Il conflitto di classe esiste…
Il conflitto di classe esiste sempre come parte fondamentale dell’economia. Così come venditore e compratore hanno interessi opposti riguardo il prezzo, lavoratore e capitalista hanno interessi opposti riguardo il costo del lavoro.
La difesa dei bisogni e diritti dei lavoratori di fronte a questo conflitto di interessi era, in passato, la ragion d’essere della sinistra politica. Ma nel mondo della ristrutturazione capitalista d’occidente post guerra fredda le cose si sono sviluppate in un modo sbalorditivamente negativo.
Riassuntivamente, possiamo distinguere la sinistra parlamentare da quella estrema. La prima è semplicemente passata da un fronte all’altro, diventando alleata di primo piano del grande capitalismo finanziario internazionale, di cui ha sposato tutti gli interessi.
La seconda ha mantenuto una linea teorica coerente con le premesse originali, ma in modo eccezionalmente litigioso e divisivo, come testimonia la galassia di partitini dello zero virgola, il cui picco massimo è stato l’ 1,5% di potere al popolo, che non ha nemmeno permesso l’ingresso in parlamento (ora completamente privo di rappresentanti della sinistra di classe), e i risultati mostrano una sconfitta grave: la sinistra di classe non raggiunge più la propria classe di riferimento, considerato che i salariati sono molto più numerosi dei padroni, e specialmente dei veri padroni, i possessori dei grandi capitali finanziari che regolano il credito ad ogni livello, ovvero comandano l’andamento di tutta l’economia.
Tutti hanno visto l’esodo dei consensi fuoriusciti dalla sinistra: i voti sono emigrati in massa verso m5s, Lega, e persino Casapound (verissimo): il tradizionale collante ideologico non ha retto di fronte alle delusioni concrete.
Ora assistiamo ad una situazione surreale.
In Italia sono sorti due grandi gruppi politici, ex novo m5s e la Lega rigenerata, dopo che si era ridotta ad uno striminzito 4% dei consensi: questi due partiti raccolgono, da soli, il 60% dei consensi politici di questo paese.
Questa considerazione numerica basterebbe da sola a chiarire la necessità di confronto dialettico con tali forze politiche: se gli operai e gli impiegati hanno votato in massa Salvini e Di Maio vuol dire che con loro bisogna confrontarsi, visto che in ultima analisi il referente dell’attività politica è costituzionalmente (e anche di fatto) il popolo sovrano.
Naturalmente esistono i “puri” della rivoluzione extra ed anti parlamentare, posizione all’apparenza fiera e nobile, salvo il fatto che non vi è rivoluzione, né situazione rivoluzionaria, e persino la comune lotta di classe è in via di estinzione, a parte quella del grande capitale vincente, ovvero del fronte opposto.
D’altronde io eviterei di disprezzare il parlamento democratico, visto che tale disprezzo fu mostrato anche da Mussolini nei suoi diari del 1915, con l’esito conclusivo di un colpo di stato cui seguirono una dittatura e una catastrofica guerra mondiale.
Si ricordi, peraltro, che perfino Stalin (sì, proprio lui) ingiunse ai partiti comunisti europei di difendere la democrazia, come elemento del percorso di emancipazione del popolo, come tappa dello sviluppo verso una società più giusta.
Dirò di più.
La polarizzazione estrema del capitalismo sta disintegrando la classe media, in via di proletarizzazione oggettiva, e la società è sempre più spaccata tra pochi grandi ricchi nelle cui mani si concentra la maggior parte della ricchezza e delle risorse, a fronte di una grande massa sempre più impoverita (a titolo di cronaca, Marx nel Capitale lo aveva previsto, sia chiaro ciò a tutti quelli che favoleggiano di una presunta “morte di Marx”: il filosofo di Treviri ha ancora molto da dire ai contemporanei).
Invece le due sinistre sembrano chiuse in riflessioni autoreferenziali, dalle quali non si vede cosa possa venire di buono.
Dirò di più.
Di fronte alla spaccatura sociale sempre più ampia (l’indice di Gini continua a crescere, ovvero la disuguaglianza aumenta a favore di pochi e svantaggio di molti) una sinistra seria dovrebbe non solo recuperare l’analisi del conflitto di interessi di classe come propria base, ma anche sviluppare una alleanza con la piccola e media borghesia sempre più devastata.
Non foss’altro che per la seguente banale considerazione: il piccolo imprenditore che fallisce e chiude, stritolato dalle regole antieconomiche di questa epoca, lascia dietro di sé non solo la propria disoccupazione, ma anche quella dei propri dipendenti. Si tratta di un individuo in via di proletarizzazione, che ne sia consapevole o no.
In questa situazione proletariato e piccola o media borghesia hanno molti interessi comuni da difendere, di fronte alla sempre maggiore concentrazione di ricchezza a danno della maggioranza.
Ed anche il solo riuscire ad imporre politiche keynesiane come primo antidoto alla tragedia del neoliberismo ipercapitalista sarebbe un avanzamento rispetto alla catastrofe in atto.
Così come il recupero del sovranismo, il quale curiosamente non è affatto un residuato bellico fascista, bensì una prescrizione costituzionale (l’articolo 1 dichiara sovrano il popolo: e che sovrano è se deve farsi prestare i soldi dai banchieri invece che emetterli tramite uno stato democratico?).
L’impianto antidemocratico dell’Unione Europea, con un parlamento privo di potere di iniziativa di legge e il potere concentrato nelle mani di commissioni nonelettive di banchieri che si nominano tra di loro, e quello dell’eurozona, che priva i suoi aderenti della sovranità monetaria, ovvero di ogni autonomia decisionale effettiva, sono un vertice di sopraffazione e sfruttamento da parte della grande finanza contro tutti, al punto da indurre alcuni a dichiarare che non si debba più parlare di “destra e sinbistra” bensì di divisione tra “alto e basso”; questione terminologica che non sarebbe mai sorta se la sinistra non avesse abbandonato la propria posizione nel conflitto tra capitale e lavoro, tradimento del quale i sinistrati portano la gravissima responsabilità:
Se la parte sana superstite della sinistra saprà affrontare queste grandi sfide politiche potrà avere un futuro.
Altrimenti rimarrà il de profundis per marginali superstiti dal peso politico simbolico equivalente ai residui radicali, senza più forza determinante.
Nel frattempo, sia chiaro: folle di operai ed impiegati si sono riversati nei nuovo partiti di massa (m5s e Lega), e con le masse bisogna farci i conti.
Anche con i loro rappresentanti.
Chi non ha il coraggio del confronto non raggiungerà mai il popolo, e le sue iniziative rimarrano confinate nelle politiche di nicchia che non incidono sulla società (il che vale anche per i transfughi nei micropartitini di destra, sia chiaro). Quelli a cui fanno schifo le masse (popolo bue, igggnorrante, rozzzzzo, incapace, decerebrrrrrato, incolllltooo., inconsssssapevole, incossssiente …) non hanno speranza: non servono a niente e non serviranno mai a niente. Chi disprezza le masse è meglio che non faccia attività politica, si rivolga ad altri mestieri.
Vincenzo Zamboni
Commento di Elisabetta Serafini: “Ciò che serve è una trasformazione culturale basata sul Testo Costituzionale italiano che può fare, del Popolo e della nostra Repubblica, l’esempio che ha l’onore e l’onere di rappresentare. Purtroppo, il concetto astratto dell’uguaglianza che non riconosce le differenze di merito, di valore e di impegno, dispensa l’ignorante dall’istruirsi e dall’essere aiutato a farlo, lo stupido dal giudicarsi e dall’essere aiutato a farlo, il delinquente di correggersi e di essere aiutato a farlo. Le apparenze ingannano sempre e sono il gioco sporco della falsa democrazia, oligarchia fondata sulla menzogna…”