Termopili. “Vieni a prenderle!”

“Μολων λαβέ!”, “Vieni a prenderle!”. Così rispose il re spartano Leonida, capo di un manipolo di circa 300 suoi concittadini, al messaggero di Serse, Imperatore dei Persiani, che in una giornata d’inizio agosto del 480 a.C. gli chiedeva di arrendersi, consegnare le armi e liberare il passo delle Termopili per consentire al suo sterminato esercito, composto da circa 150.000 guerrieri, di penetrare nella regione della Beozia e da lì raggiungere l’Attica e la sua capitale, Atene.
Con quella fiera risposta Leonida aveva anche lui, prima di Cesare, “tratto il dado” decidendo che un pugno di eroi si sarebbe battuto fino all’ultimo respiro contro forze soverchianti per numero ed equipaggiamento militare, venute nell’Ellade dall’Oriente per chiedere “γην και ύδωρ”, “terra ed acqua”, espressione gentile che significava però “asservire“ gli Ateniesi e i Greci tutti, così vendicando la clamorosa sconfitta che questi ultimi avevano loro inflitto dieci anni prima nella piana di Maratona.
Di fronte a quelle miriadi di soldati armati di tutto punto ed abbigliati in modo così strano, molte “poleis” avevano già accettato di sottomettersi senza combattere, come quelle degli Argivi e dei Tessali.
Altre invece, sentendosi al sicuro per la loro posizione geografica, come i Cretesi ed i Siracusani, continuavano a far finta di nulla.
Chi invece si sobbarcò per tutti l’onere di una strenua resistenza furono soprattutto gli Ateniesi e gli Spartani, coalizzati con alcune città minori che, una volta tanto, avevano accettato di mettere da parte le loro beghe da campanile in favore del superiore interesse nazionale.
Su suggerimento dell’ateniese Temistocle, individuarono nelle Termopili (uno stretto passaggio terrestre delimitato ad ovest dalla montagna e ad est dal mare) il luogo ideale per intercettare la fino ad allora trionfale marcia dei Persiani, entrati nell’Ellade dopo aver attraversato l’Ellesponto su un ponte di barche costruito per l’occasione e scavato un canale per permettere alle loro imbarcazioni di attraversare la penisola del Monte Athos, senza incappare nelle burrasche marine che la caratterizzavano.
Alle Termopili dunque, agli ordini del re Leonida, si radunarono circa 7000 uomini che però per timore, all’avvicinarsi del nemico, si ridussero ad un migliaio soltanto, di cui circa 300 Spartani e il resto distribuito fra Tespiesi e Tebani.
Pur consapevoli di rischiare la vita, quei valorosi erano fermamente intenzionati a dimostrare di che pasta erano fatti e grazie anche alla perfetta conoscenza di quei luoghi tanto angusti riuscirono a tenere testa per due giorni agli attacchi dei nemici, infliggendo loro gravissime perdite.
Soltanto il tradimento di Efialte, che indicò a Serse un sentiero sulle montagne percorrendo il quale avrebbe sorpreso gli Spartani ed i loro alleati alle spalle, consentì ai Persiani il terzo giorno di avere la meglio su quegli eroi, che combatterono comunque fino al sacrificio supremo.
Sul luogo dove caddero armi in pugno sarebbe poi stata eretta una lapide (visibile ancora oggi) con la seguente iscrizione: “Straniero, annuncia agli Spartani che qui siamo sepolti, avendo ubbidito alle loro leggi”.
Il loro sacrificio non fu vano, sia perché dimostrò che i Persiani non erano invincibili, sia perché fece guadagnare agli Ateniesi tempo prezioso, consentendo loro di ultimare la costruzione della flotta che di lì a poco, nelle acque di Salamina, avrebbe avuto la meglio su quella nemica, vendicando i valorosi caduti alle Termopili e costringendo ancora una volta i Persiani a riprendere precipitosamente la strada di casa.
Nelle sue “Historiai” il grande Erodoto ci presenta un magistrale ed insuperato racconto di questo epico scontro.
(Testo di Anselmo Pagani)

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