Al Matteo ed al Matteo diciamo no alla “prostituzione” in qualsiasi forma
Una boutade dopo l’altra, da buon populista, Matteo Salvini torna a proporre le “case chiuse” come fonte d’introito per “pagare la pensione agli italiani”. Non vedo molta differenza tra lui e Matteo Renzi che favoriva l’invasione di migranti adducendo la stessa motivazione. Insomma in un modo o nell’altro la “prostituzione” è il metodo con il quale si vuole riempire il buco nero dello stato, causato da spese pazze, acquisto di armi inutili, sprechi, corruzione etc.
Il fatto è che -secondo me- la prostituzione non è una attività “etica”, poiché presuppone la “vendita di sé”. Questo sia nel campo del lavoro sotto-retribuito (o coatto) che in quello della violenza sessuale a pagamento.
Insomma certi politici “furbastri” seguono il dettame del “pecunia non olet”… ed in questi tempi oscuri è meglio approfittare della prostituzione imperante, a tutti i livelli, legalizzandola e tassandola, che sia schiavitù negriera o vendita sessuale poco cambia.
Il mio cuore laico trema di fronte alla vilificazione implicita in queste proposte.
La piaga della prostituzione è un segnale del malessere di questa nostra società e voler guadagnare sulla “malattia” è disumano e dimostra uno spirito debole.
Ammettere che il marcio possa divenire una fonte di reddito…? No, no! Lo stato come ente che tutela il bene comunitario dovrebbe invece disporre delle strategie per eliminare questo martirio della prostituzione e non “tassarne” i guadagni indebiti. Perciò ritengo le soluzioni prospettate dai due Mattei indegne di chi vuol rappresentarne la comunità, di chi dovrebbe lavorare per il bene pubblico.
Ma qui vorrei inserire alcune mie considerazioni più specifiche sul come è sorta all’interno della società umana la “vendita di sé”. Il fatto è che ricorrere alla prostituzione è una diretta conseguenza della mancanza di ecologia sociale nella nostra società consumista.
Forse il meretricio ha origine in conseguenza e da quando è stato istituito il matrimonio con l’avvento del patriarcato, altrimenti questa pratica non avrebbe senso in una società spiritualmente ed ecologicamente integra in cui l’amore e la sessualità possano essere vissuti in forme sane e libere e collettive.
In verità se si sente una necessità poliamoristica si potrebbe compartecipare ad una “famiglia allargata”, ed esperimenti in tal senso sono stati tentati in diverse comunità. Non ha senso accondiscendere alla pratica prostitutiva solo perché si sente il bisogno di promiscuità sessuale, sarebbe invece sufficiente superare il “contratto” monogamo e accettare che vari tipi di legame possano manifestarsi nelle maglie della società.
Saranno chiamati forse “harem” -sia al maschile che al femminile od al pansessuale- non fa nulla. La famiglia allargata, che sia poligamica o poliandrica, consente intimità senza “vendita di sé” ed anzi favorisce il senso di compartecipazione e di solidarietà collettiva… Ovviamente si intende che la Famiglia allargata sia una istituzione consenziente, non obbligatoria come quella monogamica attuale, e ciò non toglie che possa continuare ad esistere anche la famiglia monogamica e chi non desiderasse un rapporto promiscuo potrà sempre scegliere di unirsi in “rapporti preferenziali monogami”, l’importante è che l’amore prevalga e non l’inter-scambio per denaro.
Se il sesso è conseguenza di manifestazione amorosa nulla posso obiettare nel modo in cui si manifesta ma se diventa “un fatto economico” mi rattristo e piango…..
Infatti posso comprendere che si possa ricevere un giusto compenso per un lavoro di qualsiasi genere, materiale, intellettuale, scientifico, etc. ma un rapporto “intimo” non può -secondo me- essere equiparato ad un “lavoro”, esso è solo una espressione dell’emozione umana di scorgere nell’altro se stesso, amandolo, e quindi non può rientrare nell’ambito delle “prestazioni”….
Ma, vivendo nella società malsana in cui viviamo, sembra che la soluzione per sanare il deficit nazionale riposi nell’accettazione del deficit morale!
Paolo D’Arpini, presidente Circolo Vegetariano VV.TT.
Scrive Paola Botta Beltramo a commento dell’articolo: “Caro Paolo, segnalo lo scritto da Bernardino del Boca nell’ottobre 72 dal titolo “Il mito della sorgente”, pubblicato sulla rivista per soli medici “In tema di…”, rivista con la quale , dal 1969 al 1978, collaborò gratuitamente curando la parte antropologica. Dall’articolo medesimo: “In tutti questi simboli si cela il mito della sorgente del liquido spermatico che, fluendo negli esseri terrestri, mantiene la Vita… I giovani iniziari Caraja degli altipiani del Brasile, la cui mitologia ricorda il diluvio universale, si recano alle sorgenti degli affluenti del Xingu e dell’Araguaya per ricevere “l’acqua che viene dall’aria”, l’acqua eterica che permette loro di amare e dare un’anima ai loro figli. Essi credono che senza questo bagno eterico, oltre a procurare figli senza anima, la loro vita sarebbe breve perché la loro sorgente si inaridirebbe.” Con la scienza materialista – le emozioni non sono scienza affermano alcuni – si perde la capacità di amare oltre che con il corpo anche con l’anima…”