Compostaggio, per un riciclaggio utile dei rifiuti organici
Il compostaggio basato su processi assai diffusi in natura, sfrutta le reazioni prevalentemente ossidative ed esotermiche promosse da microrganismi aerobi, trasformando la frazione organica presente nel materiale di partenza, in un prodotto ricco di nutrienti, biologicamente stabile, privo di odori e di facile impiego, il compost. I processi biologici alla base del compostaggio hanno quale obiettivo la totale o parziale degradazione della frazione organica fermentescibile per ottenere la stabilità biologica. L’evoluzione della sostanza organica nei processi di compostaggio e nei processi aerobici biologici in genere, procede sia in termini quantitativi (variazione del peso totale di ogni singola frazione della sostanza organica contenuta), che qualitativi (modificazione della struttura molecolare delle frazioni organiche).
E’ in seguito a tali processi che la sostanza organica contenuta diviene stabile, matura ed umificata, raggiungendo un grado di evoluzione che dipenderà dai tempi di processo e dalle modalità adottate. La stabilità biologica indica lo stato in cui, garantite le condizioni ottimali per l’esplicarsi delle attività microbiologiche in condizioni aerobiche (ottimizzazione dei parametri chimico- fisici), i processi di biodegradazione si presentano alquanto rallentati. La trasformazione della sostanza organica in sostanze umiche è sempre stata di estremo interesse per i chimici del suolo e gli ecologi in quanto ad essa è correlata la fertilità di un suolo.
I numerosi studi condotti concordano nell’osservare un aumento, nel compost, del contenuto di
sostanze umiche durante il progredire del processo.
La stabilità è funzione dell’attività biologica e perciò la sua misura deve essere strettamente legata alla determinazione di quest’ultima In passato sono stati proposti molti metodi analitici per determinare la Stabilità Biologica (Iannotti et al., 1992; Adani et al., 1995). Tra di essi i metodi che misurano 1’attività respirometrica hanno ricevuto molta attenzione dai ricercatori (Iannotti et al., 1992). I test di respirazione stimano la produzione di anidride carbonica (Naganawa et al., 1990) o il consumo di ossigeno della biomassa (Iannotti et al., 1992). Si determina utilizzando il metodo descritto da Isermeyer (1952)su campioni di terreno secco all’aria preincubati a 30 °C ed al 100 % della capacità di campo. I dati si esprimono in mg C-CO2 per g di peso secco e sono relativi a quattro settimane di incubazione. Le misure si effettuano in corrispondenza ai giorni 1, 2, 4,7, 10, 14, 17, 21 e 28.
La respirazione basale si ricava dal valore di C-CO2 sviluppato in corrispondenza del 28° giorno di misura, o quale media delle ultime determinazioni laddove la quantità di C-CO2 sviluppata si attesti su un valore pressoché costante. Dalla velocità di respirazione, che esprime la quantità di CO2 emessa in un tempo t, si ricavano le curve di respirazione che consentono di mettere in relazione la respirazione microbica alla decomposizione della sostanza organica.
I metodi basati sull’evoluzione di CO2 sono economici ma non differenziano tra produzione aerobica ed anaerobica di CO2 (Lasaridi e Stentiford, 1996) ed inoltre non tengono conto che il grado di ossidazione della materia organica influenza il consumo di ossigeno per mole di CO2 prodotta (Haug, 1986). La misura del consumo di ossigeno, perciò, è preferita come metodo respirometrico. L’elettrodo di Clark opportunamente modificato rispetto al modello originale può risultare assai utile combinato con una microcella capace di lavorare in flusso su campioni di suolo anche di piccole dimensioni 100–200 mg. Frequentemente la curva respirometrica è usata per la valutazione degli effetti dell’apporto di prodotti chimici come pesticidi e metalli pesanti al suolo.
Il rapporto respirazione/biomassa stima la quantità di O2 consumato nella respirazione basale della popolazione microbica per unità di biomassa microbica, eventualmente relazionandola alle indotte variazioni dell’attività microbica.
Luigi Campanella