Dopo la Grecia, l’Italia – UE, uhé, uhé… tutto va ben, madama la marchesa!

La notizia l’abbiamo appresa dai telegiornali, con il solito linguaggio rassicurante da “tutto va ben, madama la marchesa”: la crisi greca (iniziata nel 2009 con la scoperta che i bilanci ellenici erano stati truccati per consentire l’ingresso nell’Unione Europea) sarebbe ufficialmente “superata”, e l’economia ellenica avrebbe ripreso a “crescere”.

È una bugia, naturalmente. La Grecia di Tsipras ha semplicemente “messo in sicurezza i conti”, come a suo tempo l’Italia di Monti. E, per ottenere ciò, ha massacrato senza ritegno il suo popolo; anche se qui da noi nessuno sembra essersene accorto. Il pifferaio del Pireo ha obbedito disciplinatamente a tutti gli ordini della troika, a colpi di “riforme” e di privatizzazioni, di riduzioni salariali e di licenziamenti, in un’orgia di “ja” ai desiderata dei torquemada di Bruxelles, di Berlino e di Washington. Solo dietro il corrispettivo di questi osceni servizi, i padroni stranieri dell’economia ellenica hanno acconsentito ad erogare i 273 miliardi di euro di prestiti (prestiti, non regali) che hanno consentito il riordino dei conti di Atene.

Hanno “riformato” tutto, hanno venduto o svenduto tutto, anche intere isole. Ultimo omaggio ai “mercati”, la privatizzazione di un ulteriore 5% dell’Organismós Tilepikoinonión Elládos, l’industria ellenica delle telecomunicazioni. Chi se l’è aggiudicata, per neanche 300 milioni? Indovinate un po’: la Deutsche Telekom, che già aveva acquisito il 40% della proprietà OTE.

A proposito di Germania, lo sapete cosa ci ha guadagnato dalla crisi greca? Fino a questo momento, 3 miliardi di euro in contanti, quale prima tranche di interessi per l’acquisto di titoli di stato ellenici (secondo le stime del governo tedesco). Ma sono soprattutto gli affari difficili da contabilizzarsi a costituire i profitti maggiori per l’economia germanica. Per esempio, che valore ha il controllo del sistema di telecomunicazioni della Grecia? Si potrebbero fare altri esempi, relativi ad altri scenari geopolitici: per esempio, che valore ha per l’industria dell’acciaio tedesca (quella dei Krupp e della Ruhr) il drastico ridimensionamento dell’ILVA e del comparto siderurgico in Italia?

Non nascondiamoci dietro un dito: la Grecia è stata solo un aperitivo, ma il piatto forte degli appetiti tedeschi è l’Italia. Tutta l’infame strategia rigorista dell’Unione Europea (la macelleria sociale, la riforma delle pensioni, la pressione fiscale alle stelle, i “sacrifici” di ogni genere) mira soltanto a mettere in crisi la nostra economia nazionale, con l’obiettivo finale di comprarsela per un tozzo di pane, come nelle vendite fallimentari; magari lasciando a inglesi e americani il controllo delle banche, e a quegli incompetenti dei francesi le briciole, magari in Libia.

L’Italia è l’obiettivo finale della Kanzlerin. E quando dico “Italia” non mi riferisco certo ai soldi (le banche private possono stamparne quanti ne vogliono), ma alla nostra economia reale, alla nostra ricchezza materiale. Due gli obiettivi intermedi della manovra: la nostra riserva aurea – la terza al mondo – che la Merkel vorrebbe venisse offerta in garanzia del nostro debito pubblico; e la ricchezza dei privati, i depositi e, soprattutto, le case.

I governanti di Berlino non sopportano che gli italiani, come privati cittadini, siano mediamente più ricchi dei tedeschi, che in tanti possiedano la casa ove abitano e che non pochi dispongano anche di una seconda casa per le vacanze. Molto probabilmente, dietro certe direttive europee pro-pignoramenti c’è proprio il disegno germanico di colpire – attraverso il fisco e le banche – la proprietà immobiliare degli italiani, iniziando con l’aggredire le fasce più deboli, quelle di chi stenta a pagare le rate del mutuo o i sempre più esosi balzelli accessori (imu, tari, tasi, eccetera).

La verità, quella che tutti conoscono ma che tutti fanno finta di ignorare, è che questa Unione Europea non sia affatto una “unione”, cioè un insieme di popoli eguali e con eguali interessi, ma sia piuttosto un impero coloniale, con uno Stato-guida (la Germania), con piccoli staterelli vassalli che hanno il privilegio di condividere la ricchezza tedesca (Olanda, Lussemburgo, eccetera), con un valvassore di nessuna importanza ma che si dà tante arie (la Francia), e con una miriade di marche periferiche che hanno solamente il compito di contribuire al benessere del Reich. Queste marche periferiche sono in primo luogo quelle latine e mediterranee: l’Italia, la Spana, il Portogallo, la Grecia e – anche se gioca a fare la “grande” – la Francia.

È questa l’essenza del problema europeo: nessuna “unione” è possibile fra Stati che hanno interessi diversi e, addirittura, opposti. Se si vuole che l’Europa sopravviva c’è un’unica strada: dividerla in 3 o 4 aree omogenee: un’Europa tedesca e nordica, un’Europa latina e mediterranea, ed una o due Europe dell’est.
Naturalmente, ciò sarà possibile solo quando la Francia si renderà conto di quello che è il suo interesse e la sua vocazione: smettere di fare la cameriera della Germania, ed assumere la guida dell’Europa latino-mediterranea; insieme all’Italia, non contro l’Italia. Ma questo – occorre essere realisti – non sarà possibile fino a quando all’Eliseo siederanno personaggi dello spessore di un Emanuelino Macron.

Michele Rallo

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Canzoncina in sintonia: https://www.youtube.com/watch?v=jMGanySpxrE

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