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Veri compagni di viaggio….

Le  preziose “briciole” di scrittura che  Paolo  ci  regala (e mi piace
immaginarlo mentre, chino su di un minuscolo fornelletto, con amorevole
disposizione le mette “sul fuoco”, in un angolo di cucina, tra foglie di tè,
spicchi d’aglio e mazzetti di peperoncino) sono tutte un afflato dell’anima,
che si ritrova domestica eppur selvaggia davanti allo stesso specchio.

Nei suoi “racconti” vi è  un po’ del rincantucciarsi del bambino, famelico d
‘affetto, tra le braccia della madre, e l’eccitazione dello studentello che
si è conquistato il suo primo alloggio indipendente; e anche la fumosa ed
ansiosa curiosità del marinaio di vedetta sulla coffa di un veliero dei
sentimenti. Egli, sfibrato dalla lunga attesa interiore nello svelarsi del
mistero del sé, non desidera altro che rompere gli indugi, vedere se stesso
proiettato oltre la sua solita immagine, quella di tutti i giorni; ed anche
oltre quella immaginata, oltre quella paventata, insomma oltre tutte le
facce che abbiamo.

E’ per questo che a volte bisogna viaggiare – e viaggiare molto – per
ritrovare la faccia “giusta” di se stessi e per ritornare, con gli occhi un
po’ più accesi e il corpo un po’ più dolente, al nostro domicilio interiore
che, come la chiocciola sapiente, abbiam sempre portato con noi, pensando
però di averlo abbandonato per sempre.

Quella che è scivolata via, invece, senza nemmeno accorgercene, è la pelle
del serpente, che diventa più saggio e più agile, più integro ed essenziale
ad ogni muta. Più inafferrabile, anche? Chissà. Paulo Coelho racconta di un
pastorello che partì dagli scalini di una vecchia chiesa abbandonata per
trovare un tesoro nascosto – si diceva – all’ombra delle piramidi. Dopo
tante peripezie, anni di viaggi, di avventure ed esperienze, scopre infine
che il tesoro era sepolto nel cortile della stessa chiesetta che era stata
il suo punto di partenza.

Noi gettiamo ponti intorno al mondo, distendiamo l’arco dei nostri pensieri
fra mille razze e popoli; ci ritroviamo smarriti, pressati dalla folla
incalzante dei propositi, delle idee, dei sogni e dei desideri. Infine,
apriamo gli occhi, e ci accorgiamo di non essere davvero mai partiti. E
quello è il nostro tesoro.

Con affetto e simpatia.
Simone Sutra

Risposta:
Caro Simone, ho conservato per un bel po’ questa tua lettera, indeciso sul
da farsi, pubblicarla o non pubblicarla? Alla fine ha vinto la
considerazione della sincerità ed onestà da te dimostrata. Fra noi c’è un
rapporto carmico forte, carico di insegnamenti e saggezza,  e solo dopo un
anno ho il coraggio di ammetterlo, come è lungo il percorso intellettuale
per riconoscere un vero compagno di viaggio…
Tuo fratello, Paolo D’Arpini

CALCATA AMARCORD: PROIEZIONE DEL VIDEO CALCATA CITTA’ INVISIBILE

Dall’archivio storico del Circolo ho ripescato questo “racconto” di Elio
Rinaldi sulla nostra storia, siccome è veritiero e divertente lo inserisco
nella categoria: Testimonianze. Buona lettura…..

CALCATA AMARCORD: PROIEZIONE DEL VIDEO CALCATA CITTA’ INVISIBILE

Nel millenovecentosettantasette (1977) io e Beatrice comprammo la nostra
casa di Calcata e quando una sera di giugno di cinque anni dopo, concluso
formalmente il restauro dell’abitazione, scenderanno in piazza per la prima
volta con l’animo degli ultimi arrivati, vi era un gruppo di teatranti di
strada, i Vecchi Tufi recitavano davanti alla Depend’arp, un divertente, ma
come poi, capimmo, velenoso, atto unico intitolato PIPINO RE, la recita era
in realtà finalizzata alla polemica col Gatto Nero e con Costantino Morosin
accusati a torto od a ragione, di tentare di imporre agli altri gruppi la
loro egemonia culturale  ma questo noi due non potevamo ancora saperlo e
apprezzammo, durante i dieci minuti in cui questo fu ancora possibile, lo
stile degli attori Paolo D’Arpini, Alessandra Forti detta la secca, Pino il
Generale, Wilton. In scena Costantino era rappresentato in abiti orientali,
Il Gatto Nero, allora ancora per tutti, Peppe Salerno, piccolo piccolo,
avvolto in una grande gabbana scura, con un’altissima tuba in testa.
Improvvisamente e senza che alcunché lo facesse presagire, dal palcoscenico
cominciò il finimondo, le uova fischiavano come proiettili,
numerose e pericolose, verso il pubblico. Finì così che tutti scapparono e
la recita fu interrotta. Ne ricavammo, una prima impressione dei Calcatesi
immigrati da Roma, che non si è più modificata nel tempo e che non vi sto
qui a raccontare. Certo l’imprinting per me fu tanto forte quella sera, da
indurmi a fissare quel momento così come lo avevo subito, e così come
avvenne poi di volta in volta, di fatto in fatto, quasi in una cronaca
durata a lungo, in un disegno intitolato CALCATA 82 come l’iniziativa
culturale di Costa e Peppe, in quel momento tenacemente avversata dal gruppo
antagonista dei Vecchi Tufi. Abbiamo vissuto Calcata nella sua asprezza di
suburbio pulito, dove la natura è talmente integrale da sbalordire, dove le
persone vivono la loro privata anarchia, soggetti tuttavia ad un governo
rozzo e costoso. Avevamo progettato, io e Beatrice, di trasferirci a
Calcata, ma infine siamo ancora a Roma nella nostra casa, con lo studio a
San Lorenzo, e non rimpiango la scelta anche se la nostalgia a volte mi
assale violenta.
Paolo D’Arpini mio buon amico, è uno dei motivi di questa nostalgia, mentre
rimpiango le chiacchierate serene con gli ipotetici amici di Calcata,
davanti al fuoco, le passeggiate in campagna in loro compagnia,
sulla riva del Treja, le allegre risate, il buon vino. Peccato però che tale
evocato rimpianto sia solamente frutto della mia fantasia . Peccato che
nessuno o quasi, fosse disposto all’amicizia tanto aspra era la lotta per la
leadership. Non vi fu quasi mai nulla di più per noi, che un saluto fra
condomini che si incontrano nell’ascensore. Forse il momento che lì vivemmo
allora, non permise a ciascuno di noi “PRECURSORI” di aprirsi più di tanto
con gli altri. Mi rimane di quel periodo perciò, solamente una serie di
piccoli disegni a matita qui in mostra, a cui tengo molto, frutto di un  mio
personale diario delle emozioni, che costituiva anche una bonaria vendetta
verso coloro che continuavano a vivere nel modo stupidamente competitivo
della metropoli da cui tutti fuggivamo: PIPINO RE  – MOSTRA ALLA DEPEND’ARP
(forse di G. Croce?) – IL RATTO Dl MEMÈ  memè fu  il nostro amatissimo gatto
calcatese ma nato a Campo de’ fiori e ivi introdotto da Laura Bergagna.  IL
PROCESSO A PATRIZIA sulla piazzetta di S. Giovarmi Decollato – IL TEATRO
LIQUIDO spettacolo gay (?) in piazza, in odio feroce al popolo di Calcata -
1 ° MAGGIO a CALCATA scena erotico-campestre  RAGAZZA SULL’ ARCO ETRUSCO-
PROVE DI COLORE per la porta dell’UFFICIO POETICO DI CALCATA – MEMÈ CON SUO
MARITO – LE MIE MODELLE – RITRATTO DI RAGAZZA. Ed ancora mi rimangono alcune
piccole acqueforti e qualche litografia, in cui la cronaca cedeva il passo
alle atmosfere, ai personaggi irreali che intuivo al di là delle porte,
dietro i vetri opachi delle finestre, oltre i muri delle case ormai
disabitate di Calcata.
Ricordo una volta di aver curiosato da uno spacco nel legno di una porta,
seppi poi che si trattava del “teatro del Generale”, vidi una grande stanza
illuminata con luce gialla di pomeriggio e attraversata da lui raggio di
sole polveroso. In quella stanza ho poi ambientato una minuscola acquaforte
intitolata INTERNO A CALCATA CON LUCE DI POMERIGGIO E GATTO. Solamente tre
quadri ad olio figurano in mostra e tutti riguardano Calcata: – VEDUTA Dl
CALCATA DALLA GROTTA DELLE NINFE. – LA BUCA IN PIAZZA. Il momento in cui si
aprì una grossa voragine a testimoniare il degrado del Borgo allora come
oggi, privo di fognature degne di questa denominazione. -SULLA RIVA DEL
TREJA, Il degrado del parco e la Fuga di Pegaso. IL VIDEO CALCATA CITTA
INVISIBILE

Il 2 Sett. 1991 cominciai il lavoro di ripresa video per un documentario sul
“PAESE IDEALE “, da inviare al concorso indetto da non so più quale rivista
patinata turistico ambientalista (si trattava di Airone n.d.r.)
Il lavoro durò quattro mesi, trascorsi insieme a Pippo Giacobino che in
qualità di montatore cinematografico ed esperto di cinema, mi affiancava
durante le non brevi né riposanti giornate in giro per il paese. E furono
Feste dei Santi protettori, matrimoni, riprese a Calcata Nuova, a Calcata
Vecchia, al fiume, intorno alla rupe, gli animali, le musiche, i concerti in
chiesa, le Sante messe le interviste agli artisti, a Sista, a Fabio, a
Wilton a D’Arpini al Generale, nella scuola elementare, con Sandra, ecc.
ecc.  per un totale di 35 ore di riprese.
Alla vigilia della consegna, non so ancora dopo tanti anni per quale motivo,
Pippo Giacobino mi comunicò la sua intenzione di mollare tutto senza darmene
tuttavia la minima delle spiegazioni, presi atto civilmente della situazione
e continuai a lavorare per disperazione, per tigna, per rabbia, o forse per
amore, alla fine con Paolo, riuscimmo a spedire le copie richieste del
video, ai promotori del concorso. Il concorso fu vinto da uno dei due film
prodotti a Calcata, che si aggiudicò così il titolo, non so quanto meritato,
di  “PAESE IDEALE D’ITALIA”. Non si seppe mai tuttavia, quale dei due film
inviati a concorso avesse effettivamente vinto, il mio o quello della
concorrenza. Sta di fatto che l’altro filmato, che non ho visto, pare
consistesse in un cortometraggio a scatto uno, di diapositive, accompagnato
da un dotto commento del Prof. Portoghesi. Si disse che tale prodotto,
sostenuto dall’Amministrazione Comunale avesse ottenuto il titolo e perfino
un congruo premio in denaro destinato a scopi sociali non so quanto a
tutt’oggi, realizzati.

Il nostro video successivamente messo in programma il 13 Aprile `96, al
Circolo Vegetariano, fu montato privo delle parti riguardanti Calcata Nuova
per protesta contro la pretesa del Sindaco (allora Luigi Gasperini) e della
locale Pro Loco (allora di Giuseppe Salerno) di imporre gratuitamente, la
loro etichetta di sponsor su un prodotto costoso, le cui spese avevo
sostenuto da solo. Il tempo da allora trascorso è stato tuttavia buon
medico, e la vecchia incazzatura che pur stento a dimenticare, non mi
impedisce di mettere a disposizione di tutti una scelta dei materiali allora
girati e che riguardano soprattutto Calcata Nuova. Scelta limitata ad alcuni
momenti salienti della vita di Calcata nuova che si integrano con la parte
inviata a concorso. Siete tutti invitati a vederli per quel poco o tanto che
valgano, anche tu Pippo Giacobino. anche tu, compagno Gasperini Sindaco di
Calcata.
Buon divertimento dal mio…. Elio Rinaldi.  Roma I2 Aprile 1996

P.S. La proiezione si fece, come annunciato, ma non vennero nè il sindaco nè
alcun altro dei menzionati. “La verità fa male lo so….”
P.D’A.  – 2 giugno 2008

“Il momento auspicioso del Ritorno a Casa”

Calcata: inizio del corso – 31 maggio 2008  h. 15.30 -

Stanzetta del Pastore, via Cavour, 24 – Calcata Centro Storico.

“Semplici attori, finché  separati,   poi, superata la dualità, non ha più
nessuna importanza…   Il fiore non ha più nome né forma è solo un fiore
unico ed irripetibile nel giardino della Coscienza”.

Tema trattato.
La conoscenza di sé attraverso gli archetipi e gli elementi cinesi ed il
sistema  indiano. Indagine sulle componenti psichiche energetiche e  come
armonizzarle nelle varie condizioni della vita.

Premessa.
La nostra vita è legata ad una serie di circostanze di cui non abbiamo il
controllo ma,  come diceva Nisargadhatta,  noi siamo parte integrante della
manifestazione totale e del totale funzionamento ed in nessuna maniera
possiamo esserne separati….  Di conseguenza, essendo coscienza nella
coscienza,  siamo in grado di riconoscere il flusso energetico nel quale
siamo immersi e  far sì che  il nostro pensiero e la nostra azione siano in
sintonia con la qualità dello spazio-tempo vissuto. In questo  perenne
rimescolamento energetico, noi siamo come navigatori senza meta, o
guerrieri -se preferite- liberi di affrontare il contingente senza paure.
“Se temi la sofferenza -diceva un samurai- come fai a combattere?”

Vediamo ora    che dal tutto il tutto si dipana dinnanzi ai nostri occhi….
12 animali si presentano al Buddha morente ed ognuno ottiene di incarnare le
caratteristiche psichiche  che contraddistinguono i tre aspetti di anno,
mese e ora, in base  alle propensioni naturali, di ogni essere vivente.
Essi sono maschili e femminili e manifestano le loro caratteristiche tramite
le 5 componenti fondamentali: Terra (devozione), Metallo (giustizia), Acqua
(saggezza), Legno (etica), Fuoco (costumi).
Il funzionamento è più o meno quello del caleidoscopio. Alcuni elementi
colorati e tre specchietti interni. Girando il tubo si ottengono diverse
composizioni.  Malgrado l’esiguità delle componenti i risultati possono
essere infiniti.  Questo stesso concetto (traslato ai 5 elementi  ed ai tre
aspetti psichici incarnati) mostra la variegazione di tonalità di colore e
movimento attraverso la quale la  coscienza individuale si manifesta (la
forma ed il nome). La coscienza di sé, che noi  chiamiamo persona, è un
coordinatore interno, adattato all’individuazione, il quale si  appropria
delle funzioni messe in atto. Lo chiamiamo: io.
Questo ‘soggetto’ (o assuntore interno) è l’apparenza identificativa
individuale nella quale solitamente ci riconosciamo. Propriamente parlando
questo “io” è esso stesso la “conseguenza” delle energie messe in moto dai
vari elementi e dai tre archetipi incarnati, quindi è inerte (come un
programma), ed  è un oggetto nella coscienza.

I tre archetipi psico-emozionali, inscindibili nel loro miscuglio,
rappresentano:
Il senso dell’io, ego = anno di nascita; l’intelletto o intuizione = ora di
nascita; la memoria o predisposizione = mese di nascita.
Capire il senso dell’abbinamento archetipale  con le condizioni  dell’ora e
del mese di nascita, è facile da accettare giacché siamo abituati a pensare
che ogni momento della giornata ed ogni stagione ha i suoi modi, e tutte le
creature sono soggette a questi modi. Ma il primo aspetto dello zodiaco
cinese,  quello dell’anno, è  più duro a digerirsi per la nostra mentalità
razionalistica. Come è possibile che un dato anno possa essere
qualitativamente diverso dall’altro solo sulla base di un calendario
arbitrariamente deciso dall’uomo?

Impostosi nella cultura cinese e dell’estremo oriente e provenendo da una
tradizione pluri-millenaria (sicuramente di origine matristica)  il
calendario ciclico, di 13 lune e di 12 archetipi animali  (che rotano
abbinati agli elementi in turni di 60 anni),  è stato anno per anno vagliato
e corroborato dall’esperienza di milioni e milioni  di persone,  in  cui i
comportamenti corrispondevano ai modelli indicati in un raffronto oggettivo
e riscontrabile nei fatti.  Alcuni analisti vedono un significato  in un’
altra coincidenza, il  percorso dodecennale  che la terra compie attorno al
sole per fare un giro completo (una specie di viaggio in treno con 12
stazioni annuali). Si può anche fare  a meno di credere a questa “qualità
del tempo” ma stando ai risultati essa è confermata, aimè! Quegli archetipi
animali  esistono e sono riconoscibili nelle caratteristiche variegate degli
individui di tutto l’emisfero settentrionale (la nostra metà del mondo),
senza peraltro sapere cosa succede nell’emisfero meridionale (che
teoricamente dovrebbe avere valenze rovesciate).
Con tutti questi dubbi in testa, siamo un po’ come gli alchimisti che
sperimentano  onestamente e coraggiosamente con i loro tre elementi basici,
inserendo all’occorrenza nuove figure e varianti. Questo è il lavoro ingrato
e meraviglioso del “navigatore nel sé”.  L’Ulisse  in noi, disincantato e
schietto, che “vede” e  riesce ad orizzontarsi,  avverte l’odore delle cose
incombenti  per come si stanno manifestando. Non per opporvisi ma per
esprimersi al meglio e proseguire nel viaggio. Chiunque potrebbe farlo se
sta  attento ai segnali costanti e continui che la vita ci manda.

L’intelligenza intuitiva   evoca questa capacità di riconoscimento, essa
non è propriamente basata sulla percezione sensoriale o sul raziocinio ma
sulla abilità di orientarsi prima che la percezione sensoriale od il
pensiero abbiano modo di esprimersi. Quindi è una capacità
naturale -immediata- dell’intelligenza, che viene prima ancora dell’istinto.
Un sentire ed allo stesso tempo  una sintesi analogico-analitica. E’ l’
intuizione innata che ci dice tutto quello che è, come è,  senza analisi
risolutive, bisogno di prove o riscontri.
Si procede a naso -dicevo- ed infatti l’olfatto appartiene all’elemento
Terra, quello più solido. La matrice di ogni manifestazione concreta.   E’
la Terra stessa che fa nascere tutti gli esseri e li nutre in se stessa.
Mentre il Cielo energizza e vivifica con la coscienza tutte le forme. Ma
attendiamo un po’ prima di affrontare il discorso dello Yin e dello Yang e
degli elementi e torniamo ai  tre archetipi. Essi “sembrano” tre  in verità
son tre aspetti della stessa personalità. Ognuno di noi  manifesta  una
forma  esemplare a tre facce (designanti le nostre caratteristiche). Sul
come  sopravviene l’influenza  di una o l’altra di queste facce, sul perché
capiti  ad una piuttosto che un’altra,  diremo che è  destino!

Le tendenze innate che  si riflettono nello specchio, perennemente
cangianti, son le correnti in cui   l’io si muove.
Se  vogliamo osservare una cosa piccola  bisogna  ingrandirla attraverso il
microscopio, ma se vogliamo ampliare il campo di azione dobbiamo distaccarci
il più possibile dalle cose attorno a noi, in modo da percepire il senso d’
insieme. Questa corsa in tondo verso   l’auto-conoscenza è  un vagare
trasognato, un’attenzione senza risposta,  solitudine e silenzio,
osservazione e contemplazione,  fluire limpido nei mutamenti,  sorridere nel
rincorrere  il vuoto.    Ma allora di cosa continueremo a parlare?

La fase “intermedia”  dell’illuminazione, quella del santo (uomo integro),
rientra ancora nella sfera del mentale, delle cose che possono essere
discusse e trasmesse.  Flash di realizzazione,  esperienze al limite del
transpersonale,    che contemporaneamente ci consentono di riconoscerci in
sintonia elettiva, colori dello stesso arcobaleno,  e di ciò possiamo
ancora parlare,  attraverso evocazioni consapevoli.  La trasmissione, o
meglio il riconoscimento, avviene per  immagini  (come succede ai bambini
che riconoscono l’aggregazione concettuale, il senso, di parole
sconosciute); questa “trasmissione”  può essere fatta utilizzando  vari modi
comunicativi e sensoriali:  per empatia emozionale, a voce, con lo sguardo,
con il tatto, ed anche con lo scritto, se esso rispecchia fedelmente le
qualità necessarie  e si crea un’attenzione indisturbata  al tema trattato.
Per “cristallizzare”  l’immagine: “Il santo comprende l’intrigo del mondo ed
abbraccia l’universo senza sapere perché. Questo è il manifestarsi della sua
natura”.

Ed ora una storiella:
Alcuni suoi seguaci domandarono al bandito Che:”Anche per i ladri esiste una
strada (Tao)?” – “Eh,  certo che  sì..  – rispose Che- Santità è intuire
dove giace un tesoro nascosto, Eroismo è entrare per primo nella casa,
Giustizia è uscirne per ultimo, Saggezza è distinguere il colpo che si può
tentare, Umanità significa essere equanimi  nel dividere il bottino. Al
mondo non è mai esistito un gran ladro che non abbia manifestato queste
qualità”. (Chuang Tze)

Appendice.
Attraverso le capacità riflettenti dell’organo interno (antakharana) siamo
in grado di manifestare energie psicofisiche in rispondenza a quelle
percepite fuori di noi. Questa rispondenza è automatica ed inevitabile, è
una legge naturale. Pensare di sfuggirne il corso è assurdo come pensare di
cambiare il film mentre la pellicola viene proiettata. Ma l’atteggiamento
interno è importante!  Infatti l’accettazione del proprio destino scioglie l
‘attaccamento all’utile ed all’inutile che ci spinge nel ciclo delle
rinascite. Nell’ignoranza ci identifichiamo con i personaggi e ci
consideriamo autori e responsabili del gioco vissuto, con guadagno e
perdita, la verità è che il nostro io, la coscienza individuale, la persona
da noi incarnata, è solo un’immagine. Il risultato di un automatismo
distratto e di una identificazione illusoria. Questo dobbiamo comprendere
bene se non vogliamo che la mente ci imbrogli.    Non cadiamo nel delirio
dell’io separato,  anche se la coscienza che lo anima  è vera sin d’ora  e
siamo già dotati del capitale iniziale  per quella “conoscenza di sé” è
assurdo e ridicolo pensare di  “ottenerla” -strettamente parlando non è
possibile.  Essa è già integralmente manifesta qui ed ora  e quindi non
perseguibile come ottenimento altro. Presente sempre….. ma ne teniamo conto,
ne siamo consapevoli?
Se ci sentiamo attratti da questa “conoscenza” occorre  dire che non c’è
corso o spiegazione o esperimento che possa trasmetterla, può essere solo
riconosciuta (risvegliata) per simpatia nel momento della  maturazione.
Siccome non è un  “conseguimento” continuiamo ad  “andare avanti a fiuto”.

Il veggente Hòu – (alias il solito Paolo D’Arpini)
circolo.vegetariano@libero.it – Tel. 0761-587200

Energia dagli elementi naturali

 

Che serve a Montalto di Castro ed a  Civitavecchia?

Sono alquanto scocciato della diatriba ridicola sulla produzione energetica nel polo energetico  di  Montalto di Castro e Civitavecchia.

Non voglio fare tutta la cronistoria degli ultimi trenta o quaranta anni ma non posso nemmeno far finta di nulla in merito alle continue buffonate che leggo sui giornali e -fugacemente- ascolto sui notiziari televisivi in cui si prospettano nuove e nuove soluzioni alla carenza di produzione energetica. Sino alle  ultime proposte di riconversione al nucleare.

Come ottemperare ai bisogni di energia elettrica  è  un falso problema, legato alla volontà politica di concentrare la produzione energetica in grossi stabilimenti. Poi con la scusa del salvataggio di qualche centinaio di  posti di lavoro si nasconde la verità su come definitivamente risolvere il caso difficile. La concentrazione nella produzione energetica è una scelta  data dall’uso  di fonti combustibili artificiali o fossili od atomiche, causa d’inquinamento massiccio e causa di effetto serra e degrado urbano ed ambientale. Sono almeno vent’anni che continuo a suggerire -inascoltato- la rinuncia alle grosse centrali ed il ritorno alla produzione locale  con metodi naturali. Ogni comune od al massimo provincia può tranquillamente produrre energia senza ricorrere né al poli-combustibile, né al carbon fossile, né al nucleare. Basta utilizzare le fonti naturali presenti sul luogo: sole, vento,  geotermia,  biogas, corsi d’acqua,  etc.

E  faccio degli esempi concreti. Se invece di essere concentrata in grossi impianti industriali la produzione energetica fosse diffusa è vero che a Civitavecchia e Montalto scomparirebbe qualche inutile e dannoso  posto lavoro ma ne sorgerebbero a migliaia in altri contesti. Nella produzione e montaggio di pannelli solari ad esempio nel ripristino di chiuse idriche e ventole, nel recupero di materie organiche di scarto per il biogas, nell’utilizzo di fonti termali…. e  dai  che lo sapete anche voi in quanti modi si può produrre energia elettrica pulita…. Ed in quanti modi si può incentivare l’occupazione.  Il sovrappiù energetico che non servisse al comune od alla provincia potrà essere “venduto” all’Enel e ritrasmesso (eventualmente dagli impianti riadattati di Montalto e Civitavecchia) alle città come Roma che forse non ce la fanno ad auto-sostenersi. Dico “forse” ma son convinto che con un po’ d’inventiva ed intelligenza persino Roma potrebbe diventare autosufficiente, basterebbe cominciare ad utilizzare in toto l’organico che ora finisce al macero in discarica. Ed inoltre vediamo quanta dell’energia assorbita da Roma è veramente necessaria al suo funzionamento sociale, magari si scopre che tantissima energia va sprecata inutilmente…. Insomma non si può continuare a far finta di niente continuando a blaterare che “serve energia” quando siamo circondati da energia inutilizzata e pulita che non viene usata, smettiamola con l’ipocrisia politica scientifica economica e che sia finita qui….

Parlo e scrivo di ciò dal 1990 ed articoli in tal senso, diramati dalle agenzie AGI, ANSA, ADN Kronos etc. sono stati  pubblicati  su: Bullettin Calcata, Cuore, AAM Terra Nuova, Ambiente Prevenzione e Soccorso,  Corriere di Viterbo, Il Messaggero,  Paese Sera, Momento Sera, il Giornale d’Italia…. tanto per citarne alcuni….  mai  raccolti da nessuna forza politica malgrado l’evidente “ragionevolezza” delle proposte contenute.  Apparentemente l’intelligenza non paga, almeno per ora……  

Scusate l’ennesimo disturbo.

Paolo D’Arpini – dall’isola di Calcata

0761-587200

circolo.vegetariano@libero.it

21 maggio 64 di P.D’A. – Fra religione e spiritualità

Categorie di pensiero e categorie di esperienza: ateo – teista  / agnostico – gnostico

Il linguaggio non è solo semantica. Eppure c’è già all’interno della mente un “seme” che consente la comprensione di concetti sottili, che non hanno corrispondenza nel mondo materiale. Ad esempio quando un bambino apprende a parlare ed a scrivere, non segue solo esempi concreti: tavolo, cibo, cane, etc.  Vi sono pure i concetti e sentimenti che vengono “riconosciuti” intuitivamente, per una sorta di ammissione interna che va aldilà dell’esempio. In questo caso si presuppone che vi sia già una pre-conoscenza innata di tali concetti, il linguaggio insomma non è altro che descrizione di un qualcosa che abbiamo già dentro. La stessa cosa si può dire della  conoscenza  di vita.

La vita  nasce dall’inorganico ma se non fosse già presente nella materia in forma germinale come potrebbe sorgere e trasformarsi in intelligenza e coscienza? Da ciò se ne deduce che la coscienza e l’intelligenza sono come una “fragranza” della materia e quindi non vi è reale separazione. La differenza è solo nella fase….  La vita è un’espressione manifestativa della materia.  Partendo da questa considerazione generale osserviamo che la spinta evolutiva di questa intelligenza/vita si evolve attraverso stati diversi di consapevolezza. Nelle forme pensiero esistono gradi  descrittivi della maturità assunta da questa intelligenza. Tralasciamo per il momento gli aspetti più vicini all’animalità, all’istinto, e prendiamo in considerazione solo gli aspetti “filosofici” del pensiero umano.  Osserviamo che sia in occidente che in oriente vengono descritti gli aspetti separativi e unificativi del processo mentale (solve et coagula).

In Grecia come in India si è parlato di pensiero duale e pensiero non-duale. 

Nel pensiero duale (dvaita) viene inserita ogni forma cristallizzata separativa, come il teismo e l’ateismo. Queste due categorie infatti sono viste come sfaccettature della stessa   conformazione separativa. Il teista è colui che crede in un dio separato da sé, lo immagina in veste di essere superiore e dotato di immensi poteri e vede se stesso come creatura alla sua mercé . Il teista crede che la sua propria esistenza è consequenziale e secondaria al dio. L’ateo parimenti, crede di non credere, ovvero nega ogni sostanza all’ipotetico dio basando il suo credo sul relativismo materialista. Il teista e l’ateo sono arroganti affermativi della propria  “verità” (presunta od immaginata). Ovviamente entrambe queste fedi si basano sulla piccolezza e separatezza dell’io ed abbisognano di uno sforzo continuo e costante per affermare o negare, un tentativo frustrante che comunque non prende  in considerazione  l’agente primo, l’io, se non in forma passiva e marginale. Questo modo di pensare  duale è   lo stesso sia per il religioso che per l’ateo materialista che crede in causa-effetto o nella fortuità del caso.  E’ un percorso puramente speculativo, basato comunque sul credere, sul ritenersi piccoli elementi separati di un qualcosa che magari pian piano la scienza (o la religione) corroborerà. Ma sappiamo che l’orizzonte è sempre più avanti… mai raggiungibile, insomma siamo persi nel nulla…. Nel vuoto.

La fase successiva dell’auto-conoscenza si definisce non-duale (advaita), in questo caso si inizia a tener conto del soggetto, della coscienza attraverso la quale ogni percezione e sentimento sono possibili, si riconosce nella consapevolezza la matrice della propria esistenza. In questa categoria si pongono l’agnostico  e lo gnostico.

Alla base della ricerca dell’agnostico si pone l’esperienza diretta ed il superamento della concettualizzazione descrittiva. L’esperienza empirica viene portata alle sue estreme conseguenze con il riconoscimento della costante presenza dell’io nel processo implicato.  Viene superato così il modello del credere in verità precostituite  accettando la realtà intrinseca dello sperimentatore che esperimenta.

L’agnostico  sa che non può esserci altra certezza che quella dell’esperimentatore ma allo stesso tempo non vi è ancora realizzazione definitiva. La coscienza individuale  non si è fusa nella coscienza universale benché permanga l’intuizione dell’unità primigenia del tutto.  Stando così le cose egli non può  affermare,  egli  dice di non sapere, la sua è una saggezza in fieri, in maturazione.  L’agnostico non può più identificarsi con un nome forma specifico ed allo stesso tempo manca della pienezza  e quindi resta in silenzio, non afferma e non nega.  Ma il suo costante e continuo discernimento giunge infine ad una inaspettata e spontanea fioritura, e qui l’intelligenza individuale si scioglie, si ottiene la  conoscenza di sé, la gnosi (jnana). 

Lo gnostico non ha assolutamente bisogno di affermare alcunché, la sua realizzazione è totale e definitiva, la sua presenza non è limitata ad un nome forma, egli conosce se stesso come il tutto inscindibile dal quale ognuno di noi proviene e risiede. Lo gnostico né sente il bisogno né ha mezzi per esprimere la sua esperienza, giacché il linguaggio umano è  molto distante dall’esperienza diretta del sé. Infatti prima c’è la consapevolezza del sé, poi la coscienza dell’io individuale che assume una  forma nello specchio della mente, quindi la riflessione del pensiero ed infine la descrizione del linguaggio parlato o scritto.  Il saggio  non vede differenza alcuna, sa che  la  base è la stessa per ognuno (materia-spirito in continua trasformazione), egli “conosce” che la coscienza e l’esistenza sono inscindibili nell’assoluta unità  (uno senza  due)  e resta in silenzio.   Ma la sua esperienza  -che  è la comune natura di tutti-  può essere  riconosciuta e percepita  per spontanea simpatia  dallo spirito maturo.

In questo processo a quattro fasi, fra dualismo e non-dualismo, si manifesta tutto il gioco della vita e della coscienza.

Paolo D’Arpini