La Cina è minacciata da USA e suoi alleati… Sarà guerra?

Stati Uniti ed alleati continuano a battere i tamburi di guerra nei confronti della Cina, ma quanto è grave questo? Porterà davvero alla guerra, o è semplicemente un atteggiamento volto a dare agli Stati Uniti la posizione più favorevole sull’altra parte della Cina in piena ascesa? Si avvicina un punto di svolta critico identificato da anni dai pianificatori di guerra statunitensi, in cui la potenza economica e militare della Cina supererà irreversibilmente gli Stati Uniti e il centro del potere globale si sposterà pure irreversibilmente da ovest a est creando un equilibrio di potere globale invisibile da secoli. Una finestra di opportunità che si chiuderà tra il 2025 e il 2030 consente agli Stati Uniti di condurre una guerra limitata contro la Cina, con un risultato favorevole per Washington. 

Oltre a ciò, gli Stati Uniti si ritroveranno sopraffatti e qualsiasi tentativo di frenare l’ascesa della Cina sarà inutile. La guerra di propaganda, e la guerra stessa che tale propaganda mira a giustificare e a raccogliere sostegno, è inequivocabile, in particolare per chi ha assistito a simili pr4ecedenti prima dell’invasione dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti nel 2003, o degli interventi militari degli Stati Uniti in Libia e Siria dal 2011. Un recente segmento di 60 Minutes Australia intitolato “Guerra con la Cina: siamo più vicini di quanto pensiamo?”, fondeva tale propaganda per diffamare il governo cinese, disumanizzare il popolo cinese e creare rabbia, paura, paranoia, sfiducia e odio nei cuori e menti del pianeta per giustificare quella che sarebbe per il 21° secolo una guerra senza precedenti. Per gli Stati Uniti, una guerra con la Cina sarebbe la prima del genere, una guerra con un concorrente pari o quasi dotato di armi nucleari. 

Eppure i pianificatori di guerra statunitensi sono abbastanza fiduciosi che il conflitto sia confinato all’Asia orientale, rimanga convenzionale e veda un esito favorevole per gli Stati Uniti che si assicurerebbero il primato sull’Asia per decenni. Una vittoria per gli Stati Uniti non sarebbe di natura militare, ma dipenderebbe piuttosto da “fattori non militari” e si concentrerebbe su sconvolgimento e arretramento dell’economia cinese e quindi sul potere che spinge la Cina oltre gli Stati Uniti in questo momento.

Il piano di guerra degli Stati Uniti prende vita
Tali conclusioni furono presentate in un documento della RAND Corporation del 2016 intitolato “Guerra con la Cina: pensare coll’impensabile”, commissionato dall’Ufficio del sottosegretario dell’esercito e realizzato dal programma di strategia, dottrina e risorse del RAND Arroyo Center. Il rapporto rileva che RAND Arroyo Center fa parte della RAND Corporation ed è un centro di ricerca e sviluppo finanziato dal governo federale e sponsorizzato dall’esercito degli Stati Uniti. Il rapporto rileva che il vantaggio militare degli USA è in declino nei confronti della Cina, ma espone anche diverse realtà che li favorirebbero in caso di ostilità. Si afferma a pagina 9 del documento PDF: “Noi postuliamo che una guerra sarebbe regionale e convenzionale. 

Sarebbe condotta principalmente da navi sopra e sotto il mare, da aerei e missili di ogni tipo, e nello spazio (contro i satelliti) e nel cyberspazio (contro i sistemi informatici). Partiamo dal presupposto che i combattimenti inizieranno e rimarranno nell’Asia orientale, dove si trovano potenziali punti di scontro sino-americani e quasi tutte le forze cinesi”. Il documento della RAND ammetteva che le forze cinesi sono concentrate nel territorio cinese e che praticamente tutti i focolai che potrebbero innescare un conflitto si trovano ugualmente nella regione. Ciò implica che le forze statunitensi dovrebbero essere più o meno sulle coste cinesi e le rivendicazioni regionali, e insistere nell’interferire nelle controversie regionali o intervenire nelle questioni tra Taiwan e la Cina continentale.

La questione nucleare
Molti pensano che qualsiasi guerra tra Cina e Stati Uniti si trasformerebbe in scambio nucleare. Tuttavia, questo è improbabile se non nelle condizioni più estreme. Sulla guerra nucleare e convenzionale, il documento RAND fa un’argomentazione convincente, affermando: “È improbabile che vengano utilizzate armi nucleari: anche in un conflitto convenzionale intensamente violento, alcuna delle parti considererebbe le perdite così gravi, le prospettive così terribili o la posta in gioco così vitale da correre il rischio di una devastante rappresaglia nucleare utilizzando per prima le armi nucleari. Presumiamo inoltre che la Cina non attaccherebbe gli Stati Uniti, se non attraverso il cyberspazio, data la capacità minima di farlo con armi convenzionali. Al contrario, gli attacchi non nucleari statunitensi contro obiettivi militari in Cina potrebbero essere estesi”. Il rapporto studia una finestra di opportunità iniziata nel 2015 e che si estende fino al 2025. Gli sviluppi attuali sembrano indicare che gli Stati Uniti potrebbero vedere questa finestra estendersi al 2030, incluso il recente annuncio dell’alleanza “AUKUS” in cui Stati Uniti e Regno Unito costruiscono per l’Australia i sottomarini a propulsione nucleare che sarebbero in funzione e pronti a partecipare a tale conflitto all’inizio degli anni ’30.

Gli Stati Uniti possono scambiare pesanti perdite militari per la rovina economica della Cina
In una sezione intitolata “L’importanza dei fattori non militari”, il rapporto RAND osservava: “La prospettiva di una situazione di stallo militare significa che alla fine la guerra potrebbe essere decisa da fattori non militari. Questi dovrebbero favorire gli Stati Uniti ora e in futuro. Sebbene la guerra danneggerebbe entrambe le economie, i danni alla Cina potrebbero essere catastrofici e duraturi: nell’ordine di una riduzione del 25-35% del prodotto interno lordo (PIL) cinese in una guerra durata un anno, rispetto a una riduzione del PIL degli Stati Uniti dell’ordine di 5-10 percento. Anche un conflitto di lieve entità, se non si conclude prontamente, potrebbe indebolire l’economia cinese. Una guerra lunga e severa potrebbe devastare l’economia cinese, bloccare il suo sudato sviluppo e causare disagi e sconvolgimenti diffusi”. Considerando l’attuale forma delle relazioni USA-Cina, l’enfasi su economia e commercio e i persistenti, persino disperati tentativi degli Stati Uniti non solo di infliggere il maggior danno possibile all’economia cinese prima di un potenziale conflitto, ma anche i tentativi di “disaccoppiare” dall’economia cinese il più velocemente possibile potrebbe essere interpretato come legare un arto prima dell’amputazione.

Preparativi già in corso per sfruttare il danno economico della Cina
Il rapporto rileva gli effetti successivi del danno economico che tale conflitto infliggerebbe alla Cina. Aprirebbe la porta alle macchinazioni statunitensi già in corso per minare la stabilità sociale e politica della Cina per espandersi e fare danni enormi, forse anche minacciando la coesione della società cinese. Si afferma nello specifico: “Tale danno economico potrebbe a sua volta aggravare i disordini politici e incoraggiare i separatisti in Cina. Sebbene il regime e le sue forze di sicurezza presumibilmente possano resistere a tali sfide, ciò potrebbe richiedere maggiore oppressione, ridurre la capacità e minare la legittimità del regime cinese in una guerra molto difficile. Al contrario, le schermaglie partigiane negli Stati Uniti potrebbero ostacolare lo sforzo bellico ma non mettere in pericolo la stabilità della società, tanto meno la sopravvivenza dello Stato, non importa quanto lungo e aspro sia il conflitto, purché rimanga convenzionale. 
L’escalation della guerra cibernetica, sebbene dannosa per entrambe le parti, potrebbe peggiorare i problemi economici della Cina e impedire al governo di controllare una popolazione irrequieta”. La menzione dei “separatisti in Cina” è particolarmente importante. Tali gruppi, spesso composti da estremisti armati, sono supportati da una vasta rete internazionale finanziata dal governo degli Stati Uniti.

Il separatismo nelle regioni cinesi di Xinjiang e Tibet è apertamente sostenuto dal governo degli Stati Uniti ed è sponsorizzato da Washington per decenni. Il sito ufficiale del National Endowment for Democracy degli Stati Uniti elenca i suoi programmi per lo Xinjiang, in Cina, come “Xinjiang/Turkestan orientale”, “Turkestan orientale” è il nome separatista dello Xinjiang. Le organizzazioni elencate, tra cui Uyghur Human Rights Project e World Uyghur Congress, ammettono apertamente sui rispettivi siti di considerare lo Xinjiang, contrariamente al diritto internazionale, come “occupato” dalla Cina piuttosto che territorio della Cina. In una mossa che molto probabilmente sarebbe d’avvertimento di quanto si sia vicini a un conflitto provocato dagli Stati Uniti con la Cina, il dipartimento di Stato degli Stati Uniti cancellava dall’elenco il Movimento islamico del Turkestan orientale (ETIM) nel 2020 affermando che non era attivo da oltre un decennio. Tuttavia, per stessa ammissione degli Stati Uniti, le forze militari statunitensi colpirono obiettivi ETIM in Afghanistan solo nel 2018 e proprio quest’anno i rappresentanti dell’ETIM davano un’intervista alla rivista statunitense Newsweek. 

L’ETIM è ancora elencato da numerose nazioni e Nazioni Unite come organizzazione terroristica. I disordini economici, l’insurrezione armata e l’instabilità socio-politica sono fattori che gli Stati Uniti hanno apertamente tentato di imporre alla Cina per decenni e ancora tentano di collocare perzzi su tale obiettivo. Se dovesse scoppiare un conflitto, i pezzi sarebbero chiaramente già in atto per massimizzare la capacità di Washington di sfruttare i danni economici inflitti dal conflitto.

Mirare alle rotte commerciali della Cina

Il documento della RAND rileva specificamente l’impatto sul commercio cinese che avrebbe un conflitto convenzionale limitato all’Asia orientale. Il rapporto rilevava: “…mentre gli Stati Uniti hanno sensori sofisticati per distinguere obiettivi militari da non militari, durante la guerra si concentreranno su ricerca e monitoraggio dei primi; inoltre, l’ISR cinese è meno sofisticata e discriminante, soprattutto a distanza. Ciò suggerisce uno spazio aereo e marittimo molto pericoloso, che forse va dal Mar Giallo al Mar Cinese Meridionale. Supponendo che le imprese commerciali non cinesi preferissero perdere entrate su navi o aerei, gli Stati Uniti non avrebbero bisogno di usare la forza per fermare il commercio da e verso la Cina. 

La Cina perderebbe una notevole quantità di commercio che sarebbe necessaria far transitare nella zona di guerra. Gli Stati Uniti che minacciano espressamente la navigazione commerciale sarebbe provocatorio, pericoloso e in gran parte non necessario. Quindi non postuliamo alcun blocco degli Stati Uniti, in quanto tale”. Naturalmente, gli Stati Uniti hanno a disposizione una varietà di strumenti che usano regolarmente sulla scena internazionale per impedire il libero commercio. È un’ironia poiché Washington accusa spesso Pechino di “minacciare” tale commercio in regioni come il Mar Cinese Meridionale, mentre Washington effettivamente l’ostacola su scala globale.
NPR nel suo articolo del 2020, “Gli Stati Uniti sequestrano carburante iraniano da 4 petroliere destinate al Venezuela”, osservava: “Secondo l’Associated Press, citando funzionari statunitensi, alcuna forza militare fu utilizzata per il sequestro del carico e alcuna nave fu fisicamente sequestrata. Invece, i funzionari statunitensi minacciarono armatori, assicuratori e capitani di sanzioni per costringerli a consegnare il loro carico, riferiva l’AP”. 

A causa della ancora formidabile presa degli USA sui media internazionali, sarebbe estremamente facile affondare navi impegnate nel commercio e accusarne la Cina o affermare che sia accidentale. Non sarebbe necessario un blocco totale per scoraggiare il commercio nella regione, sarebbero necessari solo pochi esempi per l’autoconservazione delle compagnie di navigazione per ridurre di fatto il commercio. Un altro segnale di avvertimento preoccupante era il Pentagono che ristrutturava un ramo delle forze armate statunitensi, il Corpo dei Marines degli Stati Uniti, per combattere specificamente una sola nazione (Cina), in una regione molto specifica (Asia orientale), con tattiche molto specifiche (chiudendo gli stretti utilizzato per il commercio). Defense News in un articolo del 2020 intitolato “Ecco il piano del Corpo dei Marines degli Stati Uniti per affondare navi cinesi con droni lanciamissili”, affermava: “Il Corpo dei Marines degli Stati Uniti entra nel business dell’affondamento di navi e un nuovo progetto in fase di sviluppo mira a realizzarne i sogni di molestare la Marina dell’Esercito di Liberazione del Popolo”. 

L’articolo osservava: “Il capo dei requisiti e dello sviluppo del Corpo dei Marines, il tenente generale Eric Smith, dichiarò durante la Expeditionary Warfare Conference che i Marines vogliono combattere su un terreno di loro scelta e quindi manovrare prima che le forze possano concentrarsi contro di loro. “Sono mobili e piccoli, non cercano di arraffare un pezzo di terra e sedervisi”, disse Smith delle sue unità dei Marine. “Non cerco di bloccare uno stretto in modo permanente. Cerco di manovrare. Il concetto tedesco è “Schwerpunkt”, che consiste nell’applicare la giusta quantità di pressione e forza nel momento e nel luogo di tua scelta per ottenere il massimo effetto”. Il Corpo dei Marines degli Stati Uniti ha già smantellato tutti i carri armati in questa ristrutturazione che ha richiesto meno di un anno, a significare l’urgenza dei preparativi statunitensi. Gli Stati Uniti che attaccano navi in affollati stretti commerciali e creano un ambiente che paralizzi il commercio tra la Cina e il resto del mondo avrebbero un pesante impatto sull’economia cinese. A pagina 67 del documento PDF, RAND include una rappresentazione grafica delle perdite previste del PIL della Cina rispetto agli Stati Uniti, fornendoci un motivo convincente agli Stati Uniti per intraprendere una guerra che sanno subire pesanti perdite militari, ma emergeranno economicamente più forte della Cina che altrimenti, salvo tale conflitto, supererà gli Stati Uniti in questa finestra di opportunità.

La Cina lo sa, ma può batterli in tempo?

È ovvio che la Belt and Road Initiative (BRI) della Cina è un tentativo di diversificarsi dalle rotte commerciali Asia-Pacifico, che gli Stati Uniti chiaramente si preparano ad attaccare e interrompere. Gli oleodotti che attraversano il Pakistan col corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC) e il Myanmar fino a Kunming nella provincia dello Yunnan aiuterebbero a portare gli idrocarburi diretti in Cina dal Medio Oriente senza attraversare le acque che gli Stati Uniti potrebbero interrompere nel conflitto che chiaramente preparano. Tuttavia, tali rotte alternative sono già sotto attacco. I separatisti sponsorizzati dagli Stati Uniti che operano nella provincia sudoccidentale del Pakistan del Baluchistan attaccano e uccidono regolarmente ingegneri cinesi e le infrastrutture. 

Le proteste organizzate dai gruppi di opposizione sponsorizzati dagli Stati Uniti hanno come obiettivo il porto di Gwadar, il terminal del CPEC. Solo quest’anno, France 24 avrebbe segnalato ad aprile un attentato contro un hotel in cui si trovava l’ambasciatore cinese in Pakistan, ma che fortunatamente non c’era al momento dell’attentato. A luglio, la BBC ha riferito che 9 ingegneri cinesi che lavoravano a progetti CPEC furono uccisi in un attacco mirato. E secondo Reuters, ad agosto, 2 bambini furono uccisi da un attentato suicida contro ingegneri cinesi in Baluchistan. I gruppi di opposizione sostenuti dagli Stati Uniti attaccano gli investimenti cinesi in Myanmar da quando i militari hanno estromesso il regime cliente degli Stati Uniti guidato da Aung San Suu Kyi e dalla sua Lega nazionale per la democrazia (NDL). 
La CNN riferiva a marzo, appena un mese dopo che l’esercito prese il sopravvento, che l’opposizione incendiava fabbriche cinesi. Il media di opposizione del Myanmar finanziato dal governo degli Stati Uniti, The Irrawaddy, pubblicava un articolo a maggio intitolato “L’attacco mortale alla stazione della pipeline mette in luce gli alti livelli della Cina in Myanmar”, affermando: “L’importanza del progetto fu sottolineata a febbraio, quando i funzionari cinesi ebbero una riunione di emergenza coi funzionari del Myanmar, durante cui esortarono il regime militare a rafforzare le misure di sicurezza degli oleodotti. Affermavano che il progetto è una parte cruciale della Belt and Road Initiative (BRI) di Pechino in Myanmar e insistevano sul fatto che “qualsiasi danno agli oleodotti causerebbe enormi perdite per entrambi i Paesi”. 
La richiesta si aveva be crescente sentimento anti-cinese in Myanmar, dove i manifestanti, irritati dal blocco da parte di Pechino degli sforzi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) d’agire contro i golpisti, minacciavano di far saltare gli oleodotti”. L’articolo si concludeva citando un giornalista svedese che affermava: “Non sarebbe una sorpresa se, ad esempio, venissero sferrati attacchi contro gli oleodotti, affermava. “E gli atteggiamenti non cambieranno se il governo cinese non interromperà il sostegno all’esercito del Myanmar. Dovrebbe essere una vera preoccupazione”.

Lo Xinjiang, in Cina, funge anche da punto critico per la BRI cinese e possiamo vedere chiaramente gli Stati Uniti promuoverne il separatismo Il recente “Tribunale uiguro” organizzato dal summenzionato Congresso mondiale uiguro finanziato dagli Stati Uniti mira a minare ulteriormente gli sforzi di Pechino per contrastare il separatismo sponsorizzato dagli Stati Uniti nello Xinjiang esercitando ulteriori pressioni internazionali sulla Cina per l’attuazione delle misure di sicurezza necessarie per impedirlo. I continui attacchi sponsorizzati dagli Stati Uniti alla BRI cinese, l’accumulo militare guidato dagli Stati Uniti lungo le coste cinesi e la guerra di propaganda che gli Stati Uniti conducono per controllare le narrazioni su entrambi, rappresentano una corsa contro il tempo di Washington e Pechino. Per Washington, tenta di creare le condizioni in cui le previsioni della RAND sulla devastazione economica della Cina a seguito del conflitto convenzionale confinato all’Asia orientale possa trasformarsi in realtà. Per Pechino, cerca di far scadere il tempo e assumere il potere economico, militare e politico di cui ha bisogno per scoraggiare completamente qualsiasi conflitto e assumere la posizione di economia più grande e potente sulla Terra. 
A parità di condizioni, la Cina ha la popolazione più numerosa del mondo, una popolazione laboriosa e ben istruita. Le istituzioni educative cinesi producono milioni di laureati in scienze, tecnologia, ingegneria e matematica in più rispetto agli Stati Uniti ogni anno. Le massicce reti commerciali della Cina assicurano che la sua economia abbia molte risorse. Dovrebbe diventare la prima economia. E solo una guerra di aggressione, scelta da Washington, impedirà che ciò avvenga. La politica estera degli Stati Uniti nel 21° secolo ha dimostrato la loro vera natura su ciò che i politici di Washington dicono a parole dai podi o i media su un “ordine internazionale basato su regole”. L’unica regola che si vede confermata in modo dimostrabile è “poter rimediare”. 

Solo il tempo dirà se gli Stati Uniti “aggiustano” o meno la loro nazione piccola con un’economia ancor più piccola aggrapparsi al primato sulla Cina per decenni prima che non abbia più la “potenza” per far ciò.

Brian Berletic,  ricercatore geopolitico e autore di Bangkok, in particolare per la rivista online “New Eastern Outlook“: https://journal-neo.org/2021/09/27/us-war-plans-with-china-taking-shape/

Traduzione di Alessandro Lattanzio: http://aurorasito.altervista.org/?p=20015

Articolo collegato: http://aurorasito.altervista.org/?p=19970

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