durante l’Assemblea Generale svoltasi a maggio del 1947:
“La Palestina era parte della provincia della Siria… politicamente, gli arabi di Palestina non erano indipendenti, nel senso che non formavano un’entità politica separata”.
Ahmed Shuqeiri, ex presidente dell’OLP, dichiarò davanti al Concilio di Sicurezza dell’ONU: “E’ comunemente noto che la Palestina non è altro che la Siria meridionale”.
Zahir Muhsein, in un’ intervista al giornale olandese ‘Trouw’ avvenuta il 31 marzo 1977, dichiarò:
“Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno stato palestinese è soltanto uno strumento per la continuazione della nostra lotta contro lo stato di Israele per la nostra unità araba. In realtà oggi non c’è differenza fra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. E’ soltanto per ragioni politiche e tattiche che noi parliamo dell’esistenza del popolo palestinese, dato che l’interesse nazionale arabo richiede che noi presupponiamo l’esistenza di un ‘popolo palestinese’ distinto che si opponga al Sionismo. Per ragioni tattiche la Giordania, che è uno stato sovrano con confini delimitati, non può avanzare diritti su Haifa e Jaffa, mentre come palestinese io posso senza dubbio rivendicare Haifa, Jaffa, Beer-Sheva e Gerusalemme. Tuttavia, nel momento in cui reclamiamo il nostro diritto su tutta la Palestina, non aspetteremo neanche un minuto a riunire la Palestina e la Giordania”.
Farouk Radoumi, nel 1998, capo diplomatico dell’OLP, chiarì nuovamente il fine ultimo di quell’arma tattica nota come ‘popolo palestinese’:
“Appena lo Stato Palestinese avrà guadagnato un riconoscimento dalla maggior parte delle nazioni del mondo, come ci aspettiamo, la presenza israeliana su terra palestinese diventerà illegale e noi la combatteremo con le armi. La battaglia contro le forze israeliane è un diritto a noi riservato”. (Farouk Radoumi, al giornale dell’AP ‘AL HAYAT AL-JADEEDA’, 15 ottobre l998).
E’ importante notare che il movimento nazionalista fra i residenti non ebrei di Palestina non si originò mai sul suo territorio, ma fu importato dall’Egitto, dalla Turchia e dalla Francia. Si è trattato di un movimento esclusivamente politico nel senso più stretto del termine, e che ha sempre mostrato poca consapevolezza dei problemi che giorno per giorno sarebbero potuti sorgere se i suoi obbiettivi politici fossero stati raggiunti”.
Scopriamo dunque che NELLA VERITÀ STORICA NON C’È ASSOLUTAMENTE TRACCIA DI UN ‘POPOLO PALESTINESE DISTINTO’, MA SOLO DI ‘ARABI’: scoperta confermata a più riprese dai dati relativi alla popolazione originaria della Palestina, da quelli dell’immigrazione araba legale ed illegale, e da tutte le dichiarazioni arabe precedenti che confermano il fatto che il termine ‘palestinese’ era associabile più al popolo ebraico che non a quello arabo.
IL ‘POPOLO PALESTINESE’ COME VIENE PROPAGANDATO OGGI, CIOÈ ESCLUSIVAMENTE ARABO, LEGATO ALLA PALESTINA DA SECOLI (SE NON MILLENNI) DI STORIA, CON UNA SUA PROPRIA CULTURA E IDENTITÀ NAZIONALE ‘PALESTINESI’, NON È CHE UN’INVENZIONE POLITICA SUCCESSIVA AGLI ANNI ’60.
Le dichiarazioni sopracitate da parte dei militanti ‘palestinesi’ sono tutte a conferma del fatto che il ‘nazionalismo palestinese’ arabo (come lo conosciamo oggi) sia una colossale invenzione araba e si può tranquillamente affermare che è soltanto negli ultimi decenni che il termine ‘palestinese’ è stato adottato dagli arabi, come se questo nome appartenesse esclusivamente a loro, fingendo di avere una lunga storia alle spalle ed una identità nazionale indipendente.
Fino al 1967, come abbiamo visto, la maggior parte di coloro che si chiamano ‘palestinesi’ erano ragionevolmente soddisfatti della loro identità siriana o della cittadinanza giordana (o egiziana).
L’USO DEL TERMINE ‘PALESTINESE’ SENZA IL SUFFISSO ‘ARABO’ E DI ESPRESSIONI QUALI: ‘PALESTINA OCCUPATA DA ISRAELE’ È SERVITO ALLO SCOPO DI CONFONDERE L’OPINIONE PUBBLICA, INDUCENDO A PENSARE CHE CI SIA SEMPRE STATO UN POPOLO PALESTINESE INDIPENDENTE AL QUALE NON È STATA OFFERTA L’OPPORTUNITÀ DELL’AUTO-DETERMINAZIONE. IN EFFETTI, SE ANCHE FOSSE VERO (CHE NON È), UN TALE FALLIMENTO SAREBBE PIÙ IMPUTABILE ALLA GIORDANIA CHE NON AD ISRAELE, DATO CHE LA GIORDANIA OCCUPA LA MAGGIOR PARTE DI CIÒ CHE ERA NOTA IN ORIGINE COME PALESTINA ANCHE SENZA LA WEST BANK E GAZA.
Non c’è dubbio che tutto ciò quindi rappresenti una delle più grandi e gravi falsificazioni storiche dell’era moderna.
E questo non lo dico io ma tutte le dichiarazioni sopracitate cui aggiungo come se non bastassero anche le parole di Joseph Farah, giornalista arabo-americano, editore e CEO di WorldNetDaily:
“NON ESISTE LINGUA NOTA COME ‘PALESTINESE’. NON ESISTE UNA CULTURA PALESTINESE DISTINTA. NON C’È MAI STATA UNA TERRA NOTA COME ‘PALESTINA GOVERNATA DAI PALESTINESI’. I PALESTINESI SONO ARABI, INDISTINGUIBILI DAI GIORDANI (UN’ALTRA INVENZIONE RECENTE), I SIRIANI, I LIBANESI, GLI IRACHENI, ECCETERA. TENIAMO IN MENTE CHE GLI ARABI CONTROLLANO IL 99,9% DELLE TERRE IN MEDIO ORIENTE. ISRAELE RAPPRESENTA UN DECIMO DELL’ 1% DELLA TERRA TOTALE. Ma questo è comunque troppo per gli arabi. Lora la vogliono tutta quanta. Ed è per questo motivo che, fondamentalmente, oggi si combatte in Israele. Avidità. Orgoglio. Invidia. Bramosia. Non importa quante concessioni di terra Israele faccia, non saranno mai abbastanza”.
Anche l’eminente studioso di storia mediorientale Bernard Lewis affermò a più riprese che:
“…il fondamentale senso di identità storica corporativa [degli arabi palestinesi] fu, a vari livelli, musulmano o arabo, o ancora, per alcuni, siriano; è significativo il fatto che perfino alla fine del Mandato nel 1948, dopo trent’anni di una separata esistenza politica palestinese, non ci fossero assolutamente libri in arabo sulla storia della Palestina…”.
(Bernard Lewis, ‘Semites and Anti-Semites: An Inquiry into Conflict and Prejudice’, (New York: Norton, 1999), p. 186).
Torniamo comunque alla farsa della promessa ai “palestinesi” dello Stato Palestinese, mi domando: ma chi avrà la capacità, la forza e i capitali per gestire il tessuto statale quando tutte le principali leve dell’industria, dei servizi e dell’agricoltura sono in mano a quello che oggi considerano e trattano come nemico? Quale imprenditore straniero, anche se la manodopera costasse zero, vorrebbe mai produrre qualsiasi cosa in Palestina ben sapendo che potenzialmente, se la sua produzione si sviluppasse troppo e potesse quindi dare fastidio agli israeliani, si ritroverebbe subito con le frontiere chiuse, senza acqua e senza elettricità ed assolutamente impossibilitato ad esportare il frutto del suo lavoro. E quindi quello palestinese sarebbe uno Stato libero? Uno Stato per il quale vale la pena di andare a morire, contro i carri israeliani?
Se analizziamo con cura i pochi numeri sopra riportati e gettiamo uno sguardo alla ridicola mappa dell’eventuale Stato palestinese non possiamo fare altro che trarre una conclusione: i palestinesi debbono ringraziare Allàh se il loro stato non vedrà mai la luce (a queste condizioni e senza concessione di territori da parte dei Paesi Arabi loro fratelli) altrimenti passeranno dalla attuale situazione di disagio e di povertà a quella di una assoluta indigenza.
Per chiarire meglio la cosa voglio fare un ulteriore esempio, ma questa volta utilizzando il “surreale” (tanto caro al prof. Sergio di Cori Modigliani a cui mando un abbraccio):
SE QUALCUNO, ATTRATTO DALLE INDUBBIE CAPACITÀ E DALLA OPEROSITÀ DEI PALESTINESI, VOLESSE IMPIANTARE UNA PRODUZIONE DI SOFISTICATI MICROCIHPS A NABULUS COME FARÀ A RAGGIUNGERE PORTI O AEROPORTI PER ESPORTARLI SENZA LA COOPERAZIONE DI ISRAELE?
Quindi tu, palestinese, tu Hamas, stai attaccando e bombardando chi dovrebbe essere tuo “socio” in affari in una una certa qual maniera?
È furbo un comportamento del genere?
Ovviamente no.
Ma allora perché lo fanno?
Vogliamo dare un occhiatina a un paio di articoli dello Statuto di Hamas (http://www.cesnur.org/2004/statuto_hamas.htm) , l’organizzazione (terroristica) finanziata dai maggiori Paesi Arabi che dovrebbe solo “difendere” la causa palestinese?
Articolo 7
A causa della distribuzione dei musulmani che hanno adottato la dottrina del Movimento di Resistenza Islamico in tutto il mondo, e che lavorano per sostenerlo, mantenere le sue posizioni e rafforzare il suo jihad, il movimento ha carattere universale. La sua chiamata è ampia a causa della chiarezza del suo pensiero, della nobiltà del suo scopo, dell’ampiezza dei suoi obiettivi.
È su queste basi che il movimento deve essere visto, valutato con equità e riconosciuto nel suo ruolo. Chiunque nega i suoi diritti, o si rifiuta di sostenerlo, o è così cieco da non vedere il suo ruolo, in verità sta sfidando il fato stesso. E chi chiude gli occhi alla realtà, intenzionalmente o meno, si sveglierà per ritrovarsi sopraffatto dagli eventi e non avrà scuse per giustificare la sua posizione. Il premio si dà a coloro che arrivano per primi.
L’oppressione da parte dei propri parenti e concittadini è più dolorosa per l’anima del taglio di una spada indiana.
“E su di te abbiamo fatto scendere il Libro con la Verità, a conferma della Scrittura che era scesa in precedenza e lo abbiamo preservato da ogni alterazione. Giudica tra loro secondo quello che Allah ha fatto scendere, non conformarti alle loro passioni allontanandoti dalla verità che ti è giunta. A ognuno di voi abbiamo assegnato una via e un percorso. Se Allah avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità. Vi ha voluto però provare con quel che vi ha dato. Gareggiate in opere buone: tutti ritornerete ad Allah ed Egli vi informerà a proposito delle cose sulle quali siete discordi” (Corano 5, 48).
Il Movimento di Resistenza Islamico è uno degli anelli della catena del jihad nella sua lotta contro l’invasione sionista. È legato all’anello rappresentata dal martire ‘Izz-Id-Din al-Qassam [1882-1935, su cui cfr. supra in questo volume] e dai suoi fratelli nel combattimento, i Fratelli Musulmani del 1936 [che continuarono la lotta dopo che al-Qassam fu ucciso nel 1935]. E la catena continua per collegarsi a un altro anello, il jihad degli sforzi dei Fratelli Musulmani nella guerra del 1948, nonché le operazioni di jihad dei Fratelli Musulmani nel 1968 e oltre.
Benché gli anelli siano distanti l’uno dall’altro, e molti ostacoli siano stati posti di fronte ai combattenti da coloro che si muovono agli ordini del sionismo così da rendere talora impossibile il perseguimento del jihad, il Movimento di Resistenza Islamico ha sempre cercato di corrispondere alle promesse di Allah, senza chiedersi quanto tempo ci sarebbe voluto. Il Profeta – le preghiere e la pace di Allah siano con Lui – dichiarò: “L’ULTIMO GIORNO NON VERRÀ FINCHÉ TUTTI I MUSULMANI NON COMBATTERANNO CONTRO GLI EBREI, E I MUSULMANI NON LI UCCIDERANNO, E FINO A QUANDO GLI EBREI SI NASCONDERANNO DIETRO UNA PIETRA O UN ALBERO, E LA PIETRA O L’ALBERO DIRANNO: O MUSULMANO, O SERVO DI ALLAH, C’È UN EBREO NASCOSTO DIETRO DI ME – VIENI E UCCIDILO; MA L’ALBERO DI GHARQAD NON LO DIRÀ, PERCHÉ È L’ALBERO DEGLI EBREI” (citato da al-Bukhari e da Muslim).
Articolo 13
LE INIZIATIVE DI PACE, LE COSIDDETTE SOLUZIONI PACIFICHE, LE CONFERENZE INTERNAZIONALI PER RISOLVERE IL PROBLEMA PALESTINESE CONTRADDICONO TUTTE LE CREDENZE DEL MOVIMENTO DI RESISTENZA ISLAMICO. IN VERITÀ, CEDERE QUALUNQUE PARTE DELLA PALESTINA EQUIVALE A CEDERE UNA PARTE DELLA RELIGIONE. IL NAZIONALISMO DEL MOVIMENTO DI RESISTENZA ISLAMICO È PARTE DELLA SUA RELIGIONE, E INSEGNA AI SUOI MEMBRI AD ADERIRE ALLA RELIGIONE E INNALZARE LA BANDIERA DI ALLAH SULLA LORO PATRIA MENTRE COMBATTONO IL JIHAD.
“Allah ha il predominio nei Suoi disegni, ma la maggior parte degli uomini non lo sa” (Corano 12, 21).
Di tanto in tanto, si sente un appello a organizzare una conferenza internazionale per cercare una soluzione al problema palestinese. Alcuni accettano l’idea, altri la rifiutano per una ragione o per un’altra, domandando il rispetto di una o più condizioni come requisito per organizzare la conferenza o per parteciparvi. MA IL MOVIMENTO DI RESISTENZA ISLAMICO – CHE CONOSCE LE PARTI CHE SI PRESENTANO ALLE CONFERENZE E IL LORO ATTEGGIAMENTO PASSATO E PRESENTE RISPETTO AI VERI PROBLEMI DEI MUSULMANI – NON CREDE CHE QUESTE CONFERENZE SIANO CAPACI DI RISPONDERE ALLE DOMANDE, O RESTAURARE I DIRITTI O RENDERE GIUSTIZIA AGLI OPPRESSI. QUESTE CONFERENZE NON SONO NULLA DI PIÙ CHE UN MEZZO PER IMPORRE IL POTERE DEI MISCREDENTI SUI TERRITORI DEI MUSULMANI. E QUANDO MAI I MISCREDENTI HANNO RESO GIUSTIZIA AI CREDENTI?
“Né i giudei né i nazareni saranno mai soddisfatti di te, finché non seguirai la loro religione. Dì: ‘È la Guida di Allah, la vera Guida’. E se acconsentirai ai loro desideri dopo che hai avuto la conoscenza, non troverai né patrono né soccorritore contro Allah” (Corano 2, 120).
NON C’È SOLUZIONE PER IL PROBLEMA PALESTINESE SE NON IL JIHAD. Quanto alle iniziative e conferenze internazionali, sono perdite di tempo e giochi da bambini. Il popolo palestinese è troppo nobile per mettere il suo futuro, i suoi diritti, e il suo destino nelle mani della vanità. Come afferma un nobile hadith: “Il popolo della Siria è la frusta di Allah sulla Terra. Con loro si prende la sua rivincita su chi vuole. Ai loro ipocriti è vietato regnare sui loro credenti, e muoiono nell’ansia e nel rimorso” (riferito da al-Tabarani, come rintracciabile attraverso una catena di fonti fino al Profeta, e da Ahmad, la cui catena di trasmissione è incompleta. Ma deve trattarsi di un vero hadith, perché queste storie sono credibili, e Allah è veridico).”
AGGIUNGO PER DOVERE DI CRONACA CHE SECONDO IL MEMRI, I MASSIMI LEADER DI HAMĀS SONO PROMOTORI DELLA NEGAZIONE DELL’OLOCAUSTO. ABD AL-AZĪZ AL-RANTĪSĪ – CO-FONDATORE DI HAMAS ASSIEME AD AHMAD YASIN – IN UN ARTICOLO SU AL-RISALA (PUBBLICAZIONE SETTIMANALE DI HAMAS) HA DEFINITO LA SHOAH “IL FALSO OLOCAUSTO” E “LA PIÙ GRANDE DELLE MENZOGNE”, ED AFFERMATO CHE L’OLOCAUSTO NON È MAI AVVENUTO, CHE I SIONISTI ERANO DIETRO LE AZIONI DEI NAZISTI E CHE IL SIONISMO FINANZIÒ IL NAZISMO. IN QUESTO ARTICOLO RANTISSI HA ALTRESÌ NEGATO L’ESISTENZA DELLE CAMERE A GAS NONCHÉ ESPRESSO SOSTEGNO AI NEGAZIONISTI ROGER GARAUDY, DAVID IRVING, GERD HONSIK E FREDRICK TÖBEN; HA INOLTRE AFFERMATO CHE “I NAZISTI RICEVETTERO NOTEVOLI AIUTI FINANZIARI DALLE BANCHE E DAI MONOPOLI SIONISTI, E CIÒ CONTRIBUÌ ALLA LORO ASCESA AL POTERE”; HA INFINE ACCUSATO LA INVESTMENT BANK BERLINESE MENDELSSOHN & CO., DI PROPRIETÀ EBRAICA, DI AVER FINANZIATO I NAZISTI, DEFINENDOLA “BANCA SIONISTA”.
E ora arriviamo alla conferma che ciò che hanno asserito poco sopra le autorità arabe “palestinesi” e non (quindi dopo la negazione dell’Olocausto addirittura la negazione di se stessi!!!) cioè a quella verità sconcertante che si può riassumere così’:
NON C’È MAI STATO UN POPOLO PALESTINESE, O ARABO, O SE VOLETE ALIENO, CHE ABITASSE QUELLA TERRA PRIMA DELL’ARRIVO DEGLI EBREI!!!
Sconcertante vero? Eppure non sono impazzito e se continuerete a leggere capirete il perché di quest’affermazione che ai più apparirà come minimo azzardata.
BADATE BENE CHE CAPIRE BENE QUESTO PUNTO È FONDAMENTALE PER UNA CORRETTA COMPRENSIONE DEL CONFLITTO E DEL PERCHÉ DELLA POSIZIONE ISRAELIANA.
Ebbene, prima dell’immigrazione cosiddetta sionista la Palestina era essenzialmente vuota e arida. NON ESISTE NESSUNA PROVA STORICA DI UN POPOLO PALESTINESE AUTOCTONO CHE L’ABBIA ABITATA, CON UNA PROPRIA CULTURA, LINGUA, IDENTITÀ. IN PALESTINA C’ERANO SOLO EBREI E QUALCHE ARABO CHE SI CONSIDERAVA SIRIANO, PIÙ I DRUSI E I BEDUINI.
Nei 12 secoli e mezzo che intercorrono fra la conquista araba (del 600 d.C.) e l’inizio del ritorno degli ebrei nel 1880, la Palestina considerato che il suo antico sistema di canali di irrigazione era stato distrutto è sempre rimasta solo ed unicamente un desolato deserto.
Sotto il dominio dei turchi ottomani, il governo aveva oltretutto imposto anche una tassa per ogni albero e il risultato era stato il completo disboscamento del paese.
Questo, badate bene, non sono io a dirlo, ma una serie di testimonianze scritte dei secoli XVI, XVII°, XVIII° e XIX° da diversi viaggiatori cristiani e non, quali:
Siebald Rieter e Johann Tucker, Arnold Van Harff e Padre Michael Nuad, Martin Kabatnik e Felix Fabri, il Conte Constantine Francois Volney ed Alphonse de Lamartine, Mark Twain e Sir George Gawler, HB Tristam, Samuel Manning, Sir George Adam Smith ed Edward Robinson e con loro molti, molti altri, che non sto ad elencare, I QUALI DESCRISSERO LA PALESTINA COME ESSENZIALMENTE VUOTA, FATTA ECCEZIONE PER LE COMUNITÀ EBRAICHE PERMANENTI DI GERUSALEMME, SAFED, SHECHEM, EBRON, GAZA, RAMLEH, ACCO, SIDONE, TIRO, HAIFA, IRSUF, CESAREA ED EL ARISH, E IN TUTTE LE CITTÀ ESISTENTI DELLA GALILEA: KFAR ALMA, EIN ZEITIM, BIRIA, PEKIIN, KFAR HANANIA, KFAR KANA AND KFAR YASSIF.
Hanno preso tutti fischi per fiaschi? Improbabile direi.
È POI ALTRETTANTO IMPORTANTE SOTTOLINEARE IL FATTO CHE, MENTRE I RACCONTI DI UNA PALESTINA DISABITATA ABBONDANO, NON ESISTONO RESOCONTI CHE AFFERMINO IL CONTRARIO.
NON C’È UNA SOLA TESTIMONIANZA SCRITTA DELL’EPOCA CHE DIMOSTRI UNA PRESENZA ARABA SIGNIFICATIVA IN PALESTINA, O CHE MENZIONI UN ‘POPOLO PALESTINESE’ RESIDENTE.
Come dimostrato dallo studio demografico di Justin McCarthy, (‘La popolazione della Palestina’) e dal libro-ricerca di Joan Peters (‘From Time Immemorial’) ed altri, la popolazione araba dell’area registrò un enorme sviluppo SOLO IN CONTEMPORANEA AL RITORNO DEGLI EBREI IN PALESTINA.
Tra il 1514 e il 1850, la popolazione araba di questa regione era rimasta più o meno stazionaria, circa 340.000 abitanti. Essa cominciò improvvisamente ad aumentare dopo il 1855.
Ad esempio, gli egiziani guidati da Ibrahim Pasha giunsero in massa nell’800, cacciando letteralmente gli unici (oltre agli ebrei) che davvero vivevano in Palestina ‘da tempo immemorabile’, cioè i Drusi. Moltissimi arabi vennero in Palestina dalla Siria, dalla regione di Hauran. SOLTANTO NEL 1831, BEN 6.000 EGIZIANI SI STABILIRONO AD ACCO (CITTÀ CHE OGGI DICHIARANO ESSERE ARABA DA MILLENNI!).
Secondo il rapporto ‘British Palestine Exploration Fund’ del 1893, gli egiziani avevano da poco ripopolato anche Jaffa, diventandone la maggioranza. L’immigrazione araba continuò poi ad aumentare durante la prima Guerra Mondiale a mano a mano che l’Impero Turco Ottomano in difficoltà allentava la presa su quei territori.( Ricordiamo che gli Ottomani erano alleati del Kaiser sin dal 1898, quando Guglielmo II fu addirittura invitato a Gerusalemme, a cui
erano poi seguiti i viaggi degli uomini d’affari tedeschi che, tra le altre cose , avevano promosso la ferrovia Istanbul Baghdad.)
Dai dati del censimento del 1922, la popolazione araba era quasi raddoppiata arrivando a 589.177, fra cui 62.500 beduini.
Il seguente censimento britannico del 1931 (spesso citato da fonti anti-sioniste) mostra la popolazione araba a 759.700 unità residenti, compresi i beduini, accanto ad una popolazione ebraica di circa la metà. IL PUNTO IMPORTANTISSIMO CHE PERÒ VIENE OMESSO DAL CENSO È IL FATTO CHE LA MAGGIOR PARTE DI QUESTI ARABI ERANO ARRIVATI IN PALESTINA DA NON PIÙ DI 60 ANNI.
Gli inglesi tentarono di spiegare questo improvviso aumento di popolazione attribuendolo all’incremento naturale del nucleo arabo pre-esistente. Il punto è che la crescita demografica naturale non avrebbe mai potuto sostenere un simile aumento, come vedremo fra poco. Quindi l’unica spiegazione possibile è che molti arabi siano immigrati in Palestina illegalmente.
Cito una testimonianza da parte araba a conferma di questa immigrazione:
TEWFIK BEY EL HURANI, GOVERNATORE DEL DISTRETTO SIRIANO DI HAURAN, AMMISE NEL 1934 CHE IN UN PERIODO DI SOLI POCHI MESI (DALL’APRILE DEL 1934 AL NOVEMBRE 1935 ) OLTRE 30.000 SIRIANI SI ERANO SPOSTATI IN PALESTINA. IN TOTALE, SECONDO AVNERI, TRA IL 1931 E IL 1947 ENTRARONO IN PALESTINA FRA I 35.000 E I 40.000 IMMIGRATI ILLEGALI ARABI, OLTRE AI 20.000 GIUNTI REGOLARMENTE.
Il censimento successivo, quello del 1948, venne fatto in seguito ad un periodo di crescita economica senza precedenti e di continua immigrazione illegale araba. I siriani e i libanesi potevano entrare liberamente con soltanto dei ‘pass’ di confine, ed entrarono insieme ad immigranti da Somalia, Transgiordania, Persia, India, Etiopia e la regione di Hejaz.
LE LEGGI DELL’INGHILTERRA MANDATARIA RACCOMANDAVANO UNA SUPERVISIONE ALL’IMMIGRAZIONE, MA RACCOMANDAVA ESPLICITAMENTE DI CONCENTRARSI SOLO SU QUELLA EBRAICA. QUINDI, DI FATTO, I CONFINI DELLA PALESTINA RIMASERO APERTI A TUTTI (TRANNE CHE AGLI EBREI).
Questa crescita abnorme nella popolazione araba divenne ben presto evidente. Il governo inglese era molto più preoccupato a monitorare il numero di ebrei che quello di arabi, ma dato che l’immigrazione era comunque sotto la responsabilità del governo inglese, quest’ultimo tentò di spiegare l’aumento di popolazione araba con qualunque motivazione atta a scagionare la Corona dall’accusa di negligenza. Cioè, con qualunque motivazione diversa dall’immigrazione illegale.
Ecco come il governo inglese definì le cause dell’aumento di popolazione araba. Cito testualmente:
“UNA COMBINAZIONE DI CIRCOSTANZE UNICHE NELLA STORIA.”
Per gli ebrei, “un tasso insolitamente alto (benché non senza precedenti) di immigrazione” e per gli Arabi, vale a dire, i musulmani, “un tasso elevato a livelli abnormi (ed, è possibile, senza precedenti) di crescita naturale nella popolazione esistente indigena”.
Gli inglesi affermarono ancora:
“Non si possono fare stime accurate circa il numero di Arabi che sono entrati in Palestina da terre arabe limitrofe …, ma si può riconoscere che i nove decimi circa della crescita è stata dovuta all’incremento naturale, ed è stata una crescita di oltre il 50% in 17 anni. Si tratta di cifre notevoli, specialmente in considerazione della credenza generale che la popolazione in Palestina sotto il regime ottomano era rimasta più o meno stazionaria”.
QUESTE DICHIARAZIONI SONO DIVENTATE UNO DEI CAVALLINI DI BATTAGLIA DELLA CAUSA PALESTINESE. BASANDOSI SU QUESTE DICHIARAZIONI, SI VUOLE DIMOSTRARE CHE LA MAGGIORANZA ARABA IN PALESTINA AGLI INIZI DEL ‘900 INDICASSE L’ESISTENZA DI UN POPOLO PALESTINESE AUTOCTONO, O COMUNQUE DESSE AGLI ARABI UN MAGGIORE DIRITTO SU QUELLA TERRA. TUTTAVIA, UNA PRIMA SMENTITA VIENE PROPRIO DALLE FONTI INGLESI, CHE SI AUTO-DEFINISCONO INACCURATE.
Ad esempio, il Dipartimento inglese per l’Immigrazione riconobbe piuttosto candidamente che i ‘registri’ relativi all’immigrazione non ebraica da paesi limitrofi come Siria e Libano erano ‘incompleti’; e che le incompletezze erano comunque ‘di impatto non rilevante’ dato che, come specificato nel rapporto, le registrazioni del Dipartimento avevano lo scopo di controllare solo ‘l’immigrazione ebraica in Palestina, secondo la capacità del Paese di assorbire immigrati’. Il rapporto assicurava infatti: “da questo punto di vista, le statistiche possono considerarsi ad un alto livello di accuratezza”.
Troviamo dunque che il sistema britannico per il controllo dell’immigrazione non teneva nemmeno in seria considerazione l’immigrazione araba in Palestina. Le descrizioni della ‘politica mandataria’ presupponevano che soltanto l’immigrazione ebraica andasse monitorata. Tuttavia, il governo britannico si trovò ad un certo punto a dover ammettere vagamente questa ‘immigrazione illegale araba’, proprio a causa della sua portata massiccia:
“Oltre a questo aumento di immigrazione registrata, sappiamo che un numero di persone entrano in Palestina illegalmente sia da paesi europei che adiacenti, per stabilirvisi in modo permanente” .[38]
Questo fenomeno però fu sempre minimizzato e definito ‘casuale’, e mai introdotto come un fattore determinante nel conteggio della popolazione nella porzione di Palestina che il Mandato aveva destinato agli ebrei.
IL RAPPORTO HOPE-SIMPSON DEL 1930 AD ESEMPIO ARRIVÒ A CONTRADDIRSI APERTAMENTE. Mentre da un lato affermava che gli ebrei aumentavano grazie all’immigrazione (mentre gli arabi aumentavano grazie alla crescita naturale) in altre parti le pagine parlano di “una ‘considerevole’ immigrazione (illegale) araba in atto senza restrizioni, e proveniente da paesi quali la Siria, l’Egitto, la Transgiordania e il Libano, fra altri”!!!
La maggior parte delle ammissioni del governo inglese di un’immigrazione illegale araba furono in qualche modo ‘camuffate’ dall’etichetta oscura e mai specificata di ‘immigrazione illegale non registrata’, o estesa approssimativamente ad ‘ebrei, arabi ed altri’ in modo generico. Ogni volta che l’immigrazione araba veniva alla luce (perché non poteva essere altrimenti), il rapporto aggiungeva invariabilmente che quel volume di immigrazione ‘must be insignificant’ (‘deve essere insignificante’) .
Pur continuando a dichiarare i nuovi immigrati illegali arabi come ‘popolazione indigena palestinese radicata nel Paese’, gli inglesi spiegarono che erano gli ebrei ad aver invaso il paese oltre la sua ‘capacità di assorbimento’ rubando spazio agli arabi. IL RAPPORTO GIUNSE ALLA CONCLUSIONE CHE GLI ARABI VENIVANO ‘SRADICATI’ DAGLI EBREI, BENCHÉ NELLE SUE STESSE PAGINE ESSO AMMETTESSE UN ‘INCONTROLLATO AFFLUSSO DI EMIGRANTI ARABI ILLEGALI DALL’EGITTO, DALLA TRANSGIORDANIA E DALLA SIRIA” .
Parlando inequivocabilmente di ‘forza lavoro non-ebraica’, il Rapporto affermava che:
“L’ufficiale in capo per l’immigrazione ha fatto notare che l’immigrazione illegale attraverso la Siria e la frontiera settentrionale della Palestina è reale”.
Inoltre, il Rapporto parla del “caso dello ‘pseudo-viaggiatore’ il quale, entrato con un permesso a tempo limitato, ‘continua’ la permanenza in Palestina dopo che il periodo di permesso è scaduto” e la definisce una “pratica comune” al punto da rappresentare una “ingiustizia verso gli ebrei”.
Benché l’immigrazione ebraica fosse meticolosamente registrata, analizzata nel dettaglio e perfino stimata in anticipo deducendola dalle cifre imposte a priori dal governo inglese, ogni riferimento all’immigrazione illegale araba fu presentato in modo perlomeno ambiguo. Quasi senza eccezione, questa questione fu trascurata, negata oppure oscurata dall’attenzione preponderante sull’immigrazione ebraica, considerata come la ‘questione primaria’.
Ad esempio, il rapporto di un ufficiale arabo indica in modo inequivocabile che dalla primavera all’estate del 1934, da una delle tante aree arabe (al di fuori della Palestina) colpite dalla depressione e dalla povertà: “Entrarono e si stabilirono in Palestina più arabi del numero totale di ebrei che, nel doppio di quel periodo di tempo nel 1934, erano stati ‘autorizzati’ ad emigrare nel loro designato ‘focolare ebraico’. ”
QUESTO SIGNIFICA CHE IN TRE/QUATTRO MESI, DA UNA SOLA LOCALITÀ ARABA, ENTRAVANO IN PALESTINA PIÙ ARABI ILLEGALI DI TUTTI GLI EBREI AUTORIZZATI IN SEI MESI. E CHE, ALL’IMMIGRAZIONE DA QUESTA LOCALITÀ, ANDAVA SOMMATA QUELLA DI TUTTE LE ALTRE AREE ARABE NON PALESTINESI.
NONOSTANTE QUESTO, IL RAPPORTO UFFICIALE BRITANNICO PER L’IMMIGRAZIONE IN PALESTINA RELATIVO A TUTTO L’ANNO 1934 RIPORTA UNA ‘IMMIGRAZIONE REGISTRATA’ DI SOLI 1.784 ‘NON EBREI’, CON SOLTANTO 3.000 “VIAGGIATORI RIMASTI ILLEGALMENTE”, E QUESTE CIFRE DOVREBBERO RAPPRESENTARE TUTTI GLI IMMIGRATI ARABI PROVENIENTI DA TUTTI GLI STATI LIMITROFI ALLA PALESTINA!
Ironicamente, sono proprio le stesse cifre fornite dagli inglesi a contraddire in vari modi la loro teoria della crescita naturale. Secondo i dati ufficiali del censo dell’Impero Ottomano turco del 1882, in tutta la Palestina erano presenti soltanto 141.000 musulmani, sia arabi che non-arabi. Questo numero subì un’impennata vertiginosa arrivando a 650.000 arabi nel 1922, cioè un incremento del 450% in soli 40 anni. Nel 1938 quel numero sarebbe diventato oltre 1 milione, per un incredibile incremento dell’ 800% in soli 56 anni.
Secondo gli inglesi (e poi, gli arabi) l’enorme crescita del loro numero fu dovuto alle nascite naturali. Nel 1944 ad esempio, essi dichiararono che la crescita demografica naturale (nascite meno decessi) degli arabi in Palestina sarebbe stata rappresentata dallo sbalorditivo tasso del 33,4 %. Questo dato rappresenta quasi quattro volte il tasso corrispondente per lo stesso anno dell’Egitto, considerato fra i più alti al mondo.
Il tentativo inglese di spiegare questo aumento di popolazione araba come: “un tasso elevato a livelli abnormi (ed, è possibile, senza precedenti) di crescita naturale nella popolazione esistente indigena” non ha dunque fondamento.
NEMMENO LA PROSPERITÀ ECONOMICA E I MIGLIORAMENTI NELLA SANITÀ E NELL’IGIENE INTRODOTTI DAI COLONI EBREI AVREBBERO MAI POTUTO GIUSTIFICARE UN AUMENTO SIMILE, CHE NON SI RISCONTRA IN NESSUNA POPOLAZIONE AL MONDO DI NESSUNA EPOCA STORICA.
Il 18 marzo 2008 ANSA ha divulgato un articolo nel quale il presidente egiziano Mubarak lanciò l’allarme demografico nel suo paese. “La crescita demografica “inghiotte tutti i profitti della crescita economica”, disse Mubarak, citato dal quotidiano governativo al Ahram”.
L’articolo ci informava che in Egitto si registrava “un neonato ogni 23 secondi”. “Il Paese, con circa 80 milioni di cittadini alla fine del 2007, era il più popoloso del mondo arabo. Il 32 % della popolazione aveva meno di 15 anni ed era raddoppiata negli ultimi trent’anni”. Il tasso di crescita responsabile di questo aumento vertiginoso “era stato del 7,5 % nei primi sei mesi dell’anno fiscale 2007-2008”.
Nell’articolo ‘Proiezioni di Crescita Demografica’ (A cura de Il Pensiero Scientifico Editore – 25/10/2005) si afferma che: “Negli ultimi 45 anni, la popolazione asiatica è cresciuta del 129 %, da 1,7 a 3,9 miliardi; le proiezioni per i prossimi 45 anni indicano una crescita più modesta, con un aumento previsto del 33%, per arrivare a 5,2 miliardi di persone nel 2050. Per l’America Latina le proiezioni prevedono una crescita demografica del 39 %, da 0,56 a 0,78 miliardi. Ma in Africa la situazione è in netta controtendenza: le proiezioni di crescita della popolazione parlano di un + 100 % nei prossimi 45 anni (1,69 miliardi di persone nel 2050)”.
E’ CHIARO QUINDI CHE SE UN AUMENTO DEL 7,5% È SUFFICIENTE A FAR SCATTARE L’ALLARME IN UN PAESE COME L’EGITTO, O UNA CRESCITA DEL 129% IN 45 ANNI VIENE RIPORTATA COME LA PIÙ ALTA AL MONDO, TASSI COME L’800% IN 56 ANNI O IL 33,4% SONO QUANTOMENO INVEROSIMILI !!!
Ad ogni buon conto ricordiamo che fu lo stesso Winston Churchill in persona il primo a dover ammettere la verità sulla crescita demografica araba in Palestina.
Nel 1939, infatti, Churchill finalmente affermò:
“TUTT’ALTRO CHE PERSEGUITATI, GLI ARABI SI SONO AFFOLLATI NEL PAESE E MOLTIPLICATI FINO A CHE LA LORO POPOLAZIONE È CRESCIUTA PIÙ DI QUANTO TUTTI GLI EBREI DEL MONDO POTREBBERO RISOLLEVARE LA POPOLAZIONE EBRAICA”.
Il riconoscimento di Churchill della massiccia immigrazione araba in Palestina fu confermato da molti, fra cui il governatore britannico del Sinai per il periodo 1922-1936, il quale ammise che:
“Questa immigrazione illegale non stava avvenendo soltanto dal Sinai, ma anche dalla Transgiordania e dalla Siria ed è molto difficile trovare una soluzione alla miseria degli arabi se al tempo stesso non si è riusciti ad impedire che i loro compatrioti provenienti dagli stati limitrofi entrassero a condividere quella miseria”. (C.S. Jarvis, “Palestine,” United Empire (Londra), 28 (1937): 633)
SECONDO IL RAPPORTO ALLA LEGA DELLE NAZIONI PRESENTATO DAL GOVERNO BRITANNICO NEL 1937, IL NUMERO DI ARABI IN PALESTINA ERA QUINDI SALITO ALLE STELLE TUTTAVIA, QUESTA PROVA CRUCIALE ED EVIDENTE FU TRASCURATA, NON RICONOSCIUTA E SOPRATTUTTO MAI INTRODOTTA NELL’EQUAZIONE POLITICA DELLA PALESTINA.
Al di là del numero in sé, dobbiamo tenere a mente che questi arabi musulmani erano immigrati giunti da Algeria, Damasco, Yemen, Afganistan, Persia, India, Tripoli, Marocco, Turchia e Iraq. Nessuno di loro era nativo della Palestina. TUTTAVIA, I LORO DISCENDENTI SONO QUELLI CHE OGGI SI DICHIARANO ‘PALESTINESI’.
Consideriamo comunque che se anche il numero di arabi indigeni fosse stato effettivamente maggiore di quello degli ebrei (e così non è, ma ammettiamo per assurdo che questa sia la verità) non dimentichiamoci che nel 1920 il 77% DELLA PALESTINA FU CONSEGNATO AGLI ARABI CON IL NOME DI TRANSGIORDANIA (O GIORDANIA) !!
LA ‘PALESTINA’ DI CUI PARLIAMO OGGI RAPPRESENTA IL 23% DELLA PALESTINA ORIGINARIA, DI CUI UN TERZO FINITA SOTTO L’OCCUPAZIONE GIORDANA (E TRASFORMATA IN ‘WEST BANK’) O CEDUTA DA ISRAELE ALLE ORGANIZZAZIONE TERRORISTICHE (STRISCIA DI GAZA) IN CAMBIO DI UNA PACE MAI ARRIVATA.
MA SE IL POPOLO PALESTINESE ALLORA NON ESISTE DA DOVE ARRIVANO ALLORA I MITI DEI ‘PALESTINESI’ ABITANTI DELLA PALESTINA E DERUBATI DA ISRAELE DELLA LORO TERRA??
Ecco da dove.
Dopo due eclatanti sconfitte militari, gli arabi sembrano decidere di cambiare strategia e spostare il conflitto su un piano più ideologico che militare. La loro nuova strategia si rivelerà efficacissima.
NEL 1968 (A MAGGIO) ARAFAT, LEADER DI FATAH, DIVENTA CAPO DELL’OLP, E POCO DOPO DÀ UFFICIALMENTE ALLA LUCE LA SUA IDEA PIÙ GENIALE E MICIDIALE CONTRO ISRAELE: IL ‘NAZIONALISMO PALESTINESE’.
Pur ribadendo l’obbiettivo di distruggere Israele con la violenza, la Carta dell’OLP viene modificata. Il termine arabo per indicare il carattere “nazionale” del movimento passa da “qawmi” (nazionalita’ pan-araba) a “wattani” (nazionalita’ territoriale di un singolo paese arabo): e’ la nascita ufficiale di uno specifico “nazionalismo arabo-palestinese”, nonché dell’oggi noto ‘Popolo Palestinese’ (derubato della propria terra) e della relativa propaganda internazionale. I palestinesi arabi erano (e sono a tutt’oggi) etnicamente arabi (giordani, egiziani, siriani) abitanti della Palestina, cioè ‘arabi palestinesi’, così come gli ebrei potevano definirsi ‘ebrei palestinesi’. Da un punto di visto etnico-culturale, gli arabi di Palestina erano semplicemente arabi. Con la nascita del ‘wattani’ palestinese, agli arabi di Palestina viene associata un’identità etnica e culturale propria della Palestina che li avrebbe distinti dagli arabi di tutte le regioni limitrofe, dalle quali in realtà essi provenivano.
NASCE COSÌ IL ‘POPOLO PALESTINESE’, ABITANTE DELLA PALESTINA ‘DA MIGLIAIA DI ANNI’, DISTINTO ETNICAMENTE DAGLI ARABI GIORDANI, EGIZIANI E SIRIANI, E CHE PUÒ DUNQUE RIVENDICARE UNA PROPRIA ‘TERRA DI PALESTINA’.
Consideriamo ora lo scontro perenne tra i due contendenti sotto una luce il più possibile obiettiva:
il conflitto che oppone Arabi “Palestinesi” ed Israeliani pare infatti avere caratteri del tutto peculiari: le parti si affrontano in guerre e guerriglie che si succedono incessantemente: il conflitto a tratti sembra sopito per poi riaccendersi nuovamente. Soprattutto però pare quasi che non importi chi vinca e chi perda: si aspetta semplicemente la prossima battaglia. Il conflitto continua implacabile passa da una generazione all’altra, siamo ormai alla terza generazione, i soldati di oggi combattono la stessa guerra dei loro nonni.
Le catastrofi (nakba, come dicono gli arabi) si succedono alle catastrofi: il popolo arabo “palestinese” vive spesso ai limiti della sopravvivenza, nell’inferno di Gaza o nei campi miserabili nel Libano, gli Israeliani d’altra parte non riescono a trovare una situazioni di pace, di sicurezza, di normalità.
Da qui una prima domanda (retorica) mi sorge spontanea: i “fratelli musulmani”, o se vogliamo identificarli meglio “gli Stati Arabi confinanti” (Egitto, Siria, Libano, Giordania e poco più in là l’Arabia Saudita), hanno mai concesso un metro di terra ai fratelli “palestinesi” dove poter vivere un po’ più degnamente? Hanno favorito l’istruzione della popolazione palestinese? O forse hanno solo alimentato la massificazione all’interno dei territori (tutti concessi da Israele) per creare così un nucleo “esplosivo” da poter sfruttare come arma contro gli ebrei a loro piacimento?
Qualcuno ovviamente scandalizzato obietterà dicendo che i territori concessi da Israele erano di proprietà araba “palestinese”.
A costoro rispondo con una semplice domanda:
è normale che chi scatena guerre e sistematicamente le perde vanti diritti sui territori del vincitore?
Già non lo sarebbe se la guerra la si fosse subita ma così…
giusto per citare, credo che Abba Eban, anche se certamente di parte, riassunse però bene quello che sarebbe stato un ‘classico’ nella storia del conflitto fra Israele e gli stati arabi:
“QUESTA È LA PRIMA GUERRA NELLA STORIA CHE TERMINA CON I VINCITORI CHE RICERCANO LA PACE, E I VINTI CHE PRETENDONO UNA RESA INCONDIZIONATA” (Abba Eban, Abba Eban, (NY: Random House, 1977), p. 446.
La cosa che pare ancora incredibile è, comunque, che la soluzione sia chiaramente sotto gli occhi di tutti: OCCORREREBBE SEMPLICEMENTE STABILIRE DUE STATI AUTONOMI E SOVRANI. PUNTO.
MA IN QUESTO CASO GLI STATI ARABI DOVREBBERO CEDERE DEL PROPRIO PER GARANTIRE CHE LO STATO PALESTINESE POTESSE SORGERE IN FORMA ORTODOSSA PER UN QUALUNQUE STATO CHE POSSA DEFINIRSI TALE E NON ESSERE UN’ACCOZZAGLIA DI APPEZZAMENTI DI TERRA COME SOPRA DESCRITTO CHE VANNO GAZA ALLA CISGIORDANIA, A SEI CITTÀ GIÀ TUTTE PALESTINESI E IL TUTTO SPARSO QUA E LÀ PER ISRAELE SOMMATO AI VILLAGGI ATTORNO ALLE CITTÀ DI CUI SOPRA.
IL PARADOSSO, QUINDI, È CHE ESISTE UNA GUERRA CHE CONTINUA SEMPRE, COMUNQUE FINISCANO LE BATTAGLIE, PER UN MOTIVO CHE IN REALTÀ NON ESISTE PERCHÉ LA SOLUZIONE COME APPENA DESCRITTO È OBBLIGATA È INEVITABILE, MA VA CONTRO GLI INTERESSI DEI PAESI ARABI.
Cerchiamo allora di capire le ragioni di questa ottusità, di questo NON volere trovare una soluzione a qualunque costo:
il conflitto è nato dal fatto che un numero ingente di ebrei si trasferì in Palestina, prima a piccoli gruppi e poi in modo più compatto dopo la Seconda Guerra Mondiale, stabilendosi dapprima in una terra desolata, abbandonata da tutti ma che poi, grazie ai miglioramenti delle condizioni di vita in queste lande desertiche attuate dai coloni ebrei attraverso sistemi di irrigazioni e quant’altro, hanno cominciato a diventare appetibili da tutti quegli arabi che nei propri Paesi si trovavano in quasi assoluta indigenza.
Indubbiamente l’arrivo ciclico degli ebrei in Palestina nonostante questa fosse “terra di nessuno” ha infastidito non poco i potentati locali che quindi adottano la puerile scusa che non si può pretendere di occupare una terra perché in quella vi abitavano quasi duemila anni prima i propri antenati, senza però contare che gran parte di quella terra gli ebrei l’hanno comprata, pagandola fior di quattrini, agli sceicchi locali stessi, al Kaiser e agli Ottomani ed infine agli inglesi.
Gli Arabi però, per giustificare le ragioni della loro guerra si fermano solo a questo punto:
GLI ISRAELIANI SONO INVASORI DA RICACCIARE, GLI ARABI HANNO RICEVUTO UNA INGIUSTIZIA STORICA E LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE DOVREBBE RISTABILIRE IL DIRITTO LESO: LO STATO DI ISRAELE NON DOVREBBE ESISTERE: PUNTO E BASTA: QUESTA SAREBBE LA VERITÀ, ULTIMA E DEFINITIVA, DELLA QUESTIONE.
TUTTAVIA, PARADOSSALMENTE, LO STESSO RAGIONAMENTO VIENE FATTO DAGLI ISRAELIANI: LO STATO DI ISRAELE ESISTE (ED ESISTEVA), È UN FATTO ORMAI CONSOLIDATO. QUINDI ISRAELE HA DIRITTO AD ESISTERE. LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE INFATTI RICONOSCE QUESTO DIRITTO.
Lo stato di israele infatti NON è nato da un atto di forza, ma trae la sua legittimità da un atto della comunità internazionale, una risoluzione dell’ONU, CHE PROBABILMENTE NACQUE DALLA CONSIDERAZIONE CHE NEL 1947 POTEVA SEMBRARE UNA QUESTIONE IN FONDO MARGINALE ASSEGNARE A UN POPOLO SENZA TERRA, CHE AVEVA SUBITO LA PIÙ TERRIBILE PERSECUZIONE MAI AVVENUTA NELLA STORIA, UNA PICCOLA STRISCIA DI TERRITORIO PRATICAMENTE DISABITATO. SEMBRÒ UN FATTO, DIREMMO, DI ORDINARIA AMMINISTRAZIONE, RISPETTO AI GRANDI SCONVOLGIMENTI CHE LA II GUERRA MONDIALE AVEVA PORTATO: SI PENSI CHE I PROFUGHI FURONO DECINE DI MILIONI , CHE INTERI STATI VENNERO RIDEFINITI E CHE REGIONI DA SEMPRE PARTI DI UNO STATO ENTRARONO NEI CONFINI DI ALTRI STATI.
Le rimostranze degli arabi (che tra l’altro come alleati del Fuhrer la guerra in teoria l’avrebbero persa cfr. Nota 6 ) diedero luogo a quella che fu valutata solamente come una pseudo-crisi che sarebbe però presto rientrata, senza troppe conseguenze.
E fu per questo che sia gli stati occidentali che quelli del blocco sovietico decisero di riconoscere all’ONU la formazione dello Stato di Israele.
A questo punto consideriamo in sé l’oggetto della contesa: il territorio di Israele è di circa 20.000 Km2 e, considerando che per circa la metà si tratta del deserto del Negev, praticamente si tratta di un territorio che più o meno equivale a quello di una nostra regione di media grandezza, come le Marche per fare un esempio.
Il fatto che poi gli Arabi “Palestinesi” siano stati cacciati dalle terre di Israele non è vero, è un ennesimo falso fornito dalla propaganda anti-israeliana, antisionista e antisemita, ESSI SONO INFATTI ANDATI VIA VOLONTARIAMENTE (cfr. nota 7) , portandosi via le proprie cose, mentre quelli che restarono godettero di una libertà impensabile negli altri Stati arabi. In contemporanea bisogna anche considerare che un numero più o meno pari di ebrei sono stati cacciati dagli Stati arabi ma PERDENDO TUTTE LE LORO SOSTANZE: si tratta quindi di uno scambio di popolazioni più o meno alla pari, ma con modalità assolutamente impari.
Il cosiddetto popolo palestinese sarebbe quindi stato spogliato della sua terra: MA CONSIDERATO CHE STORICAMENTE NON È MAI ESISTITO UN POPOLO PALESTINESE (NE TANTO MENO UNO STATO PALESTINESE ) MA SOLO ARABI CHE HANNO UN TERRITORIO IMMENSO (IL 99,9% MAGGIORE DI QUELLO DI ISRAELE) NON VEDO DOVE STIA IL PROBLEMA.
Infatti, concentrandoci sulla questione possiamo sicuramente affermare che, in questo caso, non ci si trova di fronte a una disputa territoriale tra due Stati preesistenti che vengono in contrasto per una certo parte del territorio come ad esempio avvenne per l’Istria fra l’Italia e Jugoslavia.
(Tra l’altro vorrei capire e chiedo: ma gli Italiani d’ Istria, strappati alla loro Patria hanno mai lanciato razzi e fatto attentati contro l’allora Jugoslavia? E noi italiani abbiamo mai preteso la restituzione dell’Istria se no “guerra allo slavo maledetto”?… Non mi sembra proprio.)
La guerra, e con lei l’Istria, l’abbiamo persa, ma almeno noi abbiamo conservato la nostra dignità. Giusto un Gheddafi poteva continuare a chiedere all’Italia i danni di guerra (nonostante dalla nostra presenza la Libia ne avesse tratto più benefici che altro, vedi strade ospedali, scuole..) ma lui era… arabo. Sta tutto qui, nella differenza di etica, di morale, di rispetto della parola data e soprattutto di dignità, che alcuni popoli hanno altri no. Ma questa non sia presa come una critica, è semplicemente un modus pensandi, una prerogativa culturale che, come altri, caratterizza l’agire di un popolo.
Tornando alla questione, nel caso di Israele, non si può nemmeno invocare il principio della nazionalità degli abitanti come per il Kossovo abitato al 90 % da Albanesi, poiché è proprio la immigrazione ebraica a essere contestata.
Non si può nemmeno palare di colonialismo, come pure spesso si è fatto: non esiste una madre patria che amministra un territorio lontano storicamente distinto come nel caso dell’impero coloniale inglese.
E nemmeno si può parlare di stato confessionale: una gran parte dei suoi cittadini non segue affatto la religione tradizionale ebraica .
Formalmente lo Stato d’Israele può considerarsi forse come una sorta di Stato “razzista” in quanto accetta come cittadini quelli che appartengono a una certa etnia (legge del ritorno): non ha però i caratteri propri di uno stato razzista come ad esempio il vecchio Sud Africa, anche perché, oggettivamente, gli ebrei sono un popolo e non una razza!
Direi, considerato tutto, che si tratta di un caso unico e diremmo irripetibile: irrisolvibile pertanto con le leggi internazionali generalmente riconosciute ma solo con il buonsenso delle due parti in causa. Purtroppo pare che questo arrivi solo da una parte.
Se ci si pensa bene, in realtà tutti, o quasi tutti, gli sconvolgimenti territoriali della Storia sono stati accettati, decine di milioni di profughi assorbiti, e anche gli immensi imperi coloniali europei si sono dissolti senza troppo gravi drammi, MA LA QUESTIONE PALESTINESE RIMANE LÌ, IRRISOLTA E SEMPRE PIÙ IRRISOLVIBILE, È DIVENUTA NEL TEMPO UNA SPECIE DI FOCOLAIO DA CUI SCATURISCONO CRISI SU CRISI CHE MINACCIANO LA STABILITÀ NON SOLO DEL MEDIO ORIENTE MA ANCHE DI TUTTO IL MONDO.
Dal punto di vista israeliano è evidente che essi non possono lasciare quel territorio e tornare nelle patrie di origine: sono costretti dalle circostanze a lottare strenuamente per difendersi: circondati dall’ostilità implacabile di uno sconfinato mare di genti nemiche hanno come priorità assoluta, più di ogni altro popolo, la difesa.
Da parte araba le motivazioni sono di una implacabile ostinazione e nel contempo sono anche molto più complesse. Soltanto per dovere do cronaca e senza nessun intenzione polemica ricordo che innanzitutto bisogna considerare l’orgoglio o, meglio, la frustrazione degli arabi.
Da secoli gli Arabi infatti vengono regolarmente sconfitti in campo aperto dagli Occidentali con irrisoria facilità. L’ultima volta che un esercito mussulmano è riuscito a contrastare uno europeo è stato sotto le mura di Vienna nel 1683: poi è stato tutto un susseguirsi di disfatte umilianti: dalla spedizione di Napoleone in Egitto che con poche migliaia di soldati debellò l’aristocrazia dei Mammellucchi che detenevano da 400 anni il potere in Egitto, alla battaglia Navarrino in cui la flotta araba fu affondata tutta dalle navi europee, alla battaglia di Khartum in cui i dervisci caddero in massa di fronte alle truppe inglesi, fino alla Guerre del Golfo in cui la madre di tutte le battaglie si è trasformata nella madre di tutte le sconfitte: per due volte un esercito americano ha disfatto completamente uno iracheno praticamente senza avere perdite.
Ecco quindi che la questione palestinese diviene un fatto simbolico: se un piccolo stato come Israele tiene in scacco l’intero mondo arabo vuol dire che in effetti esso è solo la espressione di un complotto a livello mondiale contro la rinascita del mondo arabo: la lotta contro Israele non è quella per recuperare un piccola fetta di territorio ma quella di liberarsi dal dominio delle potenze occidentali che vorrebbero mantenere il loro dominio nella regione.
Continuando a ragionare sull’argomento e spostandoci sempre più verso l’attualità non si può considerare che negli ultimi decenni, dopo il fallimento delle politiche modernizzatrici dei governi arabi, e nonostante pare anche la “primavera araba” (che sembrava in un primo momento dover porre i popoli arabi in un ottica più laica) il fondamentalismo islamico ha ripreso forte vigore e per gli integralisti la Questione Palestinese è SOLO una questione religiosa: bisogna liberare al Qoods ( la “santa” come viene chiamata Gerusalemme). Il luogo sacro dal quale Muhammed volò in cielo, come una prima necessaria tappa di un risveglio generale della Umma (comunità dei fedeli in Allah) che deve purificarsi dalle influenze occidentali (cioè degli infedeli) per riprendere il suo glorioso cammino di conquista del mondo alla vera fede in Dio.
Concorderete, quindi, che posta in questi termini, come in realtà viene posta tra gli arabi fodamentalisti, la questione palestinese diviene irrisolvibile: ogni compromesso diventa un ignobile e sacrilego tradimento.
La Palestina infatti da quest’ottica assume per il mondo islamico lo stesso valore che essa aveva per l’Europa medioevale: tutta la cristianità concordava nella necessita di liberare il Santo Sepolcro ed ogni imperatore, re e principe dichiarava che il suo scopo supremo era di partire per la crociata. Combatterla effettivamente poi era altra cosa.
Analogamente nell’ambito islamico ogni Rais, ogni leader piccolo e grande, ogni capo di banda terroristica mette avanti il problema palestinese per crearsi una facile popolarità perché tutto il modo arabo, in un modo o nell’altro, sente quella questione come una ferita aperta che non si rimargina.
IN REALTÀ, CONCRETAMENTE, NESSUN PAESE ARABO, DOPO LA PACE SEPARATA DELL’EGITTO, HA MAI AFFRONTATO ISRAELE E NON PARE CHE NE ABBIA LA MINIMA INTENZIONE O POSSIBILITÀ: TUTTAVIA SI PUÒ GIUSTIFICARE QUALUNQUE AZIONE DICHIARANDO CHE LA PROPRIA META FINALE È SEMPRE LA DISTRUZIONE DI ISRAELE.
Il problema politico quindi se visto da questo punto di vista diviene un problema metafisico. E prova tu a teorizzare o convincere qualcuno su teorie metafisiche!
Quindi, rifacendo un attimo un passo indietro, possiamo certamente notare come, a un osservatore esterno e imparziale, le linee della pace possano apparire evidenti e irrefutabili solo se non si considerano torti e ragioni: l’unica soluzione sarebbe, come detto, la divisione della Palestina in due stati, sovrani e indipendenti. La comunità internazionale, l’opinione pubblica mondiale onesta quindi dovrebbe fare una sola domanda veramente importante a Palestinesi e Israeliani.
Ai primi chiedere se vogliono riconoscere realmente e definitivamente lo stato di Israele, e quindi che la fine dell’occupazione israeliana NON sia solo il primo passo per la distruzione di Israele stessa. Ai secondi, chiedere se essi vogliono effettivamente la costituzione di uno Stato palestinese e quindi sono disposti a smantellare le colonie che ancora, di fatto, lo impediscono
Ma la risposta che otterrebbero sarebbe senz’altro equivoca.
Questo perché innanzitutto i pareri si dividono in ciascun campo:
infatti mentre HAMAS, da una parte, continua a mantenere nel suo programma (e nel suo Statuto) la cancellazione pura e semplice di Israele (nonostante sembri che Abu Mazen e Al Fatah o una sua parte, almeno,riconoscano il diritto ad esistere ad Israele), da quella israeliana una parte della popolazione pare decisa a promuovere la nascita di una Palestina indipendente ma un’altra parte sostiene strenuamente gli insediamenti, il diritto ad abitare in quei territori.
IN MEZZO AI DUE CONTENDENTI TUTTI COLORO, PAESI ARABI IN TESTA, CHE NON VOGLIONO CHE CIÒ SI REALIZZI E COME DETTO NON SI SOGNANO NEMMENO DI AGEVOLARLO MAGARI CON CONCESSIONI TERRITORIALI AI PROPRI “FRATELLI MUSSULMANI”.
I moderati di ciascuna delle parti, poi, temono che nel campo opposto prevalgano gli estremisti, che non ci si possa fidare dei moderati stessi.
Senza considerare che sia arabi che israeliani hanno specifici problemi ad accettare la pace di compromesso.
Gli israeliani pensano di non potersi fidare dei Palestinesi poiché: quanto anche questi solennemente si impegnassero a riconoscere Israele chi potrebbe poi garantire che in uno stato indipendente di Palestina non prevalessero poi gli elementi più estremisti che disconoscerebbero proprio quegli impegni? ( E chi conosce il modo di ragionare, l’educazione, la cultura araba sa che questa eventualità è assolutamente dietro l’angolo. Non rispettare i patti fa parte dell’humus culturale dell’arabo dalla notte dei tempi e ahimé come al solito questa non è una critica, ma una constatazione storica).
I Palestinesi hanno anche essi problemi specifici, e decisamente più preponderanti: infatti i loro dirigenti, che fossero quelli dell’OLP o gli attuali di Hamas, tutti hanno da sempre promesso che avrebbero spazzato via gli Israeliani, che li avrebbero ricacciati in mare.
Il popolo palestinese, come detto da sempre oppresso senza rendersi conto da chi, ci ha creduto, ci ha fermamente creduto e si è sacrificato e continua a sacrificarsi oltre ogni ragionevole limite, generazione dopo generazione, nella speranza indistruttibile che alla fine essi prevarranno e che Israele sparirà come un brutto sogno. Da tre generazione ogni palestinese apprende questa verità suprema fin dalla tenera età e vive per quel giorno, il giorno della vittoria che è certa e indubitabile, che Allah stesso non negherà certo ai suoi fedeli. Quindi il problema da questa parte pare ancor più insormontabile.
Dire ai “palestinesi”, o meglio al popolo “palestinese, che invece bisogna fare la pace con Israele significa in sostanza dire che tre generazioni si sono sacrificate inutilmente, che tutto è stato vano perché in effetti debbono accontentarsi di quello che hanno sempre rifiutato, anzi se non intervengono i “fratelli Arabi” di molto di meno. (Se avessero infatti accettato la spartizione decisa dall’ONU Israele sarebbe una piccola enclave senza importanza, se avessero accettato il risultato della guerra dei Sei Giorni e avessero riconosciuto Israele avrebbero un loro stato da 40 anni senza gli insediamenti ebraici: non è facile riconoscere che ci si è sbagliato, che una immensa infinita mole di sacrifici e sofferenza è stata inutile!).
Avviene allora che chi mostra ai Palestinesi l’unica strada per uscire dalla situazione da incubo in cui si trovano, e cioè la possibilità di una pace vera, venga considerato un traditore, un responsabile di quella situazione. Chi invece, come Hamas, al contrario prolunga indefinitivamente quella situazione senza mostrare alcuna via di uscita effettivamente percorribile, diviene popolare, anche se non propone nessuna soluzione che non sia la semplice continuazione di un calvario infinito che dura da tre generazioni: che importa, Dio provvederà, Allah Akbar (Dio è grande), inch’Allah (come vuole Dio )!
Il grande problema è che dopo una accurata valutazione ci si rende subito conto che un insieme di fattori rende comunque impossibile anche un’eventuale e deprecabile soluzione militare del conflitto. Innanzitutto perché non si tratta di due contendenti che lottano da soli ma il mondo intero, in qualche modo, partecipa e rende impossibile a ciascuna della parti una vittoria definitiva.
Nello sconfinato mondo arabo e mussulmano, i “Palestinesi” trovano sempre dei sostenitori per tanti motivi anche vari e contrastanti: un fiume di danaro si rovescia sui Palestinesi (anche se, per la verità, tutto questo ben di Dio o di Allah rimane nelle strette maglie delle reti tese prima dall’OLP e ora da Hamas) e con esso un flusso ininterrotto di armi e soprattutto un imponente flusso di benedizioni religiose, di conforti fraterni e appoggi ideologici.
Oggi però non siamo più nel passato quando il blocco sovietico faceva propria la causa dei palestinesi nel tentativo di conquistare l’appoggio degli Arabi nel conflitto planetario che li opponeva agli Americani e al mondo capitalistico. Il crollo del comunismo e la “capitalizzazione” della Russia li ha privati di quell’aiuto ma, nel contempo, anche di una certa moderazione che comunque i Sovietici riuscivano a imporre in funzione della loro politica generale.
PURTROPPO LE CORRENTI DI ESTREMA SINISTRA, I GRUPPUSCOLI RESIDUALI MA SEMPRE VIVI E ATTIVI DEL VECCHIO COMUNISMO, I SINISTROIDI, QUELLI CHE L’IDEOLOGIA LA PRENDONO COME SE FOSSE UN’ASPIRINA SENZA RAGIONARE SUGLI EFFETTI COLLATERALI HANNO EREDITATO DALLA “SCUOLA SOVIETICA” L’APPOGGIO INCONDIZIONATO AI PALESTINESI. MA ESSI NON HANNO ALCUNA POSSIBILITÀ CONCRETA DI INTERVENIRE E PUR TUTTAVIA LASCIANO SPERARE AI PALESTINESI CHE I POPOLI DELL’OCCIDENTE SIANO CON LORO E QUINDI ANCHE I GOVERNI, PRIMA O DOPO ABBANDONINO GLI ISRAELIANI. (A questi non dimentichiamoci di aggiungere tutte le organizzazioni neo-naziste, antisemite ed antisioniste che proliferano sul pianeta. Giusto per citarne qualcuna ricordiamo: Aryan Nation, Nysvenska Rörelsen, National Democratic Party, Bloed Bodem Eer en Throuw, Combat18, Blood and Honour, Bloc Identitaire, Russian National Unity, Golden Hawn, Swedish Resistance Movement, Alba Dorata e l’appena balzato agli onori delle cronache in Italia, Stormfront)
Gli stati europei d’altronde, e quello italiano in primis, hanno una politica molto debole se non proprio viscida e ipocrita, infatti da una parte sostengono Israele nel suo diritto all’esistenza anche perché conoscono la “potenza” elettorale oltre che economica delle comunità ebraiche, dall’altra tuttavia cercano di avere buoni rapporti con i Palestinesi perché non intendono perdere l’amicizia e soprattutto i buoni rapporti commerciali con gli Arabi in generale (vedi Monti culo e camicia con l’Emiro del Quatar o a leccare qualche deretano in Kuwait e in altri potentati arabi, dove tra parentesi sta cercando di vendere ciò che rimane del nostro paese da lui ridotto a brandelli).
A tutto questo si aggiunge il grave problema che non esiste una politica estera comune degli Stati europei in Medio Oriente (come in ogni altro campo d’altronde) e quindi ogni Stato ha una sua politica particolare, spesso in concorrenza con quella del vicino.
I maggiori attori restano quindi gli Americani, naturalmente, gli unici che hanno effettivamente i mezzi economici e militari per intervenire e che inoltre possono pure influenzare i governi occidentali. Gli Americani sono schierati chiaramente a favore di Israele (sappiamo benissimo l’importanza della Comunità ebraica negli USA), tuttavia hanno anche interessi in tutto il Medio Oriente e molti alleati fra gli Stati arabi ma, soprattutto, temono una incremento di quelle correnti integraliste che tanto li preoccupano, che potrebbe favorire un’esplosione della situazione dalle conseguenze imprevedibili.
Da un parte quindi gli Americani aiutano effettivamente e sostanzialmente gli Israeliani ma, d’altra parte, sono intervenuti nelle guerre arabo-israeliane del 56, del 68 e del 73 per fermare l’avanzata israeliana oltre certi limiti e premono continuamente su Israele (anche in questi giorni) perché la repressione contro i Palestinesi non superi certi limiti.
C’è da tener presente che dal punto di vista puramente militare, attualmente, Israele potrebbe distruggere la resistenza palestinese facilmente: potrebbe rispondere al lancio dei razzi con attacchi aerei veramente devastanti e non come quelli chirurgici che sta cercando di attuare in queste ore.
Certo, ma come la mettiamo con i civili e i bambini che ci lasciano le penne? Dirà qualcuno.
Risposta: se Hamas monta postazioni lanciamissili su palazzi abitati da civili, nasconde i propri capi in campi profughi o tra la popolazione civile qualcosa succederà ai poveri “palestinesi” innocenti o no?
Se Israele lo volesse potrebbe rispondere a ogni attacco suicida o a ogni lancio di razzi con deportazioni di massa e rappresaglie indiscriminate. Ma questo non fa parte della cultura ebraica (e qui si tratterebbe di aver studiato Talmud e Torah per capirlo, ma i disinformatori se ne fregano. La maggior parte di loro non ha mai letto nemmeno una pagina del Corano, cosa vogliamo sperare?)
Oltretutto questo scatenerebbe una reazione araba incontrollabile e non sarebbe gradito agli Americani, oltre che dalla comunità internazionale, ed Israele non ha certo bisogno di avere nuovi nemici!
In pratica gli Americani mettono Israele in grado di resistere agli avversari ma impediscono loro di vincere e nello stesso tempo analogamente si dichiarano contro il terrorismo palestinese ma impediscono che esso sia effettivamente debellato.
Quindi alla fine chiunque vinca le battaglie non è importante: perché nessuno può vincere la guerra. Alla fine di ogni battaglia tutti gridano di aver vinto: in realtà è esattamente l’opposto, hanno perso tutti, mondo compreso.
Tornando alla Questione, i “palestinesi”, come da sempre cerco di spiegare, sono certamente le vittime di questa situazione, ma ciò a causa dell’assenza di un governo autorevole e responsabile, in grado di governare e imporre effettivamente la propria volontà, e della presenza al potere di un’organizzazione quale è Hamas. I “palestinesi” sono vittime dei loro stessi fratelli, perché è questi che Israele combatte, non il palestinese in senso lato. La popolazione, la gente comune non è in grado di capirlo considerato il lavaggio del cervello imposto da Hamas e le rappresaglie sulla popolazione civile da parte della stessa organizzazione terroristica. Ma quest’ultima anche se lo volesse, come farebbe disarmata e impaurita com’è a impedire gli atti di terrorismo? Viene quindi punita per qualcosa che non è in grado di impedire.
Infatti, grazie alla politica di Hamas e di tutti i media arabi, il palestinese oppresso, in miseria, che vede morire i suoi figli non addossa affatto la colpa ai “terroristi” ma agli Israeliani: non considera affatto l’azione israeliana come effetto di quella dei “terroristi” ma anzi fa il collegamento inverso: l’azione terroristica è vista come vendetta di quanto ha subito. Non è l’attentato suicida o il lancio di razzi che ha causato l’attacco di Israele ma, al contrario, essi sono la reazione all’attacco israeliano. Quindi in terra “palestinese” la politica israeliana finisce con il raggiungere il risultato opposto a quello sperato.
Un altro effetto insolito di questa guerra è l’inversione del fenomeno della conta delle vittime: nelle guerre, in generale, si gonfiano le cifre dei caduti del nemico e si minimizzano le proprie. I Palestinesi invece, al contrario, enfatizzano le proprie perdite: ogni caduto palestinese sembra essere una vittoria perché esalta sempre più il furore e l’odio dei palestinesi e la commozione presso l’opinione pubblica internazionale. Il problema è che per raggiungere questo scopo i leader di Hamas spesso mettono i bambini in condizioni di estremo pericolo per poterli utilizzare mediaticamente in caso di ferimento o, peggio, morte, poiché sanno perfettamente qual’è l’impatto di tali fatti sull’opinione pubblica occidentale che, giustamente, davanti all’ingiustizia perpetrata sui bambini non si tiene più. Purtroppo la stessa opinione pubblica è quella che non si preoccupa e non immagina cosa voglia dire essere bambino in un Paese arabo (soprattutto se in condizioni disagiate) dove regnano ancora regimi feudali, dove la donna e il bambino vengono sempre un passo dietro all’uomo (si badi bene che sto parlando sì di arabi, ma non generalizzando. È ovvio che nei centri più sviluppati e più laici ci sia un modo di vedere le cose e di comportarsi diverso, ma qui stiamo parlando di luoghi dove la legge feudale che vigeva da noi nel medioevo è ancora viva e vegeta!) . Quell’opinione pubblica che giustamente si sconvolge di fronte alle immagini delle vittime innocenti a Gaza però è oggettivamente gente strana, poiché per esempio non nota quasi mai la disparità nell’informazione e nella divulgazione di servizi e immagini che riguardano il “conflitto” israelo-palestinese. Infatti un minimo di sana obiettività dovrebbe far balzare all’occhio che ogni immagine (parlo di quelle vere e non quelle magari prese in Siria e poi spacciate come scattate nella Striscia) presa a Gaza è sempre di sofferenza, di case distrutte e di morte, mentre le immagini girate in Israele spesso fanno vedere un Paese dove la vita scorre apparentemente normale, nonostante tutto. Lo strazio delle famiglie massacrate nel Sud di Israele e quant’altro non viene praticamente MAI preso in considerazione, ricordate immagini di ebrei, di israeliani con in braccio il figlio o il fratello straziato da un colpo di mortaio o da un missile? Forse giusto qualche ripresa quando viene fatto saltare in aria un autobus o un bar, ma il cronista alla ricerca della scena straziante solitamente non è mai presente in quelle situazioni e tutto viene mostrato quasi asetticamente.
Sempre questa stessa opinione pubblica, che non nota per superficialità quello che anche un cieco capirebbe che fa parte di un chiaro disegno di propaganda è comunque la stessa che poi si affligge di fronte alla piaga del lavoro minorile nel mondo ma, alla fine della fiera, fa finta di niente continuando a comprare prodotti di griffes che pare che facciano proprio dello sfruttamento dei bambino una delle loro risorse per il contenimento dei prezzi (Coca Cola, Nike, Adidas, Mattel, Chicco, Benetton, Reebok, Levis, Chiquita, Mondo, Nestlè, Firestone, Disney, Wallmart, McDonald, Timberland. Philip Morris, Ikea, Reebok etc. Ma questa è un’altra brutta storia!).
Lasciamo però queste divagazioni polemiche e domandiamoci di nuovo quale possa essere la soluzione del conflitto.
In realtà tutti lo sanno perché, come abbiamo ripetutamente notato, suddetta soluzione è ben nota , unica e obbligata: il problema è come arrivarci .
Se gli Israeliani pongono come presupposto dei negoziati la cessazione di ogni atto di terrorismo, dall’altra parte quelli che non vogliono il negoziato lo faranno immediatamente fallire con un attentato: vi saranno sempre dei gruppi contrari al negoziato e i moderati non sono in grado di controllarli.
Occorrerebbe invece che la cessazione del terrorismo fosse posta come fine del negoziato, non come presupposto. Se effettivamente si costituisse uno Stato palestinese con un governo effettivamente in grado di governare e controllare il territorio allora sarebbe nella logica delle cose che assumesse anche la responsabilità dei propri cittadini. Esso potrebbe effettivamente e autorevolmente controllare il terrorismo.
D’altra parte se la situazione umana degli abitanti in Palestina migliorasse sensibilmente certamente il prestigio del governo moderato crescerebbe e diminuirebbe in parallelo quello degli estremisti.
In altri termini se il palestinese comune vedesse la sua vita migliorare realmente con la pace diventerebbe favorevole alla pace stessa (cioè agli accordi con gli Israeliani) ma fino a che egli si sentirà oppresso e attaccato dagli Israeliani non crederà mai che la pace con essi potrebbe portare qualcosa di buono. E con Hamas sulla testa che oltre che a continuare a lanciare razzi su Israele continua a lanciarli nella testa del popolo palestinese appoggiato dai soldoni dell’Emiro del Qatar, degli Sceicchi di Abu Dhabi e di quelli dell’Arabia Saudita sarà davvero dura che le cose cambino.
Ecco perché Israele ha deciso di liberarsi definitivamente di Hamas almeno.
E se non interverranno i soliti negoziati a legargli le mani (e questi avverranno perché i Paese Arabi magari sotto sotto minacceranno embarghi petroliferi, l’Iran minaccerà un intervento armato – che per la verità ho l’impressione che Israele in fondo in fondo gradirebbe perché così avrebbe la possibilità si spazzare via uno dei suoi principali oppositori in un battibaleno – perché gli Europei traccheggeranno vedendo minacciata la propria molto ipotetica crescita economica etc…) lo farà e forse si potrà ricominciare a parlare di pace, perché checché se ne dica, il popolo ebraico e quindi gli israeliani sono un popolo pacifico, purtroppo però abituato dalla Storia a doversi difendere sempre da tutto e da tutti (cfr.Nota 2).
Ad ogni buon conto la strada del negoziato a oltranza richiederebbe coraggio e determinazione da parte di Israele e qualcuno la ritiene essere l’unica soluzione risolutrice del conflitto, più che di qualunque inconcludente vittoria militare. Personalmente, oggi come oggi, io non la vedo così. A mio avviso (e qui mi beccherò fior di insulti) se non si elimina la piaga Hamas e del terrorismo il popolo palestinese vivrà sempre nell’indigenza e nel terrore, mentre quello israeliano dovrà sempre stare sul chi vive come lo vogliono Siria, Giordania, Libano, Arabia Saudita ed Egitto, nella speranza che in un attimo di distrazione lo si possa sopraffare e farsi merito della vittoria sull’odiato nemico in nome di Allah e diventare così gli “eroi” della nazione musulmana.
Concludo questo lunghissimo articolo affermando quindi che se veramente si vuole la salvezza e la prosperità del popolo palestinese e se si spera nella creazione di uno Stato Palestinese indipendente che possa crescere e prosperare, bisogna rivolgere il proprio biasimo solo ed esclusivamente contro Hamas e tutti quei Paesi Arabi che continuano a consentire che i poveri palestinesi si sacrifichino per una guerra che in fondo non è mai stata loro, ma che sono stati convinti a combattere con la menzogna e con false promesse.
I PALESTINESI SONO VITTIME E NON CI PIOVE, MA SONO VITTIME SOLO ED ESCLUSIVAMENTE DEI PROPRI STESSI “FRATELLI ARABI E MUSSULMANI”, E FINCHÈ NESSUNO CAPIRÀ QUESTO NON CI POTRÀ ESSERE PACE IN MEDIO ORIENTE PERCHÈ È SU QUESTO CRUDELE INGANNO CHE I PAESI ARABI HANNO DA SEMPRE POGGIATO TUTTA LA LORO POLITICA.
Stefano Davidson
Nota 1:
La storia degli ebrei è segnata da momenti drammatici. Nel VI secolo a.c. vengono deportati dagli assiri in Babilonia; ritornati non riescono a creare uno stato unitario e nel 63 a.c. la Palestina divenne provincia romana. Nel 70 d.c. Tito distrugge Gerusalemme sterminando molti ebrei. Alcuni restano in Palestina, altri emigrano lungo la costa del Nord Africa, nel VII-VIII sec. dei gruppi si spostano in Europa al seguito degli emiri arabi. Quelli che si dirigono verso l’Europa cristiana conoscono ben presto le prime persecuzioni. Durante i secoli del Medioevo, i cristiani accusano gli ebrei di essere il popolo “deicida”, responsabile cioè dell’uccisione di Gesù. Nell’Europa cristiana, si proibisce agli ebrei di coltivare e di possedere la terra, e sono costretti a fare solo i banchieri, gli usurai, un ruolo considerato peccaminoso dal mondo cristiano, gli artigiani o altri lavori che non prevedano la proprietà fondiaria. Un diverso destino attende invece gli ebrei nordafricani. Qui, pur pagando una speciale imposta, la “Jiza”, le comunità ebraiche sono rispettate e coperte dalla protezione dei califfi. In Spagna , fra il X e il XIII secolo, si sviluppa una grande cultura arabo-giudaica. Filosofi ebrei e musulmani discutono fra loro di scienza e fede, scrivendo indifferentemente in ebraico e in arabo. Nel Cinquecento termina il periodo fiorente del giudaismo spagnolo, poiché la penisola iberica viene “riconquistata” dai cristiani. I re cattolicissimi Fernando d’Aragona e Isabella di Castiglia impongono il battesimo forzato ad arabi ed ebrei sotto la minaccia della confisca dei beni e della morte, chi non si piega è costretto all’esilio. Comincia, dunque, una nuova fase della diaspora, gli ebrei vanno nel nord Africa, in Turchia, alcuni in Palestina e molti nell’Europa centrale e orientale. Coloro che scelsero l’Europa cristiana si trovarono nel pieno delle persecuzioni. In Europa troveranno una situazione favorevole solo in Inghilterra e nell’Italia meridionale non nel resto dell’Europa, poiché avevano perso il monopolio delle loro antiche attività economiche, dovute allo sviluppo capitalistico. I più emigrarono nell’Europa orientale. In Polonia, in Lituania e in Ucraina, si forma la più grossa concentrazione di ebrei. Lo stato polacco li protegge, e permette loro di svolgere il ruolo economico-sociale che li aveva da sempre caratterizzati. Ma alla fine del settecento arriva un nuovo dominatore, l’impero russo, e con esso nuove persecuzioni, i pogrom, e gli ebrei dovettero riprendere a emigrare, questa volta verso l’Europa occidentale e gli Stati Uniti. Negli ultimi decenni del XIX secolo, infatti, si era sviluppata una nuova forma di antisemitismo, soprattutto dal momento in cui gli ebrei erano diventati uguali davanti alla legge. Il miglioramento delle loro condizioni sociali, economiche e culturali aveva suscitato l’invidia di coloro che si consideravano svantaggiati. Gli ebrei furono indicati come i fondatori delle nuove tendenze culturali e sociali, prive di certezze tradizionali e piene di contraddizioni. Furono inoltre accusati di aver dato origine alle due opposte dottrine ideologiche: il capitalismo e il socialismo, e sospettati di fomentare segretamente complotti internazionali.
In realtà, gli ebrei si dividevano in ortodossi e riformisti. Nell’Europa occidentale alcuni possedevano grandi fortune, ma la gran parte degli ebrei che risiedevano nell’Europa orientale apparteneva a una classe sociale molto povera. Lungi dal costituire un insieme coerente, gli ebrei erano divisi da divergenze politiche e sociali.
In quel periodo i paesi europei erano teatro di aspri contrasti interni, incapaci di affrontare la grave crisi economica che aveva generato un clima di malcontento generale. Il momento era quindi propizio a fare degli ebrei i colpevoli di tale situazione. Essi furono designati come capro espiatorio e indicati come tali da coloro che si disputavano il potere. In Germania, il razzismo fornì un elemento supplementare, rappresentando gli ebrei come portatori di tare ereditarie senza alcuna via di salvezza. Incompatibile con i fondamenti del cristianesimo, il razzismo biologico era ormai il principio conduttore dell’ideologia nazionalsocialista, l’elemento centrale della sua visione del mondo. Il nazionalismo razzista si era servito dei miti e dei simboli pagani esaltando il concetto di forza e del diritto dei più forti. La Storia veniva letta come una competizione permanente tra razze per la supremazia, simile alla lotta per la sopravvivenza in natura. Il nazismo sosteneva che, in tutti gli ambiti, la cosiddetta razza ariana avesse doti creative di cui beneficiavano gran parte delle altre razze. Esso affermava che gli ebrei rovinavano la purezza della razza e minavano l’evoluzione naturale, nonché il diritto degli ariani all’egemonia.
Le grandi democrazie non presero alcuna iniziativa d’ordine pratico contro la legislazione antiebraica e le persecuzioni inflitte agli ebrei, ne furono prese iniziative straordinarie per aprire le frontiere dei paesi del mondo, o quelle della Palestina mandataria, agli ebrei intrappolati nel Reich tedesco e nei territori sotto la sua influenza. Nel periodo che precedette la guerra mondiale, in cui si moltiplicavano gli estremismi e i regimi totalitari, il terreno era fertile per la diffusione dell’ antisemitismo e per un minore livello di consapevolezza del pencolo che la Germania rappresentava per il mondo. L’«ordine nuovo», nell’ideologia nazista, aveva come obiettivo l’annullamento e lo sradicamento dei valori umani. Il diritto dell’uomo alla vita, il diritto dell’uomo e del cittadino all’uguaglianza nel suo paese, principi elaborati e adottati lungo il cammino della civiltà europea, costituivano, tra i popoli illuminati, il fondamento della condizione giuridica dell’uomo e della famiglia. Adolf Hitler aveva come fine bellico l’instaurazione nel mondo di un nuovo ordine sociopolitico fondato sulla gerarchia razziale, sull’egemonia «ariana» e sull’annientamento degli ebrei. Enunciato nel Mein Kampf, nei discorsi di Hitler e in innumerevoli scritti dei suoi collaboratori più anziani, la realizzazione di questo «ordine» fu perseguita tappa per tappa tra il 1933 e il 1939, per arrivare, durante la guerra, allo sterminio di massa degli ebrei. E da qui in avanti è la Shoà, l’Olocausto e la cosa angosciante è che noi italiani ne siamo stati complici grazie alle Leggi Razziali promulgate da Mussolini che hanno portato alla costruzione di centinaia di campi di concentramento anche in Italia di cui ovviamente NESSUNO parla mai (http://www.lager.it/campi_concentramento_italiani.html ).
Aggiungo per i “disinformatori” un’interessante cronologia delle principali persecuzioni subite nei secoli dagli ebrei nei paesi arabi:
624 d.C. – tribù ebraiche vengono sterminate da Maometto
628 – gli ebrei di Khaibar (Arabia, oggi A. Saudita) devono versare tributi altissimi e ogni ebreo che compie 15 anni deve pagarlo.
700 – intere comunità ebraiche vengono massacrate dal re Idris I del Marocco.
845 – vengono promulgati in Iraq decreti per la distruzione delle sinagoghe.
845-861 – El Mutawakil ordina che gli ebrei portino un abito giallo, una corda al posto della cintura e delle pezze colorate sul petto e sulla schiena.
900 – col Patto di Omar gli ebrei vengono spregiativamente chiamati dhimmi. In base a tale Patto era proibito agli ebrei di costruire case più alte di quelle dei musulmani, salire a cavallo o su un mulo, bere vino, pregare a voce alta, pregare per i propri morti o seppellirli in modo da offendere i sentimenti dei musulmani. Dovevano portare abiti atti a distinguerli dai musulmani. Nasce qui e non in Europa il segno distintivo degli ebrei, e l’obbligo di portare pezze sugli abiti si diffonderà in tutti i paesi arabi
1004 – Il Cairo: gli ebrei sono costretti a portare legato al collo un piccolo vitello di legno e in seguito palle di legno del peso di tre chili.
1006 – Granada: massacro di ebrei.
1033 – Fez, Marocco: proclamata la caccia all’ebreo. 6000 ebrei massacrati.
1147-1212 – persecuzioni e massacri in tutto il nord Africa.
1293 – Egitto e Siria: distruzione delle sinagoghe.
1301 – i Mammelucchi costringono gli ebrei a portare un turbante giallo.
1344 – Distruzione delle sinagoghe in Iraq.
1400 – Pogrom in Marocco in seguito al quale si contano a Fez solo undici ebrei sopravvissuti.
1428 – vengono creati i ghetti (mellaha) in Marocco.
1535 – Gli ebrei della Tunisia vengono espulsi o massacrati.
1650 – Anche in Tunisia vengono creati i ghetti, qui si chiamano hara (in arabo significa “merda”)
1676 – distruzione delle sinagoghe nello Yemen.
1776 – vengono sterminati gli ebrei di Basra, Iraq.
1785 – massacri di ebrei in Libia.
1790-92 – distruzione delle comunità ebraiche in Marocco.
1805-15-30 – Sterminio degli ebrei di Algeri.
1840 – persecuzioni e massacri a Damasco.
1864-1880 – continui pogrom a Marrakesh
1869 – massacri di ebrei a Tunisi.
1897 – massacri di ebrei a Mostganem, Algeria.
1912 – pogrom a Fez.
1929 – massacro della comunità ebraica a Hebron e distrutta la sinagoga.
1934 – il governo iracheno vieta agli ebrei lo studio dell’ebraico.
1936 – In Iraq gli ebrei vengono esclusi dagli uffici pubblici e pogrom a Bagdad.
1938-44 – Persecuzioni a Damasco; gli assassini diventano cronici.
1941 – in concomitanza con la festa di Shavuot pogrom a Bagdad. E poi pogrom a Tripoli, ad Aleppo, ad Aden, al Cairo, ad Alessandria, a Damasco ecc. ecc
Nota 2:
Riassunto cronologico delle dominazioni in terra di Palestina:
dal 722 aC al 639 aC quella terra era dei Sumeri, poi nel 639 aC fu conquistata dagli Assiri che la tennero sino al 587 aC quando gli subentrarono (ovviamente si parla sempre di “conquiste”) i Babilonesi che vi rimasero sino al 559 aC anno in cui la persero a favore dei Persiani il cui regno su questa terra durò sino al 331 aC. Poi arrivarono i Greci che la dominarono sino al 323 aC che però dovettero cederla ai Tolomei che la tennero sino al 169 aC quando iniziò la dominazione da parte dei Seleucidi durata sino al 64 aC allorché venne conquistata dai Romani i quali nel 39 aC permisero che si creasse quello che si chiamò Regno di Palestina che perdurò sino al 395dC. A quel punto fu nuovamente integrata a far parte dell’Impero Romano ma questa volta d’Oriente che proseguì la sua dominazione sino al 614 anno in cui gli venne portata via dai Persiani che a loro volta vi regnarono sino alla conquista ARABA che avvenne nel 638. La Palestina quindi rimase sotto la dominazione araba sino all’anno 1099 quando diventò Regno di Gerusalemme e durò in quanto tale sino al 1244 anno in cui arrivarono addirittura i Mongoli che se la tennero per soli sei anni infatti nel 1250 i Mammelucchi gliela portartono via rimanendovi signori incontrastati sino al 1516 quando l’espansione dell’Impero Ottomano non arrivò ad annetterla alle proprie conquiste. Sotto la dominazione Turco-Ottomana la Palestina vi rimase per 400 anni sino a che nel 1917 dopo la sconfitta nella I Guerra Mondiale il Dominio Britannico che prima la occupò militarmente sino al 1920 poi la governò sotto Mandato della SdN (confermato dall’ONU) sino al 1948 anno in cui viene dichiarata dall’ONU la nascita dello “Stato di Israele”.
Nota 3 :
http://www.yale.edu/lawweb/avalon/un/res181.htm
Nota 4:
http://www.mideastweb.org/242.htm
Nota 5:
Circola in internet un documento che presenta una visione fuorviante delle prese di posizione del Consiglio di Sicurezza ONU rispetto a Israele
Si immagini di assistere a una partita a scacchi e di cercare di capire le mosse dei pezzi neri senza poter vedere i pezzi bianchi. O di assistere alla differita di una partita di calcio dalla quale siano stati tagliati i fischi dell’arbitro verso una squadra per dare l’impressione che il gioco dell’altra sia inutilmente aggressivo e scorretto. Questa più o meno è l’operazione che hanno fatto gli autori (anonimi) di un documento che ultimamente va per la maggiore su internet.
Titolo: “Settantatre’ risoluzioni dell’Onu di condanna a Israele”.
Sottotitolo (insinuante): “Nessun ispettore, nessuna guerra per farle rispettare”.
Segue un nudo elenco di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che “esprimono condanna all’operato di Israele”, citate per numero e data e accompagnate da brevi “estratti che ne illustrano il contenuto”. Insomma: un documento che parla da se’, che non ha bisogno di commenti tanto è evidente il torto di Israele.
E invece di commenti ha bisogno eccome. Per questo ci sentiamo costretti a tornare, con maggiore dettaglio, su un tema gia’ affrontato su queste pagine (Vedi NES ott. 2002: Il falso parallelo).
Innanzitutto le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non sono tutte uguali.
Vi sono quelle approvate sulla base del Capitolo 6 della Carta delle Nazioni Unite e quelle sulla base del Capitolo 7.
Il Capitolo 6 si intitola “Composizione pacifica dei conflitti” e afferma (art. 33) che “le parti in causa in un conflitto […] dovranno innanzitutto cercare una soluzione […] con mezzi pacifici”. Quando il Consiglio vota sulla base del Capitolo 6 e’ come se dicesse agli Stati in guerra fra loro: “Dovete negoziare per comporre il conflitto e dovete farlo sulla base delle linee che vi indico”. Il Capitolo 7, invece, si intitola “Azioni in caso di minacce alla pace, violazioni della pace e atti di aggressione”. Gli articoli di questo Capitolo conferiscono al Consiglio la responsabilita’ di individuare le minacce alla pace mondiale e gli danno facolta’ di varare risoluzioni con valore esecutivo e vincolante, autorizzando la comunita’ internazionale a ricorrere a varie forme di coercizione per ottenere la loro applicazione, dalle sanzioni fino all’uso della forza militare. Quando il Consiglio vota sulla base del Capitolo 7 e’ come se dicesse a uno Stato: “Il tuo comportamento mette in pericolo la pace del mondo: o ti adegui a quanto di dico di fare o interveniamo con la forza”.
Ora, come ricordava qualche mese fa anche l’Economist (10.10.02), “nessuna delle risoluzioni a proposito del conflitto arabo-israeliano e’ stata emanata ai sensi del Capitolo 7. Imponendo sanzioni anche militari contro l’Iraq, ma non contro Israele, l’Onu non fa che rispettare le sue stesse regole interne”. E aggiungeva: “Che le risoluzioni ai sensi del Capitolo 7 siano diverse, e che nessuna di esse sia stata approvata contro Israele, e’ un fatto riconosciuto dagli stessi diplomatici palestinesi”, che infatti se ne lamentano. Quella irresponsabile minaccia nel titolo del documento (“nessuna guerra per farle rispettare”) puo’ essere stata scritta solo da una persona molto ignorante o in mala fede.
Vale la pena sottolineare che la distinzione fra Capitolo 6 e Capitolo 7 non e’ puramente formale. Essa riflette due situazioni politiche completamente diverse. In un caso, infatti, il Consiglio di Sicurezza individua nel regime iracheno e nei suoi comportamenti una minaccia alla stabilia’à e alla pace regionale e mondiale. Pertanto il Consiglio esige da quel regime comportamenti diversi, pena il ricorso alla forza. Nell’altro caso, invece, il Consiglio di Sicurezza deve promuovere la composizione di un conflitto arabo-israeliano pluri-decennale che vede coinvolte piu’ parti, ognuna con le proprie responsabilita’. Ma gli autori del documento vogliono che le responsabilita’ siano solo di Israele e dunque riportano, di molte risoluzione, solo la parte che si rivolge a Israele, convenientemente scordando l’altra parte, quella che si rivolge agli arabi. Appunto, come una partita truccata.
Cosi’ ad esempio, e’ vero – come dice il documento – che le risoluzioni 1402 e 1403 (2002) chiedevano “alle truppe israeliane di ritirarsi dalle citta’ palestinesi”. Ma chiedevano anche e contemporaneamente “l’immediata cessazione di tutti gli atti di violenza, compresi tutti gli atti di terrore, provocazione, istigazione”. In sostanza il Consiglio di Sicurezza ribadiva che solo un cessate il fuoco “significativo” (meaningful, nel testo originale), cioe’ non a parole, unito a un ritiro israeliano dalle ultime posizioni rioccupate, avrebbe permesso la ripresa del negoziato di pace. Tacendo mezza risoluzione, gli autori del documento fanno dire al Consiglio che Israele doveva ritirarsi senza se e senza ma, mentre i palestinesi potevano continuare con spari e attentati. Giudichi il lettore se e’ la stessa cosa.
Allo stesso modo, e’ vero – come dice il documento – che la risoluzione 1435 (2002) chiedeva a Israele “la fine immediatamente delle misure prese a Ramallah e dintorni” e “il rapido ritiro delle forze di occupazione israeliane dalle citta’ palestinesi”. Ma e’ vero anche che essa ribadiva “la richiesta di una completa cessazione di tutti gli atti di violenza, terrorismo, provocazione istigazione”, e faceva “appello all’Autorita’ Palestinese affinche’ adempia al suo esplicito impegno di garantire che i responsabili di atti terroristici vengano da essa assicurati alla giustizia”. Ma di nuovo, questa parte della risoluzione e’ scomparsa.
Il piu’ delle volte il Consiglio di Sicurezza, quando chiama in causa Israele, formula anche contemporaneamente precise richieste alle controparti arabe, e cio’ per la ovvia considerazione che la pace in Medio Oriente non puo’ essere fatta da una parte soltanto. Ma questo e’ appunto cio’ che gli autori del documento non vogliono capire (o farci capire).
Non basta. Gli autori non omettono solo pezzi di risoluzione. Omettono anche intere risoluzioni. Ad esempio, per restare nel 2002, non viene citata la 1397. Come mai? Forse perche’ esprimeva “grave preoccupazione […] per i recenti attentati”, chiedeva “l’immediata cessazione di tutti gli atti di violenza, terrorismo, provocazione, istigazione” ed esortava “le parti israeliana e palestinese e i loro dirigenti a cooperare nella realizzazione del piano Tenet e del Rapporto Mitchell, allo scopo di riavviare i negoziati per una composizione politica”: tutte cose che la parte palestinese, non quella israeliana, si e’ rifiutata di fare.
Vistosa, poi, l’assenza di una delle piu’ importanti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza di tutta la storia del conflitto: la 242 del 1967. Di nuovo, come mai? Forse perche’ chiedeva (agli arabi, ovviamente) la “fine di ogni stato di belligeranza” e il “riconoscimento del diritto [di Israele] di vivere in pace entro confini sicuri e riconosciuti, libero da minacce o atti di forza”?
Della 425 (1978) si dice che “ingiungeva a Israele di ritirare le sue forze dal Libano”. Ma non si ricorda che chiedeva anche il ripristino della pace al confine israelo-libanese e un “rigoroso rispetto della integrita’ territoriale, sovranita’ e indipendenza politica del Libano”, tutte cose che truppe siriane, milizie palestinesi, agenti iraniani e terroristi Hezbollah non si sognano minimamente di fare. Ne’ viene riportata la Dichiarazione del 18 giugno 2000 con cui il Consiglio di Sicurezza certificava che “Israele ha ritirato le sue forze dal Libano in conformita’ con la risoluzione 425″.
Ancora piu’ curioso il fatto che l’elenco delle risoluzioni viene fatto iniziare con la n. 93 del 18 maggio 1951. Eppure il conflitto arabo-israeliano scoppia almeno tre anni e mezzo prima, con il rifiuto arabo della risoluzione di spartizione 181 dell’Assemblea Generale dell’Onu (29.11.47) e l’attacco degli eserciti arabi a Israele. Prima della 93 (1951) a noi risultano non meno di 21 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, tra cui quelle – ufficialmente respinte dai governi arabi – che chiedevano il cessate il fuoco e il rispetto della 181.
Non manca, invece, la risoluzione 487 del 19 giugno 1981: quella che condannava “con forza” la distruzione del reattore nucleare iracheno di Osirak da parte dell’aviazione israeliana. Una risoluzione che, riletta oggi, basta da sola a screditare l’Onu agli occhi degli israeliani e di chiunque abbia a cuore la pace e la stabilita’ internazionali.
Resta da fare un’ultima considerazione, di carattere storico-politico. Tutti sanno che i paesi arabi, ripetutamente sconfitti in campo aperto, hanno fatto costantemente ricorso al terrorismo (dai feddayin degli anni ’50 fino agli Hezbollah degli anni ’80 e ’90) per esercitare una continua pressione militare ai confini e all’interno dello Stato di Israele. L’hanno fatto organizzando, finanziando, addestrando, capeggiando varie formazioni “guerrigliere” palestinesi, nella consapevolezza che l’Onu avrebbe dovuto per forza condannare le “violazioni” delle linee d’armistizio fatte da uno Stato (Israele), ma non avrebbe mai potuto condannare allo stesso modo le “violazioni” (infiltrazioni, attentati, stragi di civili) fatte da formazioni irregolari (i terroristi) che provocavano la reazione d’Israele. Un trucco palese, persino dichiarato, che non inganna piu’ nessuno. Salvo i “volonterosi” autori del documento e i loro sfortunati lettori.
Nota 6
Quando Hitler prese il potere nel 1933, telegrammi di congratulazioni furono inviati dalle capitali arabe. nel 1937, il ministro nazista della propaganda, Joseph Goebbles, elogiò la “coscienza nazionale e razziale araba”, notando che “le bandiere naziste sventolano in Palestina, dove le case sono adornate da svastiche e ritratti di Hitler”. Nel 1943, Heinrich Himmler, il capo delle SS, parlò della “naturale alleanza che esiste fra il nazional-socialismo della Grande Germania e i musulmani amanti della libertà in tutto il mondo”. Partiti filo-tedeschi e movimenti giovanili “intonati” con gli ornamenti del nazional-socialismo vennero alla luce in Siria, Marocco, Tunisia ed Egitto. Perfino gli slogan nazisti venivano tradotti in arabo. Una canzone mediorientale diffusa verso la fine degli anni ‘30 dice: “niente più ‘monsieur’, niente più ‘mister’. in paradiso Allah, sulla terra Hitler”. il Fuhrer stesso fu perfino islamizzato sotto il nuovo nome di Abu Ali. fra i molti simpatizzanti nazisti del periodo ricordiamo Haj Amin al-Husseini (Gran Muftì di Gerusalemme), Ahmed Shukairi (primo presidente dell’O.L.P), Gamal Abdel Nasser e Anwar Sadat (entrambi futuri presidenti dell’Egitto), i capi dei fondamentalisti islamici, e i fondatori del partito socialista arabo “Ba’ath”, che al momento governa in Siria ed Iraq. A questo proposito annoto anche che un leader del partito “Ba’ath” raccontò orgogliosamente: “eravamo razzisti, ammiravamo il nazismo, leggevamo i loro libri e le fonti del loro pensiero. siamo stati i primi a tradurre ‘Mein Kampf’”. La glorificazione di Hitler fra gli arabi comunque non svanì dopo la seconda guerra mondiale. Nel 1965, un cronista marocchino scrisse sulla rivista francese “Les Temps Modernes”: “Il mito di Hitler e’ stato coltivato dal popolo arabo. Lo sterminio di ebrei compiuto da Hitler viene elogiato. Si crede perfino che Hitler non sia morto. Tutti sperano nel suo ritorno”. Nel 2001, un giornalista egiziano scrisse sul giornale finanziato dal governo “Al Akhbar”: “Grazie Hitler, sia benedetta la tua memoria, perché hai vendicato con anticipo i palestinesi per il più ignobile crimine mai commesso al mondo”. Due mesi dopo l’agenzia di stampa egiziana conferì a questo giornalista la sua più importante onorificenza.
ADESSO PERÒ GLI ARABI ACCUSANO GLI EBREI DI ESSERE NAZISTI!!!.
IN QUESTO MODO, I FEDELI AMMIRATORI DI HITLER STANNO EQUIPARANDO LE PRINCIPALI VITTIME DEL SUO GENOCIDIO CON I CARNEFICI NAZISTI.
Nota 7:
Il quotidiano del Cairo “Akhbar el-yom”, il 12 Ottobre 1963 ricordava: “Venne il 15 Maggio 1948 quello stesso giorno il Mufti di Gerusalemme [leader imposto agli Arabi dagli Inglesi] fece appello agli Arabi di Palestina affinchè abbandonassero il Paese, in quanto gli eserciti Arabi stavano per entrare al loro posto”.
Il 6 Settembre 1948 il “Beirut Telegraph” intervistava Emile Ghoury, segretario del Comando Supremo Arabo: “Se esistono questi profughi, è conseguenza diretta dell azione degli stati arabi contro la partizione, e contro lo stato ebraico” .
Il 19 Febbraio 1949 il quotidiano giordano “Filistin” scriveva: “Gli stati arabi che avevano incoraggiato gli Arabi di Palestina a lasciare le proprie case temporaneamente per sgomberare il terreno dell’offensiva araba, non hanno poi mantenuta la promessa di aiutare quei profughi.”
Da un rapporto della Polizia Britannica al Quartier Generale di Gerusalemme il 26 Aprile 1948:
“Ogni sforzo è compiuto da parte degli Ebrei per convincere a popolazione araba a rimanere e a condurre insieme a loro una vita normale è risultato vano”.
“A Haifa il 27 aprile 1948 il Comitato Nazionale Arabo rifiutò di firmare una tregua, e né informò i governi della Lega Araba. Quando la delegazione entrò nella sala delle riunioni, rifiutò con fierezza di firmare la tregua, e chiese che si facilitassero l’evacuazione della popolazione araba, e il suo trasferimento nei paesi arabi circostanti. Le autorità militari e civili e i vari esponenti ebraici espressero il loro profondo rincrescimento. Il Sindaco di Haifa, Shabtai Levi, aggiornò l’incontro con un appello alla popolazione araba affinché riconsiderasse la sua decisione.”
Testo del manifesto in arabo e in ebraico affisso il 28 aprile 1948 dal Consiglio Ebraico dei Lavoratori di Haifa, rivolto ai cittadini arabi, ai lavoratori, alle autorità:
“Da tanti anni viviamo insieme nella nostra città, Haifa. In sicurezza, e in fratellanza e comprensione reciproche. Grazie a ciò, la nostra città è fiorita, e si è sviluppata per il bene dei residenti, sia arabi, sia ebrei.
Così Haifa è stata di esempio per altre città della Palestina. Elementi ostili non sono riusciti a adeguarsi a questa situazione, e hanno dato origine a scontri, minando le relazioni fra voi e noi. Ma la mano della Giustizia è più forte. La nostra città ora è sgombra di questi elementi, che sono fuggiti temendo per la propria vita. Così, una volta di più, l’ordine e la sicurezza hanno il sopravvento nella città. La strada è aperta per la ripresa della cooperazione e della fratellanza fra i lavoratori ebrei e arabi.
“A questo punto riteniamo necessario chiarire nei termini più franchi: siamo persone amanti della Pace! Non c’è ragione per la paura che altri cercano d’instillare in voi. Non c’è odio nei nostri cuori, né astio nel nostro atteggiamento verso cittadini amanti della Pace che, come noi, sono impegnati nel lavoro, e nello sforzo di creare.
“Non temete! Non distruggete le vostre case con le vostre stesse mani! Non troncate le vostre fonti di vita. Non attirate su di voi, con le vostre mani, la tragedia, mediante un evacuazione non necessaria, mediante fardelli da voi stessi creati. Trasferendovi altrove sarete sopraffatti dalla povertà e dall umiliazione. Ma in questa città, vostra e nostra, Haifa, le porte sono aperte alla vita, al lavoro, alla Pace, per voi e per le vostre famiglie.
“Cittadini giusti e amanti della Pace “Il Consiglo dei Lavoratori di Haifa e la Confederazione del Lavoro, la Histadruth, vi consigliano, per il vostro bene, di restare nella città, e di tornare al vostro lavoro normale. Siamo pronti a venire in vostro aiuto, a ristabilire condizioni normali, a assistervi nell’approvvigionamento di cibo, e ad aprirvi possibilità di lavoro.
“Lavoratori: la città che abbiamo in comune, haifa, fa appello a voi affinche vi uniate nella sua costruzione, nel suo progresso, nel suo sviluppo; non tradite la vostra citta, e non tradite voi stessi. Seguite il vostro interesse, e seguite il retto sentiero!
“Federazione Ebraica del Lavoro in Palestina Consiglio dei Lavoratori di Haifa”
Nel 2002 su circa 6 milioni di cittadini israeliani, più di un milione sono arabi: sono i figli di quegli arabi che non accolsero gli appelli dei dittatori della Siria, dell’Iraq e dell’Egitto.
I discendenti di quegli arabi che credettero ai dittatori sono a tutt’oggi ancora rinchiusi nei campi profughi e non hanno la cittadinanza del paese in cui sono nati. Soltanto in Israele e in Giordania i discendenti degli arabi provenienti dalla Palestina occidentale non sono nei campi profughi, ma liberi cittadini di uno stato di diritto.
(fonte: Istituto Culturale della Comunità Islamica Italiana)
Bibliografia e fonti:
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Giardina, Liverani, Scarcia, La Palestina, Ed. Riuniti
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J. Tsur, Il sionismo, Mursia
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George Adam Smith “The Historical Geography of the Holy Land” Hodder & Stoughton 1894
Me stesso
Matteo Sommaruga
Istituto D’Aguirre
Emanuela Crespi
Prof. Giovanni De Sio Cesari
Yoav J. Tenembaum
Istituto Culturale della Comunità Islamica Italiana
Avioserata2000
NES n.3, anno 15
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Mia nota: Ho ritenuto opportuno, per una parità di pareri e di opinioni, sul tema scottante della Palestina e di Israele pubblicare questo lungo articolo inviatomi da Stefano Davidson. Ovviamente con ciò non sostengo le tesi in esso contenute, mi sono limitato a dare uno spazio, per par condicio, alla descrizione di come sia avventa la formazione di Israele secondo una persona che ne sorregge le ragioni. Visto che in questo stesso blog numerosi sono i pareri contrari supportati con altre ragioni. Si tratta sempre di “opinioni”, comunque sono d’accordo che si possano esprimere liberamente. Tutto qui. Personalmente sono dell’idea che le tre religioni monoteiste che basano la loro origine sulla bibbia (ebraismo, cristianesimo ed islam) sono alla radice di ogni male. Le tre teste dell’idra di tanto intanto si azzannano a vicenda. Finché non scomparirà l’idra stessa non vi sarà pace. Infatti ritengo che solo l’abbandono di ogni matrice etnica e religiosa possa salvare “l’uomo” e riportarlo nel contesto dell’umanità. Solo la spiritualità laica e libera potrà affrancarci definitivamente dal senso di separazione fra esseri umani.
Paolo D’Arpini