Cosa succede se la NATO contribuisce all’invio di missili a lunga gittata sul territorio russo?

Avvicinato da un giornalista dopo i colloqui col ministro degli esteri cinese Wang Yi, in visita in San Pietroburgo, Putin ha chiarito la posizione ufficiale di Mosca sulla questione degli ipotetici attacchi a lungo raggio con missili occidentali sul territorio russo. In sintesi, ha detto che l’Ucraina lo fa già con droni e altri mezzi, ma che i missili di precisione a lungo raggio sono tutt’altra cosa, perché per utilizzarli c’è bisogno di capacità di intelligence e di satelliti che l’Ucraina non possiede, e che possono venire solo dall’Unione Europea o dagli Stati Uniti, insomma dalla NATO. Lo stesso discorso vale per il personale che dovrebbe occuparsene, che anche in questo caso difficilmente potrebbe essere ucraino. Quindi non si tratta tanto di permettere all’Ucraina di colpire la Russia con queste armi, dice Putin, ma di decidere se i paesi NATO sono direttamente coinvolti nel conflitto o no. Se l’autorizzazione verrà concessa significa che lo sono, cosa che cambia l’essenza e la natura del conflitto: significa che ‟i paesi NATO, gli Stati Uniti e i paesi europei [dell’Unione Europea] sono in guerra con la Russia”, che quindi dovrà prendere ‟decisioni appropriate” in base alle minacce che le verranno poste.

Chiaramente Putin non specifica quali saranno queste ‟decisioni appropriate”, lasciando sul tavolo tutte le opzioni (incluse le restrizioni sull’esportazione di materiali strategici ai paesi esteri ostili, alle quali ha accennato ieri); c’è comunque da notare che, stando almeno a quanto ha affermato, le suddette decisioni verranno prese non dopo l’eventuale attacco ma dopo l’eventuale autorizzazione – prima, dunque, che l’attacco abbia luogo.

L’autorizzazione, ad ogni modo, ufficialmente non c’è ancora. Se il Guardian ieri lasciava intendere che le autorità inglesi avrebbero concesso all’Ucraina di utilizzare sul territorio russo gli Storm Shadow, che hanno una gittata di più o meno 550 chilometri sempre il Guardian, e sempre ieri (e sempre lo stesso autore, Dan Sabbagh, nel primo pezzo in condominio con Luke Harding) segnalava, bontà sua, che il loro impiego ‟avrebbe non pochi rischi” e che non è certissimo che il Cremlino si farebbe intimidire da un attacco su Mosca, anzi c’è l’eventualità che possa reagire male.

Gli USA continuano a tergiversare, nonostante le ambiguità e i sofismi di Blinken che afferma che loro sono sempre disposti a dare all’Ucraina ciò di cui ha bisogno e a cambiare, se necessario, le decisioni precedenti. Ma fino ad oggi nessuna decisione in questo senso è stata presa, e non credo che le parole di Putin la renderanno più facile.

Intanto c’è anche da chiedersi, al di là delle preoccupazioni per l’inevitabile escalation, che risultato avrebbe questa autorizzazione sul piano militare. L’Ucraina dice da tempo che è in pratica l’unico motivo per cui la guerra non è stata ancora vinta, ma ovviamente le cose sono un po’ diverse. (…)

Se anche la Russia iniziasse una campagna di smantellamento totale di ogni pista d’aviazione in Ucraina risolverebbe il problema dei missili lanciati dagli aerei, ma non quello degli ATACMS che, con una gittata di 250-280 chilometri potrebbero fare bei danni. Qui però entrano in gioco altre considerazioni: non solo tutto ciò che può essere spostato sarà spostato, non solo tutto ciò che vola, missili inclusi, può essere tirato giù e il lanciatore scoperto e distrutto, ma soprattutto perché un attacco sia efficace (tanto efficace, attenzione, da convincere la Russia a chiudere il conflitto ritirandosi dall’Ucraina!) è necessario che parecchi missili, e tutti insieme, colpiscano lo stesso bersaglio e che i bersagli siano molti, non uno solo. E l’Ucraina (e nemmeno la NATO, a meno di non impiegare direttamente la flotta e l’aviazione statunitense) non ha né un numero sufficiente di lanciatori, terrestri o aerei che siano, né un numero sufficiente di missili per lanciarne parecchie centinaia in direzione di alcuni bersagli di importanza strategica. Sicuramente otterrebbe un successo di propaganda e infliggerebbe danni maggiori di quanto non abbia fatto finora, ma siamo ben lontani dal raggiungere risultati che le consentirebbero di sedersi al tavolo delle trattative in posizione di vantaggio. Non è sufficiente per imporre la cosiddetta ‟deterrence through inflicting cost” che, tra l’altro, contro la Russia non ha mai avuto successo. La cosa ridicola di tutta questa storia è che rischiamo una escalation significativa per una decisione che, come tutte le precedenti, non cambierà il corso del conflitto.

Francesco Dall’Aglio

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