Libertà di emissione monetaria per tutti… meno che per lo stato!
Finalmente. Dopo l’annuncio di Facebook, che dal 2020 metterà in circolazione in tutto il mondo la sua similmoneta elettronica, la Libra – che fa seguito al più rudimentale Bitcoin – qualcuno comincia a porsi il problema della legittimità o meno della gestione privatistica del denaro pubblico. In molti invocano l’intervento degli Stati per stoppare una iniziativa che non soltanto potrebbe sovvertire l’intero sistema finanziario internazionale, ma che potrebbe pure prestarsi ad usi illeciti di ogni genere ed anche alle più devastanti attività terroristiche.
Le reazioni, i dubbi, le perplessitá e, in pochi casi, i fuochi di sbarramento sono stati immediati: Stati Uniti, Unione Europea, G7, Fondo Monetario Internazionale e tutti gli altri soggetti detentori di potere finanziario si sono precipitati a “indagare”: una attivitá poco impegnativa, aperta ad ogni tipo di scelta finale.
Viceversa, a non avere dubbi sulla pericolositá dell’iniziativa sono alcuni settori che si occupano di sicurezza internazionale. Valga per tutti, l’allarme del prof. Mario Lombardo che, oltre ad essere un noto accademico italiano, é anche uno dei massimi esperti europei in tema di sicurezza collettiva e di contrasto alle attivitá terroristiche. Il problema non é tanto quello dell’apertura di canali finanziari attraverso i quali potrebbero transitare fondi destinati ad attivitá terroristiche spicciole – mi si passi il termine – quanto quello della costruzione di un immenso centro di potere mondiale che possa essere in grado di condizionare direttamente le scelte politiche di intere nazioni; o anche di influenzare pesantemente l’orientamento dei corpi elettorali delle principali potenze. Qualcuno, in proposito, ha ricordato la voce che vorrebbe Zuckerberg – il patron di Facebook – interessato a concorrere alla Presidenza degli Stati Uniti.
Ma non è su questi elementi che voglio soffermarmi, bensì sul nodo che sta alla base di tutto ciò e di altro ancora. Cioè, sul fatto che ad emettere, a produrre, a creare il denaro – sotto qualsiasi forma – siano oggi i privati: siano essi le “duecento famiglie” che attraverso un sistema di scatole cinesi controllano le banche centrali di mezzo mondo, o i “mercati” delle banche d’affari e dei fondi d’investimento, o gli speculatori della “finanza derivata”, o – adesso – i nuovi ricchi dell’universo digitale che vogliono realizzare in proprio i guadagni astronomici consentiti dalla fabbrica del denaro.
E voglio anche soffermarmi sull’altro aspetto – speculare al precedente – per cui l’attivitá di creazione della moneta (o di equivalenti della moneta) viene inibita agli Stati. I quali Stati, al contrario, sono costretti a farsi prestare dai privati il denaro necessario alla loro attivitá istituzionale (sicurezza, difesa, istruzione, sanitá, previdenza, eccetera), creando cosí quel “debito pubblico” che li rende succubi del potere finanziario; potere finanziario che concede o non concede e, comunque, condiziona (spread, rating, eccetera) l’erogazione dei crediti richiesti.
É una domanda che mi pongo da tempo e che ho girato ai lettori [«Perché il denaro é delle banche e non degli Stati?» su “Social” del 28 giugno 2013], ed alla quale puó essere data una sola risposta: perché in tal modo si riducono gli Stati a semplici esecutori d’ordini dei centri di potere che gestiscono le loro finanze. Con tanti saluti – é appena il caso di ricordarlo – a indipendenza, democrazia, popolo sovrano e consimili specchietti per allodole.
É assurdo, é inconcepibile che lo Stato moderno, sempre piú invadente e pervasivo, si riservi il diritto di occupare ogni piú piccolo spazio della vita pubblica, fino all’aria che respiriamo, e contemporaneamente rinunci ad occuparsi di un aspetto fondamentale, quale é quello della creazione della moneta nazionale (ma oggi anche della moneta comunitaria).
«Il privilegio di creare ed emettere moneta non è solamente una prerogativa suprema del Governo, ma rappresenta anche la maggiore opportunità creativa del Governo stesso.» Lo diceva Abraham Lincoln, certamente uno fra i maggiori Presidenti degli Stati Uniti d’America. Ma Lincoln fu tolto rapidamente di mezzo, subito dopo aver notificato ai banchieri americani il divieto di battere autonomamente moneta. L’assassino – tale Booth – era un estremista sudista, ma fu ucciso in grande fretta, prima di poter dire chi fossero i mandanti.
La stessa sorte, un secolo piú tardi, toccó a Lee Oswald, l’assassino di John Fitzgerald Kennedy. Anche Kennedy – guarda caso – aveva da poco emanato un provvedimento poco gradito dall’alta finanza americana. Era il famoso Ordine Esecutivo n. 11.110 con cui si stabiliva l’emissione di “silver certificates” da parte del Tesoro, direttamente e senza passare attraverso le maglie della FED, la banca “centrale” statunitense [«L’Ordine esecutivo n. 11.110: forse Kennedy aveva visto giusto» su “Social” dell’8 novembre 2013]. Cosa erano i silver certificates? Dei certificati di credito di piccolo taglio, garantiti dal governo, l’equivalente americano di quelli che dovrebbero essere (speriamo!) i nostri mini-bot.
Ipotesi complottiste? É possibile. Come é possibile anche il contrario. La polvere della storia si é depositata su quei misteri, e difficilmente qualcuno riuscirá ormai a rimuoverla.
Non mi avventurerei, quindi, in risicate ipotesi investigative, preferendo tornare alla cruda realtá di questi giorni. Sembra, dunque, che banchieri, avventurieri e bottegai abbiano infine scoperto la leggendaria “pietra filosofale”, quel magico elemento – credevano gli antichi – che consentirebbe di trasformare i metalli vili in oro. Fu un segreto vanamente inseguíto da Cagliostro, dagli alchimisti e da schiere di piú modesti maghi e fattucchiere. Ma nessuno riuscí mai a scoprire l’agognata formula magica.
Oggi, piú prosaicamente, i negromanti del XXI secolo sembrano aver aggirato l’ostacolo: non utilizzano piú ferro o piombo da trasformare in oro; adesso l’oro (o il denaro) lo creano direttamente dal nulla, e l’utilizzano per generare altro oro, in una catena senza fine di arricchimento per pochissimi e di immiserimento per intere popolazioni.
Questo, naturalmente, é un privilegio esclusivo dei “mercati”. Guai se gli Stati volessero fare altrettanto, a vantaggio delle rispettive popolazioni. Sarebbe “illegale”. L’ha detto Draghi, l’ha ripetuto il presidente di Confindustria, e lo ha messo in musica il ministro Tria.
A noi – poveri mortali esclusi dai misteri dell’alchimia – non resta che aspettare i futuri proclami di Facebook, di Amazon, di Ebay o di qualche altro potentato digitale.
E – mi raccomando – senza neanche lontanamente pensare che, a fianco all’euro, ci possa essere spazio per una similmoneta nazionale. Mica noi ci chiamiamo Zuckerberg.
Michele Rallo – ralmiche@gmail.com
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Commento di Roberto Tumbarello: ““E bravo Zuckerberg! Dopo avere dato visibilità all’ignoranza e alla cattiveria, adesso va in soccorso dei disonesti. La nuova moneta non sarà un vantaggio per le persone perbene che, invece, saranno le prossime vittime. Sarà un’altra fonte di guadagno per imbroglioni e truffatori, per chi ricicla denaro sporco ed evade le tasse, per strozzini, ricattatori e terroristi. Le istituzioni, da una parte all’altra del mondo, stanno a guardare, impotenti ma pure affascinate dal genio malefico del ciarlatano. Ci si chiede quale altra diavoleria consentiremo per mettere KO una società già tanto provata…”