MES…? Ovvero: “Resa incondizionata”

La Corte Costituzionale tedesca ha sentenziato che la Banca Centrale Europea non possa continuare nella politica – in verità piuttosto timida – inaugurata da Mario Draghi con il Quantitative Easing, cioè creando “danaro fresco” da immettere nel circuito economico, mediante l’acquisto di titoli pubblici posseduti dalle banche dei vari paesi della cosiddetta Unione cosiddetta Europea.

E siccome in Germania la legislazione nazionale prevale su quella europea (al contrario di quanto avviene nella colonia italiana) la decisione della Corte tedesca è un messaggio ben preciso, diretto all’Italia, alla Spagna e agli altri paesi dell’area eurolatina ed euromediterranea: scordatevi di affrontare le crisi del Coronavirus e soprattutto quella del dopo-Coronavirus con il sostegno della BCE e, quindi, con la solidarietà anche di quella parte dell’UE che non ha i nostri problemi economici. Se gli Stati della riva sud – è la logica conseguenza – hanno bisogno di soldi, se li facciano prestare attraverso il MES.

La qualcosa – se non vi fossero mille altri motivi – basterebbe ad indurre ogni politico italiano di media intelligenza a dire: no, grazie. Perché é evidente la manovra tedesca: costringerci ad accettare il MES, per potere poi metterci il coltello alla gola e rapinarci di quel poco che le privatizzazioni delle aziende pubbliche, la svendita delle aziende private in fallimento, il bail in delle piccole banche e tutta la sarabanda delle truci riforme “che l’Europa ci chiede” hanno ancóra lasciato alla nostra disastrata economia nazionale. Esattamente come in Grecia, esattamente come nella Grecia che il chiarissimo professor Mario Monti (guarda caso, lo stesso che ha firmato l’adesione italiana al MES) ha dichiarato essere «la manifestazione più concreta del grande successo dell’€uro».

Ma, siccome l’infamia della storiaccia greca è stata tale da mettere in allarme tutti, ecco che i figli di troika hanno studiato una formula che dovrebbe servire a prenderci in giro. Beninteso, per arrivare sempre al traguardo greco: il commissariamento dell’economia nazionale (e quindi della politica) con l’obbligo di centuplicare i rigori della macelleria sociale: licenziamenti in massa, pensioni sotto il limite di sopravvivenza, bambini che svengono in classe per la fame, eccetera.

E allora, ecco l’invenzione per i gonzi (e per i servi): il “MES senza condizioni”. In realtà, le condizioni ci sono, eccome.

Innanzitutto, due considerazioni banali – se volete –ma che conviene tenere sempre presente. La prima: si tratta di un prestito (non certo un regalo) che dobbiamo restituire inderogabilmente alla scadenza. Secondo: il MES si sostanzia in un trattato internazionale, che puó essere modificato – anche nelle sue condizionalitá – soltanto da un altro trattato, sottoscritto da tutti i contraenti (Germania compresa); una chiacchierata in teleconferenza fra i ministri delle Finanze dell’Eurogruppo non cambia un bel niente.

In ogni caso, anche a voler dare credito alle chiacchiere da caffè di questi giorni, le “condizionalitá” ci sono tutte, appena appena velate da quel pizzico di ipocrisia che potrá servire a certi politicanti di periferia per tentare di salvare la faccia.

La “sorveglianza” sulle politiche economiche dei paesi che accedono al MES resta. Soltanto, che la Commissione Europea potrá aumentarne o diminuirne la “intensità”. Gentiloni e Gualtieri – i due ultrá italiani del MES – giurano che la intensità sarà attenuata, ma le loro personali opinioni non impegnano certo i vertici dell’Unione Europea né il consiglio d’amministrazione del MES.

Altra condizione: gli Stati che accedono ai prestiti devono impegnarsi – ora e sempre – a «rafforzale i loro fondamentali economico-finanziari in coerenza col quadro di sorveglianza macroeconomica, inclusi i requisiti del Patto di Stabilità». Tradotto in italiano corrente: devono impegnarsi a continuare e anzi ad accentuare le politiche di rigorismo europeo che ci hanno ridotto in miseria.

Terza condizione: giá dopo due anni (quindi ben prima della scadenza prevista per la restituzione) il consiglio d’amministrazione del MES ha facoltà di iniziare una azione di “vigilanza” sulle finanze dei paesi creditori; ove dovesse ritenere che la politica di bilancio di un dato paese metta in pericolo «la puntuale restituzione degli aiuti», potrà intervenire allertando i centri decisionali dell’Unione Europea. Il tutto, verosimilmente, perché al paese riottoso vengano imposte le «misure correttive» che sono espressamente previste dall’art. 14 del regolamento sul funzionamento del MES. Regolamento – inutile dirlo – che la chiacchierata dei quattro amici al bar non ha certamente abrogato; come – a maggior ragione – non ha abrogato il Trattato internazionale sul MES.

Questo quadro – giá cosí fosco – mantiene la sua validitá fino ad oggi, avendo la Commissione Europea deliberato la sospensione temporanea del Patto di Stabilitá, con ció consentendo ai singoli Stati di aumentare senza limiti il proprio debito pubblico.

Domanda: che cosa succederà se fra due anni (o tre, o quattro, o cinque…) la Presidente della Commissione Europea, la tedesca Ursula von der Layen, dovesse cambiare idea e ripristinare l’osservanza dei funesti parametri di Maastricht? L’Italia, giá prima, non era in grado di rispettare uno dei due requisiti previsti dal Patto (il debito pubblico non superiore al 60% del PIL). E adesso – non c’è dubbio – si troverebbe lontanissima anche dal secondo requisito (deficit di bilancio non superiore al 3% del PIL). Questo, sia che si acceda al MES, sia che lo si rifiuti.

Ma, attenzione: se non fossimo legati al MES, di fronte ai prevedibili rimbrotti della Commissione Europea potremmo limitarci a fare spallucce e a promettere di fare meglio in futuro. Se invece avessimo avuto la dabbenaggine di accedere agli aiuti del MES, allora la nostra situazione “non stabile” potrebbe prefigurare una congiuntura del tutto diversa, pericolosamente simile a quella della Grecia di Tsipras.

Ecco perché a Berlino amano tanto il MES in salsa italiana.

Michele Rallo – ralmiche@gmail.com

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