Ritiro USA dall’Afghanistan… – Mossa strategica “democratica” (a tutto svantaggio di Cina e Russia e repubbliche ex sovietiche)
Dopo più di 19 anni di guerra fallita contro i taliban, il ritiro precipitoso dei nordamericani dall’Afghanistan assomiglia molto alla situazione di Saigon nel 1975, dopo la sconfitta degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam. Oltre alla partenza delle truppe statunitensi, Washington dice anche che c’è la possibilità che sua costretta a evacuare il personale diplomatico in caso di un’escalation dell’aggressione antiamericana dai taliban e, secondo il Wall Street Journal, già elabora piani di emergenza.
Come sottolinea il quotidiano pakistano The Nation, l’esercito nazionale afghano, armato e “addestrato” dagli Stati Uniti, abbandona equipaggiamento militare e armi ai taliban a un ritmo allarmante, con interi battaglioni che si ritirano senza combattere in vista dell’imminente collasso del governo mentre le forze statunitensi e della NATO continuano a ritirarsi dal Paese. Nell’annuncio sul ritiro delle truppe, diffuso ad aprile, Joe Biden, pur riconoscendo di essere impotente a controllare la situazione causata dalle politiche fallimentari degli Stati Uniti in Afghanistan, invitava Russia, Cina, India e Pakistan a “fare un passo” e fare di più per “sostenere l’Afghanistan”.
Il generale Austin S. Miller, comandante delle forze statunitensi in Afghanistan, criticò Biden ed ammise che i taliban lanciano operazioni sempre più grandi nel Paese e potranno tentare di prendere il potere nonostante i colloqui di pace cogli Stati Uniti. Parlando nella base aerea di Bagram all’emittente statunitense ABC, Miller descrisse la situazione della sicurezza in Afghanistan come insoddisfacente. Ripetè la dichiarazione secondo cui non crede che nessuno possa vincere nel Paese con mezzi militari. Tuttavia, aggiunse, le cose si fanno pericolose e “assistiamo a una situazione che non sarà buona per l’Afghanistan”, con tutte le condizioni per una rivoluzione che provochi altro sangue nell’eterno conflitto afghano. A seguito della valutazione così critica delle politiche dell’amministrazione statunitense, non sorprende che il 3 luglio Lloyd Austin, ministro della Difesa statunitense, agendo chiaramente su istruzioni della Casa Bianca, annunciasse la rimozione del generale Miller dall’incarico a capo della missione in Afghanistan, e la sua sostituzione col generale Frank McKenzie, capo del comando centrale degli Stati Uniti.
Nel frattempo, il 2 luglio le ultime truppe statunitensi e alleate lasciavano Bagram, la loro base chiave 60 km a nord-ovest di Kabul, e dopo la chiusura rimaneva solo un migliaio di truppe statunitensi nel Paese, col compito di presidiare l’aeroporto di Kabul e l’ambasciata degli Stati Uniti. E secondo l’Associated Press il loro numero potrà presto scendere a c650 (tuttavia, Washington non disse nulla sulle dimensioni delle compagnie militari private USA e NATO rimaste in Afghanistan). Mentre le truppe di Stati Uniti e NATO se ne vanno, le forze taliban intensificavano gli attacchi e chiaramente avanzavano guadagnando nuovi territori giorno dopo giorno. Temendo le violenze dei taliban negli ultimi giorni, i soldati dell’esercito governativo fuggivano e in diverse occasioni cercavano salvezza oltre il confine nella vicina Asia centrale. Ad esempio, il 22 giugno più di 130 soldati afgani passarono in Tagikistan a seguito di una battaglia contro i taliban, il 23 giugno più di 50 guardie di frontiera afgane e combattenti della resistenza passarono in Uzbekistan, mentre il 5 luglio più di mille soldati della l’esercito governativo passavano in Tagikistan in cerca di rifugio. Questi valichi di frontiera e l’attività dei taliban nelle province settentrionali del Paese ponevano preoccupazioni in Asia centrale, Russia e Cina. Tra gli altri leader, Emomali Rahmon, Presidente del Tagikistan, è attualmente impegnato nei negoziati su questo tema con Shavkat Mirzijoev e Kassym-Jomart Tokaev, omologhi di Uzbekistan e Kazakistan. E il 2 luglio i capi dei Ministeri degli Interni di Afghanistan e Tagikistan, Mirwais Nab e Muzaffar Huseinzod, si incontravano a Tashkent per discutere della situazione nel nord dell’Afghanistan.
In considerazione della situazione, l’evacuazione urgente dei cittadini afgani che collaborarono cogli Stati Uniti durante la missione in Afghanistan fu oggetto di discussioni particolarmente accese. Secondo Washington, erano 18000. Recentemente il presidente degli Stati Uniti Joe Biden notò che non sarebbe rimasto indietro. “Saranno i benvenuti qui proprio come chiunque altro abbia rischiato la vita per aiutarci”, disse durante la visita a Washington di una delegazione afgana guidata dal presidente Ashraf Ghani. Si propone che gli interpreti afghani e altro personale ricevano visti speciali di immigrazione che gli consenta di richiedere lo status di asilo negli Stati Uniti. Il Congresso degli Stati Uniti limitò il numero totale di visti per rifugiati e migranti a 26000, ma a giugno Anthony Blinken chiese che ne fossero approvati altri 8000. Secondo Bloomberg, circa 9000 persone già presentavano domanda. In risposta ai problemi posti dalla situazione, gli Stati Uniti contattavano i leader di tre paesi dell’Asia centrale, Kazakistan, Uzbekistan e Tagikistan, chiedendogli di impegnarsi a fornire un rifugio temporaneo a 9000 cittadini afgani che avevano assistito gli Stati Uniti nella lotta ai taliban. Come riportato da Bloomberg, Washington sperava che questi accordi facciano parte di un accordo per stabilire una cooperazione tra Stati Uniti e nazioni dell’Asia centrale, che riguarderà questioni sulla regolamentazione della situazione in Afghanistan.
L’accordo proposto fa chiaramente parte del Piano B degli Stati Uniti, che gli consenta di mantenere una presenza militare nella regione nonostante il ritiro dall’Afghanistan. I partecipanti ai negoziati sottolineavano che la categoria degli “afghani che aiutarono gli USA “non è ristretta al personale tecnico delle basi militari, come si potrebbe supporre, ma comprende anche miliziani indipendenti (o “arbaki”) che si oppongono ai taliban e che furono addestrati e armati dagli Stati Uniti. Tra questi combattenti locali che non fanno rapporto al governo ed ex-taliban e terroristi dello SIIL.
Washington chiaramente aveva imparato dall’esperienza della Turchia in Siria e intende in futuro affidarsi a tali “nuove forze” nella regione, che formeranno il nucleo di una milizia indipendente “arbaki” nel nord dell’Afghanistan che non dovrà allearsi al governo di Kabul, non più sostenuto dagli afghani. Questa nuova forza servirà anche a fare pressione sui taliban o altri attori regionali nel caso in cui Paesi come Cina o Pakistan inviino truppe in Afghanistan. Naturalmente, queste “nuove forze” avranno bisogno di basi in Asia centrale, e mentre apparentemente cercano di organizzare “campi profughi” il vero obiettivo degli Stati Uniti è stabilire tre basi militari in Kazakistan, Uzbekistan e Tagikistan.
Gli Stati Uniti vogliono anche assicurarsi di avere accesso a queste strutture per fornire supporto umanitario, o almeno così affermano, in realtà è probabile che verranno utilizzate per coordinare le operazioni della nuova lega anti-talebana. Questi “campi” sono anche destinati a fungere da centri di intelligence elettronica, ufficialmente allo scopo di monitorare la situazione in Afghanistan, ma che potrebbero essere utilizzati anche per spiare Russia e Cina. Kazakistan, Uzbekistan e Tagikistan già informavamo Washington che rifiutano di ospitare basi militari statunitensi, ma i nuovi “accordi” promossi dagli Stati Uniti prevedono ancora la creazione di basi, anche se dal nome diverso. Mosca e Pechino respinsero tali proposte di Washington e la loro opposizione è naturale poiché consentire agli Stati Uniti di stabilire basi militari di fatto e dotarli di capacità di intelligence in Asia centrale sarà una grave violazione degli obblighi nelle Organizzazione di Cooperazione di Shanghai e Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). La situazione attuale è complicata anche dal fatto che le nazioni dell’Asia centrale hanno tradizionalmente, e non senza ragione, temuto incursioni da militanti e organizzazioni terroristiche dall’Afghanistan, o dal Medio Oriente attraverso l’Afghanistan. Ciò include non solo i taliban, ma anche centroasiatici unitisi a varie organizzazioni terroristiche o estremiste, inclusi gruppi anti-taliban.
Gli USA sperano di approfittare della visita a Washington di Abdulaziz Kamilov, Ministro degli Esteri uzbeko, e di Sirojiddin Muhriddin, omologo tagiko, per la firma dell’accordo.
Secondo Bloomberg, Washington insiste affinché queste nazioni le consentano di svolgere operazioni di intelligence dal loro territorio, utilizzandole così come punti di influenza nella regione dopo il ritiro dall’Afghanistan. Per rassicurare Russia, Cina e i Paesi dell’Asia centrale, la Casa Bianca affermava che mentre si valutano le domande di reinsediamento negli USA, si valutano anche altre opzioni di asilo temporaneo in Paesi terzi. Le località proposte includono l’isola del Pacifico di Guam. Tuttavia, Washington non disse alle nazioni dell’Asia centrale o a chiunque altro ciò che accadrà agli afghani a cui viene rifiutato il SIV negli Stati Uniti, nel frattempo molti afgani vivranno già nei cosiddetti “campi profughi”.
Le nazioni dell’Asia centrale, così come Russia e Cina, espressero preoccupazione per la situazione in Afghanistan. La Cina ha un confine di 76 chilometri con l’Afghanistan e a maggio Wang Yi, Ministro degli Esteri cinese, avvertiva che il “precipitoso ritiro” degli Stati Uniti dall’Afghanistan “influirà gravemente sul processo di pace” e “avrà un effetto negativo sulla stabilità regionale”. Il 2 luglio Sergej Lavrov, Ministro degli Esteri russo ribadiva la preoccupazione per la situazione in Afghanistan, avvertendo che i jihadisti dello SIIL chiaramente si radunavano nel nord dell’Afghanistan, aggiungendo che Mosca discuterà di tale situazione cogli alleati nella CSTO.
Il rapido deterioramento della situazione della sicurezza sollevava timori che gli Stati Uniti cerchino di far impantanare Russia, Cina e repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale in un lungo conflitto in Afghanistan.
Vladimir Danilov
Traduzione di Alessandro Lattanzio – http://aurorasito.altervista.org/?p=18542