Rating… l’oggetto misterioso

Dopo quello di Moody’s è giunto anche il verdetto della Standard & Poor’s a completare il quadro di quest’ultimo capitolo della guerra alla sovranità italiana. Anzi, è andata meglio del previsto. Vedremo domattina, ad apertura dei mercati (scrivo queste note alla domenica) come si muoverà la speculazione finanziaria.

Ma non è di questo che voglio parlare. D’altro canto, non avrei nulla da aggiungere alle notizie che, in questi giorni, vengono sparse a piene mani da giornali e telegiornali. Voglio piuttosto utilizzare questo spazio per dare qualche notizia di quelle che vengono solitamente taciute dai grandi organi d’informazione. Nulla di clamoroso: fatti e circostanze che sono perfettamente noti a tutti gli addetti ai lavori. Ma che gli organi d’informazione si guardano bene dal comunicare al grande pubblico, quasi che tutti si sia obbligati a sapere che cosa siano certi oggetti misteriosi (il rating, lo spread), chi siano gli organismi che li determinano (le “agenzie”), in che modo possano incidere sulla nostra realtà. Ma anche – mi permetto di aggiungere – a chi appartengano i soggetti che determinano tutto ciò, quali interessi perseguano, quale sia il loro ruolo nel contesto generale della speculazione finanziaria che, in questa nostra epoca, governa i destini del mondo.

E, allora, parliamo un po’ di queste misteriose (ma non tanto) “agenzie di rating” che imperversano dalle news di questi giorni. Si tratta di organismi privati che si occupano di fare una valutazione (un rating) sulle società che emettono titoli sul mercato finanziario e sulle loro capacità di onorare le obbligazioni assunte. Fin qui, nulla di particolare; anche se talora si è avuto il sospetto che tali valutazioni abbiano favorito certe società e sfavorito altre. Negli USA ci sono state polemiche furibonde sul ruolo delle agenzie di rating nella crisi del 2008; e qui da noi – anche se nessuno ne parla – la Procura della Repubblica di Trani ha inquisito la Standard & Poor’s per il ruolo avuto nel declassamento di alcune banche italiane.

Ma – ripeto – fino a quando la valutazione si limita all’àmbito delle aziende private, bisognerà soltanto stare attenti al codice civile e al codice penale. Il fatto grave, enorme, inammissibile da ogni e qualsiasi punto di vista è quello che vede le predette agenzie dare adesso le pagelle – se così posso dire – anche agli Stati: non soltanto arrogandosi la facoltà (tutta da dimostrare) di saper prevedere il futuro andamento della loro economia, ma anche emettendo di fatto giudizi sulla solidità o meno delle coalizioni di governo, sulla opportunità o meno di effettuare una riforma del sistema pensionistico, o del sistema sanitario, o del mercato del lavoro. Né si tratta di valutazioni fine a sé stesse, perché tali rating – accolti come vangelo dai grandi mezzi d’informazione – vengono riversati sui mercati finanziari, determinando se gli “investitori” debbano chiedere per i titoli pubblici dello Stato X o dello Stato Y un interesse maggiore o minore. È il meccanismo che determina il cosiddetto spread, cioè la differenza del rendimento dei titoli pubblici di uno Stato rispetto a quelli di un altro (nel nostro caso il riferimento è ai bund tedeschi).

A questo punto, è lecito domandarsi: chi o che cosa sono queste “agenzie di rating”, considerate ormai le padrone dell’universo finanziario? Chi le ha create? Chi ha conferito loro il potere di determinare i destini di intere nazioni? Che qualità divinatorie possiedono per asserire che, in futuro, l’Italia o la Spagna o la Francia o qualsiasi altra nazione siano o meno in condizione di onorare i loro impegni? Che autorità hanno? Che credibilità hanno? Sono agenzie dell’ONU? Sono organismi dipendenti da istituzioni finanziarie internazionali?
Niente di tutto questo. Sono delle aziende private, dedite all’unica missione delle aziende private: fare soldi. E, come si vedrà, di soldi ne fanno tanti, tantissimi.

Chi lo volesse, potrebbe trovarne conferme più che autorevoli nella rete. Io mi sono soffermato, in particolare, su un illuminante articolo di Fabio Pavesi, già pubblicato su “Il Sole 24 Ore”, un quotidiano certo non sospetto di ostilità alla logica dei cosiddetti “mercati”. Ho avuto conferma, così, che le agenzie di rating siano dei veri e propri giganti finanziari, di quelli che macinano utili su utili: «Moody’s, solo nel 2009, per ogni 100 dollari che ha fatturato ne ha guadagnati sotto forma di utile operativo ben 38. (…) Dal 2005 al 2009 Moody’s ha generato profitti per complessivi 2,8 miliardi [di dollari].» E la Standard & Poor’s? «L’intera divisione ha fatturato, nel 2009, 2,6 miliardi di dollari con profitti operativi per circa un miliardo. Come si vede un bel 39% di marginalità, in linea con la rivale Moody’s.»
Ma l’aspetto più interessante dell’articolo non riguarda i guadagni delle agenzie di rating, bensì la loro proprietà. In sostanza, chi si nasconde dietro le varie etichette, soprattutto dietro quella di Moody’s, la più importante e la più aggressiva della compagnia. Pavesi snocciola una sfilza di nomi e di sigle, che però poco o nulla dicono ai non addetti ai lavori. Salto, perciò, alla conclusione: «Insomma, i più grandi gestori di fondi a livello mondiale sono azionisti di Moody’s. E guarda caso lo stesso copione si riproduce in Standard & Poor’s.»

Quindi, a ben guardare, i padroni delle agenzie di rating sono i principali protagonisti del mondo finanziario: sono i medesimi “investitori” che acquistano sul mercato i titoli del debito pubblico delle nazioni, gli stessi che hanno la pretesa di dettare le loro regole agli Stati, gli stessi che vogliono fare shopping con le privatizzazioni, gli stessi che amano la Fornero e difendono il Job’s Act, gli stessi nemici della sovranità italiana. Come meravigliarsi se costoro declassano la nostra economia nazionale? Sarebbe strano il contrario.

Michele Rallo – ralmiche@gmail.com

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