Battaglia navale al Quirinale…
…la corazzata Draghi appare fermamente intenzionata ad affrontare la battaglia del Quirinale, ma il suo armamento appare adesso meno possente di quando, nel febbraio scorso, ha conquistato con grande facilitá Palazzo Chigi, facendo chiaramente intendere che quella era solamente una tappa intermedia prima di fare rotta verso mari piú profondi.
D’altro canto, in quel di Montecitorio e di palazzo Madama, fra tenenti di vascello e capitani di fregata ci si diceva certi che Sir Drake fosse predestinato a sbarcare trionfalmente nel porto quirinalizio, dove commodori e contrammiragli di alto lignaggio gli avevano riservato un munitissimo ponte di comando, da cui avrebbe potuto comodamente tracciare le rotte per tutti i mari italiani. Anzi – aggiungevano i piú smaliziati – dopo il ritiro della corazzata del Quarto Reich (!), forse l’uomo del “Britannia” avrebbe potuto ambire a ricoprire un ruolo importante anche nella piú grande flotta europea.
Adesso, peró, la corazzata Draghi non sembra piú poter contare sull’appoggio del naviglio di quasi tutti gli schieramenti politici; e, se vorrá conquistare il Quirinale, dovrá rassegnarsi a navigare da sola o quasi, facendosi largo a cannonate tra le flotte imbaldanzire dei partiti e delle coalizioni. Ma, soprattutto, dovrá venire a capo degli ammutinamenti della bassa forza di moderati, grillini pentiti, transfughi assortiti e “minori” un po’ di tutti i partiti, terrorizzati dalla prospettiva che l’abbandono del porto di palazzo Chigi per quello del Colle Piú Alto possa causare la fine anticipata della legislatura.
In veritá, mentre tutti gli esperti in battaglie navali si sollazzano col pallottoliere, sommando i voti che i diversi schieramenti politici potrebbero mettere a disposizione dei rispettivi beniamini, quasi nessuno sembra prestare attenzione a questa massa di peones del mare che stanno caricando a pallettoni gli archibugi da franchi tiratori, decisi piú che mai a votare soltanto per un candidato che, una volta eletto, possa garantire che non scioglierá le Camere e non convocherá le elezioni fino all’ultimo giorno utile di questa malinconica legislatura.
Gli Ammutinati del Bounty sono oggi il gruppo parlamentare (informale) piú numeroso di Camera e Senato. Fra i 630 deputati e i 315 senatori, quanti sono coloro che hanno la quasi certezza di non tornare a sedere sulle auguste poltrone? Secondo me, non meno di 500. Bisogna calcolare innanzitutto quanti sono condannati a perdere il seggio per la riduzione di un terzo dei parlamentari, in numero di 335 (230 deputati e 115 senatori).
Poi c’é il grande bacino formato da grillini e da post-grillini sciamati via, i trafelati resti di quel baldanzoso esercito che aveva varcato i portoni dei palazzi del potere con numeri da capogiro: 339 eletti, 227 alla Camera e 112 al Senato. Per loro, oltre al sacrificio di un terzo sull’altare della loro stessa demagogia, c’é da calcolare lo squagliamento vaticinato dai sondaggi preelettorali, che li vedono precipitare dall’incredibile 36% del 2018 ad una previsione che oggi si aggira attorno al 15%.
Non se la passano bene neanche quelli di Forza Italia. Pure loro, oltre alla decimazione imposta dalla riduzione dei parlamentari, dovranno affrontare un salasso non da poco, dovendo passare – secondo i sondaggisti – dal 14% del 2018 ad un prevedibile 8% nel 2023.
Infine v’é una pletora di centristi in cerca di sistemazione, di ex-grillini variamente accasati, di “responsabili” alla frutta, di sedicenti indipendenti e di peripatetici dei gruppi parlamentari minori, la cui unica e pur remota speranza di tornare a Montecitorio o a palazzo Madama é riposta in una agognata riforma proporzionalista del sistema elettorale; riforma altamente improbabile, atteso che le due coalizioni di centro-destra e centro-sinistra sono contrarie.
In totale, dunque, una ciurma di circa 500 marinai della politica, fermamente decisi a difendere quel che resta della legislatura dalle insidie del dopo-elezioni presidenziali, e disponibili ad arruolarsi (magari soltanto temporaneamente) sotto le bandiere di qualunque ammiraglio che possa conservar loro il posto sul cassero per un ultimo anno di navigazione.
Fra questi 500 o giú-di-lí l’ammiraglio Berlusconi intende andare a cercare i voti che gli mancano. Offrendo non giá ricompense in dobloni, come suggeriscono i suoi detrattori, bensí la garanzia di prosecuzione della legislatura. Se io vado al Quirinale – é il ragionamento del Cavaliere – garantisco il sostegno al governo Draghi fino all’ultimo giorno utile del 2023. E se Draghi resta al governo, la legislatura dura. Se invece al Quirinale dovesse andare Sir Drake, si dovrebbe formare un nuovo governo, e questo non reggerebbe ai contrasti fra i partiti, contrasti fatalmente acuiti da una campagna elettorale alle porte.
É un discorso, quello dell’ammiraglio Silvio, che é come musica per le orecchie di ammutinati e congiurati. Il guardiamarina Letta lo sa, e questo spiega le sue bordate disperate per ottenere che la corazzata del centro-destra cambi comandante. Certo, tutto si aggiusterebbe se la corazzata Mattarella si decidesse a restare alla fonda del Quirinale ancóra per un annetto. Anche in questa ipotesi, infatti, il governo Draghi rimarrebbe al suo posto e la legislatura farebbe il suo corso.
Quello che oggi appare arenato sul bagnasciuga é proprio Sir Drake, che nessuno (tranne la Meloni) vorrebbe veder traslocare da palazzo Chigi.
Intanto il mare si agita, le onde si alzano, e all’orizzonte compaiono nuove imbarcazioni: il brigantino Amato, il dragamine Gentiloni, la corvetta Casini e, ancóra una volta, il vecchio e rabberciato galeone Prodi.
La battaglia navale é solo all’inizio…
Michele Rallo