Gautama Buddha? Io l’ho conosciuto….Che effetto fa sentirsi dire oggi una frase del genere? Certo adesso fa un effetto sconvolgente. Ma se la stessa affermazione fosse stata fatta mentre Sakyamuni era in vita, da poco iniziata la sua missione su questa terra, non avrebbe sconvolto più di tanto l’ascoltatore, forse qualcuno avrebbe arricciato il naso, qualcuno avrebbe fatto spallucce -come per dire “quel mezzo pazzo.. che vuoi che sia”. Solo pochi avrebbero esclamato “Oh tu fortunato che grande benedizione hai avuto!”
E non sarebbe andata così anche per Gesù Cristo…? Magari proprio quel giorno dopo le palme di Gerusalemme… chi avrebbe osato riconoscere i meriti di Gesù se persino il suo principale discepolo lo rinnegò? E che dire di Francesco d’Assisi, il quale a parte la sua piccola banda di mezzi sderenati che lo seguivano, era visto più come uno scellerato perdigiorno che come santo? La verità è che è molto difficile per un saggio essere riconosciuto nel tempo in cui vive, ed è già un miracolo se viene apprezzato negli ultimi anni della sua vita, quando ormai è quasi certo che sta per lasciare questo mondo….
Ebbene, io ho avuto la fortuna di incontrare un saggio un po’ prima della sua morte ed un po’ prima della sua deificazione finale. Lo conobbi quando la sua saggezza non poteva più essere celata e già c’era una piccola cerchia di discepoli attorno a lui ed allo stesso tempo egli viveva del tutto semplicemente come era sempre vissuto. Un piccolo commerciante indiano di sigarette artigianali, sposato e con figli, abitante in una casupola periferica di Bombay, ed addirittura malato di cancro (come poteva succedere a chiunque altro avesse fumato beedies per tutta la vita). Un santo quasi banale, un santo qualsiasi, anzi -come lo definii a quel tempo- un “sant’uomo”.
Ora la sua fama di grande saggio ha fatto il giro del mondo, i suoi testi sull’Advaita (non-dualismo) e sulla conoscenza di Sé vengono studiati nelle università, gli psicologi e gli studiosi della mente lo considerano “l’eccelsa vetta della conoscenza”. …
Che strano! Io l’ho incontrato ed ho scambiato delle parole con lui, ho persino fatto lo strafottente ed il furbo per metterlo alla prova, insomma mi sono rapportato con lui come fosse stato un giocattolo da studiare per vedere come funziona… Ma mentre pensavo di essere io a smontarlo, per osservarne i meccanismi interni, in realtà era lui che mi scioglieva le mani ed i piedi, il viso ed torace, la testa e le gambe, la mente ed il cuore…. Non posso dire di “ricordarlo” se non perché “Io sono Lui” come egli stesso affermava: “I am That”. Ecco, avvenne che……
Ancora una volta in procinto di partire per l’India, un amico prima che ci salutassimo mi sussurrò ad un orecchio “Se vuoi incontrare un saggio vivente che abita a Bombay ti do l’indirizzo” disse passandomi un foglietto. Presi senza esitare l’indirizzo di questo, Nisargadatta Maharaj, che mai prima d’allora avevo sentito nominare.
Mi dissi “lascerò decidere per me il destino, se avviene o meno che io incontri quest’uomo non è mia preoccupazione…”. Ed in effetti dimenticai il foglietto nel fondo della mia sacca e visitai le mie case spirituali, Ganeshpuri, Jillellamudi, Tiruvannamalai, senza un pensiero per Nisargadatta. Non sto qui a raccontare le avventure di questo viaggio, non è questo il momento, comunque ogni viaggio ad un certo punto finisce e mi ritrovai a Bombay in attesa dell’aereo che mi avrebbe riportato in Italia. C’era da aspettare un paio di giorni e così rovistando nella sacca ritrovai quel foglietto e mi dissi “Che male mi potrà fare se vado a trovare quest’uomo? Se è un impostore saprò riconoscerlo e se è un vero santo sarà lui a farsi riconoscere”.
L’indomani nella tarda mattinata mi imbarcai su un taxi e mostrai l’indirizzo, scoprii poi che si trattava di un quartiere periferico di Bombay, e dopo molte fermate qui e lì per chiedere informazioni sulla zona cercata infine l’autista mi sbarcò infra ad un crocevia di un suburbio mezzo città e mezzo paese. Non mi ci volle comunque molto, chiedendo in giro, ad individuare, proprio di fronte all’orinatoio pubblico (una rarità a Bombay), la sua casa in un vicolo stretto e deserto. Bussai alla porta e si presentò una donna indiana dall’aspetto modesto, chiesi un po’ a gesti un po’ mostrando il foglietto, un po’ a parole, se abitasse lì un sant’uomo di nome Nisargadatta Maharaj. La donna fece un gesto strano, come un diniego, e disse: “Non quello… ma chi cerchi è qui, devi tornare più tardi”. Pensai -forse l’ora è importuna, magari il santo sta mangiando, tornerò dopo- e ritornai sui miei passi fino all’incrocio in cui mi aveva lasciato il tassista. Lì all’angolo c’era un chaishop, entrai per bere un tè e fare uno spuntino e mi avvidi così di non esser il solo ad aspettare l’ora del satsang. Nel chaishop c’erano alcuni tipi strani, che ormai individuavo come i “flippati” dello spirito, forse europei forse no, gli abiti semplici e l’aria sognante. Cominciai a scambiar quattro chiacchiere con il più loquace, in effetti gli altri sembrava volessero evitare qualsiasi contatto umano, cominciai a chiedere -conosci questo sant’uomo Nisargadatta?- e l’altro con aria ispirata e quasi offesa -ma Lui non è un sant’uomo è l’Assoluto stesso- ero già abituato al tono enfatico di seguaci adoranti di vari maestri e non ne fui molto sconvolto anzi trovai persino divertente ci fossero atteggiamenti di questo tipo attorno ad un Jnani, chi di noi non è l’Assoluto?
Essendo trascorsa qualche ora dal mio arrivo sentivo gli stimoli di una grossa pisciata incombente. Lasciai da parte i grandi discorsi e brutalmente chiesi al mio interlocutore -senti, dov’è che posso andare a pisciare?- lui mi guardò ancora più stranito -chiedi qui al chaishop se è possibile- Immediatamente così feci ma com’era ovvio, trovandoci dove eravamo, non c’era nessun gabinetto. Tornai alla carica con il tipo ieratico e gli chiesi -ascolta tu, è un bel po’ che visiti questo posto, quando ti scappa la pipì dove vai?- niente da fare, si limitò a commentare -vai da qualche parte dove vedi che è possibile..- Uscii dal locale, guardai a destra, pieno di gente nemmeno un angolo nascosto, guardai a sinistra e la situazione pareva altrettanto drammatica, ovunque caos di passanti, macchine, animali e nessuno spazio riservato per andare a pisciare. Poi il mio sguardo cadde sul quel vicolo stretto, ci passava quasi nessuno, e c’ero inoltre un bellissimo orinatoio pubblico in bella mostra e …stranamente… nessuno pareva fermarsi lì a pisciare (avevo visto pisciatoi presi letteralmente d’assalto e con la fila in tutta l’India). Quello era il pisciatoio proprio davanti la casa di Nisargadatta Maharaj. E lì andai a pisciare, non potendone più.
Ovviamente questo gesto di “assoluta noncuranza e disrispetto” da parte mia mi costò la stima degli altri ricercatori in attesa che non mi parlarono più. Così mi ritrovai da solo ad aspettare l’orario giusto che finalmente giunse. Prima di entrare nella casa del santo, decisi di prendere qualcosa da offrire, anche per farmi perdonare la pisciata ignominiosa, da una bancarella comprai un grosso ananas. Non è una offerta abituale da portare ad un santo ma quel grosso ananas mi sembrava la cosa di maggior valore della bancarella, tutto qui.
Eccomi ancora davanti quella porta e stavolta vengo introdotto dentro ed invitato a salire, senza scarpe, su una specie di soppalco alto appena da starci in piedi. Indossavo un paio di calzini e anche questi -seppi dopo- non sono bene accetti alla presenza di un santo, è una specie di auto-isolamento dall’atmosfera attorno a lui. Pazienza ancora pazienza ed osservazione. Una dozzina di tipi strani, un ex marinaio, un faccendiere apolide alla vista, un professorino compito, un conducente di riksciò, una donna dai denti cavallini, più un certo numero di cercatori spirituali professionisti vestiti di bianco o di nero -insomma una congrega di derelitti- penso fra me e me. Ma l’atmosfera è molto piena e leggera, la musica ed il canto sono melodiosi, provo un senso di sollevazione verso un reame in cui non esistono speculazioni di sorta. Un pieno in cui tutti stanno dentro.
Indossavo ancora i calzini ai piedi ed avevo iniziato a sentirmi a disagio, come se io fossi l’unico ad avere la maschera, gli altri erano nudi. E poi il pensiero della pisciata fatta lì fuori proprio di fronte all’ingresso del santo… Potevo ancora giustificarmi sull’impellenza? Un dubbio atroce mi sorse che forse un giorno avrei dovuto pagare lo scotto di quell’inavvertenza. Sapete una cosa, dicono che un santo restituisce 100 o 1000 volte ciò che riceve ed oggi (trascorsi parecchi anni dall’incontro) vivo in una casupola che sovrasta la condotta fognaria di Calcata, a cielo aperto. Gli effluvi che emana la fogna è dunque il premio di quella dabbenaggine? Se ciò è vero allora anche il mio essere lì alla presenza di Nisargadhatta, il mio interesse a tutto ciò che lo circonda, ha un valore ed anche questa curiosità può essere premiata da lui. Certo questo lo dico oggi che ho un’altra visione delle cose ed un’altra comprensione di quell’incontro.
Ad un certo momento i canti finiscono, si inneggia al Guru, tutti si siedono in cerchio attorno a lui, io mi trovo quasi di fronte e lo osservo bene, ha uno sguardo sibillino, c’è poco da scherzare, un filo di bava gli gocciola da un lato della bocca (poi seppi che aveva un cancro terminale alla gola ma ancora non lo sapevo in quel momento), osservavo lo scorrimento della saliva sul mento mentre i suoi occhi dimostrano completo disinteresse a questo fatto. Qualcuno dei presenti, evidentemente il responsabile di sala, accenna ad attivare un registratore, le mie antenne si alzano e lancio uno sguardo inquisitorio, penso -non voglio essere registrato- senza una parola scambiata Nisargadatta fa un segno rapido a significare -nessuna registrazione- . Lo stesso indiano che armeggiava con il registratore a quel punto si rivolge a me, fra tutti i presenti, evidentemente perché io sono uno “nuovo” -arguisco- mentre gli altri sono vecchi frequentatori. Bene, bene. Ma quel traduttore indiano parla un inglese che non riesco a seguire bene.
Mi chiede da dove vengo ed il motivo della mia visita -le solite domande- rispondo che l’indomani ritornerò in Italia, che son stato in India per qualche mese -ma non specifico dove né nomino il mio Guru Muktananda o la mia madre spirituale Anasuya Devi, insomma faccio finta di niente -si dice- in realtà non voglio chiedere nulla di specifico, son solo curioso, ma non ho pensato di dover chiedere qualcosa venendo qui. Nisargadhatta pare urtato dal mio atteggiamento, malgrado l’aspetto evidentemente sofferente, risponde con veemenza “non c’è nessun domani c’è solo ora”. Ma io non capisco cosa voglia dire e lo guardo quasi con sufficienza. Poi mi si chiede di rispondere al motivo della mia visita ed io in modo quasi casuale dico che “avevo quest’indirizzo ed il tempo per venire, quindi, eccomi che son venuto per avere il “darshan of the holy man”. Usai proprio queste parole che ovviamente suonavano un po’ offensive, dato il contesto in cui mi trovavo.
Ciononostante non mi sentivo ancora abbastanza “benedetto” e continuavo a studiare l’espressione di Nisargadhatta. Lui mi guarda con occhi mefistofelici e mi chiede “adesso hai avuto il “darshan of the holy man?” (che significa: hai visto il sant’uomo?) Ed io a quel punto non posso far a meno, dopo un ulteriore profonda occhiata, di dire “si” e lui di rimando “allora puoi andartene”. Detto così pareva proprio che venissi scacciato e mi sentivo a disagio, il traduttore solerte, vista la mia esitazione, insiste “il maestro intende proprio che puoi andare, subito”. Al che mi alzo, a questo punto veramente imbarazzato, guardandomi in giro per vedere se si manifesta qualche solidarietà nei miei confronti.
Tutte le facce sono assenti come se io già non ci fossi più. Così mi decido ad andarmene, ma a quel punto faccio qualcosa che non avrei mai dovuto fare (che seppi dopo era assolutamente proibita), ma non mi pento nemmeno ora di averla fatta, mi avvicino a lui e mi inchino ai suoi piedi, poi visti i suoi piedi nudi glieli tocco con le mani, posandole poi sulla fronte, come avevo visto fare in tanti altri posti in India. Lì la platea si risveglia e ci sono varie segnalazioni -ormai tardive- di “non far ciò” – ormai pareva inevitabile che avessi rotto l’ennesima regola. Vedo ancora sui volti degli astanti la rassegnazione. Lui invece è ancora bello battagliero, fa cenno a qualcuno di riportare l’ananas che avevo donato ma che non era stato inserito nel prasad misto di tutte le offerte da ognuno portate. Questo prasad era un miscuglio di varie cosette secche, dolci e salate, che ci fu servito in parti uguali dopo il canto, sul un ritaglio di giornale. Il mio ananas era stato subito scartato ed ora mi veniva riconsegnato, non come offerta ricevuta, ma come restituzione di un offerta non gradita. Tièh.
Ma io sono speciale in questi giochetti, ed insisto per lasciare il frutto lì, riconfermando che l’indomani sarei partito ed era meglio che lo tenessero loro. Ovviamente non ci fu niente da fare e fui spedito con il frutto al piano di sotto, tra il silenzio generale, dabbasso c’era la signora indiana che mi aveva aperto la porta, sembrava sorridermi, quasi scusandosi, ne approfittai per offrirle l’ananas, dicendole -ecco io non so che farmene, domani parto, mangiatelo voi- e lo dissi due o tre volte, allora il silenzio del piano di sopra fu improvvisamente rotto dalla voce -presumibilmente di Nisargadatta- che quasi urlava. Non capivo una parola di ciò che veniva detto ma a giudicare dal risultato sembrava “tienti st’ananas altrimenti questo non la smette più d’importunare”, infatti la signora si fece accondiscendente, accettò il frutto e mi salutò con un sorriso. Interiormente la ringraziai perché sentivo che l’accettazione di quel frutto corrispondeva a qualcosa di più sottile.
Infine, raccontare come tornai all’albergo quasi volando su un taxi e la partenza dell’indomani, volando, senza ancora essere partito da lui. Questa sensazione la percepii come un segnale di vera santità, quindi da quel momento non pensai più a Nisargadatta come “un sant’uomo” ma come un santo. Dovranno però trascorrere ancora diversi anni prima che -pian piano- quel messaggio ricevuto “non c’è nessun domani c’è solo ora” divenisse più chiaro. Attraverso un lento processo rielaborativo della mia precedente visione, per mezzo di meditazioni profonde, di segnali inequivocabili, di lacrime, di batticuori, di nascondi e cerca, di belle batoste a lungo ricevute che mi hanno ripagato ampiamente di quell’incontro.
Paolo D’Arpini