Iraq e Iran- L’ “intelligence” limitata degli USA e l’errore fondamentale di Trump

Gli Stati Uniti potrebbero aver appena esaurito la presenza in Iraq. Qualunque cosa verrà dopo ostacolerà la presidenza Trump. A seguito di una serie di disastrose mosse dal comando centrale degli Stati Uniti, la regione ora affronta la prospettiva molto reale di un’altra conflagrazione multinazionale in Medio Oriente, che potrebbe includere lo scontro militare diretto tra Stati Uniti e Iran.

Come è iniziata
Il 29 dicembre, poco prima che arrivasse capodanno, il presidente Donald Trump diede l’ordine di bombardare una base militare irachena, uccidendo e ferendo personale militare iracheno, tra cui ufficiali dell’esercito, poliziotti e soldati delle Unità di mobilitazione popolare (PMU). I caccia F-15E dell’US Air Force hanno colpito cinque obiettivi situati in Iraq e al confine tra Siria e Iraq, tutti dichiarati controllati da un “gruppo paramilitare sostenuto dall’Iran”, secondo il Pentagono. Secondo i portavoce della difesa di Washington, l’attacco aereo degli USA era presumibilmente in risposta a un attacco missilistico che colpì la base militare congiunta USA-Iraq “K1” situata a Qirquq, nel nord dell’Iraq, avvenuto due giorni prima, il 27 dicembre, uccidendo un mercenario degli USA e un poliziotto iracheno, oltre a ferire altri 4 mercenari degli Stati Uniti e 3 ufficiali dell’esercito iracheno. Funzionari statunitensi affermavano di avere informazioni che confermavano che l’attacco fosse opera della “milizia iraniana”, ritenendo quindi responsabile la Repubblica islamica dell’Iran. Tuttavia, alcuna prova fu presentata dagli Stati Uniti. In risposta al bombardamento nordamericano delle strutture, i manifestanti iracheni, compresi amici e familiari dei soldati uccisi nel raid degli Stati Uniti, guidati dai militari delle PMU e sostenitori, assaltarono il perimetro esterno dell’ambasciata nordamericana a Baghdad, situata nella famigerata zona verde controllata dagli Stati Uniti. Molto personale dell’ambasciata furono evacuati o trasportati in aereo dal complesso, e un ulteriore distaccamento di 100 marines statunitensi fu chiamato come rinforzo, insieme a 750 truppe dal battaglione veloce dell’82a divisione aerotrasportata inviata in Quwayt per prepararsi ad entrare in Iraq. Gli elicotteri da combattimento statunitensi giravano sopra, oltre che sulla zona verde e i quartieri civili di Baghdad. Questa mossa non fu accolta bene dal governo iracheno che proibì tali pattugliamenti statunitensi nell’ambito dell’accordo sullo status delle forze nel Paese. L’assedio durò fino alla vigilia del 31 dicembre, prima che l’esercito e la sicurezza interna iracheni arrivassero disperdendo la folla arrabbiata.

Dopo le imbarazzanti scene dell’ambasciata nordamericana a Capodanno, Washington promise una punizione. Ciò che seguì potrebbe benissimo essere il fattore scatenante di una nuova guerra in Iraq, e ciò potrebbe probabilmente portare a forze e militari statunitensi richiamati o costretti a lasciare il Paese. Il 2 gennaio 2020, gli Stati Uniti lanciarono un altro attacco aereo, colpendo una strada di accesso all’aeroporto internazionale di Baghdad, e secondo quanto riferito uccisero il leader della Forza Quds iraniana Generale Qasim Sulaymani, e il comandante delle PMU irachene Abu Mahdi al-Muhandis, secondo la televisione irachena. Sulaymani e al-Muhandis sono considerati tra le figure militari più venerate dell’Iran e dell’Iraq, e il loro assassinio da parte del governo degli Stati Uniti sarà certamente visti come atto di guerra da grande parte delle popolazioni irachena e iraniana, nonché dai rispettivi apparati militari e di sicurezza. In particolare, al-Muhandis era considerato da molti un eroe nella vittoria irachena duramente conquistata contro lo SIIL nel 2017. Funzionari e parlamentari iracheni s’incontravano per 48 ore per discutere la revisione dello status dell’accordo di cooperazione cogli Stati Uniti, che consente la condivisione di intelligence ed addestramento e assistenza tecnica degli Stati Uniti ai militari iracheni. Resta da vedere se questo poterà i funzionari a chiedere all’esercito nordamericano e alle sue 20000 truppe di fare i bagagli e lasciare il Paese. Va da sé che questa provocazione degli Stati Uniti significa che truppe e personale statunitensi potrebbero non essere più al sicuro in Iraq.

Mettere in discussione “l’intelligence” degli Stati Uniti
Al fine di cogliere la piena gravità di ciò che l’amministrazione Trump commise, è essenziale considerare questi eventi nel contesto storico, come ultima mossa sconsiderata di una lunga serie di fallimenti statunitensi in Iraq. Secondo il corrispondente corrispondente dal Medio Oriente Elijah Magnier, “Gli Stati Uniti d’America sono caduti nella trappola della propria politica di disinformazione, come esemplificato dal lavoro di uno dei loro principali centri di studio strategici, un think tank neocon che promuove la guerra cll’Iran”. Magnier aggiungeva: “Il pio desiderio degli analisti ha travolto il loro senso della realtà, in particolare la possibilità di realtà invisibili a loro. Sono caduti nella stessa trappola di disinformazione e ignoranza che plasmò l’opinione occidentale dall’occupazione dell’Iraq nel 2003. L’invasione dell’Iraq fu giustificata dalla presenza di “Armi di distruzione di massa” che non erano mai esistite”. Secondo i funzionari iracheni, al momento dell’attacco missilistico del 27 dicembre, non era chiaro chi avesse effettivamente sparato contro la base K1. Indipendentemente da ciò, numerosi dati indicavano nettamente che gli Stati Uniti avevano già deciso chi colpire. Secondo il New York Times, “Il presidente Trump fu informato dai capi del dipartimento della Difesa e permise agli attacchi di procedere. Alti funzionari, tra cui il segretario alla Difesa Mark T. Esper e il segretario di Stato Mike Pompeo, viaggiarono al resort Mar-a-Lago di Trump, in Florida, per discutere col presidente, avevano detto i funzionari nordamericani”. Gli Stati Uniti avevano già deciso di bombardare l’Iraq prima che potesse essere condotta un’indagine congiunta tra Ministero della Difesa iracheno e le autorità statunitensi. Poco dopo l’incontro di Mar-a-lago, il segretario alla Difesa Mark Esper chiamò il Primo Ministro iracheno Adil Abdul-Mahdi per informarlo che gli Stati Uniti non erano interessati a lavorare con Baghdad per scoprire cosa fosse successo e chi avesse sparato i razzi. Esper disse al Primo Ministro iracheno che Washington aveva già ricevuto “informazioni” da fonti attendibili, secondo cui l’attacco fu condotto da un ramo delle PMU irachene noto come Qatayb Hezbollah (nessuna relazione con la forza di difesa Hezbollah del Libano). Va notato che queste brigate delle PMU sono composte da cittadini iracheni che prestano servizio sotto il comando militare iracheno ufficiale di Baghdad. Poiché l’appartenenza di questa divisione delle PMU è composta da sciiti, i funzionari e i media statunitensi si presero la libertà di etichettarli come “milizia iraniana”, una palese menzogna, ma spacciata dai funzionari statunitensi al fine di definirli “agenti iraniani” e continuarono ad attribuire la presunta responsabilità dell’attacco missilistico all’Iran, in effetti, giustificando la pesante rappresaglia degli Stati Uniti, e il loro omicidio di Qasim Sulaymani e Abu Mahdi al-Muhandis, il 2 gennaio.

Finora, i funzionari statunitensi non fornivano prove a sostegno della loro affermazione secondo cui l’attacco missilistico del 27 dicembre fu effettuato dal Qatayb Hezbollah, né davano dettagli sulla provenienza della loro “intelligenza” che accusava le PMU. Se questa fosse davvero un processo, non sarebbe la prima volta che gli Stati Uniti commettono un atto di guerra contro uno Stato sovrano basandosi su un’intelligence guasta e poco credibile. Le recenti fughe sull’OPCW dimostravano senza alcun dubbio che gli attacchi aerei degli Stati Uniti contro la Siria nell’aprile 2018 si basavano su disinformazione sul presunto “attacco chimico” di Duma, in Siria, il 7 aprile 2018. A un esame più ravvicinato, è ora chiaro che ciò che gli Stati Uniti affermavano non corrispondeva alle azioni intraprese il 29 dicembre. Inoltre, il raid statunitensi del 29 dicembre avevano aiutato lo SIIL. Magnier spiega l’evidente sconnessione degli Stati Uniti: “Abdal Mahdi chiese ad Esper se gli Stati Uniti hanno “prove contro Qatayb Hezbollah da condividere in modo che l’Iraq potesse arrestare i responsabili dell’attacco al K1”. Nessuna risposta: Esper disse ad Abdal Mahdi che gli Stati Uniti erano “ben informati” e che l’attacco sarebbe avvenuto “tra poche ore”.” In meno di mezz’ora, gli aviogetti statunitensi bombardarono cinque posizioni delle forze di sicurezza irachene dispiegate lungo i confini iracheno-siriano, nella zona di Aqashat, a 538 chilometri dalla base militare K1 ( bombardata da sconosciuti). Gli Stati Uniti annunciarono l’attacco, ma omisero che in queste posizioni non c’era solo il Qatayb Hezbollah ma anche ufficiali dell’esercito iracheno e della polizia federale. La maggior parte delle vittime dell’attacco nordamericano erano soldati e poliziotti iracheni. Furono uccisi solo 9 militari del Qatayb Hezbollah, unitisi alle forze di sicurezza irachene nel 2017. Queste cinque posizioni avevano il compito di intercettare e cacciare lo SIIL ed impedire ai militanti del gruppo di attraversare i confini dal deserto di Anbar. La città più vicina a queste posizioni bombardate è al-Qaym, a 150 km di distanza. È interessante notare che questa non è la prima volta che Stati Uniti ed bombardavano una struttura delle PMU irachene cercando di etichettarle come “iraniane”. A settembre, 21WIRE riferì come Israele e Arabia Saudita lanciarono presunti attacchi aerei di “ritorsione” contro le “milizie filo-iraniane” di stanza al confine tra Siria e Iraq. Lo riportava il Jerusalem Post: “Sauditi, Israele attaccano le milizie filo-iraniane al confine tra Siria e Iraq” e aggiungendo che “i caccia aerei sauditi sono stati avvistati insieme ad altri aerei da combattimento che attaccavano strutture e posizioni appartenenti alle milizie iraniane”. 21WIRE aveva anche osservato come il Jerusalem Post avesse compilato il rapporto citando più fonti, tra cui informazioni provenienti da Arabia Indipendente, dal libanese al-Mayadin e dall’Osservatorio siriano per i diritti umani. Riferirono di attacchi aerei che avevano colpito obiettivi quella settimana, uccidendo 31 persone, dopo aver colpito quelle che chiamavano posizioni irachene “appoggiate dall’Iran” dell’Hashd al-Shabi (PMU) lungo il confine tra Iraq e Siria. “Cinque persone furono uccise e altre nove ferite da un attacco aereo effettuato da un aereo non identificato che colpiva posizioni della milizia delle Forze di mobilitazione popolare irachena sostenuta dall’Iran ad Albuqamal, secondo Sky News Arabia”.

Perché questo è cruciale, perché dimostra gli attacchi precedenti di Israele e Arabia Saudita, contro obiettivi identici a quelli che gli Stati Uniti bombardarono il 29 dicembre. È logico quindi che le fonti d’”intelligence” per entrambi gli attacchi, 19 settembre e 29 dicembre, sembrino collegate, provenienti da Israele o Arabia Saudita, entrambi fortemente spaventati dall’Iran che considerano come minaccia esistenziale alla propria egemonia geopolitica e militare regionale. Nel caso d’Israele, ebbe un ruolo visibile nel dirigere la politica nordamericana sull’Iran sin dall’inizio dell’amministrazione Trump. Fu il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a vantarsi del suo ruolo nel convincere la Casa Bianca a ritirarsi unilateralmente dall’accordo nucleare JCPOA nel maggio 2018. È anche importante notare che nei bombardamenti statunitensi del 29 dicembre, le basi irachene colpite al confine siriano-iracheno sono a 540 km da Qirquq, lontano da dove gli Stati Uniti affermano che il Qatayb Hezbollah delle PMU avrebbero lanciato l’attacco missilistico del 27 dicembre; il che significa che quegli obiettivi non ebbero alcun ruolo nell’attacco missilistico su K1, e molto probabilmente erano già stati scelti prima del 27 dicembre, e gli Stati Uniti stavano semplicemente aspettando il giusto “incidente” per dare il via libera all’attacco a ciò che affermavano essere obiettivi militari “iraniani”. Ancora una volta, il fatto che gli Stati Uniti insistano sull’etichettare erroneamente il presunto nemico significa che nulla di produttivo può provenir dagli ultimi eventi, a meno che Washington non consideri un’altra guerra in Iraq sforzo produttivo, una proposta che molti non troverebbero così lontano considerando il record disastroso degli USA nella regione.

Le PMU irachene hanno sconfitto lo SIIL nel 2017
Al fine di comprendere adeguatamente la reazione delle PMU e delle Forze Armate irachene a tale attacco nordamericano su suolo iracheno, è importante capire chi sono le Unità di mobilitazione del popolo iracheno (PMU), alias Hashd al-Shabi o ‘Hashid ‘ in breve. Questa è la nuova milizia nazionale dell’Iraq e sono gli stessi soldati che combatterono e morirono contro lo SIIL per aver infine sconfitto l’occupazione terroristica a fine 2017. Le PMU furono formate in risposta all’emergere delli SIIL e alla caduta di Mosul nel giugno 2014 Il Grande Ayatollah Sistani emise una fatwa nell’estate 2014 che invitava tutti gli uomini in salute ed età di combattimento a formare una coalizione di milizie nazionali, di 130000 elementi, per combattere contro lo SIIL che aveva messo in rotta l’esercito iracheno durante la guerra lampo estiva che vide diverse città chiave conquistate dall’esercito terroristico, mentre si dirigeva pericolosamente vicino la capitale Baghdad. Fu grazie al sostegno finanziario e militare dall’Iran al tempo che si poté formare e armare le PMU e dispiegarle per combattere lo SIIL quell’estate, così come l’integrazione degli arsenali iracheni ridottisi a livelli pericolosamente bassi al momento dell’offensiva iniziale dello SIIL. Chiaramente, fu l’Iran a sollevare Baghdad nell’ora del bisogno, non gli Stati Uniti il cui contributo principale non era sul terreno, dove contava davvero, ma piuttosto con circhi volanti che non ebbero alcun impatto sui progressi dello SIIL tra il 2014 e il 2016. Fu solo alla fine dell’ondata dello SIIL in Iraq che gli Stati Uniti iniziarono ad aver un notevole impatto, sebbene sembrassero colpire più vittime civili di qualsiasi altra cosa, durante i bombardamenti a Mosul e Raqqa in Siria. Sulla base della retorica e della copertura mediatica che vedremo questa settimana, è dolorosamente ovvio che pochi, se il caso, degli “esperti” di politica estera e della sicurezza nazionale i giornalisti occidentali, saranno consapevoli di questa realtà in Iraq. È ampiamente noto in Iraq, e nella regione, che le PMU svolsero un ruolo decisivo nella sconfitta dello SIIL e nella protezione delle comunità liberate nelle ultime fasi del calvario terroristico del Paese. È importante notare anche che decine di migliaia di iracheni, tra cui esercito, polizia, civili e PMU, comprese le stesse unità delle PMU che gli Stati Uniti avevano ucciso, sono morti sacrificando la vite per il Paese nel lotta contro la minaccia terroristica sostenuta dall’estero. Per i capi politici degli Stati Uniti e i loro media etichettarli grossolanamente come “milizie iraniane” è privare gli iracheni di un’importante vittoria nazionale e staccarlo dalla loro entità.
Come si notava dalle incredibili scene dell’ambasciata nordamericana, l’ignoranza di Washington della realtà sul campo in Iraq costava molto. Dall’apertura nel 2008, la nuova ambasciata nordamericana non affrontò alcuna seria sfida all’integrità strutturale. Non è nemmeno una qualsiasi ambasciata: è l’ambasciata più grande e costosa del mondo mai costruita, di 104 acri, all’incirca le dimensioni di Città del Vaticano e ospita 5000 impiegati, militari e spie. I manifestanti iracheni sfondarono le mura di sicurezza esterne e il cancello principale e devastarono le strutture periferiche dell’ambasciata, prima di costringere i Marines statunitensi a far da guardia al complesso all’interno dell’atrio di uno degli edifici di accoglienza esterni. Ora che tale struttura è compromessa, non può più essere considerata una “fortezza americana” e la stazione operativa avanzata che fu negli ultimi dieci anni.

Trump e l’errore fondamentale di Washington
Un altro aspetto importante di tutto ciò è che gli statunitensi capiscano che l’Iran non rappresentava una minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ma l’insistenza di Washington nell’inquadrare ogni incidente nella regione come “opera del regime iraniano” significa che le forze di Washington vogliono disperatamente la guerra, e ora non possono nascondere i loro piani. Questa spinta è sicuramente stimolata dagli alleati degli Stati Uniti nella regione, Israele e Arabia Saudita. Dal punto di vista imperialista, Stati Uniti ed ialleati traggono beneficio geopoliticamente mantenendo l’Iraq diviso e debole, assicurando che non possa mai rimettersi in piedi economicamente o politicamente influenzando la regione, e senza mai diventare partner dei suoi due più importanti vicini, Siria e Iran. Per Washington e Tel Aviv, la strada per Teheran passa sempre da Baghdad, solo che non siamo più nel 2003, e il campo da gioco in Medio Oriente è cambiato radicalmente da quel momento, principalmente come conseguenza diretta dell’aggressione militare e per procura degli Stati Uniti nella Regione. Oltre a questo, gli iracheni sanno ormai che sono gli Stati Uniti e non l’Iran ad aver rovinato il loro Paese per generazioni. Se Washington continua su questa strada, si arriverebbe politicamente alla caduta di Trump. Sfortunatamente, l’Iraq è di nuovo pronto a diventare il campo per un’altra brutta partita rancorosa geopolitica tra occidente e Iran. Mostrando la sua zampa, Washington non lascia agli avversari scelta se non combattere questa volta.

Patrick Henningsen

Autore ed analista di affari globali statunitense e fondatore del sito indipendente di analisi 21st Century Wire e conduttore del programma radiofonico settimanale SUNDAY WIRE trasmesso in tutto il mondo tramite la rete delle radio alternate (ACR). Ha scritto per una varie pubblicazioni internazionali e realizzato numerosi reportage in Medio Oriente, come Siria e Iraq.

Fonte: https://21stcenturywire.com/2020/01/03/trumps-fatal-mistake-in-iraq-and-beginning-of-end-for-us-occupation/

Traduzione di Alessandro Lattanzio - http://aurorasito.altervista.org/?p=9653&fbclid=IwAR3GSU56QRwy_7xJgbpGo1r53fyg-ulo3a2B3CEdr6zhNRo3Lf9zdmHIcSw

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