Gramsci e la crisi generale del capitalismo – “Tornare dove sempre siamo stati”
Il (nuovo)Partito comunista italiano lotta per portare a compimento l’opera che il vecchio PCI lasciò incompiuta: fare dell’Italia un paese socialista!
Il bilancio dell’esperienza del vecchio PCI di Antonio Gramsci e della gloriosa e vittoriosa Resistenza, il punto più alto finora raggiunto dalla classe operaia del nostro paese nella lotta per il potere, sono fonte di grandi insegnamenti!
Studiare l’opera di Gramsci alla luce del marxismo-leninismo-maoismo è un tassello importante per condurre vittoriosamente la nostra lotta!
Gramsci è un patrimonio per il movimento comunista italiano. Fu l’unico dirigente comunista che si cimentò nell’opera di “tradurre il marxismo in italiano”, ossia di usare il marxismo per analizzare il nostro paese e individuare la via per fare dell’Italia un paese socialista.
Il carcere fascista gli impedì di guidare il PCI a raggiungere questo obiettivo. Ma le sue analisi e le sue elaborazioni sono per noi una miniera da cui attingiamo alla luce del marxismo-leninismo-maoismo.
Gramsci e la crisi generale del capitalismo, Supplemento di La Voce 61, fornisce ai compagni che lo studieranno gli utensili necessari per imparare dai suoi Quaderni del carcere (1929-1935) e dai suoi scritti del periodo 1923-1926, il periodo in cui su mandato dell’Internazionale Comunista si dedicò a trasformare in un partito bolscevico, cioè in un partito basato sul marxismo-leninismo, il partito che l’ala estremista del PSI guidata da Bordiga aveva fondato a Livorno nel 1921. Il PSI era il partito della II Internazionale, con un largo seguito nel proletariato e nelle masse popolari italiane, ma esso aveva accompagnato impotente il proletariato e le masse popolari nei sussulti di ribellione della Grande Guerra (1915-1918) e del Biennio Rosso (1919-1920) e infine aveva lasciato via libera al fascismo. L’ala estremista del PSI guidata da Bordiga era quella a cui Lenin aveva dedicato espressamente una parte del suo scritto del 1920, L’“estremismo”, malattia infantile del comunismo che abbiamo presentato in La Voce 57 Ma non ci dilunghiamo qui sugli eventi: i nostri lettori possono trovarne la descrizione in Proletari senza rivoluzione di Renzo Del Carria, uno storico affidabile anche se non ha compreso il ruolo indispensabile del partito comunista nella rivoluzione socialista e in Storia del Partito comunista italiano di Paolo Spriano, uno storico aderente alla corrente revisionista del PCI.
Gli scritti di Gramsci sono universalmente noti tra gli intellettuali di sinistra nel mondo intero, ma sono anche largamente travisati da riformisti, attendisti e disfattisti e da universitari chiacchieroni e perdigiorno di tutti i continenti. Caso esemplare italiano di questo travisamento è stato il Forum “il vecchio muore ma il nuovo non può nascere” indetto a Roma nel dicembre 2016 da Rete dei Comunisti, a proposito del quale rimandiamo all’Avviso ai naviganti 66 – 15 dicembre 2016. Nel Quaderno 3 (nota 34) steso nel 1930 nel carcere di Turi (Bari), Gramsci aveva (in un linguaggio compatibile con la censura carceraria) scritto che la cultura e i valori (la concezione del mondo) della borghesia e del suo clero facevano sempre meno presa nelle menti e nei cuori della massa della popolazione italiana (e non solo) stante la crisi della società borghese e che d’altra parte la concezione comunista del mondo non poteva diventare di massa finché la borghesia riusciva con la forza a impedire la vittoria della rivoluzione socialista: da qui lo sbandamento intellettuale e morale di cui Gramsci scriveva nella nota. Ne conseguiva che il compito del partito comunista era vincere la borghesia sul terreno politico, prendere il potere e instaurare il socialismo: era quindi da perdigiorno occuparsi della crisi intellettuale e morale senza occuparsi della conquista del potere e dell’instaurazione del socialismo. Questo Gramsci scriveva nella nota. Nel Forum di Roma la cupola di RdC metteva invece in bocca a Gramsci la concezione fatalista di Claudio Treves (espressa nel “discorso dell’Espiazione” [http://storia.camera.it/regno/lavori/leg25/sed029.pdf - pagg. 1634 - 1641] pronunciato nel Parlamento di Roma il 30 marzo 1920): la società borghese andava a catafascio ma il Partito socialista non intendeva promuovere l’instaurazione del socialismo, perché il socialismo è “un parto divino” che nessuno è in grado di accelerare (questo avrebbe dovuto rassicurare borghesia e clero e distoglierli dal mettere in campo le squadre fasciste), ma che nessuno è nemmeno in grado di arrestare (questo avrebbe dovuto consolare e acquietare gli oppressi, lo stesso obiettivo a cui sarà destinata nel secondo dopoguerra la teoria di Togliatti della “instaurazione del socialismo tramite una sequenza di riforme di struttura della Repubblica Pontificia”).
Questo è il principale travisamento che viene fatto del pensiero di Gramsci. L’altro travisamento diffuso è quello di usare il Gramsci “consiliarista” del Biennio Rosso (periodo in cui Gramsci non aveva ancora assimilato il marxismo-leninismo ed esaltava il ruolo della classe operaia e dei Consigli di Fabbrica senza considerare il ruolo dirigente del partito comunista indispensabile ai fini della rivoluzione socialista), contro il Gramsci costruttore del Partito nel 1923-1926 ed estensore dei Quaderni del carcere negli anni della prigionia, proprio alla luce degli insegnamenti tratti dal Biennio Rosso e grazie alla formazione ricevuta in Unione Sovietica.
Nel Supplemento mostriamo perché il primo e principale travisamento della concezione di Gramsci è possibile e più in generale a cosa si appigliano riformisti, attendisti, disfattisti e universitari chiacchieroni e perdigiorno di tutti i continenti per far passare Gramsci come un fautore delle concezione che i comunisti potranno conquistare il potere solo dopo che avranno raggiunto l’egemonia in campo intellettuale e morale (di contro alla tesi di Marx ed Engels che “in ogni società divisa in classi le idee e i valori predominanti sono quelli della classe dominante”).
In effetti anche nei Quaderni del carcere Gramsci illustra ampiamente il corso delle cose sul terreno politico, intellettuale e morale, ma della crisi economica in corso ha una comprensione inadeguata ai compiti del movimento comunista della sua epoca. Il Supplemento mostra in dettaglio come si esprime questo lato arretrato del pensiero di Gramsci nei Quaderni del carcere. Mostra anche che era un tratto comune a tutto il movimento comunista dell’epoca: uno dei motivi principali (illustrati nello scritto I quattro temi principali da discutere nel Movimento Comunista Internazionale) per cui in nessuno dei paesi imperialisti esso è riuscito ad instaurare il socialismo nel corso della prima ondata (1917-1976) della rivoluzione proletaria che la vittoria nel 1917 della Rivoluzione d’Ottobre in Russia e la costruzione dell’Unione Sovietica sotto la direzione del Partito comunista di Lenin e di Stalin hanno sollevato in ogni angolo del mondo.
Con i tre articoli riuniti nel Supplemento diamo la chiave di lettura dei Quaderni del carcere e più in generale dell’opera politica di Gramsci. In particolare anche del contrasto esistente tra Gramsci e il Partito che si era costituito nel 1921 a Livorno sotto la direzione di Amadeo Bordiga, contrasto che Gramsci non riuscì a risolvere nei tre anni (dall’autunno del 1923 all’autunno 1926) in cui diresse il Partito, benché il Congresso tenuto in clandestinità a Lione nel gennaio del 1926 avesse approvato a larga maggioranza le Tesi di Lione (gennaio 1926 – Tesi politiche – Tesi sindacali). Quando nel novembre del 1926 il fascismo imprigionò Gramsci, il Partito era ancora lungi dall’aver assimilato la concezione comunista del mondo ed elaborato sulla base di essa una strategia per la rivoluzione socialista in Italia e tale rimase benché fino al 1947 formalmente ligio alle direttive dell’Internazionale Comunista e ai suggerimenti del PCUS. Questo spiega anche il rapporto contraddittorio di Gramsci con il Partito nel corso della sua prigionia in merito alle iniziative da prendere per la sua liberazione. In proposito rimandiamo a Lo scambio. Come Gramsci non fu liberato (Sellerio editore, Palermo 2015) di Giorgio Fabre.
Il Supplemento è parte del lavoro di bilancio e di elaborazione dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976) necessario per individuare, comprendere e superare gli errori e i limiti che impedirono l’instaurazione del socialismo nei paesi imperialisti e che portarono al crollo dei primi paesi socialisti. Solo attraverso la comprensione di quegli errori e di quei limiti (e nel nostro caso specifico, degli errori e dei limiti della sinistra del PCI – di Secchia, Vaia, Vidali, Noce, Moscatelli, Marchesi e altri, quindi dei dirigenti del PCI più dediti alla causa del comunismo) potremo portare a compimento l’opera che il PCI lasciò interrotta e fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Infatti non basta “riprendere il cammino” da dove è stato interrotto e “ripristinare i principi del marxismo-leninismo”, come professano i dogmatici del tipo di Piattaforma Comunista e del PC di Marco Rizzo. Per far rinascere il movimento comunista bisogna comprendere i motivi della sconfitta e superarli, allo stesso modo in cui Lenin e i bolscevichi per superare il revisionismo prevalso nella II Internazionale dovettero non solo denunciare il tradimento della causa compiuto dai gruppi dirigenti della maggior parte dei partiti della II Internazionale, ma anche sviluppare il marxismo ad un livello superiore e dare risposte a questioni che Marx ed Engels non avevano adeguatamente elaborato e che avevano favorito l’affermazione dei revisionisti e dei riformisti, in primis alle questioni della natura della rivoluzione socialista, della natura del partito necessario per la rivoluzione socialista, dello Stato della dittatura del proletariato.
Noi comunisti siamo non solo continuatori dell’opera del vecchio PCI di Gramsci e in generale continuatori dell’opera storica del movimento comunista guidato da Lenin, Stalin e Mao Tse-tung, ma anche innovatori, sviluppatori del patrimonio teorico del movimento comunista, forti del bilancio della ricca esperienza accumulata dal movimento comunista e anche dell’analisi delle trasformazioni prodotte dalla guerra tra il proletariato e la borghesia imperialista nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976) e dall’opera condotta dalla borghesia imperialista una volta ripresa la direzione del mondo dopo l’esaurimento della prima ondata.
Il Supplemento entra quindi a pieno titolo nel materiale utile alla formazione della leva di comunisti necessaria per far avanzare la rivoluzione socialista che il (n)PCI promuove nel nostro paese. Ci auguriamo che tutti quelli che vogliono dare da subito un contributo alla rivoluzione socialista in corso, lo facciano conoscere, lo studino e lo facciano studiare nell’ambito delle celebrazioni del centenario del Biennio Rosso e della fondazione (Mosca, marzo 1919) della prima Internazionale Comunista.
NPCI – nuovopci@riseup.net
Supplemento di La Voce 61