Rievocazione di un ‘68 che non ti aspetti… di Vincenzo Zamboni (e compagni)

Miriadi di persone occupate a celebrare, ciascuna a proprio modo, il cinquantesimo anniversario del ‘68. Compresi quelli che non lo hanno fatto, compresi quelli che non lo hanno nemmeno visto perché non erano ancora nati, come Diego Fusaro che lo bolla quale subdola opera di programmata distruzione sociale realizzata dall’ideologia capitalistica moderna, quando invece è vero che dopo la nascita spontanea e primo sviluppo del movimento gli apparati del capitalismo reazionario lo hanno infiltrato e progressivamente strumentalizzato fino a denaturarlo, come è logico che faccia il potere politico di fronte ai movimenti di contestazione.

Ma c’è qualcosa di cui stranamente nessuno, o quasi, mai parla: quali erano le condizioni di vita degli italiani, nel ‘68 ?

Anzitutto il reddito medio era in crescita, lenta ma continua, come è stato il reddito pro capite italiano di tutto il dopoguerra, fino agli anni ‘80, perlomeno se lo compariamo a quello medio europeo (mentre con la introduzione dei parametri di Maastricht è iniziata la curva discendente).
Non proprio tutte, ma la maggior parte delle famiglie era in grado di comperare l’abitazione tramite un mutuo sullo stipendio.

Il potere di acquisto dei salari e dei risparmi erano protetti dalla indicizzazione all’inflazione, operazione sempre possibile in regime di sovranità monetaria.
La disoccupazione era contenuta entro il 5% (e solo nel successivo decennio sofferse un momentaneo picco al 7,5 , nel periodo della crisi petrolifera internazionale, un fenomeno indipendente dalla gestione dell’economia interna italiana).

E, last but not least, in questo periodo dell’anno le città si svuotavano, i negozi abbassavano le serrande.
Perché l’italiano medio andava in vacanza, al mare, ai monti, ai laghi.

Si partiva in 500, in maggiolino, in 850, con i pacchi sul portabagagli, e si godeva una vera meritata vacanza.
Dopo ricorstruzione e miracolo economico si viveva l’emersione della società mdel benessere, che stupiva i vecchi, memori di trascorse povertà, e faceva pensare a tutti “Io sto meglio di mio padre, ma i miei figli staranno meglio di me”.
Il che induceva anche l’ottimismo di chi vive una crescita effettiva come un fenomeno ormai irreversibile.

E non eravamo in guerra.
Il ricordo della seconda guerra mondiale era ancora vivo come un incubo nella mente di chi la aveva vissuta, ma assieme alla convinzione che mai più sarebbe ritornata la guerra, ripudiata dalla Costituzione e dalla mentalità comune come un residuato di un orrendo passato ormai non più concepibile né proponibile.

Frattanto sul suolo italiano continuavano a spuntare e crescere le opere dell’economia keynesiana di stato assieme a tute quelle dell’imprenditoria privata: scuole, ospedali, autostrade, infrastrutture, capannoni industriali e di artigianato, tutte cose che ricordo di avere visto con i miei occhi.
La povertà sembrava un brutto sogno che si allontanava alle spalle, certi che si sarebbe dissolto del tutto per non ritornare mai più.
Per gli appassionati melomani: quando mi capita di riascoltare qualcosa della musica pop e rock di quella epoca sento sempre la carica rigogliosa di forza ed entusiasmo di chi si sentiva viaggiare verso un mondo migliore.

Un sentimento che oggi sembra scomparso.

Ora, dopo questa rievocazione dell’epoca (che ho voluto ricordare perché la ho vissuta), trascorso mezzo secolo, guardatevi pure intorno.
Comparare il presente con il proprio passato storico è sempre un utile esercizio di comprensione del decorso della vita.
La intervenuta fine della pur sgradevole guerra fredda ha consentito al grande capitalismo occidentale di ristrutturare la società a modo proprio, fino a servirci questa roba che c’è ora.

Vincenzo Zamboni

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Commento di Tiziana Livi “Ho sempre sostenuto, e naturalmente sono in buona compagnia, che per fare analisi corrette e’ necessario collocare i fatti e le persone nel loro periodo socio culturale politico. Altrimenti l’analisi diventa anacronistica. Bella rievocazione”

Commento di Giorgio Mauri: “Il 68 è un fatto di costume di portata enorme, noi viviamo tutt’oggi nel 68.
Ma un fenomeno così vasto e capace di incidere così profondamente nelle menti non può essere isolato, è accompagnato per forza da fenomeni altrettanto potenti nelle altre sfere, economica, religiosa, politica, tecnologica.
Erano stati uccisi J.F.Kennedy, M.L.King, Che Guevara. Fusaro non ha la più pallida idea di cosa significhino quelle morti nell’anima delle persone.
C’erano auto alla portata di tutti, autostrade di proprietà dello stato, imprese che andavano a gonfie vele (frigoriferi ignis first).
C’erano anche i colloqui tra leader russi e americani.
Credo che sia stato il momento di massimo splendore del capitalismo keynesiano unito a un efficace socialismo. Una specie di paradiso terrestre che fece paura ai poteri forti. C’era anche un sentimento autentico di globalizzazione dei popoli, di fraternità totale.
Tutto questo fece paura ai potenti che reagirono molto violentemente. Attentati con cui spaventare i popoli (strategia della tensione), e iniziativa per irretire tutto l’occidente consistente in Fiat Money e Trilateral (1974).
Il Bildergerg non contava nulla, era un salotto per conti e contesse.
La trilateral, invece, agì da subito, e in sette anni ci tolse banca d’italia, gettandoci nel vortice del debito.
Il 68 resta un sogno ad occhi aperti, beati quelli che lo hanno vissuto. Fu insuperabile.”

Commento di Nuccia Signorino Bossio: “Caro Vincenzo la tua analisi è pregevole perché rispecchia oggettivamente il come si era e come si è oggi. Condivido… il ‘68 fu un movimento spontaneo e venne poi ‘istituzionalizzato ” e rivisitato nelle modalità che venivano più comode e dai soliti pennaioli al servizio di questo è di quello…”

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