Archivio Autore

Una lettera vera… “bioregionale” e “vegetariana” da Aurora Bussi di Perugia

Lunario ilaria 12 ottobre 2008

CARO PAOLO.

Ti ringrazio per l’articolo storico di Maria Pinnizzotto che ho trovato interessante,  ma   molto simile alle  numerose esperienze   raccontate da  coloro che le hanno realizzate guidati dalla loro risvegliata sensibilità, come Etain Addey. Sono già parecchi mesi  che sottopongo materiale  Bioregionale ai miei amici del gruppo di Teosofia  sia di Perugia  che di tutta Italia  in quanto sono persone la cui sensibilità è costantemente accesa verso lo sviluppo e  la realizzazione  rispettosa e armoniosa di tutte le  realtà . Infatti  non è un caso che Teosofia e Vegetarianesimo   sono nell’essenza sinonimi, nnonostante ciò anche per noi ridirezionare radicalmente le nostre vite, abbandonando cioè gli ingranaggi moderni  capaci solo di fagocitare  tutto e tutti,  richiede vere e proprie acrobazie che non tutti  sanno e possono realizzare.

Anch’io  da studentessa cominciai a rivivere  nella campagna più pittorica abbandonando senza tante difficoltà la città, annaffiavo l’orto, usavo poco e di rado l’auto, ma ho potuto continuare a farlo solo perché il mio compagno era uno studente tedesco che come un’eredità gli riempì le tasche,  lasciò senza incertezze la bionda patria per comprare un casale nella castana Umbria e poter lavorare il  legno. Così ora è il titolare della falegnameria “Arcobalegno” Specializzata nella lavorazione biologica dl legno per le ristrutturazioni  di vecchi edifici.  Ma il mio invalidato e invalidante   fascino ci ha procurato solo il divorzio che bioregionalmente sopporto…… 

Dicevo quindi che far circolare tali esperienze è sicuramente uno dei pochi mezzi che permettono di stimolare il risveglio in più soggetti, ma non potrebbero invece  provocare l’effetto  contrario, di una chiusura più rigida verso quei chiacchieroni che hanno i soldi  per farlo e che non hanno voglia di lavorare intensamente  ogni giorno preferendo passeggiare ecologicamente  vegetarianando…

Sì, lo so tutto ha mille aspetti da non sottovalutare, così spero solo  che le  apocalittiche scivolate finanziarie che stiamo vivendo, siano “l’estrema unzione”   del moderno capitalismo e della disumana tecnologia fine a se stessa , per provocare così la  forse non troppo dolorosa  ma radicale rivoluzione che deve avere luogo nell’interiorità di ogni soggetto , per poter riscoprire la magia di ogni piccola azione  rispettosa, di ogni granello di polvere, che porta con sé l’unica eredità di conservazione  di ogni vitalità,  per poter essere così    ringraziati dai nostri figli. !

Aurora Bussi

—————-

Risposta.

Questa è la seconda lettera romantica che riceviamo da Aurora, la prima  è stata:

http://www.circolovegetarianocalcata.it/2008/01/25/bioragionando-come-le-nuvole/

Debbo dire che aver conosciuto Aurora, avendola frequentata in diversi incontri in Umbria, in Toscana e nella stessa Calcata è stato per me un enorme arricchimento morale e spirituale, come posso adeguatamente ringraziarla per la sua modestia, per la sua semplice e profonda vicinanza, per il suo spirito indomito…. Ecco sono orgoglioso di avere Aurora come amica, il simbolo della luce che squarcia le tenebre dell’ignavia e che ci fa aprire gli occhi sulla verità di vita. Grazie Aurora per la tua amicizia! 

Paolo D’Arpini

“Identità ecologica” – PER UNA RICONCILIAZIONE BIOREGIONALE CON LA TERRA E CON NOI STESSI –

Messaggio augurale di Fulvio Di Dio per “Il Ciclo della Vita” Calcata: dal 31 ottobre al 9 novembre 2008  

La natura opera secondo un sistema di nutrienti e metabolismi in cui non esistono rifiuti. Un ciliegio fa germogliare fiori e (forse) produce frutti. È per questo che gli alberi fioriscono. Ma i fiori che danno frutti sono tutt’altro che inutili. Cadono al suolo, si decompongono, nutrono vari organismi e microrganismi, e arricchiscono il terreno. Gli animali e gli uomini emettono biossido di carbonio che le piante assorbono e usano per crescere. L’azoto contenuto nei rifiuti viene trasformato in proteine da microrganismi, animali e piante. I cavalli mangiano l’erba e producono sterco che diventa nido e nutrimento per le larve delle mosche. I più importanti nutrienti della Terra – carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto – sono riciclati di continuo. Rifiuti uguale cibo.

  Questo sistema biologico ciclico, “dalla culla alla culla”, ha tenuto in vita e nutrito per milioni di anni un Pianeta ricco e diversificato. Fino a poco tempo fa era l’unico sistema esistente e ogni essere vivente del Pianeta ne faceva parte. Poi è arrivata l’industrializzazione e ha alterato l’equilibrio naturale dei materiali sulla Terra. Gli uomini hanno cominciato a estrarre materie prime dalla crosta terrestre, le hanno concentrate e alterate, e hanno sintetizzato materiali che non possono essere restituiti al terreno senza provocare danni.   Gli esseri umani sono l’unica specie terrestre che prende dal suolo grandi quantità di nutrienti necessarie ai processi biologici, e raramente le restituisce in forma utilizzabile. I nostri sistemi – eccetto alcune piccole realtà locali – non sono più studiati a questo scopo.   Industriali, progettisti, ambientalisti e in genere gli addetti ai lavori parlano spesso di un “ciclo vitale” del prodotto. Naturalmente solo pochissimi prodotti sono “vivi” in senso stretto, ma in molti casi siamo noi che, per così dire, proiettiamo su di loro la nostra vitalità, e la nostra mortalità. Sono quasi parte della famiglia. Vogliamo che vivano con noi, che ci appartengano. Nella società occidentale gli esseri umani vengono seppelliti nelle tombe e così i prodotti. Ci piace l’idea di essere potenti, unici; e ci piace compare cose nuove di zecca, fatte di materiali “vergini”. Quando io (che sono una persona speciale e unica) avrò finito di usare un prodotto vergine, nessun altro lo userà. Le industrie progettano e pianificano in accordo con questa mentalità.   Nel caso dei materiali, ci sembra invece decisamente più sensato insistere su quei caratteri di somiglianza e ordinarietà che ci permettono di godere più di una volta anche di prodotti speciali e unici. Cosa sarebbe accaduto se la Rivoluzione industriale avesse avuto luogo in società che mettono al primo posto la comunità e non l’individuo, e in cui si crede non in un ciclo vitale “dalla culla alla tomba” ma nella reincarnazione?   I sistemi e le industrie umani diventeranno rispettosi della diversità solo quando riconosceranno che la sostenibilità, come tutte le politiche, è un fatto locale. Quando si connetteranno ai flussi locali di materiali e di energia, ai costumi e ai gusti locali, dal livello molecolare fino a quello dell’intera bioregione.  Le realtà locali non sono tanto da intendere come isole di civiltà, astratte dal contesto naturale, ma proprio come forme di “sapere ecologico”, un sapere che deve la sua esistenza al legame che le comunità umane hanno, nel corso della loro storia, intrecciato con il territorio cui appartengono. Tutto ciò implica che si costruisca, intorno ai territori naturali, una vera e propria “identità ecologica“, in cui si esprima e si rafforzi la relazione biunivoca tra le bioregioni e i loro abitanti. Per questi motivi, il bioregionalismo implica innanzitutto un coinvolgimento attivo da parte dei membri delle comunità. Ciò significa che esso non è solo un progetto meramente politico-gestionale, ma anche un progetto culturale. Insieme a un forte senso di appartenenza al territorio, nell’ “identità ecologica” confluiscono infatti il recupero di tradizioni legate ai luoghi, la riscoperta di lingue, arti, riti e conoscenze indigene, ecc., come la mostra collettiva su Morte e Rinascita degli artisti di Calcata e le cerimonie-pettacolo  all’interno de Il  Ciclo della Vita   portano felicemente alla luce.

Fulvio Di Dio

Legato dell’Assessorato all’Ambiente

e Cooperazione tra i Popoli

Regione Lazio   Vedi locandina  con programma: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2008/10/07/locandina-della-mostra-il-ciclo-della-vita-2008/

Intervento tecnico sulla proposta di riassetto “bioregionale” del Lazio, applicando le leggi 145 e 142 del 1990.

Condivido il Bioregionalismo nella sua sostanza ma l’obbiettivo nell’attuale assetto istituzionale italiano non può che essere raggiunto per gradi.  Nella prima fase bisogna tener conto dell’esistenza delle Regioni così come sono oggi, senza pretendere modifiche di territorio perché queste per essere realizzate necessitano di complicati meccanismi costituzionali e scatenano nel contempo reazioni a catena dovute ad interessi precostituiti che è difficilissimo scardinare.

  Questa situazione rende per i momento utopistica l’istanza bioregionale anche se effettivamente ben motivata. Oggi quindi il bioregionalismo amministrativo può avere, a breve e medio termine, una concreta possibilità di realizzazione solo con accorpamenti e ristrutturazioni  di enti all’interno delle singole Regioni.   Nel nostro caso ci soccorre la Legge 145 del 1990, una buona legge partorita dalla Prima Repubblica, purtroppo ancora disapplicata.   Nel Lazio ci sono tre realtà territoriali e socio economiche diverse. C’è l’area metropolitana romana che comprende gran parte del territorio e degli abitanti laziali, c’è il sud pontino e ciociaro che è riuscito in questi ultimi 60 anni ha guadagnare un parziale progresso, c’è un nord sabino e la Tuscia che rappresentano l’anello più debole della catena regionale. Pur tuttavia sia il nord, ovvero la provincia di Rieti e Viterbo, che il sud, cioè Frosinone e Latina, sono legati da una omogeneità socio economica, di tradizione culturali e storiche che possono riconoscersi in un’unica matrice bioregionale. Tutte e quattro queste province hanno comunque tratti comuni evidenti di condizioni economiche, sociali e culturali che hanno poca attinenza con la realtà della megalopoli romana.   La legge del 1990 prevede l’istituzione delle Aree Metropolitane, una sorta di città stato alla maniera tedesca (dove funzionano molto bene), staccate amministrativamente dalle Regioni di cui fanno parte ed il cui territorio non dovrebbe allargarsi più di tanto dagli attuali confini comunali. In questo modo l’attuale territorio della Provincia di Roma, non necessaria all’Area Metropolitana, dovrebbe essere ceduto alle Province storiche confinanti (in chiave omogenea) rendendole così più solide dal punto di vista politico ed economico. Ne verrebbe fuori un nuovo Lazio  di due regioni, la prima costituita dall’Area Metropolitana di Roma, la seconda dalle quattro province autonome capaci di amministrarsi e programmare un loro sviluppo adeguato alle proprie esigenze, anche in considerazione delle esigenze metropolitane  ma ad esse non soggette né condizionate.   Per realizzare tutto ciò non occorre una legge costituzionale, basta applicare la L.142/1990 sul riordinamento degli enti locali che consente questi aggiustamenti. In tal modo sarà possibile realizzare a breve una prima graduale applicazione del bioregionalismo, lasciando a tempi più maturi la prospettiva di una riaggregazione su base prettamente bioregionale del territorio dell’Italia centrale.  Gianfranco Paris     

————————————-

Risposta:

Accolgo con grande piacere questa lettera-proposta di Gianfranco Paris, che riporta tutta la discussione bioregionale alla sua origine. Infatti questa descritta da Gianfranco è la prima proposta bioregionale avanzata da un  nostro comitato chiamato “Punto Verde”, proprio negli anni ‘90 del secolo scorso, prima ancora della fondazione della Rete Bioregionale Italiana e dell’uso del termine “bioregionalismo” che -ricordiamolo- è un neologismo d’importazione  statunitense, oggi entrato nell’uso comune, in precedenza si usavano i termini “coesione delle aree omogenee” “ecosistema condiviso” “comune ambito socio culturale e geografico” etc..  Già dal  1990 questo discorso era partito assieme con la VAS di Stefano Zuppello e di Guido Pollice, successivamente con il discorso “etnico geografico” di Edoardo Zarelli (tra i primi fautori dell’ecologia geografica  in Italia) e con Accademia Europea di Carlo Carli,   poi sono arrivati gli americani…. con la nuova terminologia “bioregionale”….

L’intervento di Gianfranco Paris che, essendo direttore della testata locale Mondo Sabino, nonché compartecipe del “Punto Verde”  per il riassetto del Centro Italia,  e che ha sempre praticato un “bioregionalismo” ante litteram mi fa molto piacere e rende giustizia storica al nostro impegno.

Qui di seguito alcune referenze  dei primi interventi “registrati” in tal senso.

Paolo D’Arpini      

1.                       Diritto & Diritti – rivista giuridica on line

Paolo d’Arpini ed il Punto Verde sono eminente espressione. Tra queste iniziative, quella a me più cara è quella in materia di “trasparenza amministrativa”

  • 1. [PDF]

INDICI DI EUPOLIS PUBBLICATI NUMERO 0,1 – DICEMBRE 1990 Una …

Formato file: PDF/Adobe Acrobat – Versione HTML
Una regione di piccole città Paolo d’Arpini. Una proposta del Punto Verde di Calcata per il. riassetto regionale dell’Italia Centrale.

almanacco di fine millennio

 - 19 set

Formato file: PDF/Adobe Acrobat
della Capitale, uno spazio pulito non compromesso da continue fagocitazioni sollecitate da bisogni che partono dal centralismo romano. Paolo D’Arpini

Tutti a Casa! Ecco, il figliol prodigo ritorna…. Esperimento di ecologia sociale e profonda.

Comunicati Stampa ilaria 8 ottobre 2008

Una riflessione sul tema del  “Ritorno a Casa” è quanto mai necessaria,  queste brevi note che seguono vogliono essere una base di partenza per il cerchio di condivisione che si tiene su quest’argomento il 18 e 19 ottobre 2008 a Capranica.

  La casa comune. I separatismi, lo scollamento sociale e l’alienazione, persino fra compaesani, sono oggi inequivocabilmente percepiti da ognuno di noi. Mentre non si riconosce più nemmeno un membro della famiglia come nostro proprio come possiamo accettare ed accogliere chi non conosciamo, o pensiamo di non conoscere?  Viviamo in un mondo di stranieri e noi stessi siamo stranieri in questo mondo.Eppure con la globalizzazione si presupponeva che la “razza globale”, il concetto di comune appartenenza alla Terra, divenisse un dato acquisito, una realtà. Purtroppo non è andata così, la mancanza di coesione nella società urbana e consumista è ormai evidente.

Raccontava un amico,  venuto a trovarmi da Veroli,  che in varie parti della Ciociaria è in corso  l’avanzata dell’infiltrazione mafiosa e -secondo lui- la colpa è solo della mancanza di solidarietà interna nella collettività. Dove non vi sono valori comuni  e si perde  il senso di appartenenza al luogo immediatamente subentrano gli interessi speculativi che cancellano ogni umanità e fratellanza. Ancora mi portava l’esempio di una piccola città come Frosinone, che ha cambiato completamente aspetto e vivibilità, lì -come a Roma-  la gente vive nello stesso palazzo e  non si conosce,  nemmeno si saluta né si interessa dei propri vicini, ognuno è  estraneo all’altro. Ecco il “contesto civile” nel quale ci siamo smarriti ed ora dobbiamo ritrovare la strada verso “casa”. La Casa di Tutti.  

Ma andiamo avanti con l’analisi. Questo sembra il tempo dello spezzettamento. In ogni parte d’Europa (e del mondo) si assiste ad un processo di frantumazione degli stati ed a forme esacerbate di separatismo, non solo per motivi religiosi, ideologici o di status, e nemmeno per ragioni di concorrenza commerciale od altro. Qual’è la motivazione di questo sgretolamento?  Blocchi monolitici di potere   economico e politico si stanno sbriciolando (vedi i recenti scossoni bancari in USa ed ora anche in Europa). La società umana si dibatte  nella forsennata ricerca di una nuova identità e modus vivendi, persino Bill Gates sul Time inneggia a un nuovo capitalismo “umano”.

Anche in Italia  il separatismo sta facendo  la sua parte e, con il regionalismo fiscale e la lotta alla scuola ed al pubblico impiego, sembra acquistare impeto una nuova spinta centrifuga. Nuove entità  economiche, basate sulla produttività amorfa (precariato, call center, veline, prostituzione, corruzione, etc),  sono in cerca di affermazione riconosciuta, mentre le forze sociali spingono alle porte dello Stato e percuotono le mura di una apparente legalità democratica che più non  regge le sorti della nazione. 

Vediamo inoltre che in oriente come in occidente i vecchi equilibri basati su una appartenenza etnica o culturale non sono più sufficienti a tenere incollati i vari popoli. Gli umani nel tentativo di uniformasi alla globalità hanno perso il senso della dignità e del rispetto per la diversità. Ancora ed ancora si distingue e si  giudica.  Non però nella pianificazione economica e sociale saldamente in mano a pochi esperti…

Ritengo che questa tendenza separativa dovrà necessariamente portare al  ri-accostamento interiore dell’uomo  verso l’uomo. In fondo quanto possiamo separarci da noi stessi senza perire? Ecco che l’allontanamento diviene  avvicinamento… la vita è  elastica e non può andare in una sola direzione. Ora  sorge la necessità di nuove forme di equilibrio, più radicate nella coscienza della comune appartenenza alla vita. Un avvicinamento alla coscienza universale. Infatti il senso di comune appartenenza porta alla condivisione del criterio di vita,  ad atteggiamenti simbiotici e ad uno  stato di coscienza comunitario. L’evoluzione richiede  che le persone non si riconoscano più nelle mode, negli sport, nel glamour, nel colore della pelle, etc. Separazione  è solo un concetto per giustificare  degli “indirizzi” personalistici ed egoici,   è una frattura radicale che spacca il mondo in due. Il pari diritto di abitare nel “condominio terra”,   non può  essere codificato  dalla nascita, dall’etnia, dalla nazionalità o dalla condizione economica, etc. bensì dalla capacità di rapportarsi al luogo in cui si vive in  sintonia con l’esistente. L’uomo, la razza umana nella sua totalità, e l’ambiente vitale  che lo circonda, sono un’entità indivisibile. 

Perciò il passo primo da compiere, per il Ritorno a Casa,  è  l’accettazione delle differenze, viste come fatti caratteriali che al massimo (in caso di persistente negligenza morale) possono essere ‘curate’ allo stesso modo di una idiosincrasia interna.  L’uomo ha bisogno di riconoscersi ‘unico’  nella sua individualità, che assomiglia ad un cristallo di neve nella massa di neve,  ma nella coscienza di appartenere all’unica specie umana.  Non passerà molto tempo -mi auguro- che le divisioni artificiali operate dalla mente umana scompariranno completamente ed al loro posto subentrerà un nuovo spirito di fratellanza, partendo dal presupposto delle reali somiglianze e della coesistenza pacifica. Queste somiglianze, in una società sempre più vicina a se stessa,  renderanno l’uomo capace di capire il suo prossimo, in piena libertà, e di amarlo come realmente merita. Tutti abitanti dello stesso pianeta, tutti a casa!

Paolo D’Arpini

Introduzione scritta per l’incontro di Capranica, 18  e 19 ottobre 2008. Arte   e  Tavola rotonda sul “Ritorno a Casa”  nella Sala Comunale Nardini.  Vedere programma particolareggiato:  http://www.circolovegetarianocalcata.it/category/compagni-di-viaggio/

Nico Valerio racconta: “CALCATA E L’ARTE ZEN DI IMBUCARSI…”

Come eravamo… Caro Paolo…
Dalla lenticchiata del 31 dicembre con la piccola folla (a Calcata si fa, si faceva “folla” con 50 persone), che ballava tra i mortaretti nella piazzetta coi sedili di pietra, ai miei pizzoccheri mangiati “alla fagottara” nell’antro della Sibilla di Paolo D’Arpini  (l’antro, non la Sibilla), pieno di ciuffi di piante aromatiche e reperti della Natura. Fino alle fanciulle “portate da Roma” come i pizzoccheri, che il giorno dopo la festa si svegliavano sui divani di perfetti sconosciuti, senza ricordare come mai fossero lì. Tutto, diciamolo, con l’alibi gastronomico-botanico del crescione del  Treja.
Crescione, nel Medioevo erba cara agli amanti.
Così, tutto filò liscio per anni e anni, finché la moglie arcigna d’uno scultore che – molto giustamente, dico io – ci mise alla porta, guastò i rapporti diplomatici tra la colonia Calcata e la madrepatria. Ma sì, deve  essersi detta la perfida albionica, basta co’  ’sti soliti romani imbucati.
Lei non lo sapeva, ma c’erano illustri precedenti storici: dalla rivolta dei Sabini contro i Romani alla guerra dei Tarantini contro i Greci.

Insomma, i “coloni” calcatesi si ribellavano contro la madrepatria Roma:  mizzica, una cosa inaudita fu. Fatto sta che quella sera nessuno ci ospitò, e dovemmo ritornà sur Campidojo…
Questo il sommario. Però è vero, Paolo, (come dico nel  commento alla lettera di Annamaria Pinizzotto, armarcord, piena di refusi… sob), che i singles intellettuali nei paesini un po’ si rincoglioniscono … Nella tua simpatica risposta dici che mi hai poi perso di vista. E no! A parte che ti mandavo la mia pungente newsletter satirica e anticlericale del Salon Voltaire  (2004-2006),  dovresti ricordarti che venni diverse volte nel tuo rusticissimo e spartano “ristorantino” che sembrava un affascinante “antro magico della Sibilla”, con fasci d’erbe secche e reperti della natura dappertutto.

Cibo semplice e buono, un po’ scarso (perché le ragazze vicine se lo magnavano tutto, con la scusa del “che, mi fai  assaggiare?”). Tanto che, io – buono sì ma fesso no – l’ultimo dell’anno  appresso mi portai il cibo da casa, i miei soliti pizzoccheri di saraceno  che riservo agli eventi, e me li divorai tutti da solo abbaiando come un lupo a quelli che si avvicinavano. Questo avveniva oltre 15 anni fa. Quando ancora si facevano le grandi  feste aperte e le lenticchiate in piazza il 31 dicembre.
In precedenza, dopo il mio eroico “no” in piazza del Prepuzio, quasi  pentito  avevo inventato un sistema per esserci senza esserci, a Calcata.  Con una  faccia tosta che poi l’altro Nico (noi gemelli…) mi ha costretto a  perdere, organizzavo festicciole col mio gruppo della Lega Naturista in  casa  di qualcuno, a Calcata. Talmente veloce e sicuro di me, che alle volte mi  dimenticavo di avvertire l’ospite ospitante.

Noi portavamo tutto, compresi  buoni cibi naturali e meravigliose fanciulle. Che però, com’è come non è,  si  svegliavano la mattina dopo sui divani di perfetti sconosciuti, senza  ricordarsi nulla.  E sì, perché si faceva tardi e, com’è come non è, o una gomma sgonfia o  era  finita la benzina o lo specchietto retrovisore era rotto o improvvisamente  il giorno stesso era scaduta l’assicurazione, nessuno tornava a Roma. E si  pernottava a Calcata, chi qua chi là. Insomma avevo inventato l’imbucata di massa… 

Tale era l’amore per i tufi a strapiombo che “avrebbero potuto essere miei per 100 mila lirette” che una volta la seconda compagna (non  quella simpatica, l’altra) d’un noto scultore ippofilo, cioè amante di  cavalli o, detta all’inverso, Filippo, visto che non ce ne andavamo con le  buone, ci mise letteralmente alla porta…
Eh, quanti piccoli fatti e misfatti potrei raccontare…
Ma quella era la “mia”, e forse anche la “tua” Calcata, la Calcata  goliardica, scherzosa e pura, se vuoi un tantino ingenua e naturista, come  ingenuo e naturista sei rimasto tu, certo. Ma siamo eccezioni, noi “Peter  Pan della Natura”. Ora credo che anche lì gli ex alternativi portano  -diciamo così – “il codino e il doppiopetto”, siano cioè diventati borghesi  severi e cattivissimi, pure un po’ “de destra” (ma per carità, una “destra  dello spirito”, psicologica, piccolo-borghese, perbenista, non dico necessariamente politica, ovviamente, come accade agli ex più duri, senza  pentirsi mai di nulla, senza cancellare qualche piccolo segno esteriore,  qualche particolare, un antico tic, come vezzo snob, un finto alibi di  coerenza di quei lontani anni: chessò, un ciondolo col simbolo zen, il  grafismo  OM sulla cravatta, la fogliolina di “maria giovanna” sulla  maglietta (uguale a quella dell’elleboro velenoso dei boschi, tanto che un  ventenne coglione del mio gruppo in escursione, proprio sulle rive del
Treja  tentò di fumarselo, sostenendo che in Oriente gli avevano spiegato che se  la forma è uguale anche le proprietà sono uguali….

Comunque, guai oggi,  davanti a questi ex-alternativi con terze case lasciate dalla madre,  completi di D&G, Harley Davidson o potente Suv, a fare gli alternativi davvero. Ci rimprovererebbero, come nostro padre quando eravamo  adolescenti….

E poi, certo, c’è  a Calcata quella che tu chiami “Sodoma e Gomorra”,  e che io ho per fortuna perso. Lo stesso è accaduto a Matala, a Creta, dove  i  primi hippies rifugiatisi nel suggestivo villaggio di Pitzidia, una “Calcata  di mare”, tra droga, invidie, carte da bollo, cause civili e prepotenze,  sono diventati dei “son of  bitch”, dei figli di puttana di prim’ordine,  roba  da piccola Dallas, come mi dicevano alcuni reduci nello scorso luglio,  alla  spiaggia nudista di Lendas, mentre le raffiche di vento gelido dal nord scalzavano tende e capanne, e si accanivano sulla nostra pelle sudata -d’accordo con i farmacisti locali – in quella che era stata la lunga e  bellissima “spiaggia delle bevute”, ora derubricata dai sanitari locali in  “spiaggia delle bronchiti”.

Ciao e a presto
Nico Valerio

P.S.  Ma il crescione c’è ancora già al fosso, dove l’acqua è quasi ferma? Perché ci sia, lo sai, ci vogliono due condizioni tassative; acqua pulita,  da bere, ma lentissima.  Se anche una sola delle due condizioni manca, manca anche il crescione…