Il “capro espiatorio” e il declino antropologico del senso estetico
“Evitate o mortali di contaminare i vostri corpi con cibi nefandi: vi sono cerali, vi sono frutti, vi sono erbe saporite. Solo le bestie feroci che non hanno natura mite placano il digiuno con la carne (e tuttavia non tutte): le tigri di Armenia e i rabbiosi leoni, orsi e lupi sono avidi di sanguinoso pasto. Ahime’ quale empieta’ racchiudere viscere nelle viscere…mantenere in vita un essere animato con la morte di un altro essere animato!” (Platone, dalle “Metamorfosi” di Ovidio).
Sconcerta la mancanza di disgusto di gran parte del genere umano nel consumare pasti a base di carne o prodotti di derivazione animale, e mi assalgono domande senza risposta.
Com’è possibile considerare buona da mangiare la gamba, la spalla o qualunque altra parte anatomica di un animale le cui fattezze anatomiche sono simili alle nostre?
Come ha potuto l’essere umano, pur dotato di senso estetico e intelligenza razionale abituarsi a mangiare cadaveri di animali, nutrirsi allo stesso modo degli sciacalli, delle iene, dei serpenti e non provare orrore, ripugnanza? Come ha potuto sprofondare nell’abisso dell’orrido e considerare normale masticare i lombi, i testicoli, gli intestini, il cervello, succhiare le ossa di un essere in tutto simile a lui tranne la forma?
Come non associare una macelleria ad un obitorio e i resti di un animale a quelli di un’operazione chirurgica? Chi distinguerebbe le parti del fegato, del pancreas di un animale da quello di un essere umano? Mangiare il cuore o la milza di una animale è consuetudine, ma se per errore mangiassimo i resti di un essere umano chiunque vomiterebbe disgustato, inorridito, come farebbe rabbrividire solo l’idea che nella minestra vi si trovi accidentalmente il dito, l’orecchio o la lingua di un essere umano.
Eppure la carne umana sarebbe igienicamente più giustificabile viste le condizioni cui sono allevati gli animali, molto spesso ammalati e costretti a vivere nei loro stessi escrementi, sporchi di urina e tormentati da pulci, zecche e parassiti di ogni genere. Si tornerebbe alla ferocia degli antichi Essedoni dove, a dire di Erodoto, vigeva il costume antropofago di mangiare la carne del proprio padre morto mischiata a carne animale. Perché ci ripugna consumare il latte di una donna e non quello di una mucca, una pecora, una bufala, un’asina?
Come abituarsi al fetore di un banco di macelleria o di pescheria, considerare gustosa una materia in via di decomposizione? Come ha potuto l’uomo reprimere quel senso di pietà che a fatica emerge dall’homo sapiens e abituarsi alla vista del sangue, all’uccisione dell’altro, all’indifferenza verso la sofferenza causata, alla mancanza di sensibilità, abituarsi a questa povertà morale che lo avvia verso il suo inevitabile declino estetico, fisico, morale e spirituale?
Alla bellezza rigogliosa e gagliarda dell’animale vivo si contrappongono le immagini di un sanguinolento carname da cui scaturisce il ripugnante lezzo della putrefazione al punto che per rendere commestibili questi cadaveri e per mitigare il sapore del sangue occorre usare abbondanti spezie ed elaborati intingoli, affinché il senso del gusto, tratto in inganno possa accettare quanto gli è innaturale, e sconcerta notare le stesse tecniche di un tempo prima di seppellire i cadaveri. Da questa infetta materia non possono venire che danni per il ventre che la divora, per la mente e la coscienza intorbidite dai fumi delle difficoltà digestive.
Se ripugna la vista del sangue al punto che alcuni svengono davanti a fratture o parti interne esposte dell’organismo, come è possibile poi che si considerino succulenti simili membra di un animale? C’è forse nulla di più perverso delle polpette di carne macinata in cui membra di diverse creature sono ridotte a mera e rivoltante poltiglia? Come ha potuto l’essere umano scendere a tali aberrazioni alimentari, imitare gli animali feroci e nel contempo considerarsi ad immagine di Dio?
E nulla turba il nostro senso del pudore, (progenie cieca e di durissimo cuore), non il fiorente aspetto di queste miti e possenti creature, non il fascino della loro voce armoniosa, né la purezza del loro modo di vivere, nè la loro straordinaria intelligenza. Per un pezzo di carne priviamo per sempre un essere vivente della sua famiglia, della luce del sole, del cielo, dei prati, dell’acqua, gli rubiamo l’esistenza e crediamo che le sue grida di aiuto, le sue preghiere, le suppliche, le richieste di giustizia non siano che striduli cigolii inarticolati.
Com’è possibile che grandi personaggi come il papa, l’ottimo attuale presidente della Repubblica, la Regina Elisabetta ecc. (che a nostra saputa non sono vegetariani) riescano ad ignorare la realtà che mangiare animali non è confacente ad una mente aperta ed una coscienza civile, sensibile e giusta? Come ha potuto instaurarsi nell’uomo questa perversa, malefica convinzione per cui si vede bello ciò che è orripilante e si considera buono ciò che è rovinoso?
Come ha potuto dimenticare la sua natura di essere evoluto e pacifico? rinunciare all’eredità della sua ricchezza etica e spirituale? L’immane mole di trattati etici, filosofici, dottrinali, giuridici e tutta la sua scienza viene barattata, annichilita da un piatto a base di carne.
Franco Libero Manco