Israele. La strage dei Palestinesi continua…

La pandemia del COVID-19, che ha monopolizzato l’attenzione della maggior parte delle persone, inondando la rete di vere o finte statistiche, polemiche, accuse, denunce, ha fatto passare in secondo piano avvenimenti importanti che influenzeranno la storia del mondo nei prossimi decenni.

Il 14 maggio scorso ricorreva il 72° anniversario della “Nakba”, cioè la “catastrofe” che travolse i Palestinesi nel 1948. La vicenda era iniziata già da molto tempo, da quando una ridotta frazione di appartenenti alla comunità ebraica europea, i cosiddetti Sionisti, aveva adottato il programma di colonizzare la Palestina per fondare uno Stato solo per gli Ebrei, non curandosi del fatto che da quasi due millenni quella terra era abitata da un’altra popolazione dalla ricca tradizione civile e culturale.

Infatti, all’inizio del ‘900 la popolazione di fede ebraica presente in Palestina rappresentava meno del 5%. Ma, profittando del segnale di “via libera” dato dal Ministro degli Esteri britannico, Lord Balfour, con la dichiarazione del 1917, e favoriti dalle autorità britanniche cui era stato affidato il mandato sulla Palestina alla fine della Prima Guerra Mondiale, molti Ebrei affluirono in Palestina. Una prima ondata di proteste e rivolte da parte dei Palestinesi si ebbe tra 1936 ed il 1939, ma fu repressa nel sangue. Tuttavia nel 1947 gli Ebrei, nonostante l’afflusso di ex perseguitati da parte dei Nazisti dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, erano ancora meno del 30% della popolazione. Nonostante ciò, quell’anno l’ONU propose un ingiusto piano di spartizione della Palestina che assegnava arbitrariamente agli Ebrei quasi il 55% del territorio, comprendente anche molte zone abitate da Palestinesi, mentre la capitale storica Gerusalemme era “neutralizzata”. Mentre i Palestinesi – contrari alla spartizione – puntavano ad un unico stato democratico per tutti, le milizie ebraiche, ben organizzate, si impossessarono del 78% del territorio (ben oltre la stessa proposta dell’ONU) e della parte Ovest di Gerusalemme. I tre quarti della popolazione palestinese di questi territori conquistati con la forza furono espulsi con il terrore e la violenza. L’ottimo storico israeliano Ilan Pappe (poi costretto ad emigrare in Inghilterra) ha descritto questa catastrofe umanitaria nel libro “La pulizia etnica della Palestina”, ma anche uno scrittore sionista ed ex-combattente ebreo come Isaac Milanski descrive queste drammatiche vicende nel racconto “La rabbia del vento”. Il 14 maggio del 1948, con la proclamazione unilaterale dello Stato di Israele, questa situazione di fatto fu confermata.

Negli anni seguenti i Sionisti impedirono ai profughi palestinesi di tornare, nonostante la Risoluzione dell’ONU 194 del dicembre 1948 desse loro tale diritto. Anzi le loro case e le loro terre furono sequestrate senza compenso mediante la Legge dei Proprietari Assenti. Nel 1967, con la Guerra dei 6 Giorni, i Sionisti occuparono anche il resto della Palestina espellendo con la forza altri 300.000 Palestinesi. Dopo un’intensa stagione di resistenza armata e poi di rivolta generalizzata dal 1987 al 1993 da parte palestinese (cosiddetta Prima Intifada), con gli Accordi di Oslo si decise l’inizio di una trattativa il cui fine ultimo sarebbe dovuto essere la nascita di un piccolo stato palestinese pur su una superficie ridotta del 22%. Queste trattative, dopo 27 anni, non hanno portato a nulla, nonostante lo scoppio di una Seconda Intifada nel 2000 durata vari anni. Anzi sono continuate le espropriazioni di terre e di case, il taglio delle piantagioni di olivi ed il sequestro delle fonti d’acqua per costringere i contadini ad andarsene. La frustrazione palestinese è ben espressa dal libro di un avvocato franco-palestinese che aveva partecipato alle inutili trattative, Ziyad Clot, dal titolo polemico: “Non vi sarà uno Stato Palestinese”. Intanto i capi della Seconda Intifada erano imprigionati e condannati a lunghe condanne, come il medico Marwan Barghouti, condannato a tre ergastoli ed in prigione da quasi 20 anni, e tanti altri, come il capo della formazione di sinistra Fronte Popolare, Ahmad Saadat, e migliaia di semplici militanti.

Attualmente il capo del Governo Israeliano Netanyahu, appoggiato dall’ambasciatore statunitense Friedman e dal Governo USA, progetta di incamerare definitivamente anche il resto delle terre palestinesi occupate. Gerusalemme Est è stata annessa ad Israele con la forza, mentre le colonie illegali costruite dagli Israeliani in territori palestinesi occupati si moltiplicano e le espropriazioni proseguono a danno di famiglie cui arbitrariamente viene sottratta la residenza. Israele progetta di incominciare con l’annessione della Valle del Giordano, da cui gran parte degli abitanti sono già stati cacciati, o dell’intera zona C sotto occupazione militare israeliana, come esposto in dettaglio dal noto giornalista del “Guardian” David Hearst in un recente articolo del 21 maggio (“Il piano di annessione di Israele e la ripresa della Nakba”). La piccola striscia di Gaza, dove si ammassano 2 milioni di Palestinesi in gran parte profughi da altre zone, dopo aver subito un impressionante bombardamento nel 2008 con migliaia di morti, si trova ormai assediata, mancante di tutto e allo stremo.
Di fronte a questa situazione ormai insostenibile che rende ormai praticamente impossibile anche la formazione di un mini-stato palestinese che abbia un minimo di sovranità, l’Autorità Nazionale Palestinese ha finalmente rotto formalmente tutti gli accordi con Israele e con gli USA.

Ma che succede ora? Qual’è la strategia? I Palestinesi hanno bisogno di una strategia nuova che superi l’illusione del mini-stato che ha alimentato per 27 anni le finte trattative post-Oslo. Una strategia nuova potrebbe essere quella di tornare a rafforzare l’OLP, la gloriosa Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Questa organizzazione potrebbe riunire di nuovo tutti i militanti Palestinesi, compresi i fratelli- nemici di Hamas, che dominano a Gaza, e che negli ultimi anni hanno condotto una politica oscillante tra indipendentismo palestinese e fedeltà alle direttive dei Fratelli Musulmani, di cui sono una costola, che li ha condotti a compiere molti errori, come lo schierarsi contro il Governo laico della Siria che li aveva sempre protetti. Bisognerebbe anche chiarire se si creda ancora di poter realizzare un mini-staterello la cui possibilità appare sempre più ridotta, oppure si torni all’antica rivendicazione di uno stato unico democratico per Ebrei e Palestinesi, con uguali diritti per tutti. Alla luce di questa situazione non bisogna nemmeno offendersi troppo per la “provocazione” del noto editorialista di Haaretz, Gideon Levy, un giornalista israeliano che si è sempre espresso a favore dei Palestinesi, che scrive che a questo punto la completa annessione di tutti i territori occupati ad Israele, per quanto orribile, appare meno orribile di una perpetuazione della situazione di strangolamento progressivo attuale, forse perché darebbe ai Palestinesi la possibilità di battersi per i loro diritti in uno stato unico, senza dimenticare l’antica rivendicazione del diritto dei profughi – ormai diventati 5 milioni – al ritorno in Patria.

Pochi giorni fa ha parlato anche la guida suprema dell’Iran Khamenei tuonando contro il “cancro” costituito da Israele ed auspicando la ripresa di una “jihad” contro lo Stato Sionista. Da laico non posso apprezzare questi riferimenti a “guerre sante”, ma d’altra parte devo apprezzare l’intenzione; e mi sorprende che tutte le volte che chiedo ad esponenti palestinesi se hanno valutato la possibilità di collegarsi – anche come arma di pressione – al cosiddetto “Fronte del Rifiuto” anti-israeliano (Iran, Siria, Iraq), e di cui fanno parte anche gli Hezbollah libanesi – l’unica formazione che in Medio Oriente abbia inflitto agli Israeliani una sconfitta grave, costringendoli a ritirarsi dalle zone del Libano occupate per 20 anni – i responsabili palestinesi in genere eludono la risposta, e dichiarano sempre che alla fine vinceranno perché il diritto è dalla loro parte: come se i Governi occidentali e le loro ipocrite opinioni pubbliche fossero ancora sensibili ai diritti e intendessero fare qualcosa di concreto per i Palestinesi. L’unica possibilità è riprendere la lotta e trovare il modo di premere sui punti deboli di Israele e del loro grande alleato americano.

Se la lotta armata non è possibile, si dovrebbe almeno varare un vasto piano di non-collaborazione, di disobbedienza civile e di boicottaggio delle merci israeliane sull’esempio del movimento BDS, oltre che su una ricerca di validi alleati internazionali. A questo punto nessuna trattativa o collaborazione è più possibile con lo Stato Sionista.

Vincenzo Brandi

Articolo collegato: “I veri discendenti della Israele biblica, di quel popolo che ha abbracciato la fede di Cristo e di Maometto poi, e sono rimasti da sempre nella Terra Santa, sono proprio i Palestinesi. Gli Israeliani lo sanno!” – Continua: http://paolodarpini.blogspot.com/2016/02/nascita-dello-stato-di-israele.html

Commento aggiunto: “Naturalmente sono d’accordo con Paolo. I Palestinesi sono etnicamente i discendenti degli antichi Ebrei con qualche apporto greco-romano o arabo. Il fatto che l’intera popolazione ebrea della Palestina antica sia stata deportata e dispersa dai Romani non ha nessun serio fondamento storico, anche se vi fu una massiccia emigrazione soprattutto verso Alessandria d’Egitto, Creta, Roma, e altre zone dell’Impero Romano. L’emerito professore israeliano di storia dell’Università di Tel Aviv, Shlomo Sand, nel suo documentatissimo libro “L’invenzione del popolo ebraico”, ci ricorda che gli Ebrei moderni derivano in gran parte da popolazioni nord-caucasiche turco-slave, gli Askenaziti, da popolazioni berbere convertite (i Sefarditi), da Arabi di fede ebraica (i Miznahi), da Etiopi di fede ebraica (i Falasha), ecc. , tutte popolazioni di rispettabilissime tradizioni storico-culturali (basti pensare all’enorme numero di scienziati e capi rivoluzionari di origine askenazita), ma comunque scarsamente coincidenti con gli Ebrei di prima della cosiddetta Diaspora. La posizione sionista di “ritorno alla Terra Promessa” è pura ideologia, che purtroppo ha causato molti danni. Speriamo si possa creare uno stato democratico unico per Ebrei e Palestinesi non-Ebrei nel territorio della Palestina storica; altrimenti questo strazio continuerà, ciao a tutti” (Vincenzo Brandi)   

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