…come imparammo ad amare la bomba…
Dopo quelle due sganciate dagli Stati Uniti sul Giappone, nel 1945, in quasi 80 anni, con migliaia di testate disponibili, non ne sono state usate altre in combattimento, soprattutto contro un avversario che le ha. Il problema sta nella difesa dalla ritorsione di uno Stato atomico.
È impossibile intercettare e distruggere, prima che arrivino sul proprio suolo, tutti i missili in arrivo. Se il rischio era eccessivo fin dai primi decenni, nell’era dei missili intercontinentali e supersonici è diventato intollerabile. Ora molti vettori nucleari sono testate multiple a traiettoria random, con oscillazioni casuali, il che rende impossibile anche per un computer dirigergli contro una risposta distruttiva.
Va tenuto presente che la costa ovest degli USA è sotto minaccia di una risposta immediata da parte dei sottomarini russi nel pacifico, ora anche in versione drone senza equipaggio ed altrettanto avviene contro la Russia, sia dalle innumerevoli basi americane sparse sul pianeta che da sottomarini in navigazione permanente. I vettori intercontinentali darebbero una ventina di minuti di tempo utile per tentare di fermarli, ma i missili dai sottomarini limitrofi alle acque teritoriali no. In un paio di minuti in tutto decine e decine di missili nucleari pioverebbero sulle città della zona più densamente popolata degli Stati Uniti ed altrettanto dicasi per le regioni russe, e per fermarli tutti ci vorrebbe il padreterno.
L’economia del pianeta ne rimarrebbe paralizzata, ma questo è il meno poichè l’inquinamento da fall out potrebbe cancellare la quasi totalità degli esseri viventi. Gli unici a salvarsi potrebbero essere -da studi comparati compiuti dopo vari esperimenti atomici- i topi e gli scarafaggi.
L’alta finanza, favorevole a qualunque guerra convenzionale perché dispone di programmi per guadagnarci sempre, non desidera una guerra atomica, perché non dispone di progetti per ottenere guadagni certi, a causa della sua alta imprevedibilità per assenza di precedenti, quindi di statistiche probabilistiche sui suoi sviluppi. Ciò in condizioni “normali” ma in caso di disperazione e vendetta irresponsabile, sul tipo di “muoia Sansone con tutti i Filistei”, anche l’apocalisse potrebbe risultare un’opzione accettabile. Ricordate il Dottor Stranamore?
La teoria del pazzo presuppone che un pazzo possa non solo immaginare ma anche concretamente realizzare un attacco atomico. Ma in tempo di pace sia i materiali fissili che le bombe sono gli oggetti più controllati del mondo, anche a distanza. Se qualcuno di voi prova anche solo a preparare l’esafluoruro di uranio, dai satelliti lo si vede, osservando le radiazioni gamma emesse.
Le procedure per l’innesco e attivazione di una bomba sono complesse, con reti di controllo sia in serie che in parallelo. In un certo senso i controllori della bomba ne hanno più paura di noi. Tenete anche presente che il fall out radioattivo non è controllabile. Riuscite a deviare alcuni missili che erano diretti sulle vostre città facendoli cadere su una zona desertica. L’esplosione quindi non uccide nessuno o quasi, ma il fall out radioattivo si dirige dove vuole, sospinto dai venti, senza che lo possiate fermare. Il problema è che bisognerebbe riuscire non solo ad abbattere tutti i missili, ma anche in zona di sicurezza, fuori dal territorio nazionale. Il che se è già inverosimile per gli intercontinentali in volo oceanico (qualcuno sfugge per forza) diventa completamente impossibile per i lanci dai sottomarini nel pacifico appena fuori dalle acque territoriali (statunitensi o russe che siano): troppo poco tempo disponibile.
Ed è importante ricordare che, come ulteriori incomodi, ci sono altri Stati, detentori di bombe nucleari, che potrebbero uscire di senno: Israele, Francia, Inghilterra, Corea del Nord, Cina, ecc. Tutti questi (e forse altri che non sappiamo) dispongono di tecnologie sostanzialmente alla pari con le vostre, nostre, loro…
Le abitudini storiche della specie umana non cambiano e forse di repulisti in passato ne sono avvenuti altri.
Vincenzo Zamboni e Paolo D’Arpini
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