Equiparare l’assegno sociale e le pensioni minime, portandole allo stesso importo (780 euro mensili) è una paradossale sperequazione che non sarà priva di ripercussioni sociali
Pare proprio che l’Italia non riesca in alcun modo a evitare le sperequazioni, fino a giungere a imprevedibili estremismi, paradossali e forse parossistici, invertendo le tradizionali forme di sperequazione adottate in precedenza, che erano quelle di favorire gli statali, i politicanti mestieranti e le clientele politiche, ad esempio con le pensioni baby, le pensioni d’oro, le consulenze fasulle e remunerate profumatamente.
Stando a quanto risulterebbe, almeno nelle intenzioni dell’attuale governo del cambiamento, effettivamente un cambio di registro emerge indubbiamente, non volendo più favorire le classi agiate e le clientele politiche, ma coloro che versano in condizioni disagiate, ma non riesce a sottrarsi alle sperequazioni, forse perché si tratta di una patologia ormai irreversibile, insita nel DNA degli italiani o quantomeno della loro classe politica.
Mi riferisco nello specifico al fatto (o desiderata, per ora) che il governo intende portare le pensioni minime a 780 euro mensili, iniziativa sacrosanta e giusta, non sarebbe altro che un’equiparazione alla media europea (in tal caso però dovrebbero portare da 67 a 65 anni l’età pensionabile, come nella media europea), ma questo innalzamento pensionistico lo vorrebbero applicare anche agli assegni sociali, quella che a livello popolare viene definita “pensione sociale”, che generalmente spetta a chi non ha versato contributi sufficienti per avere diritto alla pensione, ma spesso si tratta di individui che non hanno mai versato alcun contributo previdenziale, cioè non hanno mai contribuito in alcun modo al sistema previdenziale italiano. In pratica un regalo bello e buono, un atto di pura generosità, che sarebbe ammirevole se non fosse che penalizzerà sia finanziariamente che moralmente coloro che hanno versato i contributi per accedere alla stessa identica pensione di coloro che non hanno mai versato nulla in vita loro.
Sarebbe l’ennesima dimostrazione che in Italia sono premiati coloro che se ne fregano (con le dovute eccezioni, ovviamente) rispetto a coloro che hanno il senso dell’onestà e della responsabilità.
Facciamo qualche considerazione di comune buon senso, nulla di tecnico.
Estendere anche a coloro cui spetterebbe l’assegno sociale, il cosiddetto minimo vitale (secondo gli standard europei, poco oltre la soglia di povertà e autosufficienza), cioè 780 euro al mese, significa mettere in difficoltà l’intera operazione, perché si estenderebbe troppo la platea degli aventi diritto e sicuramente si andrà incontro a difficoltà finanziarie, rischiando di non riuscire ad aumentare neppure le pensioni al minimo. Inoltre avverrebbe quanto ho sopra accennato: tutti coloro che hanno versato i contributi per poi ricevere lo stesso importo di coloro che non li hanno mai versati o ne hanno versati pochissimi, si sentiranno legittimamente offesi e presi in giro: quei soldi versati a fatica (che siano contributi lavorativi o volontari) avrebbero potuto tenerseli e spenderli per la propria famiglia se avessero saputo di una simile iniziativa futura. La qual cosa peraltro avrebbe favorito l’economia.
Chiunque si trovi sul suolo italico e abbia acquisito questi diritti, farebbe domanda per l’assegno sociale, e siccome non mi pare il governo abbia posto sufficienti paletti restrittivi, la situazione diverrebbe ingestibile e ingovernabile. E come si potrebbe giustificare una simile sperequazione nei confronti di chi ha versato i contributi proprio per acquisire questi diritti? Un conto è aumentare l’assegno sociale, perché ritenuto troppo basso, un altro è equipararlo alla stessa pensione minima. Già prima la differenza era quasi irrisoria, circa 150 euro, che già era assai discutibile, ma almeno c’era questa parvenza di differenziazione, equiparando gli importi si ottiene veramente una presa in giro colossale, una sperequazione senza precedenti e senza senso.
Con questi miei commenti spero sia chiaro che non intendo certo mettere in discussione il diritto di ognuno, soprattutto se si trova in difficoltà, di ricevere un sostegno statale, ma ribadisco che ogni intervento di sostegno deve essere proporzionale alla specifica situazione, perché se si perde di vista il senso della misura, dell’etica, del merito, del metodo, ecc., allora si cazzeggia e non si applica la giustizia, non si fanno le cose nel modo giusto, tenendo conto di tutti gli elementi di valutazione. Si rischia cioè di fare una politica demagogica ed elettoralistica, per acquisire consenso e voti, rischiando di compromettere le prospettive future.
Per capirci meglio, quanti di noi hanno sentito nella cerchia dei propri amici affermazioni del tipo: “lo avessi saputo quando ero giovane non avrei versato un solo contributo e avrei lavorato in nero, o sarei emigrato all’estero!”, riferendosi ovviamente a iniziative governative di questo tipo, o anche peggio (come la riforma Monti-Fornero). Non a caso oltre 200mila persone abbandonano ogni anno il paese, soprattutto giovani in cerca di condizioni di lavoro e di vita migliori, e anziani per godersi la pensione all’Estero. Con queste iniziative il numero di questi novelli emigranti è destinato a incrementarsi, i giovani perché con il precariato rimanendo in Italia saranno tutti destinati alla pensione minima, e per quale motivo dovrebbero rimanere in Italia se all’Estero potrebbero vivere meglio e guadagnare maggiormente? Semmai potrebbero tornare in Italia da vecchi per prendere l’assegno sociale! E i vecchi andrebbero all’estero perché con la minima a 780 euro in alcuni paesi si vive meglio che in Italia (e sono parecchi ormai i paesi che promuovono questa migrazione con politiche promozionali specifiche).
Quindi seppur con il massimo rispetto per coloro che percepiscono, o avranno diritto a percepire l’assegno sociale, ritengo che l’equiparazione dell’importo sia una grossolana sperequazione, una sciocchezza dal punto di vista etico e sociale.
Se il governo desidera elevare l’assegno sociale proceda pure, ma in tal caso la pensione minima deve essere proporzionalmente elevata in base ai contributi versati da ognuno degli aventi diritto, staccandola nettamente dall’assegno sociale, essendo peraltro due trattamenti assai differiti nei principi e negli scopi sociali.
Le ripercussioni di una simile assenza di valutazione (sottovalutazione del problema o addirittura non percezione del problema stesso) saranno ben superiori e insidiose di quanto l’attuale governo neppure lontanamente sospetti, e si riveleranno nel tempo, quando sarà troppo tardi per porvi rimedio.
Claudio Martinotti Doria – claudio@gc-colibri.com