L’imprenditoria italiana rinuncia alla lingua materna per passare a quella della perfida Albione… A chi conviene?
IL MADE IN ITALY PARLA INGLESE, NASCE PORTALE PER LE IMPRESE
Presentare il sistema produttivo italiano agli operatori esteri con la semplicità della lingua inglese e l’autorevolezza delle informazioni ufficiali garantite dalle Camere di commercio. Il tutto accompagnato da una user experience agile ed essenziale, con funzionalità di ricerca avanzate e la possibilità di ottenere report personalizzati, bilanci, elenchi di imprese o semplici informazioni puntuali sui 6 milioni di aziende italiane e i 10 milioni di persone che le amministrano. È questo – si legge su Affari & Finanza – il profilo del portale https://italianbusinessregister.it/, realizzato da InfoCamere per conto del Sistema camerale. Grazie alla nuova piattaforma il Registro delle imprese delle Camere di commercio è consultabile dal pubblico internazionale attraverso una versione completamente disegnata per facilitare la ricerca e l’individuazione delle informazioni indispensabili per stabilire rapporti B2B affidabili tra operatori esteri e imprese italiane.
Commento di V.L.: “…contraddizione, che più contraddizione di questa non ho mai vista…”
Commento di A.M.C.: “Questa notizia, che non fa altro che confermare la prostituzione degli Italiani a una lingua e a una cultura che non ci appartengono e che rischiano di compromettere per sempre la nostra identità e la creatività che ci ha reso celebri, merita una reazione da parte nostra. Purtroppo, gli Italiani ignorano quanto la nostra lingua sia conosciuta ed amata nel mondo intero e la considerano a livello di un dialettuccio, non sanno che se ci presentassimo al Mondo e alle Imprese nella nostra totale e luminosa identità raccoglieremmo molto più successo che presentandoci oscurati e sbiaditi dall’inglese che non dispone della nostra forma mentis e non può illustrarci e descriverci adeguatamente. Personalmente, ho appreso la vasta diffusione dell’italiano e l’amore di cui è oggetto nei miei viaggi di lavoro, dall’Asia all’America Latina, durante i quali molto spesso i miei interlocutori mi chiedevano di parlare in italiano e dimostravano di comprenderlo e parlarlo molto bene…”