Recovery Fund – Il teatrino continua…

Altro che vittoria… Il Consiglio Europeo della settimana scorsa ci ha cucinati a fuoco lento, spremendoci fino all’osso e ottenendo da noi quello che mai nessun governo italiano avrebbe potuto concedere apertamente; e cioè una formale delega all’Unione Europea perché possa sostituirsi ai governanti italiani nel determinare le linee-guida della nostra politica sociale ed economica: tasse, pensioni, eccetera. Lo stesso meccanismo – sia pur abilmente mascherato – che ha consentito a quei figli di Troika di massacrare la Grecia.
All’Italia hanno permesso di salvare la faccia. O, meglio, lo hanno permesso al Presidente del consiglio Conte. Il quale Conte é tornato in Italia atteggiandosi a “duro”, come colui che aveva sventato la manovra del pirata olandese (tutti olandesi i piú cattivi pirati della storia, da L’Olonese in giú!), resistendo sulla “linea rossa” e riuscendo a “portare a casa” – secondo la sua personale previsione – ben 209 miliardi di euro. «Chi omo», avrebbe detto Leo Gullotta.

I festeggiamenti sono durati due giorni interi, scanditi dagli squilli di tromba dei telegiornali e dalle odi dei giornaloni mainstream. Il Conte Tacchia era in brodo di giuggiole, mentre il fratello di Montalbano distribuiva zeppole a destra e a manca, e mentre anche Giggino O’ Guaglione (oramai capo riconosciuto della fronda interna contro Giuseppi) era costretto a genuflettersi davanti alla “vittoria storica in Europa”.

Poi, a poco a poco, la cruda realtá ha cominciato a venire fuori. Se ne sono accorti dapprima quelli dell’opposizione, che in un primo tempo erano stati piuttosto guardinghi. A seguíre, i piú smaliziati esperti di cose economiche, anche se pochi di loro hanno avuto il coraggio di mettere nero su bianco. Adesso anche molti politici del campo governativo sembrano essersi resi conto che si é trattato solamente di un grande bluff made in Germany.

Vediamo – sia pure per sommi capi – di ricostruire l’intera vicenda. Primo tempo: debitamente mascherati e sgomitanti, arrivano a Bruxelles i capi di governo dei 27 paesi dell’Unione. Sul tavolo, la proposta di compromesso del Recovery Fund suggerita dalla signora Merkel; con lo scodinzolante Macron ad atteggiarsi a comprimario (ma non ci crede neanche lui). Il compromesso prevede 750 miliardi di erogazioni da ripartire fra tutti i paesi dell’Unione (Germania compresa): 500 miliardi come contributi a fondo perduto, e 250 miliardi come prestiti. Súbito, a beneficio dei giornalisti, si accende lo scontro sui 500 miliardi a fondo perduto, giudicati eccessivi dagli spilorci (Olanda, Austria, eccetera) ed irrinunciabili dai paesi maggiormente colpiti dal Covid-19 (Italia, Spagna, eccetera). La questione non é di lana caprina: i prestiti, infatti, faranno lievitare il debito pubblico dei beneficiari, ed andranno comunque restituiti.

Primo tira e molla: Conte, Sanchez e gli allegri compagni della foresta rinunciano senza batter ciglio a 100 miliardi di contributi, con 100 miliardi in piú di prestiti (e di debiti); Rutte, Kurz e i pirati della Tortuga tengono duro.

La Merkel – che gioca a fare il “poliziotto buono” della situazione – lascia trapelare il timore che il mancato accordo possa determinare «la fine dell’Europa». Ma é soltanto una finzione.

Secondo tempo: una ulteriore mediazione sposta 10 miliardi dai contributi ai prestiti, e il gioco é fatto. Rien ne va plus: 390 miliardi a fondo perduto e 360 miliardi da restituire. E, con queste cifre, taccagni e spendaccioni fanno ritorno in patria, atteggiandosi tutti a vincitori.

Ma la realtá delle cose, invero, é assai piú complessa. Il vero braccio-di-ferro della trattativa non ha riguardato tanto gli importi da agitare davanti al naso dei creduloni, quanto piuttosto le condizionalitá con cui tutte le somme saranno o non saranno erogate.

Gli olandesi avevano chiesto che ogni decisione venisse assunta all’unanimitá, in modo da avere un vero e proprio diritto di veto. Ma si trattava della solita battutaccia del poliziotto cattivo, in modo da consentire alla Merkel di scodellare il previsto compromesso del poliziotto buono: per negare gli aiuti a un paese, ci sará bisogno di un voto che rappresenti almeno il 35% dei cittadini europei. Percentuale irraggiungibile per i 4 o 5 paesi “frugali”; ma – nessuno ha mostrato di accorgersene – facilmente ottenibile se al voto dei taccagni dovesse aggiungersi quello della Germania. In parole povere, Berlino sará in condizione di bloccare ogni singolo euro (di contributi o di prestiti) spettante all’Italia e agli altri paesi in difficoltá.

Tutto questo, perché il Consiglio Europeo dell’altro giorno non ha deliberato altro che regole, criteri, verifiche, condizionalitá. Nulla di certo, nulla di deciso, nemmeno la fantasiosa distribuzione immaginata da Giuseppi e che dovrebbe assegnarci gli sperati 209 miliardi di elargizioni assortite.
Di certo c’é solamente un fascicoletto di 67 pagine che destina i fondi a progetti che possano concretamente favorire la ripresa post-Covid, fissando le “regole” che dovranno presiedere alla assegnazione di prestiti e contributi. Il passaggio-chiave é quello di cui al punto 19 del documento: «i piani per la ripresa e la resilienza – cito da “La Stampa” – sono valutati dalla Commissione entro due mesi dalla presentazione delle domande. Nella valutazione, il punteggio più alto é per la coerenza con le raccomandazioni specifiche per Paese.»

In altre parole: per ottenere gli aiuti, l’Italia (o la Spagna, o la Romania, o qualsiasi altro paese) dovrá dimostrare di aver ottemperato alle “raccomandazioni” che ci giungono da Berlino, via Bruxelles. E queste raccomandazioni – ovvero “le riforme che l’Europa ci chiede” – sono quelle che devono impoverire il popolo italiano (e gli altri popoli europei del sud e dell’est).

La Kanzlerin – come piú volte ho riferito su queste stesse pagine – contesta che, a fronte dell’alto debito pubblico del loro Stato, i cittadini italiani siano mediamente piú ricchi dei cittadini tedeschi. In particolare, la fatona dai capelli di stoppia non digerisce che moltissimi italiani siano proprietari della casa che abitano e, in diversi casi, anche di una seconda casa per le vacanze; cosí come non sopporta che gli italiani – almeno quelli che possono permetterselo – risparmino e mettano i soldi sul conto in banca; cosí come, ancóra, non riesce a mandar giú tante altre cose (la nostra robusta riserva aurea, l’etá pensionabile incredibilmente giudicata non abbastanza alta, alcune misure straordinarie di sostegno alle fasce piú deboli, eccetera). Per la Cancelliera del Quarto Reich dovrebbero essere gli italiani a pagare il debito pubblico dello Stato, piú di quanto giá non facciano attraverso una imposizione fiscale che é la piú alta d’Europa. E come spremere ancora di piú gli italiani? Facile immaginarlo: con una patrimoniale di ferro, con la riduzione all’osso delle pensioni, con l’affamamento degli impiegati statali, con la riduzione della spesa sociale. In una parola: come hanno fatto in Grecia.

Il meccanismo attraverso cui arrivare a questo risultato é giá insito nel Recovery Fund, e reso piú pressante dall’aumento dei prestiti e dalla riduzione dei contributi a fondo perduto. Dal 2027, infatti, dovremo cominciare a restituire le somme avute in prestito; e, da súbito, dobbiamo programmare (e certificare all’UE) dove andremo a tagliare per recuperare le somme da restituire. Secondo le voci di corridoio, i tecnici di Gualtieri (il piú merkeliano dei ministri italiani) avrebbero giá individuato i primi capitoli da aggredire: pensioni (con l’abolizione di quota 100) e assistenza (con l’abolizione del reddito di cittadinanza). Gli ottimisti sperano che, offrendo fin da ora a Bruxelles queste due “riforme che l’Europa ci chiede”, l’Italia possa essere giudicata coerente con le ricordate «raccomandazioni specifiche per Paese».

Ma – come dicevo – si tratta solamente di ottimisti. Il disegno é quello di assoggettarci del tutto ai capriccetti della Cancelliera, fino a quando i cittadini italiani non saranno completamente ridotti in miseria.

Una sola differenza rispetto al caso della Grecia. Lí le “riforme” erano scritte direttamente dalla Troika. Qui, invece, le riforme potrebbero scriverle i politici italiani, beninteso sotto dettatura tedesca.

Michele Rallo – ralmiche@gmail.com

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