Voci femminili dall’Italia repubblicana
Sono trascorsi 74 anni da quel 2 giugno 1946 che segnò una svolta nella storia del nostro Paese. La Repubblica prevalse sulla Monarchia, anche se con un margine più risicato di quanto si pensasse. La guerra era da poco conclusa e si tentava, a fatica, una riconciliazione, una necessaria pacificazione affinché il Paese guardasse con serenità al futuro. E il futuro passava anche da un fatto nuovo e di portata storica: il suffragio alle donne. Per la prima volta le donne entrarono a pieno titolo – e finalmente – nella storia politica del Paese. Donne che avevano rivestito un ruolo di prim’ordine durante la guerra, così come nella lotta partigiana; donne che continueranno a rappresentare un punto di riferimento imprescindibile per un’Italia ferita ma che aveva voglia e bisogno di rialzarsi in fretta. Un’Italia che, lacerata e divisa, si affidava proprio alle donne per decidere il suo futuro politico.
E saranno allora proprio le voci di donne che ci arrivano dall’Italia Repubblicana che leggeremo insieme oggi, donne che hanno dato un contributo fondamentale nella costruzione della nuova Italia nonostante, come vedremo, fosse ancora ampio il ritardo che, nella politica come nella società, pagavano rispetto al ruolo degli uomini.
Un 2 giugno tutto al femminile dunque, quello che vogliamo onorare oggi insieme a voi; una Festa della Repubblica che vogliamo celebrare partendo dalle parole di Maria Rosaria Tradardi, la cui memoria è conservata qui nella Città del diario:
Maggio 1946
La nostra città, da giorni, è tappezzata di manifesti tutti bianchi o colorati che insegnavano ai cittadini italiani, addormentati dalla dittatura fascista, come dovranno fare per votare. E, finalmente, per la prima volta nella storia del nostro paese, anche alle donne è stato concesso di poter manifestare, con il voto, le proprie idee politiche. I manifesti, appiccicati dovunque, danno solo un tono di festosità che però contrasta con i muri deturpati dalle bombe. Secondo me, i suggerimenti politici servono a poco o niente. Il Padreterno ha fornito uomini e donne di un cervello, una cosa propria, e ciascuno ha il diritto di servirsene a proprio uso e consumo. Quello che dimostreranno nelle prossime elezioni.
L’invito a votare per questo o per quello, secondo il parere anche dei miei e di tanta altra parte del cosiddetto popolino, che non andrebbe peraltro troppo bistrattato, tale invito, torno a ripetere io, serve proprio a niente.
Anche “le fontane” sfornano dei pareri, quelli di sole donne; li racconta mia madre in famiglia: “Non se vergognano a buttà via tanti soldi quando ancora ce sta tanta miseria in giro?”. “Come ce cucineronno dopo le elezioni con tanti partiti in circolazione ogghj”
2 giugno 1946
I miei sono andati a votare di mattina presto. Io mi chiedo se con i miei quattordici anni faccio parte o meno di questa società. Perché non posso esprimere il mio pensiero politico che, peraltro ce l’ho ben nitido? Lo so, occorre aver compiuto la maggiore età. Ma è stato trovato un indicatore per misurarla? Oggi sono, meglio, mi sento, un po’ menomata. Mi par d’essere, non una persona vivente, ma qualcosa di insignificante…
20 giugno 1946
Ormai è certo. Gli italiani hanno scelto la Repubblica. Per l’Assemblea Costituente, il principale partito a cui sono andati i voti degli italiani, è risultata la democrazia cristiana, il partito guidato da Alcide De Gasperi. Segue il partito socialista di Nenni e, appresso, il partito comunista di Togliatti. Si sono avverate le previsioni…
(dalla memoria di Maria Rosaria Tradardi, custodita nell’Archivio di Pieve e parzialmente pubblicata su Anni di novità e di grandi cose)