Gli eventi che preparano la nascita della NATO iniziano con il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, effettuato dagli Stati Uniti nell’agosto 1945 non per sconfiggere il Giappone, ormai allo stremo, ma per uscire dalla Seconda guerra mondiale con il massimo vantaggio possibile soprattutto sull’Unione Sovietica. Ciò è reso possibile dal fatto che, in quel momento, gli Stati Uniti sono gli unici a possedere l’arma nucleare.
Appena un mese dopo il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, nel settembre 1945, il Pentagono già calcola che occorrerebbero circa 200 bombe nucleari contro un nemico delle dimensioni dell’URSS. Il 5 marzo 1946, il discorso di Winston Churchill sulla «cortina di ferro» apre ufficialmente la guerra fredda. Subito dopo, nel luglio 1946, gli USA effettuano i primi test nucleari nell’atollo di Bikini (Isole Marshall, Oceano Pacifico) per verificarne gli effetti su un gruppo di navi in disarmo e migliaia di cavie. Partecipano all’operazione oltre 40 mila militari e civili statunitensi, con oltre 250 navi, 150 aerei e 25 mila rilevatori di radiazioni.
Nel 1949 l’arsenale statunitense sale a circa 170 bombe nucleari. A questo punto gli Stati Uniti sono sicuri di poter avere, entro breve tempo, abbastanza bombe per attaccare l’Unione Sovietica. In quello stesso anno, però, fallisce il piano statunitense di conservare il monopolio delle armi nucleari. Il 29 agosto 1949, l’Unione Sovietica effettua la sua prima esplosione nucleare sperimentale. Alcuni mesi prima, il 4 aprile 1949, — quando a Washington ormai sanno che anche l’Unione Sovietica sta per avere la Bomba e sta quindi per iniziare la corsa agli armamenti nucleari — gli Stati Uniti creano la NATO.
L’Alleanza sotto comando USA comprende durante la guerra fredda 16 paesi: Stati Uniti, Canada, Belgio, Danimarca, Francia, Repubblica Federale Tedesca, Gran Bretagna, Grecia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Turchia. Attraverso questa alleanza, gli Stati Uniti mantengono il loro dominio sugli alleati europei, usando l’Europa come prima linea contro l’Unione Sovietica.
Sei anni dopo la NATO, il 14 maggio 1955, nasce il Patto di Varsavia, comprendente Unione Sovietica, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Repubblica Democratica Tedesca, Romania, Ungheria, Albania (questa dal 1955 al 1968).
Mentre inizia il confronto nucleare tra USA e URSS, Gran Bretagna e Francia, entrambe membri della NATO, si muovono per dotarsi anch’esse di armi nucleari. La prima a riuscirvi è la Gran Bretagna, che nel 1952 effettua in Australia una esplosione sperimentale. Il vantaggio della NATO aumenta ulteriormente quando, il 1° novembre dello stesso anno, gli Stati Uniti fanno esplodere la loro prima bomba H (all’idrogeno). Nel 1960 i paesi NATO in possesso di armi nucleari salgono a tre, quando la Francia fa esplodere in febbraio, nel Sahara, la sua prima bomba nucleare.
Mentre è in pieno svolgimento la corsa agli armamenti nucleari, esplode nell’ottobre 1962 la crisi dei missili a Cuba: dopo la fallita invasione armata dell’isola nell’aprile 1961, ad opera di fuoriusciti sostenuti dalla CIA statunitense, l’URSS decide di fornire a Cuba missili balistici a gittata media e intermedia. Gli Stati Uniti effettuano il blocco navale dell’isola e mettono in allerta le forze nucleari: oltre 130 missili balistici intercontinentali sono pronti al lancio; 54 bombardieri con a bordo armi nucleari vengono aggiunti ai 12 che il Comando aereo strategico mantiene sempre in volo ventiquattr’ore su ventiquattro, pronti all’attacco nucleare. Gli Stati Uniti dispongono in quel momento di oltre 25.500 armi nucleari, cui se ne aggiungono circa 210 britanniche, mentre l’URSS ne possiede circa 3.350. La crisi, che porta il mondo sulla soglia della guerra nucleare, viene disinnescata dalla decisione sovietica di non installare i missili, in cambio dell’impegno statunitense a togliere il blocco e rispettare l’indipendenza di Cuba.
Nello stesso periodo la Cina si muove verso l’acquisizione di armi nucleari e, nell’ottobre 1964, fa esplodere la sua prima bomba all’uranio e, dopo nemmeno tre anni, la sua prima bomba H.
Di pari passo con la crescita del proprio arsenale, il Pentagono mette a punto dettagliati piani operativi di guerra nucleare contro l’URSS e la Cina. Un dossier di 800 pagine – reso pubblico nel 2015 dall’archivio del governo USA – contiene una lista (fino a quel momento top secret) di migliaia di obiettivi in URSS, Europa Orientale e Cina che gli USA si preparavano a distruggere con armi nucleari durante la guerra fredda. Nel 1959, l’anno a cui si riferisce la «target list», gli USA dispongono di oltre 12 mila testate nucleari più circa 80 britanniche, mentre l’URSS ne possiede circa mille e la Cina non ne ha ancora. Essendo superiore anche come vettori (bombardieri e missili), il Pentagono ritiene attuabile un attacco nucleare.
Tra gli strateghi statunitensi – racconterà successivamente Paul Johnstone, per due decenni (1949-1969) analista del Pentagono per la pianificazione della guerra nucleare – vi è in quel periodo la convinzione che gli Stati Uniti, pur subendo in uno scambio nucleare gravi danni e molti milioni di morti, continuerebbero a esistere quale nazione organizzata e vitale, e infine prevarrebbero, mentre l’Unione Sovietica non sarebbe in grado d farlo.
Tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi dei Settanta, gli USA hanno circa 9.000 armi nucleari schierate fuori del proprio territorio: circa 7.000 nei paesi europei della NATO, 2.000 in paesi asiatici (Corea del Sud, Filippine, Giappone). Oltre a queste, hanno 3.000 armi a bordo di sottomarini e altre unità navali, che possono in ogni momento lanciare, da posizioni avanzate, contro l’Unione Sovietica e altri paesi. L’URSS, che non ha basi avanzate fuori del proprio territorio in prossimità degli Stati Uniti (a cui può avvicinarsi però con i sottomarini nucleari), cerca di dimostrare che, se venisse attaccata, potrebbe lanciare una rappresaglia devastante. A conferma di ciò fa esplodere, in un test condotto il 20 ottobre 1961, la più potente bomba all’idrogeno mai sperimentata, la «Zar» da 58 megaton, equivalente a quasi 4.500 bombe di Hiroshima. L’Unione Sovietica prepara allo stesso tempo un’arma spaziale: un missile che, se messo in orbita attorno alla Terra, potrebbe colpire in ogni momento gli Stati Uniti con una testata nucleare.
A questo punto gli Stati Uniti, messi in difficoltà, propongono all’Unione Sovietica un trattato sull’uso pacifico dello spazio. Viene così firmato, nel gennaio 1967, il Trattato sullo spazio esterno, che vieta di collocare armi nucleari nell’orbita terrestre, sulla Luna o su altri corpi celesti, o, comunque, stazionarle nello spazio extra-atmosferico.
Subito dopo, nel luglio 1968, viene stipulato il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari (TNP). Lo promuovono Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica, preoccupati dal fatto che altri paesi vogliono entrare nella cerchia delle potenze nucleari. L’Articolo 1 stabilisce: «Ciascuno degli Stati militarmente nucleari si impegna a non trasferire a chicchessia armi nucleari». L’Articolo 2 stabilisce: «Ciascuno degli Stati militarmente non nucleari, che sia Parte del Trattato, si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, né il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente». Le potenze nucleari si impegnano a perseguire negoziati su un Trattato che stabilisca il disarmo generale sotto controllo internazionale (Art. 6). L’Italia firma il TNP nel 1969 e lo ratifica nel 1975.
Mentre Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica cercano di impedire con il Trattato di non-proliferazione che altri paesi entrino nel club nucleare, di cui nel 1968 fanno parte cinque membri, un sesto paese si infiltra nella cerchia delle potenze nucleari riuscendo non solo a entrarvi ma, una volta dentro, a rendersi ufficialmente invisibile: il convitato di pietra è Israele. Nello stesso momento in cui, nel 1968, viene aperto alla firma il Trattato di non-proliferazione, Israele sta già schierando in segreto le sue prime armi nucleari. Negli Anni Settanta e Ottanta anche Sudafrica, India e Pakistan cominciano a costruire armi nucleari. Nel 1986 l’arsenale mondiale sale al suo massimo livello: circa 65.000 armi nucleari.
È in questa fase che l’Europa viene trasformata in prima linea nel confronto nucleare tra le due superpotenze. Tra il 1976 e il 1980 l’URSS schiera sul proprio territorio missili balistici di gittata intermedia. Sulla base del fatto che dal territorio sovietico essi possono colpire l’Europa occidentale, la NATO decide di schierare in Europa, a partire dal 1983, missili nucleari statunitensi a gittata intermedia: 108 missili balistici Pershing 2 in Germania e 464 missili da crociera (Cruise) lanciati da terra, distribuiti tra Gran Bretagna, Italia, Germania occidentale, Belgio e Paesi Bassi.
In meno di 10 minuti dal lancio, i Pershing 2 statunitensi schierati in Germania possono colpire le basi e le città sovietiche, compresa Mosca, con le loro testate nucleari. Contemporaneamente, i missili da crociera statunitensi schierati a Comiso e in altre basi europee, volando a velocità subsonica a una quota di poche decine di metri lungo il contorno del terreno, possono sfuggire ai radar e colpire le città sovietiche. A loro volta, gli SS-20 schierati in territorio sovietico possono colpire, in meno di 10 minuti dal lancio, le basi e città dell’Europa occidentale.
In Italia, alla metà degli Anni Ottanta, oltre a 112 testate nucleari sui missili da crociera schierati a Comiso, vi sono altre armi nucleari statunitensi per un totale stimato in circa 700. Esse sono costituite per la maggior parte da mine da demolizione atomica, proiettili nucleari di artiglieria e missili nucleari a corto raggio, destinati ad essere usati sul territorio italiano. Ciò indica che l’Italia è considerata dal Pentagono una semplice pedina da sacrificare, un terreno di battaglia nucleare da trasformare in deserto radioattivo.
Durante la guerra fredda, dal 1945 al 1991, si accumula nel mondo un arsenale nucleare che, negli anni Ottanta, raggiunge probabilmente i 15.000 megaton, equivalenti a oltre un milione di bombe di Hiroshima. È come se ogni abitante del pianeta fosse seduto su 3 tonnellate di tritolo. La potenza dell’arsenale nucleare supera di 5.000 volte quella di tutti gli ordigni esplosivi usati nella Seconda guerra mondiale. Si crea, per la prima volta nella storia, una forza distruttiva che può cancellare dalla faccia della Terra, non una ma più volte, la specie umana e quasi ogni altra forma di vita.
DOCUMENTAZIONE PRESENTATA DAL COMITATO NO GUERRA NO NATO AL CONVEGNO INTERNAZIONALE SUL 70° ANNIVERSARIO DELLA NATO, FIRENZE, 7 APRILE 2O19