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Lettera a D….dulcinea.

“La vita è sogno”  (Calderon de La Barca)   “Ama il tuo sogno se pur ti tormenta” (Gabriele D’Annunzio)  ”Non attraverso il rispetto di punti fermi ma nel fluire in sintonia espressiva che si manifesta l’armonia fra gli esseri” (Paolo D’Arpini)

Mia adorata Dulcinea, mia musa ispiratrice, mi hai detto: “scrivi… scrivi che poi ci penso io..” ed eccomi qui a raccontarti il mio sogno, tu ci sei dentro ed anche molti altri, Ogham, Luise, Gianni, Roberto, Cristina, Ilaria….   Ma spiegare è come giustificare,  tu sei lì che sogni e mi dici di avermi incontrato a Bruxelles poi ti svegli e mi chiedi “sai che ci siamo incontrati a Bruxelles ed abbiamo fatto questo e quello, è vero?”

  Perciò, riprendo il discorso del karma, non esiste karma, è tutto nel sogno, finché continuiamo a sognare facciamo varie interpretazioni del nostro sogno e cerchiamo di dargli un senso, lo chiamiamo causa-effetto oppure libera scelta o quello che ti pare, ma -dimmi cara- a che serve descrivere la realtà del sogno?Per questo colui che è desto “consiglia” di non attaccarsi alle ragioni ed agli eventi del sogno ma di concentrasi su colui che  sogna, sull’io, sulla coscienza… senza seguire i pensieri, le intenzioni di questo o quello, bello o brutto….  Tutto qui…. a che serve ulteriore speculazione quando lo specchio non potrà darti mai alcuna sostanza?

Eppure il senso dell’essere, di esistere, è innegabile, non si può mettere in dubbio, è la sola certezza o “capitale” che abbiamo. Per esprimere questo essere diciamo “io sono”, questo nello stato di veglia, ma persino nel sonno profondo o nello svenimento questo essere è implicito anche se -allora- non possiamo affermarlo, eppure siamo consapevoli…. di esistere. La coscienza non è un processo descrivibile in alcuna forma, la coscienza può essere sperimentata e direttamente conosciuta, il momento che cerchiamo di descriverla essa sfugge al nostro controllo, subentra l’astrazione del pensiero,  eppure essa “assiste”  anzi “consente” il pensiero,  essa è testimonianza e causa prima di ogni andamento mentale.

Purtroppo la mente usa il linguaggio duale e speculare e quindi non può descrivere ciò che è al di là dello specchio. La mente è il riflesso,   la coscienza è la luce che si manifesta come riflesso. Essendo quindi questa coscienza l’unica ed assoluta verità  puoi anche chiamarla “Dio” -se vuoi- nel senso che essa rappresenta l’assoluta vera esistenza presenza.

  Per quel che riguarda la coscienza personale, o mente,  questa è solo una rifrazione  una “forma” della coscienza ed è irripetibile, come una goccia d’acqua non è mai uguale all’altra, come una foglia non è mai uguale all’altra, come una granello di polvere non è mai uguale all’altro, nessuna coscienza individuale può essere uguale all’altra… questa diversità “assoluta” è la caratteristica della coscienza quando si manifesta nell’aspetto individuale. Ma questa “diversità” (tu ed io lo sappiamo) è possibile solo perché la coscienza (che è la matrice) nella sua espressione pura  è alla base di ogni manifestazione vitale.   La “consapevolezza” priva di attributi è il substrato necessario per svelare ogni attributo.   L’individualità della mente muore con la morte fisica ma non la coscienza che continua a manifestarsi in altre innumerevoli forme, la così detta anima individuale è come una maschera,  una proiezione fittizia, un personaggio nel sogno nella coscienza (e qui torniamo a noi ancora ed ancora). Quanti personaggi sogniamo in un sogno e chi sono essi se non il sognatore stesso, ovvero la coscienza?  Quindi, aldilà di ogni pensiero, religioso od ateo che sia, non si può negare “quell’io sono”,  l’unica verità.   E’ questo “io sono” che viene definito l’Assoluto, così è nel pensiero Platonico e persino nella Bibbia è detto: “I am that I am” – Io sono quell’io sono.Che senso ha continuare  a menar il can per l’aia  su un’esperienza ovvia, un’esperienza che non ha bisogno di essere confermata da alcuno, in cui solo lo sperimentatore è reale?

Mia diletta, il momento che ricominciamo a ragionare su questo “io sono” appaiono le inevitabili differenze di pensiero che, come dicevamo all’inizio, sono infinite quante le forme ed i nomi…. (ancora tu, io,…) ed allora?  Se dici “ci penso io..”  vuol dire qui, ovvero “presenza”  (e per me va bene)  intendendo l’esser-ci in un luogo ed in un tempo. Sarai però d’accordo che l’essere non è condizionato dal luogo e dal tempo, l’essere è indipendente dal luogo e dal tempo e non ha nessun bisogno di riscontro per conoscere la sua esistenza.

Siccome siamo abituati a confrontarci, ed  abbiamo dialogato molto…, possiamo anche dire che “ci” siamo tutti dentro in questa elaborazione dell’esser-ci (sempre tu, io .. e tutti gli atri).  Ma se tu, indipendentemente dal confronto, con noi tutti, non fossi consapevole  di esistere “ab initium” -indipendentemente dalla “nostra” supposta esistenza- (e nota bene che ciò vale per ognuno di noi) potresti forse dire di non esistere? Potresti affermare oggettivamente e soggettivamente di non esistere se non avessimo questo confronto letterario?

Che hai bisogno di guardarti alla specchio per conoscere la tua esistenza?

Ma nel girare in tondo in tondo, dolcissima Dulcinea,  ci sembra di compiere un percorso  e siccome siamo abituati a considerare l’esistenza quando si manifesta sotto forma di “pensiero” e -chiaramente- siccome il pensiero, come la parola e come ogni concetto, è per sua natura condivisibile (in quanto si presuppone che possa essere trasmesso ad un “altro”), qualsiasi pensiero appaia nella nostra mente diventa per noi un assioma che possediamo in comune, ma -attenta- a chi appare quel pensiero? Prima di poterlo condividere, chi è quell’io cosciente che lo percepisce (e successivamente lo condivide)? Senza la prima persona, senza l’esser-ci  in prima persona, come è possibile essere coscienti dell’altro? E del qui ed ora, etc. etc. etc.

Questo bel discorso che portiamo avanti non implementa la nostra esistenza, il nostro essere coscienti, se non -forse- per il “sospetto” (mi auguro una certezza) che “io sono quel che tu sei..”. Io sono e quindi tu sei e quando tu sei io sono allo stesso tempo presente, eccoci siamo riflessi l’un dell’altro, quindi tu ed io siamo la stessa identica cosa: coscienza.

  Cari saluti a me stesso… ahahaaha!Vedi ora la “specularità” delle forme pensiero?

 Ma per i fatti pratici, mia amata,  accettiamo la separazione, come in un sogno, questo è il gioco della coscienza…. 

“….just for the sake of the game…”

  Tuo devoto, Don Chisciotte

Genova. Non fu che un inizio….

A Genova non andò la fantasia al potere.
Chi andò a Seattle prima e poi a Napoli e poi in quel gran porto in stato d’assedio di guerra, non voleva andare al potere,  lo voleva contestare. Chi rappresentò e oggi rappresenta l’Autorità del G8, complici tutti i governi e di qualunque coloritura dell’arcobaleno, non ha mai mangiato pane amore e fantasia ma si è messo alla tavola della ragione di Stato, pianificando pasti di sicurezza e repressione, a suon di cancellazione di qualunque Giustizia e Verità. In quei giorni andarono in migliaia a Genova, masse di giovani come non se ne vedevano da anni e tanti senza età e volto, contro la globalizzazione, tanto che li chiamarono noglobal. Ognuno aveva un suo buon motivo per essere in quelle piazze, per ritrovare sè stesso e l’altro. C’ero anch’io con una figlia di sedici anni, accompagnavo lei, che aveva uno sguardo già molto più ampio del mio, per istinto animale, lo stesso che mi portò là, a difendere lei e i suoi amici: ma erano, mi resi subito conto, migliaia.
Quelli che oggi hanno sedici anni, ne ho sentiti parecchi, non sanno niente di Genova ma conoscono i fatti raccontati da tutti i Media del mondo,  di poco meno due mesi dopo: l’11 settembre 2001. Ci venne consigliato di praticare il cammino della non violenza, noi che di violenze ce ne intendevamo avendo porto non una guancia ma tutto il corpo, senza nessuna arma a difesa. Si parlò di pace e di guerra, ci dicemmo che eravamo milioni e la guerra la potevamo fermare: fermarono noi. Ci siamo trascinati per anni, dapprima sempre di più, poi sempre di meno, per strade e piazze d’ Italia e d’Europa , sapevamo che non era che l’inizio e la lotta doveva continuare, come potevamo scordare che  “C’est n’est qu’un début, continuon le combat” di trent’anni prima? Oggi è cronaca giudiziaria, trascinamenti di carte e documenti seppelliti e poi emersi, testimonianze a faldoni, foto e registrazioni di quando i Media eravamo noi.
Siamo in pieno regime, con i soliti noti e quelli che mai avremmo pensato essere noti nella collusione, in dittatura di mafia globale, prima fra tutte quella della comunicazione. Torna il senso di colpa, magari a quelli nati nella prima metà del secolo scorso, come a Levi, che scrisse Sommersi e
Salvati, dove la storia degli oppressi era quella a cui nessuno avrebbe creduto, le cui testimonianze delle violenze subite sarebbero andate distrutte. Non abbiamo ancora mai ragionato davvero sulla “banalità del male”, sulla sua affermazione nei secoli cambiando giacche spille e regimi, sul perchè ci siamo “salvati”: non sanno in troppi che fu un’inizio Genova e per questo dobbiamo cominciare davvero a lottare, fosse pure una resistenza infinita.
Doriana Goracci

Risposta.
Cara Doriana, graze per la tua lettera accorata, la pensa come te anche la mia buona amica Etain Addey,  che partecipò appunto alla manifestazione di Genova del 2001, e mi raccontò molti particolari interessanti di ciò che lì avvenne… e di come fosse necessario continuare la lotta. Io purtroppo non son fatto per questo tipo di “combat” son troppo Gandhiano nello spirito e ritengo che non si possa opporre violenza alla violenza, ma questo non significa che intendo accettare passivamente -senza denuncia alcuna- la prevaricazione ricevuta. Serve una coscienza pulita ed una onestà morale assoluta per poter ottenere risultati nella coscienza sociale, infatti una delle cose che sentii rinproverare ad Etain sui fatti di Genova (a l’envers) fu che molti dei dimostranti, che protestavano contro il consumismo, lasciavano per strada lattine e bottiglie vuote e sacchetti di patatine….
Ciao, P.D’A.

Ahura Mazda. Demone o Dio?

Poems and Reflections ilaria 14 luglio 2008

L’antica cultura della Persia fra storia e psicostoria.

A Bombay è tutt’oggi fiorente  la comunità Parsi composta dai discendenti dei sacerdoti zoroastriani che fuggirono dalla Persia, isola di cultura e civiltà ariana, con l’avvento in quel paese dell’islam. La religione di Ahura Mazda  è basata sull’adorazione del fuoco sacro  mentre i riti funerari prevedono l’esposizione dei cadaveri su alte torri affinché siano divorati dagli uccelli. Aria e fuoco sono due dei cinque elementi presenti  nella tradizione sacrale ariana ed infatti la civiltà iraniana è indubbiamente di origine indoeuropea. Sull’antichità e sull’origine di questa civiltà ancora si sta discutendo, essendovi diverse teorie sulla sua formazione. Alla luce di recenti scoperte fatte nella valle dell’Indo e del Saraswati, attualmente in territorio pachistano, risulta che esisteva  circa 12.000 anni a.C.  una fiorente civiltà con città e porti grandiosi. Il fiume Saraswati, il cui  antico percorso è stato individuato con i sistemi satellitari, si essiccò circa settemila anni a.C. e da quel  momento iniziò un esodo, in diverse fasi, della popolazione sino  all’abbandono definitivo degli antichi insediamenti, la civiltà dell’Indo si spostò da un lato verso la valle del Gange e dall’altra  in Persia ed in Europa.. Tutto ciò coincide con quello che viene definito il termine ultimo della cultura matristica e l’inizio del patriarcato. Infatti nelle antichissime città di Moenjio Daro ed Harappa, molto estese e ricche di zone verdi, non vi erano tracce di grandi palazzi o templi che lasciassero intendere un potere centralizzato, tipico del patriarcato, mentre vi erano servizi e abitazioni simili per tutti  gli abitanti (parecchie centinaia di migliaia), tra l’altro una caratteristica importante era il sistema idrico e fognario diramato sistematicamente in tutto il centro urbano.

Vi  è  poi un altro riscontro storico basato sulla narrazione dei Veda, sul riconoscimento delle varie divinità, che precedentemente erano di carattere ctonio. Ciò che   lascia perplessi, infatti, è che in sanscrito, la lingua nobile dell’India,  i demoni, ovvero le divinità ctonie, sono chiamati “asura” mentre  in Persia il nome “asura”  denota la divinità principale (vedi appunto il nome di Ahura Mazda). Un’altra particolarità è che in sanscrito i demoni sono detti “rakshasa” che tradotto letteralmente significa “protettori” e tali  erano considerate le divinità della natura nel periodo matristico. Insomma pare che in Persia fosse rimasta più a lungo che in India  la tradizione antecedente, come ad esempio accadde a Creta rispetto al resto della Grecia già dominata dall’ondata ariana di  configurazione patriarcale.  L’ultima ondata di lingua e cultura indoeuropea furono gli Hittiti (ed anche i Sinti) che avevano la conoscenza della lavorazione del ferro e della ruota a raggi, cose ancora sconosciute in Mesopotamia e nel mediterraneo.   In Persia, zona di transito, la religione di Ahura Mazda  aveva perciò mantenuto alcuni elementi del periodo matristico antecedente e questa religione all’arrivo degli islamici  ritornò alla terra madre, in India. Un’altra particolarità che lascia supporre l’origine matristica della religione di Ahura Mazda è anche la posizione femminile che non è strettamente subordinata al potere maschile, molto accentuato invece nelle altre religioni.

Paolo D’Arpini 

Una poesia di Rumi santo poeta persiano del 13° secolo.

Non preoccuparti di salvare queste canzoni

e se uno dei nostri strumenti dovesse rompersi, non importa.

Noi siamo caduti in un posto dove tutto è musica.

L’arpeggio e le note del flauto si levano nell’aria

e se anche l’arpa del mondo bruciasse

vi sarebbero ancora altri strumenti nascosti.

Quest’arte del canto è schiuma  di mare.

Questi moti gentili sorgono da una perla del fondo marino,

essi nascono da una radice forte e potente che non vediamo.

Ora basta con le parole.

Apri la finestra nel centro del tuo cuore

e lascia che gli spiriti volino dentro e fuori….

Comunicare…comunicare…. Come?

Comunicati Stampa ilaria 14 luglio 2008

Inizia con il primo vagito, prosegue con le asticciole e lo studio dell’abbecedario ma non si sa come finisce…. La comunicazione umana è un mistero senza fine. L’uomo da quando scoprì l’uso del fuoco, allungando così la sua giornata, cominciò a raccontare in forma conviviale,  a ritrasmettere ad altri uomini, le esperienze vissute e le impressioni, da ciò  è nato il linguaggio, la cultura.Infatti se durante la giornata bastavano pochi grugniti per indicare le contingenze o gli oggetti, quando la notte gli uomini primitivi ricordavano le proprie avventure per comunicarle dovevano rendere penetrante l’espressione,  intelligibile senza l’uso di esempi concreti, utilizzando solo  immagini e forme pensiero. Così è nato il grande miracolo della “comunicazione”  ma il suo sviluppo non è ancora concluso….

  Oggi, lasciati da parte penna e calamaio, libri e giornali, si comunica  con internet,  le parole forse son le stesse  (anche se veramente si sta già utilizzando un nuovo slang) ma  per  far sì che i propri messaggi vengano recepiti nella giungla virtuale   occorre sviluppare nuove capacità di attrazione, richiamando il lettore ad una attenzione inusitata.  In questo campo nessuno è maestro, non vi sono università in grado di trasmettere questa nuova “arte” della comunicazione, i tempi sono stati troppo brevi ed oggi ognuno cerca di arrangiarsi come può. Alcuni lo fanno con lo spam, altri con i cookies, altri ancora  sviluppano grafiche e impostazioni innovative, quasi tutti usano la multiplicità ed il cosiddetto metodo del “copia-taglia-incolla”….  Ma tutto ciò non è sufficiente,  è evidente che nella giungla telematica se si vuole che il messaggio,  il proprio richiamo, venga percepito non si possono usare solo le urla od una gestualità esagerata, occorre affinare ancora una volta il linguaggio e questa è la nuova rivoluzione lessicale alla quale siamo chiamati.Dopo il cerchio attorno al fuoco (la prima socializzazione) siamo al cerchio allargato (in rete)  davanti al computer…  

Eppure la necessità di ritrasmettere le nostre sensazioni, ricordi ed esperienze è ancora più forte.  Quel che era la poesia, come massimo affinamento, ora è diventato “poetronica”….

18 luglio 2008 – Metempsicosi e liberazione sotto la luna

Eventi ilaria 10 luglio 2008

“Avanti e indrè, avanti e indrè, che bel divertimento… ”

Il 18 luglio  2008, venerdì, è luna piena. Questa occasione viene commemorata da migliaia di anni in India, sotto il nome di “Gurupurnima”.  Questo momento di luna piena di luglio  rappresenta la pienezza della coscienza, il Sé, anche definito guru cioè la luce interiore che disperde le tenebre dell’ignoranza. Il guru quindi non è una persona ma la pienezza dello stato indifferenziato della coscienza, in cui cessa ogni dualismo ed in cui essa risiede pienamente nella propria natura. Ed è sempre presente in ognuno di noi.

Ciononostante finché la mente umana è preda dell’ignoranza e si identifica in uno specifico nome e forma  (la persona che  crediamo di essere) è necessario per noi compiere un processo di ricomposizione (che viene definito “yoga”).  L’energia -o consapevolezza- che consente il risvegliarci alla nostra vera natura viene parimenti definito “guru” e può manifestarsi davanti a noi  in una forma  per compiere l’alchimia del risveglio, ma  questa forma non è propriamente separata o altra da noi è come un personaggio del nostro sogno che provvede a risvegliarci a noi stessi.

Questo vero guru -o sadguru- viene onorato oggi. 

Facciamo l’esempio del sogno poiché è il più vicino alla similitudine della dimenticanza di noi stessi, in quanto pura coscienza.  Infatti quando noi sogniamo vediamo innumerevoli personaggi alcuni in antitesi con altri ma realmente essi sono tutti lo stesso sognatore. In questo  sogno -chiamato il divenire- compiamo un percorso, un processo trasmutativo della coscienza individualizzata, che potremmo anche definire trasmigrazione o metempsicosi. Durante questa notte di luna piena rifletteremo su questo processo, su questo continuo trasformarci in nuove forme e nomi,  il samsara.

Il motore del samsara è il karma -o azione- ma  forse sarebbe meglio dire che è la propensione a compiere l’azione… Secondo la teoria della reincarnazione  il destino di questa vita (prarabdha) è la maturazione del karma più forte delle vite precedenti, con ciò non esaurendo la possibilità di future nascite con altri karma che abbisognano di una diversa condizione per potersi manifestare. Il modo per creare ulteriore karma viene individuato nell’atteggiamento con il quale viviamo la vita presente, ad esempio se  emettiamo pensieri di scontento od eccessivo attaccamento verso gli eventi vissuti. 

In se stesso il prarabdha di questa vita non cambia sulla base degli sforzi da noi compiuti mentre lo stiamo vivendo, è come un film che sta tutto nella pellicola,  quindi pensare di modificarne il  contenuto (una volta iniziata la proiezione) è irreale. Possiamo essere consapevoli ed accettare il film -come attenti spettatori- oppure arrabbiarci e commuoverci al suo scorrimento desiderando di modificarne gli eventi con la mente….  si forma  nuovo karma…

Paolo D’Arpini

Appuntamento 18 luglio 2008 – Circolo vegetariano di Calcata – Via Fontanile snc.

h.17.00 – Partenza per l’abluzione purificatoria al fiume Treja e visita propiziatoria al tempio di Giunone.

h. 19.00 – Accensione del fuoco sacrale attorno al quale meditare sul nostro destino.

Condivisione del cibo vegetariano da ognuno portato.

Prenotazione: 0761-587200

circolovegetariano at gmail.com