Israele/Palestina. La proposta dello Stato unico per due popoli…
“…la nozione di un unico Stato Israele/Palestina è sempre stata sul tavolo. Il rifiuto di questa soluzione è la causa della tragedia vissuta oggi dalla regione. L’alternativa alla soluzione dello Stato unico è ciò che vediamo oggi davanti a noi…” (Il Libro Bianco)
Né la Cisgiordania né la Striscia di Gaza (territorialmente separate) sono territori idonei per la fondazione di uno stato nazionale palestinese autosufficiente. Ne segue che, se non vi può essere un capovolgimento della politica delle colonie (soprattutto quelle insediate in Cisgiordania), uno stato palestinese separato da Israele in pratica non è possibile.
La soluzione dello Stato unico per palestinesi ed israeliani è ora l’unica opzione possibile. Diversi analisti hanno argomentato in modo persuasivo che Israele deve affrontare il suo obsoleto etno-nazionalismo e confrontarsi con una visione post-sionista del Paese, per quanto difficile ciò possa essere. L’alternativa – la deportazione forzata dei palestinesi fuori dal territorio – è inconcepibile ed estremamente pericolosa.
La soluzione dello Stato unico ha attirato l’ira di coloro che vedono un Israele binazionale come un tradimento della promessa di farne un porto per gli ebrei; tuttavia queste obiezioni si sfaldano nel confronto con i “fatti sul terreno”. E, in ogni caso, le ramificazioni della soluzione dello Stato unico vanno molto al di là della crisi esistenziale israeliana.
Ovviamente non ci si aspetta che l’attuale Governo israeliano porti avanti il progetto (dello stato unico per due popoli). Il problema non è soltanto nella politica governativa israeliana che ha condotto una vigorosa campagna per la sovranità su tutta la Palestina mandataria, per la quale il completamento della rete degli insediamenti è un elemento di primo piano.
C’è anche il problema dei coloni di ‘Giudea e Samaria’ che sono zeloti religiosi armati di tutto punto, e la loro influenza sulla politica interna desta timore. Nel caso che resistessero con la forza al loro trasferimento, cosa che alcuni farebbero di sicuro, l’autorità morale di qualsiasi governo che cercasse di spostarli – persino la legittimità dello stesso stato di Israele – verrebbero messi in questione da quei sionisti per i quali la sovranità ebraica sulla terra è allo stesso tempo un diritto e un obbligo, derivanti in prima istanza dall’autorità del Talmud e della Terra Promessa nella Bibbia, in seconda dalla necessità di salvaguardare gli ebrei dalle minacce del mondo musulmano preservando il territorio come rifugio e patria ebraica. Politicamente astuti e autenticamente fedeli a questi principi, i coloni religiosi zeloti invocherebbero entrambe le motivazioni. Il difficile compromesso fra ebrei israeliani laici e religiosi sarebbe distrutto, minacciando il tessuto politico interno del paese così come le sue pretese, ormai vacillanti, sull’ebraismo mondiale.
Ad aggravare – di molto – la situazione, succede che gli Usa proteggono Israele dalle conseguenze della sua politica coloniale con maggiore zelo e fanatismo di quanto non abbiano mai fatto. Ed è improbabile che la politica USA cambi. Gli Stati Uniti non si assumeranno mai il ruolo di pacificatore attivo. Un appoggio totale alle peggiori azioni israeliane e che i palestinesi “pongano fine al terrorismo”, hanno fatto crollare ogni speranza di un intervento utile e corretto degli USA. La fiducia nel ruolo di Washington è ormai al collasso per ragioni che si trovano profondamente intessute nella situazione politica USA.
Il problema non si riduce alla ristrettezza di vedute, o al “denaro ebraico” (la spiegazione standard), e neanche alla strategia militare di vecchia data dell’America, che considera Israele un alleato solido e sicuro; è probabile che una politica più equa migliorerebbe il profilo strategico, piuttosto che eroderlo. Invece, la forza che impedisce durevolmente ogni politica più costruttiva è nel “Deep State”, il cui appogio unilaterale ad Israele è profondamente radicato.
In conclusione l’impatto più grande e di più lunga portata della soluzione di un unico stato consisterebbe nel trasformare le tensioni regionali e quelle locali, eliminando l’occupazione militare, unificando il territorio, e restituendo realmente ai palestinesi una sovranità (condivisa) nella loro patria storica. Garantirebbe loro una rappresentanza ricercata da tempo, diritti di proprietà, un sistema di giustizia civile, libertà di espressione entro il sistema democratico. Riporterebbe inoltre Israele in una posizione rispettata nella famiglia delle nazioni, eliminando il ‘problema palestinese’ come fonte di oltraggio per i musulmani offesi. Dato che l’ipotesi dei due stati separati promette solo maggiori problemi (e il suo fallimento porterà conseguenze terribili), la soluzione dello stato unico è adesso la sola che la comunità internazionale può responsabilmente prendere in considerazione.
Stralcio di una analisi di Virginia Tilley (rivisitata da P.D’A.)
Articoli collegati:
https://ilmanifesto.it/perche-uno-stato-per-due-popoli
https://www.leparoleelecose.it/?p=15641
La soluzione di uno Stato unico o soluzione binazionale è un approccio proposto per venire a capo del conflitto israelo-palestinese. I sostenitori di questa soluzione propongono la creazione di un unico Stato che comprenda Israele, Cisgiordania e striscia di Gaza, con il riconoscimento di cittadinanza e pari diritti per tutti gli abitanti, a prescindere da etnia o religione. Sebbene questa soluzione sia tenuta in considerazione sempre più grande in ambito accademico, essa è sempre stata ignorata nelle trattative di pace. Continua: https://it.wikipedia.org/wiki/Soluzione_di_uno_Stato_unico
Un’intervista con Paolo D’Arpini – Una visione per la pace in Medio Oriente e nel mondo: https://www.youtube.com/watch?v=pH_LWTsLrQ8