Archivio della Categoria 'Compagni di viaggio'

Appello AVA: “Cercasi soci vegetariani vegani ed animalisti disperatamente”

L’AVA ufficialmente esiste da una ventina di anni ma affonda le sue radici nel 1990 quando la sua attività si conciliava con quella del prof. D’Elia responsabile della sezione laziale dell’AVI.

Con la costante attività di informazione e sensibilizzazione tramite conferenze settimanali (circa 600) di cultura universalista (vegan/animalista/ambientalista, e non solo) tenute da relatori di altissimo livello professionale, moltissime persone hanno riacquistato benessere, e a qualcuno è stata perfino salvata la vita, inoltre: consulti e suggerimenti gratuiti sul tipo di alimentazione da adottare, conferenze di cultura universalista, etica, spiritualità, corsi di meditazione, di yoga, di cucina vegan ecc. ma soprattutto l’AVA ha contribuito a creare una coscienza umana più sensibile nei confronti della condizione degli animali e a salvarne migliaia dalla pentola. Ebbene, nonostante i grandi benefici acquisiti gratuitamente da moltissima gente che ha frequentato e frequenta i nostri incontri culturali, pochissimi si sentono in dovere di sostenere la nostra attività con la propria quota associativa.

Le motivazioni a mio avviso sono di natura ideologica. Chi, sensibile alla sofferenza degli animali volendo sostenere l’attività di chi si batte per proteggerli da qualunque violenza, non darebbe il suo contributo ad una associazione impegnata contro la vivisezione o contro la caccia? Basta fare un versamento per sentirsi apposto con la coscienza lasciando ad altri il compito di lottare per la causa che condivide, soprattutto perché nulla viene chiesto al suo stile di vita: nessuno gli toglierà la bistecca o la coscia di pollo dal piatto, nessuno gli chiederà di cambiare stile di vita. Come se la con la mattazione l’animale non subisse la più orrenda delle violenze: si rende ugualmente complice chi sostiene la causa animalista ma non sa rinunciare al prosciutto, ad una bella frittura di pesce, o ad un bel pezzo di parmigiano.

Diverso è il discorso per un’associazione Vegan: chi sosterrebbe l’attività di un’associazione se in prima persona non mettesse in pratica i principi che la caratterizzano? Un vivisettore non sosterrebbe mai un’associazione che lotta contro la sperimentazione animale; un cacciatore non darebbe il suo contributo ad un’associazione che lotta per abolire la caccia, o un pellicciaio per togliere l’uso delle pellicce. Allo stesso modo una persona che non sa rinunciare del tutto ai prodotti animali (anche se impegnato a difendere i loro diritti) non sosterrebbe mai un’associazione che lo induca a rinunciare a certi piaceri della gola.

Si dice che in Italia vi siano circa 5 milioni di vegetariani e circa 700 mila vegani, e nonostante l’AVA sia l’unico centro stabile di diffusione di cultura vegan, pochissimi sono coloro che sentono il dovere di sostenere, con la propria quota associativa, questa comune missione. Contrariamente a quanto accade nelle grandi associazioni animaliste che possono contare su decine di migliaia di iscritti, l’AVA, pur contando diverse migliaia, se non milioni di simpatizzanti, difficilmente, a fine anno, arriva a 70 (settanta) tesserati. Il problema è che la sede fisica dell’AVA assorbe notevoli sostanze economiche e senza il pur modestissimo 5 per mille da un pezzo avrebbe chiuso i battenti. Così vanno le cose.

Franco Libero Manco

Associazione Vegan Animalista

Associazione di Volontariato APS

via Cesena 14 Roma 00182 tel. 06 7022863 – 3339633050 – francoliberomanco@fastwebnet.it –

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NATO tenuta a battesimo dalla bomba atomica

Gli eventi che preparano la nascita della NATO iniziano con il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, effettuato dagli Stati Uniti nell’agosto 1945 non per sconfiggere il Giappone, ormai allo stremo, ma per uscire dalla Seconda guerra mondiale con il massimo vantaggio possibile soprattutto sull’Unione Sovietica. Ciò è reso possibile dal fatto che, in quel momento, gli Stati Uniti sono gli unici a possedere l’arma nucleare.

Appena un mese dopo il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, nel settembre 1945, il Pentagono già calcola che occorrerebbero circa 200 bombe nucleari contro un nemico delle dimensioni dell’URSS. Il 5 marzo 1946, il discorso di Winston Churchill sulla «cortina di ferro» apre ufficialmente la guerra fredda. Subito dopo, nel luglio 1946, gli USA effettuano i primi test nucleari nell’atollo di Bikini (Isole Marshall, Oceano Pacifico) per verificarne gli effetti su un gruppo di navi in disarmo e migliaia di cavie. Partecipano all’operazione oltre 40 mila militari e civili statunitensi, con oltre 250 navi, 150 aerei e 25 mila rilevatori di radiazioni.

Nel 1949 l’arsenale statunitense sale a circa 170 bombe nucleari. A questo punto gli Stati Uniti sono sicuri di poter avere, entro breve tempo, abbastanza bombe per attaccare l’Unione Sovietica. In quello stesso anno, però, fallisce il piano statunitense di conservare il monopolio delle armi nucleari. Il 29 agosto 1949, l’Unione Sovietica effettua la sua prima esplosione nucleare sperimentale. Alcuni mesi prima, il 4 aprile 1949, — quando a Washington ormai sanno che anche l’Unione Sovietica sta per avere la Bomba e sta quindi per iniziare la corsa agli armamenti nucleari — gli Stati Uniti creano la NATO.

L’Alleanza sotto comando USA comprende durante la guerra fredda 16 paesi: Stati Uniti, Canada, Belgio, Danimarca, Francia, Repubblica Federale Tedesca, Gran Bretagna, Grecia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Turchia. Attraverso questa alleanza, gli Stati Uniti mantengono il loro dominio sugli alleati europei, usando l’Europa come prima linea contro l’Unione Sovietica.

Sei anni dopo la NATO, il 14 maggio 1955, nasce il Patto di Varsavia, comprendente Unione Sovietica, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Repubblica Democratica Tedesca, Romania, Ungheria, Albania (questa dal 1955 al 1968).

Mentre inizia il confronto nucleare tra USA e URSS, Gran Bretagna e Francia, entrambe membri della NATO, si muovono per dotarsi anch’esse di armi nucleari. La prima a riuscirvi è la Gran Bretagna, che nel 1952 effettua in Australia una esplosione sperimentale. Il vantaggio della NATO aumenta ulteriormente quando, il 1° novembre dello stesso anno, gli Stati Uniti fanno esplodere la loro prima bomba H (all’idrogeno). Nel 1960 i paesi NATO in possesso di armi nucleari salgono a tre, quando la Francia fa esplodere in febbraio, nel Sahara, la sua prima bomba nucleare.

Mentre è in pieno svolgimento la corsa agli armamenti nucleari, esplode nell’ottobre 1962 la crisi dei missili a Cuba: dopo la fallita invasione armata dell’isola nell’aprile 1961, ad opera di fuoriusciti sostenuti dalla CIA statunitense, l’URSS decide di fornire a Cuba missili balistici a gittata media e intermedia. Gli Stati Uniti effettuano il blocco navale dell’isola e mettono in allerta le forze nucleari: oltre 130 missili balistici intercontinentali sono pronti al lancio; 54 bombardieri con a bordo armi nucleari vengono aggiunti ai 12 che il Comando aereo strategico mantiene sempre in volo ventiquattr’ore su ventiquattro, pronti all’attacco nucleare. Gli Stati Uniti dispongono in quel momento di oltre 25.500 armi nucleari, cui se ne aggiungono circa 210 britanniche, mentre l’URSS ne possiede circa 3.350. La crisi, che porta il mondo sulla soglia della guerra nucleare, viene disinnescata dalla decisione sovietica di non installare i missili, in cambio dell’impegno statunitense a togliere il blocco e rispettare l’indipendenza di Cuba.

Nello stesso periodo la Cina si muove verso l’acquisizione di armi nucleari e, nell’ottobre 1964, fa esplodere la sua prima bomba all’uranio e, dopo nemmeno tre anni, la sua prima bomba H.

Di pari passo con la crescita del proprio arsenale, il Pentagono mette a punto dettagliati piani operativi di guerra nucleare contro l’URSS e la Cina. Un dossier di 800 pagine – reso pubblico nel 2015 dall’archivio del governo USA – contiene una lista (fino a quel momento top secret) di migliaia di obiettivi in URSS, Europa Orientale e Cina che gli USA si preparavano a distruggere con armi nucleari durante la guerra fredda. Nel 1959, l’anno a cui si riferisce la «target list», gli USA dispongono di oltre 12 mila testate nucleari più circa 80 britanniche, mentre l’URSS ne possiede circa mille e la Cina non ne ha ancora. Essendo superiore anche come vettori (bombardieri e missili), il Pentagono ritiene attuabile un attacco nucleare.

Tra gli strateghi statunitensi – racconterà successivamente Paul Johnstone, per due decenni (1949-1969) analista del Pentagono per la pianificazione della guerra nucleare – vi è in quel periodo la convinzione che gli Stati Uniti, pur subendo in uno scambio nucleare gravi danni e molti milioni di morti, continuerebbero a esistere quale nazione organizzata e vitale, e infine prevarrebbero, mentre l’Unione Sovietica non sarebbe in grado d farlo.

Tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi dei Settanta, gli USA hanno circa 9.000 armi nucleari schierate fuori del proprio territorio: circa 7.000 nei paesi europei della NATO, 2.000 in paesi asiatici (Corea del Sud, Filippine, Giappone). Oltre a queste, hanno 3.000 armi a bordo di sottomarini e altre unità navali, che possono in ogni momento lanciare, da posizioni avanzate, contro l’Unione Sovietica e altri paesi. L’URSS, che non ha basi avanzate fuori del proprio territorio in prossimità degli Stati Uniti (a cui può avvicinarsi però con i sottomarini nucleari), cerca di dimostrare che, se venisse attaccata, potrebbe lanciare una rappresaglia devastante. A conferma di ciò fa esplodere, in un test condotto il 20 ottobre 1961, la più potente bomba all’idrogeno mai sperimentata, la «Zar» da 58 megaton, equivalente a quasi 4.500 bombe di Hiroshima. L’Unione Sovietica prepara allo stesso tempo un’arma spaziale: un missile che, se messo in orbita attorno alla Terra, potrebbe colpire in ogni momento gli Stati Uniti con una testata nucleare.

A questo punto gli Stati Uniti, messi in difficoltà, propongono all’Unione Sovietica un trattato sull’uso pacifico dello spazio. Viene così firmato, nel gennaio 1967, il Trattato sullo spazio esterno, che vieta di collocare armi nucleari nell’orbita terrestre, sulla Luna o su altri corpi celesti, o, comunque, stazionarle nello spazio extra-atmosferico.

Subito dopo, nel luglio 1968, viene stipulato il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari (TNP). Lo promuovono Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica, preoccupati dal fatto che altri paesi vogliono entrare nella cerchia delle potenze nucleari. L’Articolo 1 stabilisce: «Ciascuno degli Stati militarmente nucleari si impegna a non trasferire a chicchessia armi nucleari». L’Articolo 2 stabilisce: «Ciascuno degli Stati militarmente non nucleari, che sia Parte del Trattato, si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, né il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente». Le potenze nucleari si impegnano a perseguire negoziati su un Trattato che stabilisca il disarmo generale sotto controllo internazionale (Art. 6). L’Italia firma il TNP nel 1969 e lo ratifica nel 1975.

Mentre Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica cercano di impedire con il Trattato di non-proliferazione che altri paesi entrino nel club nucleare, di cui nel 1968 fanno parte cinque membri, un sesto paese si infiltra nella cerchia delle potenze nucleari riuscendo non solo a entrarvi ma, una volta dentro, a rendersi ufficialmente invisibile: il convitato di pietra è Israele. Nello stesso momento in cui, nel 1968, viene aperto alla firma il Trattato di non-proliferazione, Israele sta già schierando in segreto le sue prime armi nucleari. Negli Anni Settanta e Ottanta anche Sudafrica, India e Pakistan cominciano a costruire armi nucleari. Nel 1986 l’arsenale mondiale sale al suo massimo livello: circa 65.000 armi nucleari.

È in questa fase che l’Europa viene trasformata in prima linea nel confronto nucleare tra le due superpotenze. Tra il 1976 e il 1980 l’URSS schiera sul proprio territorio missili balistici di gittata intermedia. Sulla base del fatto che dal territorio sovietico essi possono colpire l’Europa occidentale, la NATO decide di schierare in Europa, a partire dal 1983, missili nucleari statunitensi a gittata intermedia: 108 missili balistici Pershing 2 in Germania e 464 missili da crociera (Cruise) lanciati da terra, distribuiti tra Gran Bretagna, Italia, Germania occidentale, Belgio e Paesi Bassi.

In meno di 10 minuti dal lancio, i Pershing 2 statunitensi schierati in Germania possono colpire le basi e le città sovietiche, compresa Mosca, con le loro testate nucleari. Contemporaneamente, i missili da crociera statunitensi schierati a Comiso e in altre basi europee, volando a velocità subsonica a una quota di poche decine di metri lungo il contorno del terreno, possono sfuggire ai radar e colpire le città sovietiche. A loro volta, gli SS-20 schierati in territorio sovietico possono colpire, in meno di 10 minuti dal lancio, le basi e città dell’Europa occidentale.

In Italia, alla metà degli Anni Ottanta, oltre a 112 testate nucleari sui missili da crociera schierati a Comiso, vi sono altre armi nucleari statunitensi per un totale stimato in circa 700. Esse sono costituite per la maggior parte da mine da demolizione atomica, proiettili nucleari di artiglieria e missili nucleari a corto raggio, destinati ad essere usati sul territorio italiano. Ciò indica che l’Italia è considerata dal Pentagono una semplice pedina da sacrificare, un terreno di battaglia nucleare da trasformare in deserto radioattivo.

Durante la guerra fredda, dal 1945 al 1991, si accumula nel mondo un arsenale nucleare che, negli anni Ottanta, raggiunge probabilmente i 15.000 megaton, equivalenti a oltre un milione di bombe di Hiroshima. È come se ogni abitante del pianeta fosse seduto su 3 tonnellate di tritolo. La potenza dell’arsenale nucleare supera di 5.000 volte quella di tutti gli ordigni esplosivi usati nella Seconda guerra mondiale. Si crea, per la prima volta nella storia, una forza distruttiva che può cancellare dalla faccia della Terra, non una ma più volte, la specie umana e quasi ogni altra forma di vita.

DOCUMENTAZIONE PRESENTATA DAL COMITATO NO GUERRA NO NATO AL CONVEGNO INTERNAZIONALE SUL 70° ANNIVERSARIO DELLA NATO, FIRENZE, 7 APRILE 2O19

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Gramsci e la crisi generale del capitalismo – “Tornare dove sempre siamo stati”

Il (nuovo)Partito comunista italiano lotta per portare a compimento l’opera che il vecchio PCI lasciò incompiuta: fare dell’Italia un paese socialista!

Il bilancio dell’esperienza del vecchio PCI di Antonio Gramsci e della gloriosa e vittoriosa Resistenza, il punto più alto finora raggiunto dalla classe operaia del nostro paese nella lotta per il potere, sono fonte di grandi insegnamenti!

Studiare l’opera di Gramsci alla luce del marxismo-leninismo-maoismo è un tassello importante per condurre vittoriosamente la nostra lotta!

Gramsci è un patrimonio per il movimento comunista italiano. Fu l’unico dirigente comunista che si cimentò nell’opera di “tradurre il marxismo in italiano”, ossia di usare il marxismo per analizzare il nostro paese e individuare la via per fare dell’Italia un paese socialista.

Il carcere fascista gli impedì di guidare il PCI a raggiungere questo obiettivo. Ma le sue analisi e le sue elaborazioni sono per noi una miniera da cui attingiamo alla luce del marxismo-leninismo-maoismo.

Gramsci e la crisi generale del capitalismo, Supplemento di La Voce 61, fornisce ai compagni che lo studieranno gli utensili necessari per imparare dai suoi Quaderni del carcere (1929-1935) e dai suoi scritti del periodo 1923-1926, il periodo in cui su mandato dell’Internazionale Comunista si dedicò a trasformare in un partito bolscevico, cioè in un partito basato sul marxismo-leninismo, il partito che l’ala estremista del PSI guidata da Bordiga aveva fondato a Livorno nel 1921. Il PSI era il partito della II Internazionale, con un largo seguito nel proletariato e nelle masse popolari italiane, ma esso aveva accompagnato impotente il proletariato e le masse popolari nei sussulti di ribellione della Grande Guerra (1915-1918) e del Biennio Rosso (1919-1920) e infine aveva lasciato via libera al fascismo. L’ala estremista del PSI guidata da Bordiga era quella a cui Lenin aveva dedicato espressamente una parte del suo scritto del 1920, L’“estremismo”, malattia infantile del comunismo che abbiamo presentato in La Voce 57 Ma non ci dilunghiamo qui sugli eventi: i nostri lettori possono trovarne la descrizione in Proletari senza rivoluzione di Renzo Del Carria, uno storico affidabile anche se non ha compreso il ruolo indispensabile del partito comunista nella rivoluzione socialista e in Storia del Partito comunista italiano di Paolo Spriano, uno storico aderente alla corrente revisionista del PCI.

Gli scritti di Gramsci sono universalmente noti tra gli intellettuali di sinistra nel mondo intero, ma sono anche largamente travisati da riformisti, attendisti e disfattisti e da universitari chiacchieroni e perdigiorno di tutti i continenti. Caso esemplare italiano di questo travisamento è stato il Forum “il vecchio muore ma il nuovo non può nascere” indetto a Roma nel dicembre 2016 da Rete dei Comunisti, a proposito del quale rimandiamo all’Avviso ai naviganti 66 – 15 dicembre 2016. Nel Quaderno 3 (nota 34) steso nel 1930 nel carcere di Turi (Bari), Gramsci aveva (in un linguaggio compatibile con la censura carceraria) scritto che la cultura e i valori (la concezione del mondo) della borghesia e del suo clero facevano sempre meno presa nelle menti e nei cuori della massa della popolazione italiana (e non solo) stante la crisi della società borghese e che d’altra parte la concezione comunista del mondo non poteva diventare di massa finché la borghesia riusciva con la forza a impedire la vittoria della rivoluzione socialista: da qui lo sbandamento intellettuale e morale di cui Gramsci scriveva nella nota. Ne conseguiva che il compito del partito comunista era vincere la borghesia sul terreno politico, prendere il potere e instaurare il socialismo: era quindi da perdigiorno occuparsi della crisi intellettuale e morale senza occuparsi della conquista del potere e dell’instaurazione del socialismo. Questo Gramsci scriveva nella nota. Nel Forum di Roma la cupola di RdC metteva invece in bocca a Gramsci la concezione fatalista di Claudio Treves (espressa nel “discorso dell’Espiazione” [http://storia.camera.it/regno/lavori/leg25/sed029.pdf - pagg. 1634 - 1641] pronunciato nel Parlamento di Roma il 30 marzo 1920): la società borghese andava a catafascio ma il Partito socialista non intendeva promuovere l’instaurazione del socialismo, perché il socialismo è “un parto divino” che nessuno è in grado di accelerare (questo avrebbe dovuto rassicurare borghesia e clero e distoglierli dal mettere in campo le squadre fasciste), ma che nessuno è nemmeno in grado di arrestare (questo avrebbe dovuto consolare e acquietare gli oppressi, lo stesso obiettivo a cui sarà destinata nel secondo dopoguerra la teoria di Togliatti della “instaurazione del socialismo tramite una sequenza di riforme di struttura della Repubblica Pontificia”).

Questo è il principale travisamento che viene fatto del pensiero di Gramsci. L’altro travisamento diffuso è quello di usare il Gramsci “consiliarista” del Biennio Rosso (periodo in cui Gramsci non aveva ancora assimilato il marxismo-leninismo ed esaltava il ruolo della classe operaia e dei Consigli di Fabbrica senza considerare il ruolo dirigente del partito comunista indispensabile ai fini della rivoluzione socialista), contro il Gramsci costruttore del Partito nel 1923-1926 ed estensore dei Quaderni del carcere negli anni della prigionia, proprio alla luce degli insegnamenti tratti dal Biennio Rosso e grazie alla formazione ricevuta in Unione Sovietica.

Nel Supplemento mostriamo perché il primo e principale travisamento della concezione di Gramsci è possibile e più in generale a cosa si appigliano riformisti, attendisti, disfattisti e universitari chiacchieroni e perdigiorno di tutti i continenti per far passare Gramsci come un fautore delle concezione che i comunisti potranno conquistare il potere solo dopo che avranno raggiunto l’egemonia in campo intellettuale e morale (di contro alla tesi di Marx ed Engels che “in ogni società divisa in classi le idee e i valori predominanti sono quelli della classe dominante”).

In effetti anche nei Quaderni del carcere Gramsci illustra ampiamente il corso delle cose sul terreno politico, intellettuale e morale, ma della crisi economica in corso ha una comprensione inadeguata ai compiti del movimento comunista della sua epoca. Il Supplemento mostra in dettaglio come si esprime questo lato arretrato del pensiero di Gramsci nei Quaderni del carcere. Mostra anche che era un tratto comune a tutto il movimento comunista dell’epoca: uno dei motivi principali (illustrati nello scritto I quattro temi principali da discutere nel Movimento Comunista Internazionale) per cui in nessuno dei paesi imperialisti esso è riuscito ad instaurare il socialismo nel corso della prima ondata (1917-1976) della rivoluzione proletaria che la vittoria nel 1917 della Rivoluzione d’Ottobre in Russia e la costruzione dell’Unione Sovietica sotto la direzione del Partito comunista di Lenin e di Stalin hanno sollevato in ogni angolo del mondo.

Con i tre articoli riuniti nel Supplemento diamo la chiave di lettura dei Quaderni del carcere e più in generale dell’opera politica di Gramsci. In particolare anche del contrasto esistente tra Gramsci e il Partito che si era costituito nel 1921 a Livorno sotto la direzione di Amadeo Bordiga, contrasto che Gramsci non riuscì a risolvere nei tre anni (dall’autunno del 1923 all’autunno 1926) in cui diresse il Partito, benché il Congresso tenuto in clandestinità a Lione nel gennaio del 1926 avesse approvato a larga maggioranza le Tesi di Lione (gennaio 1926 – Tesi politiche – Tesi sindacali). Quando nel novembre del 1926 il fascismo imprigionò Gramsci, il Partito era ancora lungi dall’aver assimilato la concezione comunista del mondo ed elaborato sulla base di essa una strategia per la rivoluzione socialista in Italia e tale rimase benché fino al 1947 formalmente ligio alle direttive dell’Internazionale Comunista e ai suggerimenti del PCUS. Questo spiega anche il rapporto contraddittorio di Gramsci con il Partito nel corso della sua prigionia in merito alle iniziative da prendere per la sua liberazione. In proposito rimandiamo a Lo scambio. Come Gramsci non fu liberato (Sellerio editore, Palermo 2015) di Giorgio Fabre.

Il Supplemento è parte del lavoro di bilancio e di elaborazione dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976) necessario per individuare, comprendere e superare gli errori e i limiti che impedirono l’instaurazione del socialismo nei paesi imperialisti e che portarono al crollo dei primi paesi socialisti. Solo attraverso la comprensione di quegli errori e di quei limiti (e nel nostro caso specifico, degli errori e dei limiti della sinistra del PCI – di Secchia, Vaia, Vidali, Noce, Moscatelli, Marchesi e altri, quindi dei dirigenti del PCI più dediti alla causa del comunismo) potremo portare a compimento l’opera che il PCI lasciò interrotta e fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Infatti non basta “riprendere il cammino” da dove è stato interrotto e “ripristinare i principi del marxismo-leninismo”, come professano i dogmatici del tipo di Piattaforma Comunista e del PC di Marco Rizzo. Per far rinascere il movimento comunista bisogna comprendere i motivi della sconfitta e superarli, allo stesso modo in cui Lenin e i bolscevichi per superare il revisionismo prevalso nella II Internazionale dovettero non solo denunciare il tradimento della causa compiuto dai gruppi dirigenti della maggior parte dei partiti della II Internazionale, ma anche sviluppare il marxismo ad un livello superiore e dare risposte a questioni che Marx ed Engels non avevano adeguatamente elaborato e che avevano favorito l’affermazione dei revisionisti e dei riformisti, in primis alle questioni della natura della rivoluzione socialista, della natura del partito necessario per la rivoluzione socialista, dello Stato della dittatura del proletariato.

Noi comunisti siamo non solo continuatori dell’opera del vecchio PCI di Gramsci e in generale continuatori dell’opera storica del movimento comunista guidato da Lenin, Stalin e Mao Tse-tung, ma anche innovatori, sviluppatori del patrimonio teorico del movimento comunista, forti del bilancio della ricca esperienza accumulata dal movimento comunista e anche dell’analisi delle trasformazioni prodotte dalla guerra tra il proletariato e la borghesia imperialista nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976) e dall’opera condotta dalla borghesia imperialista una volta ripresa la direzione del mondo dopo l’esaurimento della prima ondata.

Il Supplemento entra quindi a pieno titolo nel materiale utile alla formazione della leva di comunisti necessaria per far avanzare la rivoluzione socialista che il (n)PCI promuove nel nostro paese. Ci auguriamo che tutti quelli che vogliono dare da subito un contributo alla rivoluzione socialista in corso, lo facciano conoscere, lo studino e lo facciano studiare nell’ambito delle celebrazioni del centenario del Biennio Rosso e della fondazione (Mosca, marzo 1919) della prima Internazionale Comunista.

NPCI – nuovopci@riseup.net

Supplemento di La Voce 61

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Il Libro degli Insegnamenti di Lao-tzu – Recensione

“Gli aforismi che seguono sono tratti da “Il libro degli insegnamenti di Lao Tzu”, un testo purtroppo non più ristampato e, secondo me, fondamentale al pari di “L’arte della guerra di Shun-tzu”, scritto da Thomas Cleary. Leggendoli sono certo che scatteranno nella vostra mente un sacco di associazioni.” (Nando Mascioli)

Lao-tzu disse:
Esistono tre tipi di morte innaturale.
Se bevi e mangi smodatamente e tratti il corpo distrattamente e grossolanamente,allora la malattia ti ucciderà.
Se sei smisuratamente avido e ambizioso,allora sarai ucciso dalle preoccupazioni.
Se permetti che piccoli gruppi vìolino i diritti delle masse e che il debole sia oppresso dal forte,allora ti uccideranno le armi.

Lao-tzu disse:
Quando le leggi sono intricate e le punizioni severe,allora il popolo diventa infido.Quando chi sta in alto ha molti interessi,chi sta in basso assume molte pose.
Quando si cerca molto , si ottiene poco.Quando le proibizioni sono molte, si combina poco.
Lasciare che gli interessi producano altri interessi,e poi utilizzare gli interessi per fermare gli interessi,è come brandire il fuoco cercando di non bruciare niente.
Lasciare che la conoscenza produca problemi,e poi usare la conoscenza per risolverli,è come agitare l’acqua sperando di chiarificarla.

Lao-tzu disse:
Quando un paese combatte ripetute guerre e ottiene ripetute vittorie, perirà.Quando combatte ripetute guerre, il popolo si logora:quando ottiene ripetute vittorie, i capi diventano arroganti.Se capi arroganti utilizzano popoli logorati,quali paesi non periranno ?
Quando i capi , si fanno gaudenti,e quando diventano gaudenti,dilapidano ricchezze.
Quando il popolo si stanca si riempie di risentimento,e quando è pieno di risentimento smarrisce il proprio equilibrio.Quando governanti e governati raggiungono simili estremi la distruzione è inevitabile.
Pertanto, la Via della Natura richiede di ritirarsi quando si è svolto il proprio compito con successo.

Post scriptum – “…Leggendoli mi è capitato di provare uno stato che amo definire “di grazia” che credo corrisponda a quella dimensione di consapevolezza: quello stato in cui accedi momentaneamente oltre il velo della realtà terricola percependo la dimensione cosmologica…”

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Salviamo il lupo e l’orso dallo sterminio

Governo e Regioni hanno dato il primo via libera all’abbattimento dei lupi nella riunione tecnica del 24 gennaio 2017, in un contesto in cui già centinaia di lupi vengono brutalmente uccisi dal bracconaggio con il fucile, bocconi avvelenati o lacci di filo metallico.

A distanza di più di anno la Conferenza Stato-Regioni ha approvato l’abbattimento di orsi e lupi con parere positivo del governo precedente.

Hanno modificato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 di recepimento della Direttiva Habitat, inserendo in maniera illegittima un emendamento che consente loro di attivare le deroghe al regime comunitario di protezione di lupi e orsi. Ricordiamo che la Direttiva di protezione degli animali selvatici, attribuisce agli Stati – e non alle Regioni – anche la responsabilità delle eventuali deroghe alla non uccisione.

Chiediamo al Capo dello Stato e al nuovo governo di respingere con fermezza l’ennesimo tentativo delle Regioni di ammazzare specie protette. Possiamo e dobbiamo fermarli.

Petizione da firmare: https://www.change.org/p/soslupo-salviamo-i-lupi-sbonaccini-glgalletti/psf/promote_or_share?share=false

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