Signoraggio bancario – Ovvero: Moneta di “stato” emessa dalle banche (a caro prezzo)…
«Ma perché il denaro è delle banche e non degli Stati?» In realtà l’interrogativo è tutt’altro che banale. Fateci caso, viviamo in una società che è proprietaria di tutto, anche della nostra porta di casa: se vogliamo poter accedere liberamente alla nostra abitazione, dobbiamo pagare una imposta per il “passo carrabile”. Lo Stato – per fare un altro esempio – è proprietario anche dell’aria, che infatti cede a caro prezzo a chiunque voglia una “frequenza” per diffondere un segnale radiotelevisivo.
Ma se poi questo Stato-padrone deve spendere qualche soldo per assicurare l’indispensabile ai suoi cittadini, per erogare stipendi e pensioni, per costruire scuole o strade o fognature, allora il padrone si trasforma in questuante e va umilmente a chiedere i denari che gli servono alle banche centrali private, ed ai “mercati”, cioè a una ristrettissima cerchia di ricconi che il denaro se lo fabbricano da sé, se lo stampano, lo emettono per i fatti propri e se lo accreditano sui loro conti. Dopo di che, i predetti “mercati” decidono se e quanto denaro prestare agli Stati-accattoni, dietro corresponsione di quanti interessi e, ultimo non ultimo, a che condizioni: per esempio, a condizione che lo Stato Tale faccia la riforma delle pensioni e mandi la gente in pensione a ottant’anni, che lo Stato Talaltro faccia il Jobs Act e consenta i licenziamenti a tappeto, che lo Stato Talaltroancora faccia qualche altra riforma “strutturale”, di quelle che “l’Europa ci chiede”.
Avete capito l’enormità della cosa? Lo Stato è padrone anche dell’aria che respiriamo, ma non possiede ciò che gli serve per adempiere ai suoi còmpiti più elementari.
Mi si dirà che così vanno le cose, e che non si può fare niente per cambiarle. NON È VERO. È possibile, è possibilissimo cominciare ad invertire la rotta, cominciare ad attuare delle controriforme che ci riportino a non moltissimi anni fa, con gli Stati che emettevano denaro attraverso le banche nazionali (e non “centrali”), che non erano costretti a mendicare l’indispensabile dai mercati, che non dovevano subire i ricatti del primo Moscovicì che ronzava nei paraggi.
Per noi il problema sarebbe relativamente facile: il nostro sistema bancario – nazionalizzato dal deprecato regime fascista nel 1936 – è stato privatizzato dalla sinistra poco più di una ventina d’anni or sono. Oggi – direttamente o attraverso l’azionariato di banche private italiane – la Banca d’Italia è posseduta anche da soggetti stranieri. Ne facevo un primo elenco su “Social” del 7 febbraio 2014: J.P. Morgan Chase & Co Corporation, Harbor International Fund, Aabar Luxembourg (emanazione dell’Aabar Investments di Abu Dhabi), PGFF Luxembourg (emanazione del Pamplona Global Financial Istitution), Delfin SARL, Central Bank of Libya, Libyan Arab Foreign Bank, Capital Research and Management Company, European Pacific Growth Fund, Carimonte Holding, Abn AmRo, Abn AmRo Holding, Abn AmRo Bank NV, Abn AmRo Bank Luxembourg, Algemene Bank Nederland BV, eccetera.
Si potrebbe tornare indietro? Certamente. Con prudenza, con gradualità, con senso della misura. Ma si potrebbe. Un primo passo lo aveva tentato alcuni anni fa Silvio Berlusconi, certamente il meno peggio tra i governanti della cosiddetta seconda repubblica. A lui si doveva la Legge 262 del 2005 che – pur senza mutare il quadro generale privatistico del sistema bancario vigente – stabiliva che, entro tre anni, le quote della Banca d’Italia detenute da soggetti privati potessero tornare allo Stato. Ma – si ricorderà – le elezioni dell’anno seguente avrebbero visto la vittoria di Mister Privatizzazioni, al secolo Romano Prodi, il quale si sarebbe affrettato a varare una legge di segno opposto per contrastare il disegno vagamente statalista pensato da Berlusconi. Ebbene, per cominciare a cambiare registro si potrebbe riprendere il vecchio progetto berlusconiano, certamente un decente punto di partenza per giungere successivamente ad una completa ri-nazionalizzazione del sistema bancario italiano.
Per altri il cammino potrebbe essere forse più arduo. Gli Stati Uniti d’America, per esempio, hanno privatizzato il loro sistema bancario ben prima di noi, nel 1913, creando la FED (Federal Reserve): su input dei cugini inglesi, che erano stati i primi (nel lontano 1694) a regalare ai banchieri privati il diritto di stampare i loro denari. Esattamente mezzo secolo dopo – nel 1963 – il Presidente Kennedy aveva provato ad emettere una similmoneta di Stato, ma a Dallas un misterioso cecchino era intervenuto prima che l’esperimento potesse prendere piede [vedi “Social” dell’8 novembre 2013].
Oggi quasi tutti i paesi del mondo modulano le rispettive politiche economiche seguendo le disposizioni che, direttamente o indirettamente, promanano dai privati possessori delle loro banche centrali. Banche centrali che, nella maggior parte dei casi, sono totalmente svincolate dal potere politico democratico. E il potere politico democratico, al contrario, subisce la pesantissima influenza delle banche centrali sulle proprie scelte in materia sociale, economica, fiscale.
Certo, occorre tenere ben presente che la strada che gli Stati devono percorrere per riappropriarsi della propria sovranità è irta di ostacoli, di pericoli, che ci si possa anche imbattere in qualche cecchino, come è accaduto a Dallas nel 1963. Malgrado tutto, però, se gli Stati Nazionali vorranno sopravvivere, dovranno necessariamente riappropriarsi della loro sovranità. E, con la loro sovranità, anche del loro denaro.
Michele Rallo – ralmiche@gmail.com
……………………….
Articolo collegato: https://www.terranuova.it/Blog/Riconoscersi-in-cio-che-e/Economia-ecologica-signoraggio-debito-pubblico-tasse