Con la censura su Manlio Dinucci il Manifesto mostra la sua vera faccia…

Scriveva Manlio Dinucci: “L’8 marzo, dopo averlo per breve tempo pubblicato online (vedi testo http://www.circolovegetarianocalcata.it/2022/03/08/manlio-dinucci-ucraina-era-tutto-scritto-nel-piano-della-rand-corp/ ), il Manifesto ha fatto sparire nottetempo questo articolo anche dall’edizione cartacea, poiché mi ero rifiutato di uniformarmi alla direttiva del Ministero della Verità e avevo chiesto di aprire un dibattito sulla crisi ucraina. Termina così la mia lunga collaborazione con questo giornale, su cui per oltre dieci anni ho pubblicato la rubrica L’Arte della guerra.”

Lettera sulla censura a Dinucci di alcuni lettori comunisti:
“Alla redazione de Il Manifesto.
Care compagne e cari compagni, esprimiamo tutta la nostra indignazione per la censura nei confronti di Manlio Dinucci e per la chiusura della rubrica “L’arte della guerra”. Da dieci anni Dinucci è una delle firme per cui vale la pena di comprare il quotidiano comunista.
La giustificazione on line di Tommaso Di Francesco è debole e a tratti imbarazzante. Leggendo l’articolo rifiutato non si coglie alcuna complicità con Putin ma solo una spiegazione dell’accaduto. Si poteva semplicemente pubblicare un commento di presa di distanza, se proprio c’era qualche passaggio che “assumeva la caratteristica di una legittimazione della guerra russa” come sostiene Di Francesco. Se poi si vuol negare che l’espansione ad Est della NATO negli ultimi trent’anni abbia avuto un ruolo nel provocare il conflitto, allora non ci siamo proprio, vuol dire che si rinuncia alla capacità di analisi per necessità di schieramento.
L’atto censorio quindi è ingiustificabile e crea uno strappo difficilmente ricucibile (altro che “arrivederci”, questo è l’addio definitivo di Dinucci). Una brutta pagina per il Manifesto nel momento in cui si assiste ad una pericolosa deriva di omologazione dei media.
Acquistando ogni giorno in edicola il giornale, volevamo evolverci sottoscrivendo un abbonamento on line, ma credo proprio che non lo faremo.” (Lettera firmata)

Lettera integrativa di Jure Eler:
“Do you remember “Belgrado ride”?
Per quanto mi riguarda, il mio rispetto per Il Manifesto è sceso a zero già nel lontano 2000, quando ad ottobre, a seguito della rivoluzione colorata messa in atto a Belgrado da Otpor, con l’assalto al Parlamento e all’ufficio elettorale venivano bruciate le schede elettorali che al primo conteggio assegnavano la vittoria democratica alla coalizione di Slobodan Milosevic, la quale aveva acconsentito al riconteggio dello scrutinio come richiesto dall’opposizione di piazza e parlamentare. Opposizioni sostenute a livello internazionale da emanazioni Nato, e nazionale da chi in Italia faceva il sinistro di pace, dalle tutine bianche di Casarini ed Ersilia Salvato al PdCI, al Prc bertinottiano, alle Donne in nero e buona parte della sinistra contigua, ovvero da chi pochi mesi prima col nè-nè aveva contribuito ad emarginare ogni opposizione antimperialista alla distruzione bellica della Federazione jugoslava. Ogni possibile verifica finì così opportunamente in fumo ed il golpe andò a segno. Il giorno dopo Il Manifesto titolava “Belgrado ride” festeggiando la sconfitta del “dittatore”. Poco dopo, il presidente deposto Milosevic sarà prelevato dai collaborazionisti Nato e trasferito all’Aia dove dopo anni di carcerazione ed un interminabile processo illegali verrà lasciato morire in carcere, vista l’incapacità di tale tribunale Nato di provarne i capi d’accusa.
La similitudine con quanto avvenuto quattordici anni dopo in Ukraina con EuroMaidan è lampante, e altrettanto coerente è la linea odierna del Manifesto, a conferma evidente della continuità del suo ruolo.
Spiace molto che una gran parte di compagni ci abbiano messo oltre vent’anni a riconoscere il mestiere nefasto e collaborazionista Nato di tale testata, perseverato poi negli anni seguenti sui temi di geopolitica e non solo, continuando a intossicare i suoi lettori abbagliati dalla sedicente nomea di “quotidiano comunista”, e che lo stesso Manlio Dinucci abbia sopportato di pubblicare i suoi sempre onesti articoli su tale foglio. Alla buon’ora, a danni fatti meglio tardi che mai. Peccato però per i vent’anni sprecati a rincorrere i pifferi.” (Jure Eler)

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