Sputnik: “Ecco perché il governo giallo-rosso si farà”… (secondo Giulio Virgi)
Ragioni di dinamica interna, i normali rapporti di potere tra forze politiche concorrenti e alcune condizioni internazionali inducono a ritenere ormai pressoché certa la nascita di una maggioranza di diverso colore. Il pronostico resta invariato.
Per proteggersi da eventuali ripensamenti individuali al Senato dove i numeri sono più incerti, i pentastellati e i democratici probabilmente assoceranno al loro esecutivo anche i Liberi ed Uguali, una formazione in cui sono confluiti diversi esponenti della sinistra radicale che verosimilmente esigerà un Ministero e qualche concessione programmatica.
Se neanche questo apporto bastasse, inoltre, si può esser certi anche di un soccorso “azzurro” garantito da qualche seguace dell’ex Premier Silvio Berlusconi, che non a caso si è presentato alle consultazioni indette dal Presidente incaricato Giuseppe Conte, disertate invece tanto da Matteo Salvini quanto da Giorgia Meloni.
Perché, allora, si assiste ad un gioco tanto complesso di schermaglie, incontri, aperture ed improvvise docce fredde che sembrano riportare periodicamente la trattativa alla casella di partenza? I motivi sono diversi e di varia natura.
Una prima ragione fondamentale attiene alle relazioni che le forze politiche intrattengono con i loro elettori. Far accettare a chi vota Pd una partnership con il movimento che più ne ha avversato pubblicamente i componenti non è una cosa facile. Molti comprenderanno il realismo e la necessità di sbarrare la strada all’ascesa della Lega. E magari si accontenteranno. Ma ci vuole del tempo ed occorre dare la sensazione che la dignità di una posizione non viene svenduta.
I Cinque Stelle si trovano in una posizione simile ma per certi versi ancora più difficile, perché debbono vendere ai loro sostenitori l’accordo con il partito che più di ogni altro incarna in Italia il detestato establishment. Debbono quindi dimostrare che l’intesa serve a portare avanti un programma che la Lega non accetta più e che le elezioni renderebbero ancora più complicato realizzare.
Vanno poi considerati gli equilibri interni ai due partiti che stanno trattando. Nel Pd, è stato eletto un Segretario, Nicola Zingaretti, che nelle aule parlamentari deve operare con deputati e senatori in larga misura selezionati da Matteo Renzi.
Al momento di staccare la spina al Governo, Salvini ha forse pensato che Zingaretti avesse interesse a completare la conquista del proprio partito andando al voto. Ma il Segretario del Pd deve aver cambiato opinione. Probabilmente non ha voluto rischiare una sconfitta e forse ha preferito scommettere sulla riconoscenza di chi, grazie al nuovo esecutivo, otterrà posizioni ministeriali o beneficerà delle nomine che sono all’orizzonte. In ogni caso, le frizioni interne ai Dem non hanno contribuito ad agevolare la lettura del processo politico in atto.
Tra i pentastellati, invece, è in atto una lotta per la leadership ancora più aspra. Luigi Di Maio teme di dover cedere lo scettro al Presidente incaricato Conte, mentre il suo rivale storico, Alessandro Di Battista, paventa lo snaturamento del Movimento Cinque Stelle.
Oltre alla legittima preoccupazione di giustificare ai propri simpatizzanti la scelta di governare con il Pd, influisce quindi sulla situazione anche la volontà di sventare quella che alcuni percepiscono come una possibile scalata ai vertici del movimento di una personalità tutto sommato esterna. Cruciale potrebbe rivelarsi la scelta che farà il giovane erede di Gianroberto Casaleggio, anche perché è la sua società a gestire la famosa piattaforma Rousseau.
In questi giorni, si parla molto di programmi e certamente la definizione dell’agenda del futuro Governo è importante. Ma ancor più rilevante è la questione degli incarichi, le tanto bistrattate poltrone che garantiscono visibilità, status e il potere di fare o bloccare le cose. Per Di Maio conservare una posizione di prestigio è una questione esistenziale ed è quindi comprensibile che cerchi di agitare la minaccia di far saltare il banco per ottenere la considerazione che ritiene di meritare.
Il Vicepremier pentastellato uscente vorrebbe mantenere il suo ruolo attuale o almeno ottenere un ministero di prestigio, come gli Interni o la Difesa, sui quali però ha voce in capitolo anche il Presidente della Repubblica, che per quei dicasteri delicatissimi vorrebbe personalità più vicine all’establishment. Forse è per discutere di queste cose che sabato il presidente incaricato Conte e il Capo dello Stato italiano si sono improvvisamente incontrati.
Il progressivo abbandono del sistema elettorale maggioritario da parte italiana è destinato ad accentuare questa tendenza alle trattative lunghe e ai bizantinismi, anche perché il sistema politico del Bel Paese non è più quello dei tempi della Guerra Fredda e la matrice delle combinazioni possibili si è dilatata a dismisura. Sono saltate le inibizioni ideologiche.
Eppure, non ci sono ripensamenti. Malgrado le difficoltà che sta creando e l’indebolimento del paese che ne consegue, tutti a Roma chiedono più proporzionalismo. Ai riti di questi giorni dovremmo pertanto probabilmente abituarci.
Giulio Virgi
Fonte: https://it.sputniknews.com/opinioni/201909018041445-i-riti-bizantini-della-politica-italiana/
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Articolo collegato: https://it.sputniknews.com/opinioni/201908298034783-ecco-il-secondo-incredibile-governo-dellitalia/