Natale o Carnale? – Riflessioni sull’orgia epicurea che ci attende…

Prima che l’orgia festaiola ci coinvolga in atmosfere epicuree, qualche breve riflessione s’impone, in un periodo dell’anno, dove spesso un consumismo sfrenato travolge gran parte dei paesi opulenti.
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L’umanità sembra ossessionata dalla ricerca del piacere. Non è mai sazia! E, al contrario, rifiuta come la peste, tranne nei casi di gravi patologie psichiche, la sofferenza e la pena. Il piacere e la pena, due facce della stessa medaglia, con tutte le loro sfumature e gradualità, sono i poli dentro cui si manifestano i nostri sentimenti. L’animo fluttua all’interno di queste due grandi dimensioni. Il suo moto è oscillante come in un pendolo.
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La ricerca del piacere, dagli espedienti più semplici e ruspanti a quelli più contorti e raffinati, si trasforma in idolatria quando diventa un fine, un piacere fine a se stesso.
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Se il piacere diventasse uno scopo e non un mezzo, l’umanità si voterebbe alla noia, perché il piacere è un pozzo senza fondo. Nel momento in cui viene soddisfatto perde di interesse e se non si trovano nuovi stimoli, sempre più audaci e pruriginosi, niente più susciterà interesse.
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Una noia mortale sarà la naturale conseguenza di questo meccanismo perverso. La depressione è uno dei mali più oscuri della modernità. Aver idolatrato il piacere ha reso l’uomo schiavo. Spesso a sua insaputa, a volte compiacendosi del superficiale godimento ignorando le conseguenze.
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Il piacere e la pena sono due strumenti cognitivi a disposizione dell’uomo. La loro esperienza rappresenta un’ ottima palestra in cui l’umano potrebbe conoscere se stesso, il prossimo e l’ Impronunciabile…
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La conoscenza del mondo interiore, laddove sorge la gioia per ottenere più vita, è il vertice di ogni esperienza umana. Il “Conosci te stesso”, l’epitaffio scritto sul tempio di Apollo a Delfi, rappresenta il fine supremo, fin dagli albori della vita.
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Per fare un esempio facilmente comprensibile, proviamo ad immaginare una persona che mangia, magari da sola, senza chiedersi da dove viene quel cibo, chi lo produce, come viene coltivato, se fa male alla salute, ecc… Tutto l’universo relazionale, che con il cibo s’intreccia, gli è estraneo.
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Il suo gesto si limita al solo piacere che gli procura il palato, quando non addirittura gli è completamente indifferente la condivisione di quel piacere con gli altri.
La conoscenza non lo sfiora minimamente, non gli interessa, non lo stimola, vive in superficie. La sua anima si confonde con quella di un tubo digerente!
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Al contrario, il piacere della tavola, semplice e sobrio, quando è accompagnato dal piacere della conversazione, dalla curiosità di conoscere e di imparare cose nuove, diventa un momento di crescita e di consapevolezza, specie quando poni te stesso dentro le cose che senti.
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Quando ciò accade si crea una sostanza che si chiama soddisfazione che penetra e va oltre la scorza del piacere e si espande al mondo interiore. La conoscenza, quando è ispirata da principi etici, e non una vacua speculazione intellettuale, tende a responsabilizzare l’uomo perché interpella la sua coscienza.
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Cosi, insieme alla conoscenza del piacere, l’altro polo dei sentimenti umani, la sofferenza diventa altrettanto fondamentale per comprendere la profondità dell’animo umano. Chi rifiuta il dolore si nega alla vita spirituale. Attraverso la sofferenza la sensibilità si dilata e ci rivela recessi dell’animo umano inesplorati.
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Non alludo alla sofferenza che subiamo e che ci rende passivi, ma a quella di chi ama la vita e vuole più vita, ed è disposto a farsi carico dello sforzo e della fatica per ottenerla per se e per gli altri.
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Una sofferenza indicibile, come quella di un parto, di chi geme nel buio della notte in attesa del nuovo giorno che viene alla luce. Spuntata l’alba, il dolore come per incanto non c’è più, è alle spalle. Sei finalmente libero e rinato.
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La nostra anima purificata dal dolore ci darà nuovi occhi attraverso cui guarderemo la forza straripante della vita che non cessa di stupirci e che ci chiede solo di amarla.

Michele Meomartino

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