Il terrorismo mascherato delle ONG

Chissà perché le chiamano Organizzazioni non governative, meglio conosciute con la sigla ONG? La quasi totalità di esse sono infatti emanzioni dirette di Stati che, non potendo o volendo più entrare in prima persona come attori nei conflitti che scatenano ovunque, si sono inventati questa formula «umanitaria» che funziona decisamente meglio con lo storytelling giornalistico e televisivo. Prendiamo per esempio il caso dei fotogenici Caschi Bianchi, balzati agli onori della cronaca con la guerra in Siria. Cosa sappiamo di questi personaggi capeggiati da James Le Mesurier, già ufficiale dell’esercito inglese e funzionario dell’Intelligence Service di Sua Maestà? Che sono un gruppo pagato dal 2013 con circa 32 milioni di dollari dall’USAID, più altre decine ricevuti dai governi britannico, olandese, francese e delle immancabili feudo-monarchie del Golfo. Sono la capofila di una serie di cosiddette ONG, ma più proriamente OG (Organizzazioni governative), finanziate da Washington e Londra «per una transizione politica pacifica in Siria». E sottolineiamo pacifica. La stessa organizzazione, per capirci, che ha denunciato gli ultimi due «attacchi chimici contro i civili» addebitandoli al governo siriano, come quello nella periferia di Khan Sheikhoun nell’aprile del 2017 e l’ultimo del 4 aprile a Duma, alle porte di Damasco. Attacchi che, in entrambi i casi, prima ancora di stabilire la reale dinamica dei fatti sono stati oggetto di bombardamenti da parte della trimurti franco-inglese-statunitense. Quindi i Caschi bianchi, come centinaia di altre organizzazioni dello stesso tipo, non sono altro che una longa manus di governi e servizi segreti i quali non possono (o non vogliono) più arrivare direttamente con i propri militari sul terreno dello scontro. Una copertura, insomma, e neppure troppo ben riuscita, che da un po’ di anni viene usata sistematicamente negli scenari più infuocati. Ora i «volontari» coi caschetti bianchi denunciano un nuovo possibile attacco chimico contro i tagliagole jihadisti nella provincia di Idlib, a Nord-Ovest della Siria, addebitandone questa volta la responsabilità a un’incursione aerea dei russi. Vero, non vero, poco importa. Anche perché, come si è poi sempre verificato, non vi è mai stata alcuna responsabilità in attacchi chimici da parte di Bashar al-Assad, ma ormai i bombardamenti «punitivi» degli occidentali erano avvenuti e chi si è visto si è visto. Dopo l’esempio dei casi citati non ci vuole molto a immaginare quali potranno essere gli esiti del nuovo caso denunciato a Idlib, ma a forza di provocazioni potrebbe succedere che i russi decidano di rispondere pan per focaccia. E a quel punto è difficile immaginare quali saranno gli sviluppi. O forse ce l’immaginiamo benissimo.

Paolo Sensini

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