Aspettando l’estinzione del sistema sionista…
Come al solito, nei non detto, nelle omissioni, c’è più rilevanza che nelle affermazioni conclamate, sempre infarcite di varie ragioni opportunistiche. E, ad esempio, nell’attuale fase del (quasi centenario) conflitto israelo-palestinese, ce ne sono non pochi. Da Netanyahu, dai suoi ministri e dai generali dell’IDF, dal 7 ottobre ad oggi è stato un continuo profluvio di dichiarazioni di fuoco. Distruggeremo, annienteremo, uccideremo. Ma poi c’è lo scarto tra le affermazioni e la realtà. La realtà è una campagna genocida di distruzione sistematica dell’intera Striscia di Gaza – sul cui senso persino il New York Times si interroga (“Gaza Civilians, Under Israeli Barrage, Are Being Killed at Historic Pace“); la realtà sono 20.000 morti, di cui due terzi donne e bambini; la realtà è la violenta aggressione contro i territori occupati in Cisgiordania (cui non si può attribuire alcuna colpa relativamente all’attacco del 7 ottobre), che già conta oltre 200 palestinesi uccisi. La realtà, come ormai ammettono in tanti, in Israele e tra i suoi sponsor, è che la forza combattente della Resistenza palestinese è sostanzialmente intatta, mentre quella politica ne esce immensamente rafforzata. La realtà, è cosa sta accadendo – sul campo e nel retropalco – sui vari fronti.
Intanto, la tregua. È evidente che Netanyahu ha dovuto accettarla, per svariati motivi: le pressioni statunitensi, quelle dell’opinione pubblica interna ed internazionale, ma anche per le oggettive difficoltà incontrate dall’avvio dell’operazione di terra a Gaza. E nel giro di pochi giorni, si è passati dall’intenzione dichiarata di assassinare i membri di Hamas ovunque si trovassero nel mondo, alla promessa di non toccare quelli residenti in Qatar (“Israel will not assassinate Hamas leaders in Qatar, Netanyahu tells Doha“).
E poi la correlazione diretta tra il fronte di Gaza e quello libanese, e siro-iracheno. Nonostante la tregua fosse dichiaratamente limitata alla Striscia (ed infatti l’IDF continua ad imperversare in Cisgiordania), sono di fatto cessati sia gli attacchi di Hezbollah al nord, che quelli della Resistenza Islamica in Iraq e Siria contro le basi USA. E ovviamente questo tranquillizza assai Tel Aviv (che ha il terrore di Hezbollah) e Washington.
A questo punto, è abbastanza prevedibile che la tregua, a meno di eventi particolari, verrà prolungata a step, quantomeno sino all’esaurimento dei prigionieri civili in mano alla Resistenza. Ce ne dovrebbero essere ancora più o meno ancora 40/60 (considerato che secondo Hamas una 50ina sono morti sotto i bombardamenti), il che significa la possibilità di mantenere la tregua per altri 7/10 giorni. Per la Resistenza sarà comunque un successo politico acquisito, oltre al vantaggio di non dover più provvedere ai bisogni ed alla sorveglianza di così tante persone. [N.B. La totalità dei palestinesi liberati proviene dalla Cisgiordania, perché lì Israele esercita autorità e controllo; la loro liberazione, quindi, vi rafforza notevolmente il credito politico della Resistenza, a discapito dell’ANP] Quanto ad Israele, che alla fine avrà liberato 400/600 palestinesi, avrà tacitato le famiglie dei prigionieri, e nel frattempo si è abbondantemente rifatta catturando circa 3000 prigionieri palestinesi in Cisgiordania…
E dopo la tregua?
È evidente che riprendere con i massicci bombardamenti sarà politicamente molto complicato, per Netanyahu. Ma riprendere la campagna di terra sarà militarmente complicato. Sinora l’IDF ha perso centinaia di corazzati e centinaia di militari, con un risultato (al netto della propaganda) assolutamente insignificante. Né è prevedibile che le cose cambino a breve, anzi. Anche solo osservando le modalità (ed i risultati) tattici, appare evidente che l’esercito si muove decisamente male, all’interno di Gaza, registrando perdite assai elevate, e senza conseguire alcun vero obiettivo militare.
Inoltre (“non detto”), la Resistenza ha in mano decine di soldati israeliani; e di uomini in età militare. La Direttiva Hannibal prevederebbe di lasciarli prigionieri, o addirittura di ucciderli se possibile. Ma dopo aver trattato per liberare donne e bambini, diventa molto complicato non trattare anche per quelli. Solo che il prezzo sarà molto alto. Ed a quel punto, il dilemma sarà fatale: se Tel Aviv rifiuta lo scambio, condanna i suoi uomini ad una lunga prigionia (nella migliore delle ipotesi); se cerca di liberarli, ammesso che li trovi, li condannerà a morte; se accetta lo scambio (sicuramente migliaia di palestinesi) la sconfitta politica sarà totale. Lose-lose. Comunque decida, perde.
E se riprende l’attacco a Gaza, dall’aria e/o via terra (“non detto”), si riaccenderanno gli altri fronti: Libano, Siria, Iraq, Yemen… Israele non regge una guerra di logoramento su così tanti fronti, né militarmente né economicamente; e quindi non politicamente. L’America teme fortemente l’allargamento del conflitto, e comunque vorrebbe chiudere questa partita il prima possibile; all’attivo c’è già la sconfitta in Ucraina, che sta cercando di gestire in tempi e modi che non incidano sulla campagna per le presidenziali, ma il conflitto israelo–palestinese è molto più lacerante, soprattutto per i democratici. Sull’Ucraina, sostanzialmente c’è uno scontro all’interno del mondo politico, tra repubblicani e democratici, ma sulla Palestina lo scontro è quasi tutto interno al mondo democratico, con forti pezzi di elettorato filo-palestinesi e buona parte delle lobby ebraiche, quelle amiche, contro.
Alla fine, la Resistenza ne uscirà vittoriosa in ogni caso, persino se l’IDF dovesse riuscire davvero (cosa impossibile) a distruggerne le organizzazioni a Gaza ed in Cisgiordania.
Quanto ad Israele, molto dipende da cosa accadrà all’interno del gabinetto di guerra nei prossimi giorni e settimane. Se a prevalere sarà ancora un volta la rabbia, l’odio razziale, il desiderio di vendetta, e l’illusione messianica del Grande Israele, affogheranno tutti nel sangue – israeliani e palestinesi – e si spalancherà un abisso. Se prevarrà la prudenza e la ragionevolezza, si allargherà lo spiraglio aperto con la tregua, si attenueranno i toni, e Israele dovrà fare un po’ i conti con se stessa, e soprattutto (come gli USA con l’Ucraina) dovrà cercare una via per rendere la sconfitta meno dolorosa e meno pericolosa.
In entrambe i casi, sul medio periodo questo potrebbe significare la morte politica del progetto sionista.
Enrico Tomaselli – TARGET: STRATEGIC THINKING geopolitica e pensiero strategico