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Conflitto permanente e capitalismo alle corde…

Nella realtà occidentale il capitalismo è alla corda: la finanza lo sta uccidendo grazie alla sua capacità di creare denaro dal nulla.

Presupposto di base del capitalismo è infatti il controllo di un bene scarso: il “capitale”, ovvero la ricchezza accumulata tramite la sottrazione del valore aggiunto a chi quel valore ha prodotto, ovvero la classe lavoratrice.

Se il bene non è più scarso – come oggi accade per il “denaro fiat” che si crea dal nulla – il capitalista perde potere anzichè guadagnarne.

Quindi il “capitalista” di stampo novecentesco che controlla i rubinetti del credito ha ceduto ormai ogni potere in favore di sovrastrutture finanziarie internazionali, acefale, autoreferenziali e impersonali: la grande finanza. Strutture enormi. Immense. Pervasive, lontane ma vicine alla gente grazie alle tecnologie informatiche.

Aziende come Alphabet (Google) sono entità sovranazionali dotati di poteri reali. Facebook, Whatsapp, Telegram e le altre “piattaforme” social sono potentati politici a tutti gli effetti, che fanno politica e la determinano, al di fuori di ogni controllo dei poteri statali che prima ne avevano il monopolio.

Finchè queste “aziende pervasive” sono di dimensioni gestibili – cioè tali da poterne identificare i centri decisionali, e in definitiva influenzarli, la situazione è in qualche modo gestibile tramite lobby o corruzione pura e semplice – il capitale fa ancora parte dell’equazione e può incidere sulle scelte che vengono fatte.

Ma quando si comincia ad avere a che fare con strutture sovranazionali largamente distribuite l’operazione di asservimento dei vertici diventa via via sempre più complessa, delicata e costosa, e soprattutto dagli esiti non sempre prevedibili nonostante gli sforzi profusi.

Ecco quindi che il capitalismo terminale si concentra nella ricerca non più del denaro, ma del “potere”, in quanto è il secondo a generare il primo.

E qui i grandi capitalisti, i grandi imprenditori, le grandi aziende globali, bravissimi nel loro lavoro, sono costrette a scendere in campo su un terreno che non è il loro e combattere contro strutture ben più collaudate, presenti da millenni e specializzate nella lotta per il potere.

La “macchina influenzante” si fa sempre più complicata e difficile da governare.

Ecco quindi che il figliol prodigo prediletto del capitalismo moderno, il consumismo, diventa solo un imbarazzante “costo puro” da tagliare, da mettere sotto controllo, al quale rimettere la testa a posto.

Perchè mai sprecare risorse immense, materie prime non rinnovabili, impazzire per convincere i consumatori a comprare sempre nuove cose, nuovi prodotti, che in realtà non gli servono e neppure sanno più dove mettere?

Per un paio di decenni la soluzione è stata quella di vendere sempre meno prodotti fisici e sempre più “servizi”, specialmente se nella modalità a tariffa fissa “all-you-can-eat”. E ha funzionato.

Ma come fai a convincere la gente a comprare una automobile quando non esiste più lo spazio fisico dove farla circolare. O quando quella vecchia funziona ancora perfettamente a due decenni di distanza.

La soluzione è semplice: “metti le vecchie auto fuorilegge”.

Ovviamente servono argomentazioni ineccepibili – la coercizione pura non basta, dati i numeri e gli interessi in gioco – ma quelle si trovano sempre.

La “conversione green” per esempio. La paura del “cambiamento climatico” e delle sue conseguenze estreme.

Come per il COVID, prima se ne è negata la gravita (e addirittura l’esistenza), poi improvvisamente diventa un incombente rischio di estinzione per l’umanità.

Ecco poi che qui si ripete ancora lo schema del vendere “servizi e non prodotti”, per esempio, enunciato ormai tre anni fa dal CEO della Mercedes con la frase “nei prossimi anni dobbiamo passare da produttori di automobili a fornitori di mobilità”.

Sono tutti processi già avviati, ma che necessitano di una componente di connivenza politica che su territori di vendita a livello continentale richiede tempi lunghissimi per essere realizzata, e che vede nelle strutture della Unione Europea – potenti, lontane e prive di controllo da parte degli elettori – l’esecutore ideale, ma lento.

Ma anche la complicità, la connivenza, la cooperazione di chi detiene il potere normativo ha costi e tempi altissimi, anche se è da tempo cosa già acquisita .

Acquisita ma solo per settori, parcellizzata, sporadica e in definitiva caratterizzata da alti costi, tempi lunghi, e pertanto una bassa efficienza, con tempi di risposta incompatibili con una situazione in rapida evoluzione.

Tuttavia, pur in presenza di tanta inefficienza, questi metodi hanno chiaramente indicato la strada, certificando che la coercizione è molto più efficace della convinzione.

Perchè spendere risorse immense per convincere la gente a fare qualcosa quando la si può semplicemente costringere?

Peccato che di mezzo ci sia quell’esperimento imperfetto tuttora in corso chiamato impropriamente “democrazia”.
Abbiamo visto che in realtà il capitalismo non necessita della democrazia per esistere e prosperare (basta guardare l’esperienza cinese).
(gliela dò per buona, non è questo il punto qui – Jure)
Ma è anche vero che la democrazia non necessita del capitalismo per esistere (basta ricordare l’antica Grecia).

Il denaro non si mangia, non ci si va in giro seduti sopra, non tiene caldi quando fa freddo e non tiene al fresco quando fa caldo.
Però serve quando si vogliono fare tutte queste cose, perchè agisce da mezzo di scambio per convincere chi è in grado di offrirle a darcele o farle per noi.
Molto più efficiente sarebbe costringerlo a darcele o a farle per noi, invece che convincerlo aumentando l’offerta di denaro finchè non accetta.
Questo infatti – dal punto di vista del capitalista – è uno dei principali svantaggi del “libero mercato”.

Idealmente il libero mercato che piace al capitale è quello dove si compra a “poco o nulla” e si vende “a tanto”. Il principio di base del colonialismo.
E quando si passa al settore dei “servizi” diventa il principio base dello sfruttamento. Della “schiavitù”.
La democrazia greca infatti si è sviluppata in una società schiavista. Come anche quella americana dell’ottocento.
Ma come è possibile oggi tornare a questi vecchi e ben collaudati sistemi che hanno permesso lo sviluppo e il fiorire di grandi civiltà, come quella romana, grande capostipite di quella odierna?

Come si può portare a termine questo enorme “cambio di paradigma” nell’arco non di decenni ma di una manciata di anni (che è tutto ciò che abbiamo ancora a disposizione prima di un collasso generalizzato del debito mondiale)?

Qui ci viene in soccorso l’esperienza della “Grande Pandemia”.

Comunque la si pensi – un atto deliberato, un incidente non previsto o un evento naturale – la GP (Grande Pandemia) ci ha insegnato principalmente tre cose:

alla gente si può far credere e si può far fare di tutto, fintanto che si controllano le informazioni e si possono produrre motivazioni ineccepibili
volendo si può fare tutto e se non si fa è solo perchè non si vuole fare, basta essere disposti a pagarne il prezzo
più grande è la balla e più assiduamente viene raccontata, più la gente è portata a crederci e in seguito a difenderla facendone un “atto di fede” impermeabile ad ogni realtà
Durante la GP non ci sono state proteste, se non minimali, per misure che erano giustificate nella mente di tutti noi solo dalla eccezionalità dell’evento, che ha soppresso ogni spirito critico, aiutata dalla martellante propaganda.

D’altronde secondo le voci della Scienza (che a noi sono state presentate come univoche) si trattava letteralmente di una minaccia per l’esistenza della specie umana.

E tutti (o quasi) si sono schierati dalla parte della Scienza, ovviamente.

Altrettanto ovviamente, ad una minaccia straordinaria si devono accompagnare misure straordinarie. Tutti d’accordo (ed ecco l’inedito “lockdown” e le protezioni rassicuranti – le ridicole mascherine chirurgiche). Misure applaudite da tutti, lì per lì, ammettiamolo.

L’epidemia da SARS-COV-2 (anche il nome scelto suonava tanto “scienfico”, molto più di “Influenza cinese”) al suo apparire è stata prima nascosta, poi negata, minimizzata, sminuita.

Poi improvvisamente ci è stata presentata come una malattia mortale e inesorabile, destinata a portarci tutti ad una morte orribile, alla “fame d’aria”, agonizzanti in introvabili posti in terapia intensiva.

Una umanità sull’orlo del baratro, spacciata, una malattia incurabile, terribile propagandata dal mitico “Non ti vaccini, ti ammali e fai ammalare, muori”.

Chiaramente sulla reale epidemia – particolarmente contagiosa ma assolutamente non così devastante come era stata presentata – si sono innestate ovvie speculazioni, piccole e grandi, mai contrastate, consone agli interessi di Big Pharma (ecco il capitale in azione) grazie alla compravendita di politici e comunicatori di massa, con gli spiccioli arrivati giù fino all’ultimo dei medici o degli infermieri.

Stranamente i paesi dove non c’erano i soldi per la vaccinazione di massa sono quelli che hanno avuto meno “contagi”. Chissà come mai “No money no COVID”.

Chiaramente erano all’opera immense pressioni speculative, e solo dove c’era convenienza, ma quello che importa è la vera lezione della GP che è stata quella dell’enorme, incredibile e immenso successo della “comunicazione efficace” divenuta tale non solo con i soliti metodi “pubblicitari” anche se potenziati, ma grazie alla repressione totale e assoluta del dissenso e di ogni voce critica.

Fondamentale poi qui l’adozione del buon vecchio “nemico esterno” (io lo definirei utile nemico interno – Jure), incarnato dall’efficace etichetta “no-vax”. Qualcosa a cui solo due generazioni fa nessuno avrebbe mai abboccato e che ha invece funzionato alla grande, facendo da cartina di tornasole sullo stato effettivo di degrado e della condizione terminale delle capacità intellettive del soggetto medio dell’opinione pubblica.

Particolarmente inaspettata poi è stata la spontaneità con la quale si sono creati degli “evangelisti” della vaccinazione (ma potrebbe essere stata qualunque altra cosa), dei missionari fattisi prontamente (e gratuitamente) zerbini zelanti, ripetitori radio del pensiero ufficiale, in cambio della semplice sensazione liberatoria di far parte del novero dei “giusti”.

Un’ansia di allineamento col pensiero dominante (anche se chiaramente dettato dalle autorità) che non era più presente da almeno un secolo nel mondo occidentale, particolarmente in Europa, che dimostra che ormai la lezione della prima guerra mondiale – il rifiuto di diventare “carne da cannone” – sia stata dimenticata.

Insomma, ci troviamo sul terreno ideale per la coltivazione di una nuova forma di controllo della società, in un vivaio ideale.

Il capitalismo è ormai maturo per essere sostituito dal militarismo.

E’ infatti immensamente più efficace dare ordini che cercare di convincere la gente a fare qualcosa.

Il militarismo prevede di credere, obbedire e combattere.

La paga del soldato è irrilevante, il vero compenso è la sopravvivenza.
Creare nuovi bisogni, dare continuamente motivazioni interiori, non serve più, e se serve una motivazione te la da l’istinto di conservazione che ti spinge a fidarti dei comandanti e dei superiori, che dal loro punto di osservazione elevato sono gli unici ad avere uno straccio di idea su dove si trova il nemico.
Sono loro gli strateghi, quelli che sanno “cosa fare” e chiunque lo metta in dubbio è un “traditore” e un “disfattista”.

Non serve il denaro se non c’è niente da comprare, Ci sono le razioni e le tessere annonarie che lo sostituiscono perfettamente, e non sono soggette ad inflazione o accumulo.
Le tessere annonarie a fine mese non valgono più nulla – quello che hai avuto hai avuto – e questo impedisce che la classe media – divenuta “ufficialame” – accumuli ricchezza in altro modo, così come la “working class” divenuta “truppa” abbia più del necessario e sviluppi invidie sociali deleterie. (e per i capitalisti rimane comunque sempre il buon vecchio “mercato nero”).

La solidarietà viene sostituita dal “cameratismo” da trincea, e le libertà individuali fortemente limitate. Il coprifuoco permette di regolare più agevolmente i ritmi della società e il rischio di rimanere uccisi andandosene a zonzo spensieratamente limita fortemente la richiesta di mobilità per fini non strettamente indispensabili.

La guerra in Ucraina ci ha mostrato cosa si può fare e cosa no. E’ stata un laboratorio così come lo fu quella di Spagna del 1936, preludio e campo di collaudo per quella mondiale del 1941.

Oggi le cose corrono molto più veloci, ma anche i cambiamenti da fare sono molti di più e alla fine le cose si equivagono.
Per prepararsi al conflitto globale ci vogliono almeno tre anni.
C’è da ripensare tutto, dal punto di vista militare, dal ruolo dell’aviazione a quello della fanteria, dell’artiglieria, della missilistica e soprattutto della logistica e della produzione industriale.
La guerra in Ucraina, per la prima volta nella storia dell’umanità, ci sta proponendo una guerra portata avanti da droni, combattenti meccanici autonomi, ancora non da robot o cyborg, ma è solo questione di tempo.
Una guerra però molto diversa da quella immaginata nei film. Una guerra dove a soffrire e a morire erano i droni al posto degli umani. Invece è il contrario esatto.
Sono gli uomini a morire (come mosche) uccisi dalle macchine.

Se nel primo anno di guerra la scoperta principale fu l’enorme ruolo dei droni da ricognizione (”Geranium”, “Lancet” e “droni da lancio”), più che i Baraykthar turchi (già adesso obosleti, grossi, costosi, inutili e superati), entrati nel secondo anno di conflitto la principale novità è l’uso massiccio di droni FPV (i cosiddetti droni-kamikaze).
Oggi sono i droni FPV (First Person View) – dei grossi quadricotteri o droni multirotore dotati di telecamera e che trasmettono video in tempo reale al dispositivo del pilota – a dominare la scena.
Essere localizzati, ovunque, al fronte come nelle retrovie, significa essere annientati da un qualcosa che arriverà presto dal cielo, una bomba volante o un missile, lanciata da decine di chilometri di distanza.

L’esperienza di questa nuova guerra è però preziosa.

La trasformazione di una parte significativa della fanteria in operatori di droni e lo sfondamento del fronte utilizzando centinaia di droni contemporaneamente non sono lontani. Non siamo a distanza di anni da questa spiacevole evoluzione. Siamo a distanza di mesi.

Chiunque sia il primo a implementare il controllo di uno sciame di centinaia o migliaia di UAV – controllati da una qualche Intelligenza Artificiale addestrata allo scopo – otterrà il controllo dei cieli, della terra, del mare. La vittoria sul campo di battaglia.
E quando sarà raggiunta questa fase, verrà messa in pericolo anche la sicurezza di tutta l’umanità (perché sarà una intelligenza artificiale a decidere come e chi uccidere).
È impossibile fermare questo sviluppo, nell’attuale situazione mondiale.
In realtà, questo è il nodo vulnerabile: i paesi che combattono in questo momento hanno una breve finestra di opportunità per sconfiggere l’esercito nemico e vincere la guerra (nelle guerre che sono già in corso o, a quanto pare, inizieranno molto presto).

Domani, quando il resto di noi si armerà – e gioco forza dovremo farlo – non avranno più questo vantaggio. E per armarsi occorrerà un sistema industriale totalmente orientato a farlo, e non a ricercare il profitto.

La guerra in Ucraina, come prima guerra di droni, sta diventando un evento storico per tutta l’umanità.
E per le prima volta oltretutto sono le tecnologie “consumer” a diventare tecnologie belliche (il che presenta scenari inediti sul fronte del terrorismo e della criminalità spicciola).
Non è difficile immaginare le applicazioni di queste tecnologie alla realtà quotidiana, con droni del peso di pochi grammi alla ricerca della vittima designata, identificabile tramite controllo facciale, dotati di una carica esplosiva antiuomo o meglio ancora di una siringa pronta ad iniettare veleno, come insetti malefici e mortali.

Ed ecco a voi la “nuova pandemia” pronta e servita su un piatto di argento.

Migliaia, milioni di microdroni lanciati sulle città nemiche, alla ricerca di preda, intenti a ricaricarsi al sole, sui tetti, sugli alberi, sui tralicci, per poi colpire con le tenebre.
E milioni di microdroni prodotti da assemblatori automatizzati e autonomi, lanciati dagli aerei e nascosti da qualche parte, che partoriscono “droni zanzara” carichi di patogeni letali per l’uomo.

Solo una società in “guerra totale”, totalmente militarizzata, può rispondere a questi sviluppi in tempo reale.

Il denaro non si mangia, non si beve e non combatte al posto tuo (ma si può “stampare” quanto vuoi).
Dobbiamo solo trovare qualcuno così stupido da accettarlo per combattere – e morire – al posto nostro.

Benvenuti nel futuro. Il COVID è stato solo l’inizio.
Il peggio deve ancora arrivare.

Gianluca Napolitano

Fonte: https://novaproject.quora.com/Il-sostituto-del-capitalismo-bussa-alle-porte-e-il-capitale-gliele-sta-spalancando-felice

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Il natale di un Gesù mai nato…

Il Natale. Storia e fede. Gesù, lo sanno tutti, è nato alla mezzanotte tra il 24 e il 25 di 2023 anni fa (secondo il calcolo cristiano). Appunto, lo sanno tutti. Ed è invece, storicamente parlando, indimostrabile: e comunque in parte sbagliato, in parte insicuro.
Per quanto ciò possa apparire strano e magari sconvolgente, magari scandaloso, mancano prove storiche sicure che Gesù sia davvero mai nato, che cioè sia un personaggio storico al pari di Mozart, o di Napoleone, o di Gino Bartali: insomma di un qualunque essere umano la vita e l’identità del quale siano supportate da una documentazione obiettiva e sicura. Le stesse prove storiche non “primarie” � vale a dire appoggiate a documenti certi � ma almeno “secondarie”, cioè sorrette da testimonianze narrative, sono tutte più recenti di almeno alcuni decenni rispetto alla sua morte. E i racconti che ne costituiscono le basi sono quelli evangelici: al di fuori id essi, ce ne mancano riscontri. Saggiamente, difatti, i Padri del Concilio di Nicea del 325 troncarono le discussioni che già da allora violentissime si addensavano sulla questione Cristo “storico” versus Cristo “mitico” e stabilirono nel loro Synbolon (perpetuato come preghiera del “Credo”) che la nascita, la passione, la morte e la resurrezione di Gesù, nato da Maria Vergine, fossero articolo di fede. Ciò sottrae il credente dalla necessità d’invilupparsi in complesse questioni storico-filologico-esegetiche. Il fatto che poi sia del tutto legittimo indagare sulla personalità del Cristo come problema storico va da sé. Nella storia, quella seria, non esistono tabù o argomenti trattando i quali si rischia di venir considerati “revisionisti”.
E’ quindi legittimo trattare i Vangeli anche come fonti storiche di carattere narrativo e studiarli sotto questo aspetto, con tutti i metodi e gli strumenti del caso.
Fondandosi quindi sulle narrazioni evangeliche, e segnatamente su Luca, 2, 1-26, è stato possibile risalire all’anno della Sua nascita, quello del censimento indetto da Ottaviano Augusto; e quindi a quello approssimativo della morte, avvenuta durante il governo proconsolare di Ponzio Pilato della provincia imperiale di Siria. Ma quanto alla nascita, il còmputo messo a punto nel VI secolo dal monaco siriano Dioniso detto “il Piccolo”, residente in Roma, sembra contenere un errore per difetto di circa 6-8 anni: Gesù sarebbe nato quindi non già nel 753-754 di Roma (ab Urbe condita), bensì prima, verso il 746 e il 750 circa ; e morto trenta-trentatreenne più o meno fra il 776 e il 782 (poiché morì sotto Tiberio, a sua volta appunto morto in quell’anno).
Già nel IV secolo, quando la fede cristiana divenne per volontà di Costantino e di Licinio nel 313 (ma sulla base di un editto di Galerio di due anni prima) religio licita, erano in molti a pensare � in analogia con i culti pagani: il che non stupirà, dal momento che la stragrande maggioranza dei cristiani era ormai costituita da ebrei convertiti � che il Cristo fosse in realtà una figura mitica: e quel suo morire e risorgere veniva posto in effetti in rapporto analogico con il mito dionisiaco o con il ciclo apparente del sole che ogni notte si nasconde e rinasce ogni mattino. Per questo appunto i Padri riuniti nel 325 nel Concilio di Nicea stabilirono nel loro documento conclusivo � il Synbolon – che l’indubitabile realtà della vita del Cristo costituiva verità di fede alla quale il cristiano era tenuto a credere, non un dato storico suscettibile di dimostrazione e bisognoso di prove.
Una volta stabilito d’altronde che l’anno preciso della nascita del redentore era ignoto, e ricavatolo sulla base di un opinabile còmputo, il giorno e il mese restavano avvolti nel mistero: il che era d’altronde paradossale in una cultura che tanto spazio dava all’importanza delle costellazioni e degli oroscopi. Il racconto evangelico forniva al riguardo una sia pur imprecisa e generica traccia: parlava della presenza vicino al luogo della nascita del Bambino di alcuni pastori che passavano la notte all’addiaccio. Dato il regime di transumanza dei pastori della Giudea e la posizione altimetrica di Betlemme, a circa 700 metri sul livello del mare, si doveva evidentemente essere in periodo primaverile-estivo, quando le greggi vengono trasferite in altura per scendere poi verso il mare con l’autunno (“Settembre: andiamo, è tempo di migrare”, canta l’abruzzese Gabriele D’Annunzio).
Viceversa, nella nostra sensibilità e nella nostra tradizione, il Natale è una festa d’inverno. Il presepe � una tradizione avviata a quel che pare nel 1223 da Francesco d’Assisi � associa inestricabilmente la nascita del Signore a un paesaggio montano innevato, per quanto il gusto orientalistico ottocentesco (incoraggiato dalla presenza di personaggi obbligatoriamente abbigliati “all’orientale”, i magi) lo abbia arricchito di palme e di fondali dove sono rappresentati oasi e deserti: a dire il vero, poco palestinesi. Nei paesi protestanti, una tradizione che si vuol far risalire a Martin Lutero ha imposto la variante invernale dell’albero scintillante di ornamenti e di neve ghiacciata. Ma in realtà le scelte di Francesco e di Lutero sono state tutt’altro che arbitrarie, per quel che attiene al radicamento della nascita di Gesù in inverno. Tale era già, ai loro rispettivi tempi, una tradizione radicata e irreversibile.
Tradizione e acculturazione. Prima, però, non era stato così. Per quanto è dato sapere, già fino dal tempo del primitivo sviluppo del cristianesimo venivano proposte diverse date per la nascita del Cristo: il 6 gennaio, il 28 marzo, il 19 aprile, il 29 maggio. Ma il cristianesimo orientale, in particolare egiziano, aveva imposto piuttosto presto la consuetudine di celebrare insieme, in una sola festa, la Natività e l’Epifania (cioè il riconoscimento della divinità e della regalità del Bambino): ciò avveniva il 6 gennaio, data in cui tuttora si celebra il natale nelle Chiese cristiane ortodosse e orientali. Tale giorno era stato scelto, secondo un tipico schema acculturativo, in quanto coincidente con una festa dedicata alla dea Iside durante la quale si adorava la sua divina maternità e si celebrava la consacrazione in suo onore delle acque. Difatti, da allora, la data del 6 gennaio venne strettamente legata, anche nel calendario liturgico cristiano, a due altre ricorrenze in cui all’elemento acqueo spettava un ruolo fondamentale: il battesimo del Cristo nel Giordano e il miracolo del mutamento dell’acqua in vino in Cana di Galilea.
Tale celebrazione non parve tuttavia adatta al mondo cristiano latino, per quanto il culto isiaco fosse, nel IV secolo, impiantato nell’intero bacino mediterraneo e anche a Roma: o forse proprio in quanto la festa isiaca delle acque vaniva certo celebrata anche lì, ma non aveva mai perduto quel tanto di esotico, di remoto rispetto alle tradizioni locali, che la faceva apparire estranea.
Nell’Urbe, c’era tuttavia un’altra festa molto popolare che si celebrava a sua volta all’inizio dell’inverno: in tale data gli imperatori usavano concedere al popolo romano generose elargizioni di grano e di vino. Si trattava del 25 dicembre, giorno centrale del periodo di due settimane durante il quale (dal 18 dicembre fino alle Calende di gennaio, giorno di apertura dell’anno nuovo secondo il calendario giuliano) in tutta Roma veniva celebrato il solstizio d’inverno, festa dedicata al dio d’origine indo-persiana Mithra.
La nascita di Mithra ha, nel mito che lo riguarda, singolari somiglianze con quella di Gesù nel racconto evangelico: vi figurano la grotta, la stella annunziante, gli animali sacri al dio che sono il toro e l’onagro, cioè l’asino selvatico: insomma, tutti gli elementi del presepio cristiano, secondo un’immagine che già figura in un’opera scultorea presente a Roma nella chiesa di Santa Maria Maggiore.
Nel Vicino Oriente vi erano altre divinità che avevano dato origine a culti misterici che si erano andati fondendo con il mithraismo: ad esempio quelle di Attis o di Adone (dal semitico Adonai: il Signore). Un luogo cultuale sacro a Adone si trovava difatti proprio a Betlemme, e probabilmente � come sembra di capire da una testimonianza di san Gerolamo � la grotta nella quale si disse nato Gesù, e sulla quale sorse in età costantiniana la basilica della Natività, era in precedenza consacrata a Adone.
Mithra, la divinità misterica adorata in Roma, si era affermata come dio parallelo a una divinità solare d’origine siriana che talvolta con lui addirittura s’identifica: il Sol Comes Invictus. Si trattava soprattutto di culti militari, e fra III e IV secolo gli imperatori avevano cercato di farne il centro di una sorta di monoteismo incentrato sulla sacralità della loro persona, che con il Sol Comes s’identificava. Un tempio al Sol Comes – adorato durante le feste del solstizio d’inverno, quando il corso del sole comincia a rafforzarsi e le giornate si allungano – sorgeva nell’Urbe sul luogo dove oggi esiste la basilica di San Silvestro, al quale difatti la Chiesa dedica la festa liturgica dell’ultimo giorno dell’anno, quando alla vigilia delle Calende di gennaio i festeggiamenti solstiziali avevano termine.
Nella tradizione romana, il periodo delle celebrazioni solstiziali s’intrecciava con il tempo sacro a una tradizione ancora più antica: quella delle celebri Libertates decembris, durante le quali si celebrava ritualmente il periodico ritorno del cosmo al caos dal quale avrebbe dovuto uscire rinnovato in un ordine garantito dal calendario dell’anno nuovo; e durante il quale pertanto le abituali regole civili venivano ritualmente violate e sconvolte, gli uomini portavano vesti muliebri, i padroni servivano a mensa gli schiavi e s’incoronava pubblicamente un bambino, o uno schiavo, o un miserabile, facendolo Rex unius diei, “Re per un Giorno”. Si trattava di una tradizione ben nota al livello antropologico, quella del “rovesciamento dell’ordine”, tendente non già a cancellarlo bensì a rinnovarlo rafforzandolo. Tali usi, per molti versi affini alle feste dionisiache come i baccanali e con essi in parte confusi, si sarebbero trasferite in età cristiana a un altro momento nel quale si celebrava la fine dell’anno vecchio, cioè al periodo terminale dell’inverno, con il Carnevale.
Queste Libertates a Roma coincidevano con la settimana dei Saturnalia, dal 17 al 23 dicembre, in ricordo dell’età d’oro che vi sarebbe stata ai tempi del dio Saturno, quando non esistevano né schiavi né padroni. In realtà, il significato della festa era più profondo. Saturno s’identificava con l’ellenico Chronos, il dio ellenico signore e ordinatore del tempo (funzione in Roma ereditata poi dal dio Giano, il “Signore della Porta” � Ianua � che presiedeva al chiudersi dell’anno vecchio e all’aprirsi dell’anno nuovo). Il “ritorno al caos” alla fine dell’anno era un rito mimetico del disordine imperante in ogni era al suo tramontare: e preludeva alla restaurazione dell’ordine. Era quindi logico che, al chiudersi dei disordini saturnali di dicembre, il sole fin lì indebolito riprendesse col solstizio d’inverno il suo corso più vigoroso: e si celebrasse la nascita del Sole Bambino e dell’Anno Bambino, entrambi riassunti nella divinità imperiale del Sol Comes�Mithra: che in quanto nuovo Sole era Kosmokrator, Signore del Cosmo, e in quanto nuovo Anno era Chronokrator, Signore del Tempo.
Celebrando il 25 dicembre la nascita del Cristo, Lo si associava all’imperatore che, convertito al cristianesimo, sarebbe stato suo vicario e sua figura in terra. In tal modo il Natale s’impiantò, nell’impero romano ormai guadagnato al cristianesimo, come festa romana, imperiale e solare.
Ma la lettura del Vangelo e il suo uso liturgico imponevano nella Chiesa latina un forte divario tra il Natale e l’Epifania. La data “solstiziale” del 25 dicembre era dotata di una sua forza cosmica e tradizionale irrinunziabile, che obliterava � ancora una volta secondo un procedimento obiettivamente acculturativa � la festa solare e imperiale conferendole al tempo stesso però una nuova, più forte legittimità cristica. D’altronde quella del 6 gennaio non faceva che spostare di alcuni giorni lo spazio sacrale delle due settimane già dedicate alle festività del solstizio e della fine dell’anno: tra 24 dicembre, la vigilia � nella tradizione liturgica cristiana, ispirata a quella ebraica, il giorno cominciava con i vespri � e il 6 gennaio v’erano appunto 14 giorni, calcolando quello d’inizio e quello di fine del còmputo. Ma più importanti dei 14 giorni erano le 13 notti comprese tra quella precedente il Dies Natalis � la notte appunto della Natività � e quella dell’Epifania, quella nella quale i magi venuti dall’Oriente guidati dalla stella avevano con la loro adorazione e la loro offerta dei doni riconosciuto esplicitamente il Bambino come Vero Dio (l’incenso), Vero Re (l’oro) e Vero Uomo (la mirra). Nella notte dell’Epifania, appunto, la Chiesa usa proclamare solennemente l’ordine dell’anno che si sta aprendo sancendo il calendario delle solennità liturgiche deputate a scandirlo. Il fatidico numero 13 rappresenta, per i cristiani, i dodici mesi dell’anno ma al tempo stesso anche le costellazioni dello zodiaco � che è lo “spazio ciclico” del tempo” � successivamente visitate dal sole secondo il sistema tolemaico (per quanto l’immagine del sole al centro del cerchio zodiacale già anticipasse simbolicamente, su una base a quel che sembra pitagorica, il sistema eliocentrico che si sarebbe affermato solo con Copernico). Ma il sole, signore del tempo (l’anno, le costellazioni) come dello spazio (la terra che esso percorre durante le 24 ore del giorno) è a sua volta figura del Cristo, Signore appunto dello spazio cosmico (Kosmokrator) e al tempo stesso del tempo (Kronokrator). Il sole e le costellazioni, unite, formano appunto il numero 13 (12+1).
La tradizione cristiana, appoggiata alla liturgia e alla consuetudine secondo al quale ogni giorno ha un suo patrono, ha conferito quindi alle dodici notti precedenti l’Epifania (la notte della pienezza del potere divino) un valore intenso e compendioso: in ognuna di esse noi attraversiamo sinteticamente un mese dell’anno e dal suo decorso possiamo trarne perfino i relativi auspici. Ogni regione cristiana ha al riguardo le sue credenze speciali, le sue consuetudini, magari anche i suoi colori e i suoi sapori
Il calendario e il folklore. Le “Tredici Notti”. La notte della vigilia, tra il 24 e il 25, è quella che rinvia al futuro mese di gennaio: è la notte di apertura, dell’inizio di tutto: notte santa, di digiuno e di preghiera, notte di astensione dalle pratiche sessuali e dal cibo carneo, notte di rovesciamento delle regole cosmiche in cui si dice che gli animali parlino nelle stalle (essi, i servitori, si appropriano saturnalisticamente dei poteri umani) e possano anche profetare; quella tra il 25 e il 26, la notte dedicata al protomartire Stefano, è la notte del febbraio, la notte del mese delle febbri e della fine dell’inverno in cui si accendono i roghi di purificazione degli animali minacciati dalle epidemie; quella tra il 26 e il 27 era la notte del marzo nel quale comincia la primavera, la notte sacra a Giovanni Evangelista, una delle due Ianuae del cerchio zodiacale divino in quanto patrono del solstizio d’inverno come Giovanni Battista lo era di quello d’estate (che all’alba del 24 giugno il disco solare rilucesse come un piatto d’oro sul quale era adagiata la testa del Battista fatto decapitare da Erodiade era tradizione diffusa: per l’Abruzzo la ricorda splendidamente il D’Annunzio nel primo atto de La figlia di Iorio); la notte successiva, quella dell’aprile tra 27 e 28, era quella degli Innocenti e veniva considerata preludente a un giorno di pietà (secondo una diffusa superstizione, il giorno della settimana nel quale è caduta la solennità degli Innocenti � che quest’anno, cadendo nell’ultima domenica dell’anno, sarà però consacrata alla Sacra Famiglia � è considerato dies nigro signanda lapillo, durante il quale è sconsigliabile avviare qualunque attività); segue la notte tra il 28 e il 29, la notte di maggio dedicata al profeta, re e poeta David; quella durante al quale si antivede il giugno è la notte del 29-30, sacra a san Savino; infine, il solare luglio � il mese della costellazione del Leone � coincide con la notte fra il 31 e il primo di gennaio, la notte di fine d’anno dedicata a san Silvestro papa, colui che secondo la tradizione battezzò Costantino avviando così una nuova era, quella della Cristianità; tra il primo e il 2 si pensa all’agosto, fra il 2 e il 3 a settembre, fra il 3 e il 4 a ottobre, fra il 4 e il 5 a novembre; tra il 6 e il 6 infine a dicembre. Ed è quella dell’Epifania, quella magica e mirabile in cui tutto può accadere, la notte dei regali ma anche delle creature arcane che solcano il cielo (le Bonae Res, la “Compagnia di Diana”, le presenze consacrate alla femminilità e alla vecchiaia � come le moire, le Parche, poi le streghe � che il folklore cristiano ha trasformato nella vecchia bonaria ma ambigua dal nome volgarizzato della festa stessa, la “Befana”, la quale torna tra Carnevale e Quaresima come Vecchia-Anno Trascorso-Albero Secco-Penuria di Cibo da ritualmente “segare” o, secondo altre tradizioni, “bruciare”).
Ricchezza, ambiguità, contraddizione, paradosso accompagnano sempre queste solennità che disegnano un universo mentale collettivo festoso eppure selvaggio, allegro e al tempo stesso demonico, divino eppure costantemente accompagnato e talora minacciato dall’ombra dell’infero. Peccato che di queste usanze quel che non si è salvato in quanto funzionalmente connesso al consumismo e all’industria del regalo e dello sfruttamento delle feste dedicate ai bambini sia quasi scomparso. Peccato che quel che sopravvive sia ancora una volta connesso con la società dei consumi e con una tradizione dimenticata e rivissuta in termini horror-kitch, la vecchia solennità celtica degli antenati che si celebrava in autunno, che i monaci cluniacensi tra X e XI secolo trasformarono in solennità dei Santi e dei defunti e che ci è ritornata, paganizzata e ridicolizzata dall’America degli agricoltori protestanti che avevano rinnegato i santi ma continuavano a temere diavoli, fantasmi e streghe, nella macabra inconsapevolezza esorcistica dello Halloween. E’ tutto quel che ci rimane, nell’ immiserito linguaggio simbolico della morente Modernità. E’ tutto quel che passeremo ai nostri figli, ai quali non siamo stati capaci di trasmettere né la religiosità né la tradizione, ai quali non abbiamo insegnato né la preghiera, né le fiabe. Buon Natale al colesterolo, buon Capodanno all’insegna delle violenze notturne. E’ tutto quel che ci resta e che ci meritiamo.
Tra senso tradizionale della festa e consumismo moderno: le usanze natalizie a tavola “Nun vedo l’ora che vène Natale � pe’ famme ‘ma magnata de torone; – pe’ famme na’ magnata de torone � pe’ famme ‘na bevuta dar boccale”. E’ uno stornello dei bulli di Trastevere del tempo della miseria, quello di Belli ma ancora di quello di Trilussa. Il Natale come occasione di mangiare finalmente a sazietà qualcosa di buono, per una bella bevuta in libertà. Alla quartina romanesca rispondeva, anni più tardi, una canzone di Renato Carosone e Gegè di Giacomo dedicata, in pieni Anni Cinquanta, a un’altra miseria: quella della Napoli di un dopoguerra non ancor del tutto trascorso, la Napoli ch’era ancora per tanti versi quella della Pelle di Malaparte: “mo’ vène Natale � nun tengo dinare: – me leggo o’ giornale � e me vad’a’ccuccà”. Alla tristezza un po’ spaccona del trasteverino costretto ad aspettar Natale per mangiare e per bere un po’ meglio del solito rispondeva la disperazione allegra del miserabile napoletano che, senza un soldo, nel giorno di festa poteva solo ingannare la fame andandosene a letto.
In entrambe le situazioni, la povertà e magari la fame si misurano con la coscienza del tempo festivo. Questi due esempi potrebbero sembrare privi di qualunque aggancio con il carattere spirituale della grande festa, ma non è così. Presupposto di entrambi è che per Natale bisogna far festa, e che se ciò non è possibile tanto vale non vivere nemmeno un giorno come quello, andarsene a dormire. In due occasioni, Francesco d’Assisi associa a sua volta il Natale alla necessità di far festa, e festa espressa anzitutto attraverso il cibo: quando dice che, se gli capiterà d’incontrare l’imperatore, gli chiederà un editto che ordini a tutti di spargere per Natale granaglie per strada in modo che gli uccelli dell’aria possano aver di che mangiare quel giorno in abbondanza; e quando dichiara che sia intenzione sarebbe, per Natale, di strofinare pezzi di carne sui muri affinché perfino pietre e mattoni potessero godere di quell’abbondanza.
Che la festa si celebri e si onori anzitutto per mezzo di banchetti, conviti e simposi è una realtà comune si può dire a qualunque civiltà tra le molte che il genere umano è stato capace nei millenni di concepire; non meno comune è, d’altra parte, il rapporto tra penitenza, dolore, e astensione dal cibo. La festa si onora con quella che gli antropologi definiscono l’”orgia”: che non ha nulla del significato che volgarmente in italiano le si attribuisce, ma che significa semplicemente occasione durante la quale il cibo e le bevande, di qualità e in abbondanza, vengono consumati oltre il bisogno, talvolta fino alla totale distruzione delle scorte. Il valore di ciò è essenzialmente rituale: si consuma oltre il bisogno in certe occasioni con lo stesso atteggiamento devozionale con il quale ci si astiene da certi cibi o da certe bevande oppure si digiuna totalmente in altre. Alla base di tale comportamento, nelle società tradizionali, c’è la coscienza di una profonda differenza tra giorni “festivi” e giorni “feriali”: la Modernità occidentale ha sistematicamente reagito ad essa sostituendole la distinzione tra giorni “di riposo” e giorni “di lavoro”, quindi azzerando il concetto sacrale e comunitario di festa per imporre al suo posto un diverso modello antropologico fondato sulla primarietà dell’uomo come produttore di ricchezza.
Da un malinteso apprezzamento di tale realtà dipende la reazione di chi vorrebbe eliminare quel che resta, magari al livello inconscio, di “senso della festa” nel Natale, appiattendo tutto il desiderio e il bisogno di mangiare, bere e vivere convivialmente meglio sulla misura del consumismo. Una sia pure graduale riconquista del senso del Sacro dovrebbe, al contrario, proprio partire da un’accentuazione conferita di nuovo alla festa, da un rinnovato e più profondo senso della sacralità che ai giorni festivi è propria e quindi da una distinzione profonda, anche esistenziale, rispetto alle consuetudine dei giorni feriali. Non è di domenica, o a Natale, che si dovrebbe mangiare “come tutti i giorni” per reagire al consumismo; è, al contrario, giorno per giorno che sarebbe opportuno limitare qualitativamente e quantitativamente i consumi per sottolineare quel che il cristianesimo, religione del pane e del vino, fondamentalmente ripete, cioè che anche il cibo e il vino sono di per sé suscettibili di essere investiti di sacralità.
Da qui gli usi natalizi incentrati non solo sul consumo, ma anche sulla preparazione comunitaria della tavola e del cibo della festa. L’avvento serve anche a questo: nella società tradizionale europea era il tempo nel quale si uccideva il porco e se ne destinava gran parte al consumo differito per mezzo di vari sistemi di conservazione; immediatamente prima, nelle ultime settimane del tempo liturgico ordinario (“per san Martino”), si procedeva alla svinatura; quindi ci si dava alle preparazioni che richiedevano un certo tempo, come la preparazione di conserve, marmellate e confetture.
Alla festa, non si arrivava senza la vigilia: almeno 24 ore di digiuno e/o d’astinenza. Sulla tavola della vigilia, necessariamente � e ritualmente: l’economia non c’entra � povera e spoglia, comparivano cibi frugali e non carnei: minestre o zuppe a base di cereali, di verdura (le cime di rapa stufate con i panzerotti della cucina pugliese) o di frutti “poveri” (la minestra di castagne secche bollite diffusa in tutto l’arco alpino e appenninico con molte variabili: talora in semplice acqua priva di sale cui si aggiungeva devozionalmente un cucchiaino di cenere); o naturalmente il pesce, guardato peraltro con qualche sospetto in quanto si trattava di un cibo spesso ricercato e costoso. Il principe della tavola natalizia della vigilia, che in qualche regione specie del su arriva fino al pranzo stesso di Natale, è il capitone: la grossa anguilla, consumata in ricordo della lotta e della vittoria contro “l’Antico Serpente”, e quindi immolata nella notte nella quale Gesù, nascendo, ha ucciso il Male; ma anche ricordo forse d’un’antica tradizione cristiana orientale, quella della celebrazione del Natale coincidente con l’Epifania, il 6 gennaio, antica festività di Iside signora delle acque cui i pesci erano graditi.
Se la vigilia è giorno “di magro”, nel Natale invece il grasso trionfa: ed è sovente – non necessariamente � grasso della carne di porco o di grossi bipedi da cortile, come il cappone (meno comune l’oca, che arrostita e ripiena di carne di maiale e di frutta troneggia oltralpe sulle tavole), ma comunque associato di solito, tra noi, alla cottura nell’acqua, la bollitura. Il Natale è la festa del bollito come la Pasqua è quella dell’arrosto: i due tipi di bollitura rinviano a due tipi diversi di socialità, quella contadina del focolare su cui si dispongono i recipienti per la cottura indiretta e quella pastorale del forno o dello spiedo o della griglia “sacrificatorii”, per la cottura diretta. Per devozione al bambino, che come tutti i bambini del mondo ha bisogno di cibi teneri e più facili da digerirsi, il Natale è la festa della pasta ripiena servita in minestra (i vari tortellini, ravioli, cappelletti in brodo).
I dolci sono un altro elemento tipico della mensa natalizia: e debbono richiamare il pane quotidiano arricchito di zucchero, canditi, frutta secca. E’ un pane speciale, la buccella dei romani (a Lucca si fa ancora il “buccellato”: ciambella di pane soffice e dolce condito con uvetta e semi di anice). I vari Christstollen tedeschi, il panettone milanese, il pandolce genovese, i “pani dei pescatori” veneziani, sono pani di farina di grano variamente arricchiti; e al pane si richiamano anche i dolci nei quali si fa ampio uso anche di conserva di frutta secca o, adesso di cioccolato, come il “panforte” senese e volterrano e il “panpepato” ferrarese (originariamente, entrambi dovrebbero contenere anche semi di pepe nel loro impasto). Talora ai pani si sostituiscono biscotti o ciambelle (come le “cartellate” pugliesi, frittelle al mosto cotto o al miele). Il torrone cremonese è a sua volta un pane speciale, nel quale alla farina si sostituisce integralmente lo zucchero condito miele, albume d’uovo, frutta secca.
Ma il Natale, che nella tradizione latina si è andato costruendo per acculturazione attorno alla festa pagane del solstizio d’inverno (divenuta festa della regalità sacra dell’imperatore) e alle libertates decembris, è in realtà una “festa lunga”. La tradizione cristiana delle “Tredici Notti” (quella rammentata da Shakespeare in La Notte dell’Epifania) attribuisce un significato speciale a ciascuno dei dodici giorni tra Natale ed Epifania). Il cenone di Capodanno è una specie di “secondo cenone di natale” in cui però trionfa il maiale bollito (zamponi, cotechini ecc,) accompagnato da legumi o seguito da frutta che debbono ricordare in qualche modo la forma del danaro (quello metallico, naturalmente), come auspicio di prosperità per l’anno nuovo: quindi lenticchie o chicchi d’uva).
Una volta, per ricordarsi che anche il cibo è preghiera, i Pater, le Ave e le poste del rosario servivano ottimamente come timer: mia nonna non usava mai l’orologio per cuocere i tortellini natalizi nel brodo, ma sapeva perfettamente quante Ave Maria erano necessarie per cuocere a puntino i vari tipi di pasta. Di recente, nell’Atlante marocchino, ho visto fare lo stesso: recitare alcune sure del Corano (che sono 114, di differente lunghezza) a seconda del punto di cottura della semola del cuscus che si voleva ottenere. “Tu usi le preghiere come scusa per far bollire le pentole”, rimproveravo mia nonna. “Nemmeno per idea � mi rispondeva lei -: faccio bollire le pentole come scusa per pregare”. Perché � commenterebbe un musulmano � se Dio non volesse, nemmeno le pentole bollirebbero. Il che è una bella variabile del nostro panem nostrum cotidianum da nobis hodie.

Franco Cardini
(Notizia inviata da Claudio Martinotti Doria)

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Quale rivoluzione?, riciclare è bello, USA: rampogne elettorali fra contendenti, bugie religiose per accaparrarsi il potere, lay spirituality in transcendence and immanence…

Il Giornaletto di Saul del 11 dicembre 2023 – Quale rivoluzione?, riciclare è bello, USA: rampogne elettorali fra contendenti, bugie religiose per accaparrarsi il potere, lay spirituality in transcendence and immanence…

Care, cari, nella comunità scientifica si fa sempre più chiaro come la crisi climatica rischi di raggiungere un punto di non ritorno (‘tipping point’). Putroppo, scienziati ed economisti legati a chi detiene le leve dell’economia, della politica e dei media egemonizzano la ricerca e diffondono visioni tecno-ottimiste. Non sarà però una nuova tecnologia miracolosa a scongiurare il disastro ecologico… (Sinistra in Rete) – Continua: https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2023/12/qui-ci-vorrebbe-una-rivoluzione-ma-quale.html

Nota – Sono stati evidenziati almeno 9 sistemi climatologici che per effetto dei cambiamenti climatici potrebbero subire un cambiamento brusco ed irreversibile

Riciclare è bello – Scrive Rita De Angelis: “E’ vero, da un po’ di tempo siamo in crisi in svariati settori produttivi di beni magari considerati superflui. Ma una cosa agli italiani non bisogna certo toglierla, la voglia di festeggiare e di fare regali, per normali ricorrenze quali compleanni, matrimoni e anche onomastici o feste comandate…” – Continua: https://paolodarpini.blogspot.com/2023/12/feste-comandate-ora-e-tempo-di.html

Nostra considerazione – Che il riciclaggio sia utile soprattutto in tempi di crisi è una verità indiscutibile. Caterina ed io abbiamo già cominciato a predisporre i cadeaux, faremo dei bei pacchettini, regolarmente con carta da regalo riciclata, e quando andremo a trovare gli amici abbiamo già pronte, od in mente, una bella serie di sorprese colorate…

USA. Rampogne elettorali fra contendenti – I media occidentali “democratici” stanno cercando di convincere i nordamericani che la vittoria di Donald Trump porterà molte sconfitte e problemi negli Stati Uniti. A loro volta, i repubblicani stanno facendo di tutto per accelerare il processo di impeachment per corruzione di Joe Biden – Continua: https://altracalcata-altromondo.blogspot.com/2023/12/usa-biden-trump-o-elon-musk-ultima-ratio.html

USA. Ultima ratio – Se riusciranno a trovare un candidato decente lo dirà il tempo. A meno che non convincano Elon Musk a entrare nel ring elettorale e ad eliminare tutti i candidati…

Le bugie religiose per accaparrarsi il potere – Scrive Roberto Cozzolino: “La Donazione di Costantino (Constitutum Constantini) fu utilizzata dalla Chiesa per legalizzare presunti diritti su possedimenti territoriali e soltanto nel 1440 il Valla dimostrò che tale documento era un falso, anche se bisognerà aspettare il 1517 perché le sue conclusioni vengano pubblicate, ma solo da ambienti non cattolici, essendo state inserite dalla Chiesa -guarda caso- nell’indice dei libri proibiti…” – Continua: https://riciclaggiodellamemoria.blogspot.com/2013/12/dalla-donazione-di-costantino-all11.html

Dialogo impossibile con un rabbino… – Diego Siragusa parla dell’attuale conflitto in Medioriente https://youtube.com/live/qIL2m4a9LL4?si=mAPGBlFq6ZYbsSaS e del suo ultimo saggio con Maddalena Celano, docente e saggista indipendente”

Lay spirituality in transcendence and immanence… – P.D’A. wrote: “The self is absolute in everyone. So spirituality is the conscious pursuit of one’s nature, one’s self. Lay spirituality is recognizing this process in whatever form it manifests itself…” – Continue: https://bioregionalismo.blogspot.com/2023/12/lay-spirituality-in-transcendence-and.html

Ciao, Paolo/Saul

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Pensiero poetico del dopo Giornaletto:

“I politici ed i preti hanno venduto speranza per migliaia d’anni. Ed è strano che dopo tanto tempo, stiano ancora facendo affari. L’uomo sembra essere addormentato, senza guardare all’intera strategia. I preti ed i politici devono sparire dalla terra. Solo allora il nuovo uomo – agiato, abile, creativo – può nascere.” (Osho)

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Allarmismo climatico, Buddha in parole semplici, dichiarazioni di Kristalina Georgieva, numerologia e filosofia, Fiuminata: escursione erboristica, il dolore fa parte della crescita…

Il Giornaletto di Saul del 22 agosto 2023 – Allarmismo climatico, Buddha in parole semplici, dichiarazioni di Kristalina Georgieva, numerologia e filosofia, Fiuminata: escursione erboristica, il dolore fa parte della crescita…

Care, cari, l’incredibile escalation degenerativa del dibattito sul clima è arrivata negli scorsi giorni al parossismo con la dichiarazione del 27 luglio del segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres secondo il quale siamo arrivati alla “ebollizione totale”, espressione tanto catastrofica quanto vaga, alla quale due giorni dopo ha forse cercato di fare da contrappeso quella di Jim Skea, recente nuovo presidente dell’IPCC, l’organismo dell’ONU incaricato di seguire l’evoluzione del problema climatico, il quale ha dichiarato – pur avendo un passato di “allarmista”- che l’attuale allarmismo sul clima è eccessivo, pur confermando la serietà. (Aldo Zanchetta)… – Continua: https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2023/08/allarmismo-climatico-un-dibattito.html

Non possiamo fidarci dei nostri governi… – Scrive V. Z.: “…e soprattutto di U$A e NATO (North Atlantic Terrorist Organisation), conosciuto il loro comportamento illegale e delinquenziale, sono in sé un efferato crimine militare contro l’umanità. Le attuali guerre in varie parti del mondo erano già pianificate dal governo degli Stati Uniti e dal suo braccio armato NATO. Fuori i bombaroli assassini dai parlamenti e dai governi delle nostre nazioni…”

La storia di Buddha in parole semplici – Scrive Rita De Angelis: “Nel mondo attuale conviviamo ormai con molteplici religioni e dottrine di vita, una tra queste il Buddismo ed il suo stile di vita, che accompagna nel cammino dell’esistenza i Monaci ed i loro seguaci. Si narra che il Buddha nacque intorno al 465 a. C. da una ricca famiglia della stirpe dei Shakya che dominava una parte dell’India himalayana. Fu allevato e crebbe nel lusso principesco, si sposò ed ebbe anche un figlio. Ma anche lui conobbe le miserie umane, un vecchio, un cadavere ed un mendicante….” – Continua: http://retedellereti.blogspot.it/2016/08/buddha-e-buddismo-in-parole-semplici-e.html

Gli USA avvelenano i pozzi – “Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin ha affermato che gli Stati Uniti stanno creando minacce biologiche per portare avanti la loro agenda geopolitica. “Quando si tratta di minacce alla biosicurezza, gli Stati Uniti sono il Paese più attivo e sospettabile”, ha sottolineato il diplomatico cinese…”

Analisi sulle dichiarazioni di Kristalina Georgieva – Scrive Alexey Pushkov: “Il capo del FMI, la bulgara Kristalina Georgieva, ritiene che la frammentazione dell’economia mondiale sia portatrice di enormi perdite economiche. Secondo l’esperta, la crisi ucraina, il divario tra Occidente e Russia e i disaccordi tra Stati Uniti e Cina sono già costati al mondo 7.000 miliardi di dollari. Il modo per ripristinare l’unità dell’economia mondiale è costruire la fiducia (?!) e la cooperazione (?!) tra Stati Uniti e Cina. Cosa c’è da dire a proposito?…” – Continua: https://altracalcata-altromondo.blogspot.com/2023/08/analisi-sulle-dichiarazioni-di.html

Nota – Lo sviluppo economico dell’Europa è stato sacrificato alla politica e all’ideologia. Alla fine, questo si ripercuoterà inevitabilmente anche sugli Stati Uniti. È di questo che dovrebbe parlare il direttore del FMI. Ed è su questo che dovrebbe lanciare l’allarme.

Numerologia e filosofia – Scrive Angela Braghin: “Il più illustre filosofo e pensatore che si dedicò all’approfondimento dello studio dei numeri è Pitagora, che di quella “scienza psichica” che comunemente è conosciuta con il nome di “numerologia” ne ha fatto un vero e proprio strumento che è servito da faro a tutti gli studiosi che lo hanno seguito sullo stesso sentiero di indagine, poiché i suoi studi sono serviti da premessa per scienze quali la geometria e l’astronomia. Egli disse: tutto è numero…” – Continua: http://paolodarpini.blogspot.com/2016/08/la-simbologia-dei-numeri-numerologia.html

Nota – Il sufismo, una corrente del misticismo islamico, riconosce 7 piani cosmici: l’essenza, l’unicità suprema, l’unità, l’unicità divina, lo spirito, il corpo e l’uomo…

Fiuminata (Macerata). Escursione erboristica e paesaggistica – Scrive Caterina Regazzi: “Il 20 agosto 2023, sono partita da Treia per una bella escursione sulle erbe, paesaggio e acque nella zona di Fiuminata (MC) assieme a Karin Mecozzi, erborista, Giorgio Bortolussi, suo marito, esperto di agricoltura biodinamica e un bel variegato gruppo di cercatori attenti, di età varie e di diverse provenienze…” – Continua: https://retedellereti.blogspot.com/2023/08/fiuminata-macerata-escursione.html

Nota – …soprattutto mi è piaciuto il lato umano, il sincero interesse, la leggerezza delle interazioni fra persone, molte delle quali non si erano mai viste prima e la professionalità, senza supponenza, di Karin e Giorgio…

Il dolore fa parte della crescita… – Scrisse Osho: “Ricorda che se una cosa ti fa male, vuol dire che c’è qualcosa di represso. Quindi, invece di cercare di evitare il dolore, addentrati al suo interno e lascia che si manifesti. Lascia che il dolore sia totale, in modo che la ferita si scopra completamente, una volta aperta inizierà a guarire…” – Continua: http://riciclaggiodellamemoria.blogspot.com/2023/08/il-dolore-fa-parte-della-crescita.html

Ciao, Paolo/Saul

Ultime notizie – Putin parteciperà al vertice dei BRICS del 22-24 agosto non in presenza ma in videoconferenza. Il motivo non è la minaccia di arresto a causa del mandato della Corte penale internazionale ma la minaccia di un attacco terroristico da parte dei servizi segreti statunitensi e britannici. L’aereo deve sorvolare vaste aree, in molti Paesi gli Stati Uniti e la Gran Bretagna potrebbero organizzare un attacco terroristico. In questo caso si aspettano che la Russia non risponda affatto con un attacco nucleare ma che si scateni una lotta per il potere a Mosca per il Cremlino e che Stati Uniti e Gran Bretagna riescano a ottenere concessioni significative dalla nuova leadership russa. Questo è il tipo di mondo difficile in cui viviamo ora. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e i Paesi della NATO stanno conducendo apertamente una guerra terroristica. Putin è il primo leader di un grande Paese a dover temere attacchi terroristici da parte di altri Paesi. Ma non l’ultimo. Tutti se ne rendono conto.

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Pensiero poetico del dopo Giornaletto:

“Non rinunciare alla tua vita nel mondo. Non andare alla ricerca di Dio nelle quattro direzioni, né perdere le tua anima mentre cerchi la pace interiore. Vivi nella tua casa con il tuo coniuge e figli, sfruttando appieno i tuoi talenti artistici o gestendo le tue attività lavorative. In qualunque posizione ti abbia posto il tuo destino, che tu sia milionario o mendicante, Dio è già dentro di te…” (Baba Muktananda)

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Gesù (si! Lui, proprio Lui!) era vegetariano?

Mi rendo conto che, essendo il Cristo l’espressione tangibile (!?) di tutte le perfezioni, ciascuno attribuisce al personaggio quanto ritiene essere una perfezione (ma questo fatto da solo ci conferma trattarsi di persona storicamente inesistente). Così, coloro che ritengono essere il vegetarismo l’alimentazione delle anime perfette, come ad es. i Catari, peraltro sterminati dalla Chiesa, devono sostenere che Cristo era vegetariano.

Pur ritenendo che il vegetarismo sia l’espressione più chiara di un’alimentazione naturale e consapevole, sento il dovere d’intervenire, non per confutare l’idea, ma per documentare come è facile, creato un mito buonista, trovare adepti che con superficialità contribuiscono alla propagazione del Mito stesso. Tali sono i Vangeli, con maggiore intensità quelli apocrifi, i quali in particolare trattano degli episodi dell´infanzia di Gesù. [Ma se ci documentiamo con attenzione possiamo notare che gli aneddoti tratti dagli apocrifi pullulano negli scritti dei teologi cristiani fin dai tempi dei Concili, i quali con aria equivoca fanno passare per buoni molti messaggi del tutto subliminali.]

Tuttavia, per accontentare i “positivisti” per i quali l´unica verità è quella dimostrabile col metodo scientifico, cioè con le prove “tangibili”, nell´esprimere le mie tesi sono costretto a riferirmi agli unici dati disponibili (che non vuol dire essere “veri”), quelli della testimonianza evangelica.

I dati più salienti di questi, che maggiormente balzano agli occhi in assenza di ulteriori conferme, riguardano le nozze di Cana e la moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Per quanto riguarda la transustanziazione di acqua in vino, non possiamo che rallegrarci per la scelta, chiaramente ispirata ad esigenze tra l’ecologico e l’igienico. Infatti, a parte la semplice constatazione che, come hanno asserito in seguito, essendo il vino in realtà SANGUE del Dio, in ciò introiettando il Mito Misterico di Dioniso, figlio di Afrodite, divinità ellenistica di origine persiana, Egli non poteva che ottemperare ad obblighi di autodifesa immunitaria, resta il fatto che, trovandosi nei pressi del Mar Morto, noto per la densità salina, a bere acqua dei pozzi limitrofi al mare si rischiava la morte per “inspissatio sanguinis” (ispessimento del sangue ), non rimaneva che il vino per una sana libagione. Va ricordato peraltro, che in quel clima economico che ci raccontano gli evangelisti, dominato da scribi e farisei, è presumibile che detta acqua fosse stata privatizzata, con desumibili costi eccessivi per ogni abbeverata. Dobbiamo anche aggiungere che è proprio grazie alla diffusione del cristianesimo che la razza umana ha potuto sopravvivere. Infatti, la necessità di avere a disposizione vino per la celebrazione della santa Messa ha costretto a piantare viti ovunque. Ricordiamo che le viti erano presenti anche nell’antico Egitto e nel Messico precolombiano. La disponibilità del vino, disinfettante naturale per la presenza di alcool, ha permesso all´umanità di bere durante le epoche cosiddette “buie”, nelle quali, distrutti gli impianti idrici della Romanità, per dissetarsi i contadini dovevano attingere a pozzi o fonti sistematicamente avvelenati a causa dell´umana cattiveria o per inquinamento naturale o peggio, per la presenza di carcasse di animali. Questo è quanto, con buona pace di coloro, esperti, biblisti, teologi, che si arrovellano nel cercare di spiegare il significato delle parole che Egli avrebbe detto alla mamma prima di compiere il prodigio.

Per quanto riguarda l’alimentazione solida l’unico dato sensibile è il riferimento al noto San Giovanni il battista, maestro, predecessore e guida del Nostro. Costui, che viveva da romito sulle sponde del fiume Giordano, è presumibile si cibasse di cavallette, ragni, scorpioni. Nei giorni festivi, come le domeniche, poteva portare alla bocca grilli e lucertole. E solo per le vere festività come Pasqua, Natale, Epifania e Capodanno, si concedeva il lusso di lombrichi, essendo questi una rarità nel deserto. Gli storici ed i biblisti ritengono che egli non potesse cibarsi di verdure, in questo caso papiri che crescevano abbondanti sulle rive del Giordano, perché egli utilizzava le piante per farci fogli di papiro sui quali stampare santini da regalare ai battezzati. Consuetudine che è rimasta anche a nostri tempi. POTENZA della TRADIZIONE!

Per quanto riguarda la moltiplicazione dei pani e dei pesci, stante alle testimonianze dei buontemponi che lo seguivano schiamazzando per la Giudea, ma sono le uniche testimonianze rimasteci, si tratta pur sempre di pesci e non di verze. I prodigi del Signore, pertanto, si limitano alle carni e non ai vegetali. Destituita pertanto di ogni fondamento la credenza secondo cui Egli fosse vegetariano, avendo compiuto prodigi solo in relazione alla moltiplicazione di pesci. Fatto comprensibilissimo in persona che già aveva tanti problemi per conto suo da non volersene accollare altri mettendosi conto le turbe che lo divinizzavano. E tuttavia è un dato certo che Egli tanto poco credeva all´uso vegetariano dell’alimentazione da ritenere utile sfamare le turbe coi pesci anziché con la cicoria.

Tutto ciò solo per dire che occorre guardarsi dal riferire ad altri quel che si vorrebbe e si dovrebbe fare da soli.

Giorgio Vitali

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