“Les démons du bien” di Alain de Benoist – Intervista di Nicolas Gauthier
Alain de Benoist ha pubblicato, presso le edizioni Pierre-Guillaume de Roux, “Les démons du bien”. La prima parte del saggio consiste in una critica radicale della tirannia dei buoni sentimenti.
A cosa attribuisce l’emergere di questo neo-clericalismo?
“Allo spirito del tempo. Ma lo spirito del tempo è sempre il risultato di una tendenza di fondo. A partire dal Diciottesimo secolo, l’ascesa sociale della classe borghese ha simultaneamente marginalizzato i valori aristocratici e i valori popolari, rimpiazzandoli con ciò che Tocqueville chiamava le passioni ‘debilitanti’: utilitarismo, narcisismo e trionfo dello spirito calcolatore. Il successo dell’ideologia dei diritti dell’uomo ha, da parte sua, permesso all’egoismo di avvolgersi in un discorso ‘umanitario’ la cui idiozia è il tratto dominante. L’accelerazione sociale e la crescita di ciò che è insignificante hanno fatto il resto.
Uno dei tratti caratteristici dell’Impero del bene è l’invasione del campo politico da parte del lacrimevole e del compassionevole. Ciò fa si che, alla minima catastrofe di forte impatto mediatico, i ministri si precipitino per esprimere le loro ‘emozioni’. Allo stesso tempo, questo dimostra quanto la sfera pubblica sia stata sommersa da quella privata. La vita politica bascula sul lato di una ‘società civile’ chiamata a partecipare al ‘governo’ attraverso le ‘richieste della cittadinanza’ che non hanno più il minimo rapporto con l’esercizio politico della cittadinanza stessa. Ormai è visto con maggiore favore (ed è sicuramente più redditizio) essere una vittima piuttosto che un eroe.
Parallelamente, la commercializzazione della salute va di pari passo con la medicalizzazione dell’esistenza, ovvero con un igienismo dogmatico che si traduce in una sorveglianza sempre più grande sugli stili di vita. Essa prescrive socialmente delle condotte normalizzate, cercando così di addomesticare tutti i modi d’essere che si sottraggono agli imperativi della sorveglianza, della trasparenza e della razionalità. Si assiste alla strumentalizzazione della vita umana attraverso una logica igienista imposta da uno stato materno e terapeutico.
L’evoluzione del linguaggio è altresì significativa. Ormai si preferisce parlare di ‘fratture sociali’ – tanto accidentali quanto quelle della tibia – piuttosto che di veri conflitti sociali. Non ci sono più gli sfruttati, la cui alienazione rinvia direttamente al sistema capitalista, bensì dei ‘diseredati’, degli ‘esclusi’, degli ‘svantaggiati’, dei ‘più poveri’, tutti ugualmente vittime di ‘handicap’ o di ‘discriminazione’. La nozione di ‘lotta contro tutte le discriminazioni’ ha d’altronde rimpiazzato quella di ‘lotta contro le ineguaglianze’, che evocava ancora la lotta di classe. In 1984, George Orwell spiegava perfettamente che l’obiettivo della ‘neolingua’ era ‘di restringere i limiti del pensiero’: ‘Alla fine, renderemo impossibile il crimine grazie al pensiero, perché non ci saranno più parole per esprimerlo’. Il politicamente corretto funziona come la ‘neolingua’ orwelliana. L’uso di parole capovolte nel loro senso, di termini traviati, di neologismi verosimili scaturisce dalla più classica delle tecniche di sbalordimento. Per disarmare il pensiero critico, è necessario sbalordire le coscienze e rendere attoniti gli spiriti”.
I media continuano a denunciare la minaccia dell’ordine morale, ma al tempo stesso ci fanno continuamente la morale. E’ un paradosso?
“Accade, molto semplicemente, che una morale abbia rimpiazzato un’altra. La vecchia morale prescriveva delle regole individuali di comportamento: si presumeva che la società funzionasse meglio se gli individui che la componevano agivano correttamente. La nuova morale vuole moralizzare la società stessa. La vecchia morale diceva alle persone ciò che dovevano fare, la nuova morale descrive ciò che la società deve diventare. Non sono più gli individui a doversi comportare rettamente, ma è la società che deve essere resa più ‘giusta’. La vecchia morale era ordinata al bene, mentre quella nuova è ordinata al giusto. Malgrado entrambe pretendano di restare ‘neutre’ rispetto alla scelta dei valori, è a questa nuova morale, fondata sul dover-essere (il mondo deve divenire un’altra cosa rispetto a ciò che è stato fin qui), che aderiscono le società moderne. Nietzsche l’avrebbe chiamata ‘moralina’”.
Il cuore del suo libro è la teoria del genere, in questo momento tutto il mondo ne parla. Lei è stato uno dei primi intellettuali a farne una critica argomentata. Ancora una volta, a cosa ricondurre tale fenomeno venuto dagli Stati Uniti? E, in primo luogo, di cosa si tratta esattamente?
“Quella del genere è una teoria che pretende di disconnettere radicalmente l’identità del sesso biologico. Il sesso, rimpiazzato dal ‘genere’ (gender), sarebbe, in questo caso, una pura costruzione sociale. Tale teoria si fonda su un postulato di ‘neutralità’ dell’appartenenza sessuale di nascita: basterebbe crescere un ragazzo come una ragazza per farne una donna, o educare una ragazza come un ragazzo per farne un uomo. Coloro che sono di un avviso differente sono accusati di diffondere degli ‘stereotipi’ (si dimentica che uno stereotipo non è altro che una verità empirica generalizzata abusivamente). Questa teoria ha per effetto di confondere i due sessi e di rendere più difficile a entrambi di assumere la propria identità.
La teoria del genere è in effetti insostenibile. Non solo il suo postulato di una ‘neutralità sessuale’ originaria non corrisponde alla realtà, ma noi constatiamo anche che l’appartenenza sessuale produce sin dall’infanzia, prima di qualsiasi condizionamento, alcuni comportamenti specifici per ogni sesso. Ciò non significa che le costruzioni sociali non giochino alcun ruolo nella definizione dell’identità sessuale, ma che queste costruzioni sociali si sviluppano sempre partendo da una base anatomica e fisiologica. La teoria del genere confonde peraltro il sesso biologico, il genere (maschile e femminile), l’orientamento sessuale e ciò che si potrebbe chiamare il sesso fisiologico (il fatto che un certo numero di donne abbiano dei tratti del carattere maschile, e un certo numero di uomini dei tratti del carattere femminile). Poggiando sull’idea che si possa creare se stessi partendo dal nulla, la teoria del genere origina in fin dei conti dal fantasma di una autogenerazione. E’ quindi necessario prenderla molto seriamente. Negli anni che verranno, sarà in riferimento a questa teoria che si vedranno moltiplicare all’infinito le accuse di sessismo”.
di Alain de Benoist e Nicolas Gauthier
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/author/rassegna-stampa/
(L’intervista originale è stata pubblicata in lingua francese sul sito http://www.bvoltaire.fr)