2 giugno 2019 – La parata disertata… per “amor di patria”
Succede che certe volte i governi, specie quando capita per sbaglio che siano, almeno parzialmente, espressione genuina del popolo, dirazzino e si dimentichino il motivo per il quale stanno lì. Che è, tra le altre cose e in prima linea, quella di sostenere, onorare, rafforzare e retribuire chi ha il gravoso compito di difendere i sacri confini della patria, che siano al Brennero, in Crimea, Etiopia, Somalia, Serbia, Libia, Iraq, o Afghanistan. E anche l’onere e l’onore di stare a fianco, costi quel che possono costare 90 F35, di coloro che stanno sopra di noi. Queste dimenticanze da parte di governanti che insistono a voler essere civili e non uniformati, il popolo le paga. Pensiamo al Cile, all’Argentina, a tutto il Sudamerica (escluso il Venezuela, dove un fenomeno del tutto anomalo e contrario ha infranto la regola).
Succede che tre dei più illustri nostri generali, pluridecorati per meriti acquisiti nelle campagne per la democrazia e i diritti umani, che hanno fatto il lustro del nostro paese e offerto alle giovani generazioni esempi di amor di patria e di vittoria, rispettivamente già capi di Stato Maggiore della Difesa e capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, alla parata militare del 2 giugno non ci sono voluti andare.
Rinunciare a vedere sfilare, al suono di esaltanti marce e fanfare, i corpi reduci da guerre di liberazione, come quelle sopra elencate, e candidati a chissà quali nuove imprese di diffusione della civiltà, magari in Iran, Russia, Cina, perdersi quei momenti di batticuore, tensione muscolare e spirituale, che valgono la sopportazione di un resto dell’anno alle prese con politici che remano contro, con opinioni pubbliche corrotte da turpi messaggi culturali, tipo il devirilizzante “love and peace”, deve essere stato causato da qualcosa di molto, molto grave.
Qualcosa di davvero scellerato, che si è abbattuto come un infausto ciclone sulla nobile selva dei nostri monumenti e lapidi, sparsi dal più grande al più piccolo borgo della nazione, in memoria dei generali che hanno saputo opporre all’invasore straniero i corpi di 600mila nostri eroici cittadini (in buona parte anche da essi fatti fucilare perché in errore di direzione d’assalto); di quegli altri che, sfoltendo le turbe di selvaggi con gli scintillanti strumenti della tecnologia e chimica italiana, hanno portato tra faccette nere e brune la prestanza del maschio italico e il suo retaggio di civiltà; di coloro, ancora, che alle popolazioni stremate dal bolscevismo, hanno offerto il conforto di chi per riscattarle ha lasciato tra le loro nevi la propria pelle e i propri scarponi di cartone. Si potrebbe proseguire su questa strada lastricata di eroismo degli umili, di sublime scienza strategica dei rispettivi comandanti, di sacrifici alla patria e all’umanità, offerti con spirito stoico e coscienza di missione civilizzatrice da operai, contadini, poeti e navigatori della patria italiana. Nel senso, largo e generoso, di patria prima germanica e poi atlantica.
Ma veniamo al fatto. Uno dei generali, Tricarico, ha dichiarato di non poter partecipare perché “sarebbe ipocrita applaudire i nostro soldati in compagnia di soggetti che stanno contribuendo a un progressivo e, per certi versi, irreversibile indebolimento delle Forze Armate”. E ha aggiunto: “Una componente della maggioranza gialloverde sta portando avanti un atteggiamento ostile nei confronti di una delle poche istituzioni che funzionano bene in Italia: le Forze Armate”. A qualcuno di noi, mosso da odio di classe, come denuncia il generale Arpino, un pensiero cattivo e fazioso è corso a Emanuele Scieri della Folgore, a Stefano Cucchi della stazione CC di Tor Sapienza, ma anche a qualche distesa di macerie scavalcate a Belgrado, Baghdad, Mogadiscio e Tripoli. Effetti collaterali dell’istituzione che funziona meglio in Italia.
A sua volta, un altro generale, Camporini, dichiara di non voler assistere alla parata perché “troppe sono le disattenzioni del governo nei confronti dei tempi della Difesa, spesso snaturata con un’ipocrita enfasi sul ‘Dual use’ … da dichiarazioni di vuoto pacifismo del presidente del Consiglio… e potrei continuare”. E chissà come avrebbe potuto continuare se quel pacifismo anziché “vuoto” fosse addirittura pieno, mentre comprendiamo il suo risentimento rispetto a militi che, anziché offrire il petto al fuoco nemico il fuoco al petto nemico, sono costretti ad umiliarsi a tirare fuori sepolti dal terremoto, a rimuovere rifiuti dalla Terra dei Fuochi, o a fare i piantoni a metro e treni.
Insomma, come conclude ancora, il generale, qui si “sta minando un’istituzione di cui il paese deve essere orgoglioso”!. E allora ci tocca andare a scovare e denunciare i fin qui impuniti, se non dall’indignazione delle megastellette, responsabili e fatti di tanta dolorosa defezione nel giorno della più alta celebrazione della Repubblica, quella al vibrante sound di scarponi, trombe, cingoli e rombi tricolori in cielo. Paolo Riccò, altro generale di quelli dai tanti nastrini, a Viterbo lasciò la cerimonia del 25 aprile – già di per sè fastidiosa concorrente di quella del 2 giugno – perché qualche diffamatore della nostra storia imperiale andava cianciando di quelli che definiva “i crimini di guerra fascisti in Etiopia”. Grave offesa alla bandiera, per mere trecento tonnellate di iprite lanciate sui neri riottosi e qualche esecuzione di massa del maresciallo Graziani, dio l’abbia in gloria. La ministra della Difesa, la grillina Trenta, ha osato aprire un’istruttoria sul difensore della nostra missione civilizzatrice!
Ma l’improvvida femmina ha fatto di peggio. Il nervo scoperto e arroventato sta lì. E non mancano di cantargliela i nostri generali. Tergiversa da tempo sull’emanazione del decreto missioni militari, quelle che, contribuendo alla spesa militare di quasi 100 milioni al giorno, ci mantengono liberi e democratici nei favori dei nostri papà Usa e mamma UE; non provvede all’ammodernamento dei mezzi e quel varo da lei fatto a Castellamare della più grossa nave militare italiana, il mezzo d’assolto anfibio “Trieste”, con tanto di F35 a bordo, non è che una goccia nel deserto se si vuole giocare nel Golfo Persico alla pari almeno con i lituani. Senza contare che quei F35 sono ancora bloccati da perplessità, solo per dare ascolto ad alleati tentenna che li hanno chiamato “bare volanti” e li hanno disdetti.
Quanta nostalgia dei tempi quando una ben diversamente simpatica Elisabetta Trenta fungeva da entusiasta consulente al nostro apparato militare ai tempi delle imprese di Nassiriya e di quelle dei nostri alleati su Falluja.
Il decadimento dello spirito di corpo di questa donna anomala (se si pensa a Pinotti, Mogherini, Albright, Rice) si è poi manifestato anche nell’assurda decisione di far sfilare davanti ai combattenti che, invece, sono quelli che rappresentano la virile baldanza della nazione, i mollaccioni della Riserva (quelli che risalgono all’infausto periodo della Leva, pre-professionismo), i veterani col pannolone, gli atleti olimpici e addirittura paraolimpici. Il tutto presentato in un manifesto ufficiale in cui – incredibile dictu! – non appaiono armi. “Vogliamo una cerimonia all’insegna dell’inclusione”, ha detto la ministra. Concetto stranissimo e straniante per qualsiasi sano spirito di corpo.
Insomma quel “vuoto pacifismo” da “peace and love” che tanto aveva in passato indebolito il nerbo della patria e che tanta fatica si è fatta, grazie ai governi di guerra, da Andreotti, attraverso D’Alema, Berlusconi, Monti, Letta, Ranzi, Gentiloni, fino ad oggi, a corroborare e lanciare verso nuove imprese, nuove glorie. Non ci fosse stato il nefasto influsso sulla già valente Trenta di quella “componente” del governo che l’amico Salvini non è riuscito a temperare.
Ma c’è un’accusa più grave, mossa ancora dal generale Tricarico con le seguenti sofferte e dannanti parole: “Noi militari siamo stati trattati da malfattori”. Possibile che dai gialli del regime si sia arrivati a questo? Possibile, ahinoi. Nella loro fregola indistinta e acritica di sforbiciare a manca e a destra, soprattutto a destra giacchè a manca non ce n’è, hanno tagliato le pensioni d’oro perfino ai generali. Pensate, niente di meno che il 2% a tutte le pensioni da 100mila l’anno, tutte meritate sul campo e calcolate non sul contributivo, come per i civili, ma sul retributivo, come merita una categoria esposta a incalcolabili rischi. Ecco, è qui, soprattutto qui, che casca l’asino. Anzi, il generale. Con tutti i suoi nastrini. Non vogliamo solidarizzare con il boicottaggio di una parata militare civilizzata? E’ questione d’onore.
Ah, dimenticavo. Alla parata farà spiacevole difetto anche la melodia dei rauchi borborigmi di un’eccellenza nel campo delle criptostellette: il potenziale maresciallo d’Italia ed ex-ministro della Difesa La Russa. Le sue limpide corde vocali hanno raschiato:”La ministra manca di rispetto ai militari”. Incredibile: offesa al ministro della difesa.
Resta una domanda: quale potrebbe essere la prossima mossa dei generali alla luce di quanto questi nostri Tupamaros stanno combinando?
N.B. La parata fu sospesa nel 1977, poi dal 1989 al 1994 e più nulla fino al 2000. Altri tempi, altre temperie. E i generali si limitarono a borbottare. Nel 2000 Ciampi la restaurò. E nessuno fiatò più.
Fulvio Grimaldi – https://fulviogrimaldi.blogspot.com/
Sottofondo sonoro: https://www.youtube.com/watch?v=JfjMrOEWQrk