Le piante fonte di vita sul pianeta…
Credo sia importante rendersi conto che oggi in Europa dovremmo considerare l’agricoltura assolutamente morta. Finita. Nel giro di un paio di generazioni abbiamo assistito ad un’autentica “deportazione” di massa: la popolazione agricola in Italia, per esempio, è passata dal 70% degli anni del dopoguerra al 3% di oggi e la popolazione rurale dal 90% allo 0%. Oggi, infatti, non si può più parlare di vita né di società né di cultura rurale. Chi vive in campagna non è ”rurale” ma dipende completamente dalla cultura urbana e metropolitana.
La megamacchina della megalopoli divora e controlla tutto diffusamente. E dall’altra parte chi ancora lavora nei campi non è più certamente un contadino ma un “addetto agricolo”, una sorta di operaio ibrido e sottopagato generalmente ignorante ed ottuso alle totali dipendenze dell’industria chimica e meccanica che applica nei suoi campi dei protocolli demenziali decisi a migliaia di chilometri dai suoi lunghi senza capirli né discuterli e che serviranno a produrre tonnellate di ”merce” di cui non conosce né lo scopo né l’utilizzo né la destinazione. E nemmeno se saranno distrutte o diventeranno cibo o cos’altro. E’ quindi un alienato che né ama né conosce quello che produce.
La valle degli orti o il mulino bianco sopravvivono solo sullo schermo televisivo o nel nostro immaginario. Non esistono luoghi reali neanche vagamente simili. Questa è oggi la situazione con quel che ne consegue, lasciando le evidenti considerazioni sulle lacerazioni sociali che un tale drastico cambiamento ha portato, vorrei concentrarmi di più sull’aspetto indissolubilmente collegato che riguarda la pianta, il cibo e il nutrimento.
Oggi i pochissimi contadini rimasti sono contadini per scelta chiara e determinata, direi quasi militante. Siano contadini di ritorno o lo siano perché nati sul luogo. Nel mio caso sono un contadino di ritorno. Non sono nato in campagna e non sono figlio di contadini. La genesi della mia scelta si perde però molto indietro, nelle nebbie dell’infanzia o forse ancora prima, chissà.
Sto parlando quindi di motivazioni che non sono né intellettuali né razionali ma intuitive. L’uomo non può trovare la sua profonda essenza intrappolato fra muri, mattoni, cemento e asfalto. Quello che troverà lì saranno soltanto logoranti palliativi.
L’uomo ha invece bisogno di cielo, di vento, di neve, di sole, di profumi, terra e piante. Ha bisogno di rapportarsi con la pianta.
La pianta è grande maestra al cui insegnamento l’uomo accede con la sua volontà. Sulla terra è la pianta che sa raccogliere la luce. L’animo umano anela alla luce racchiusa in un involucro di tenebra. Il corpo animale non è ricettivo nei confronti della luce. L’anima e il corpo accedono alla luce grazie alla pianta e questa è la vera essenza del nutrimento. Abbiamo un profondo bisogno di immergerci negli elementi di cui la pianta è interprete e conseguenza per capire noi stessi, prendere coscienza di noi stessi e riconoscere l’amore universale di cui siamo figli.
La pianta è il ricettore per eccellenza della matrice universale della vita; è lo specchio e l’interprete del macrocosmo che si riproduce nel microcosmo senza soluzione di continuità; è il mezzo per cui ciò che è sopra diventa uguale a ciò che è sotto e che rende uguale e unico il miracolo della vita biologica al miracolo della vita universale.
Le piante coltivate con il metodo chimico-industriale possono perdere fino all’80% della loro capacità fotosintetica, ossia la loro capacità di catturare la luce e di conseguenza di fissare carbonio e azoto. Di cosa ci nutriamo allora? Cibandoci dei frutti di queste piante perdiamo il gusto e col gusto la gioia di vivere ma soprattutto interrompiamo il flusso che ci lega e ci rende partecipi della vita cosmica e del divino.
L’uomo non può pensare al proprio futuro, alla propria evoluzione e a quella del pianeta intesa come un essere senziente senza passare dall’Agricoltura. l frutti dell’Agricoltura sono frutti della natura che ha accettato di dialogare con la creatività e il lavoro umano. Ci nutrono materialmente ma soprattutto spiritualmente e senza che i due aspetti si scindano. Alla sostanza fatta di elementi e di luce si unisce il piacere del gusto e della convivialità e la gioia di collegare tutto questo a un paesaggio agrario a cui di buon grado la terra ha accettato di farsi modellare. La terra accetta, anzi desidera l’Agricoltura perché ne esce anch’essa spiritualmente migliorata.
La natura selvaggia ha i suoi tempi e i suoi modi che appartengono ad un’epoca evolutiva che non è più quella di oggi. La collaborazione e il dialogo tra la natura e la creatività, il cuore umano mediato anche dall’intelligenza, migliora e ingentilisce la terra che non può che gioirne. Una buona Agricoltura è come una musica portatrice di armonia, melodia e acustica. Non può che essere una buona alleanza fra la natura e l’uomo tra l’uomo c il suo pianeta. Un’alleanza d’amore vicendevole e profondo. L’abbandono del territorio che abbiamo sono gli occhi in tutte le zone cosiddette “marginali” o la sua devastazione e cementificazione nelle zone cosiddette sviluppate creano invece squallore, disarmonia e cacofonia di cui risente la terra e pure la nostra salute fisica e psichica.
Tutto questo ha a che fare con la libertà. Questo grandioso incontro tra l’uomo c il suo pianeta, che si chiama Agricoltura deve essere un incontro tra liberi. Non si può imbrigliare la terra con un’agricoltura arrogante, come non si può con l’arroganza imbrigliare l’uomo.
E qui è “cascato l’asino”: arroganza figlia della supponenza, figlia a mio parere di un disastro iniziato l0.000 anni fa chiamato patriarcato. In natura contrariamente a ciò che ci hanno insegnato, non c’è prevaricazione.
Non c’è la lotta in cui vince il più forte e soccombe il più debole. È un flusso unico di collaborazione e cooperazione. Tutto si aiuta a crescere in un unico canto di gioia di vivere. Da bambini lo sappiamo molto bene, poi gli insegnanti intellettuali ci fanno scordare tutto e facciamo una fatica improba a riappropriarci di quella coscienza e consapevolezza dell’amore e della collaborazione universale.
Questa è altresì la coscienza della libertà.
Ci si sente liberi se si è fedeli a quello si è e al luogo (Terra) dove viviamo. Non siamo liberi nella sopraffazione né del prossimo né della vita della terra, né dell’acqua o dell’aria. Quando inquiniamo un fiume inquiniamo noi stessi, quando uccidiamo la terra coi veleni o col cemento sono semi di morte che introduciamo nel nostro essere totale.
Ogni atteggiamento arrogante è cattiveria che acquisiamo e che non è la nostra, che ci logora, ci fa soffrire, ci toglie libertà.
Siamo liberi quando ci riconosciamo. Nasciamo come esseri di amore. Il vero seme che è nel cuore umano è quello. Soverchiati di idee, di bugie, di paure, ci dimentichiamo e diventiamo a ciò che ci dice il cuore e finiamo per rinnegarlo, generando sofferenza; prima su noi stessi e inevitabilmente sugli altri. Siamo vittime di migliaia di anni di pregiudizi di violenza di paure, che ci fanno corrosi e bacati.
Credo che siamo di fronte a un momento positivamente critico dell’evoluzione umana in cui esistono le condizioni per liberarci via via di queste assurde catene di violenza e umiliazione. Siamo pronti a riconoscere con semplicità la nostra luce interiore, il nostro dio interiore, che partecipa, anzi cosa unica con il Dio universale e lasciarsi finalmente andare a questa nostra natura dolce e amorevole.
Una liberazione dell’Agricoltura, una nuova Agricoltura è senz’altro lo strumento fondamentale di questo passaggio nel quale concepire il lavoro dell’uomo come servizio al prossimo e nel contempo alla natura e alla terra. Il lavoro umano non è merce è amorevole servizio.
La terra non è nemico a cui strappare i frutti con arroganza e violenza ma è madre generosa e amica da accudire e rispettare. Un gesto agricolo scellerato può distruggere in breve ciò che la terra/natura ha creato in migliaia di anni. Un gesto agricolo sano può creare un suolo vivo e unico in pochi anni, far entrare molta più luce nel cuore della terra, può moltiplicare infinite volte la sua fertilità e la sua forza vitale. Questo è il vero libero rapporto d’amore; quello in cui ci si migliora reciprocamente e non ci si usa o ci si sfrutta. Senza calcolo ma come dono gratuito. Come una quercia che lascia cadere migliaia e migliaia di ghiande di cui solo alcune saranno semi.
Sappiamo tutti che una pianta per stare bene ha bisogno di un terreno umico e vitale.
Nessuna persona di buon senso seminerebbe sul cemento, però i nostri campi sono ridotti a forza di pratiche agricole scellerate, in condizioni di vitalità non molto differenti da quelle di una spianata di cemento.
La pianta non si nutre dalla terra ma dal cielo. Gli elementi costitutivi della pianta sono al 95% costruiti a partire dall’energia solare e dall’atmosfera.
Grazie all’energia solare, planetaria e astrale la pianta costruisce e produce amminoacidi e proteine per costruire se stessa e il suolo: dona al suolo l’enorme surplus che produce. Di questo surplus gode tutta l’incredibile massa della vita ipogea (si calcola sia 10 volte superiore a quella della vita epigea) e questo mondo vitale perfettamente organizzato e intelligentemente coordinato collabora con le piante diventando indispensabile alleato del suo sviluppo e del suo metabolismo.
Sono i micro-organismi che guidano le radici nella profondità della terra a trovare i minerali di cui
necessitano, a renderli solubili e compatibili con la linfa e infine a introdurli nel sistema ricettivo della radice e quindi nella linfa. Una pianta che si trovasse in un suolo con scarsa vitalità è una pianta disorientata che non su più trovare ciò di cui ha bisogno e che per forza dovrà essere dopata e sostenuta da bombe chimiche.
Non sarà più una pianta ma un simulacro di pianta. Pensiamo che una pianta di grano coltivata in agricoltura sana e pulita in un suolo vivo può penetrare fino a 10 metri nel suolo producendo 5 km di filamenti radicali. Una pianta di grano chimico-industriale non supera i 5-10 centimetri di penetrazione radicale con poche centinaia di metri di filamenti radicali.
La sua maturazione, al contrario di come dovrebbe fare una pianta di grano, inizia dalla spiga che quando sarà matura avrà ancora la parte basale verde. Il frumento, pianta solare per eccellenza, deve maturare esattamente al contrario; non in modo discendente ma ascendente, come sarebbe nella sua natura.
E’ ovvio che non potremo essere né sani né equilibrati né tantomeno liberi se ci nutriamo dì un tal genere di piante: quale rapporto col mondo minerale? Giocoforza dovremo ricorrere a integratori alimentari. Quale rapporto col mondo della luce? Giocoforza avremo costantemente tendenza depressive, castrazione creativa e così via.
La Biodinamica è senza dubbio un metodo agronomico geniale e “funziona” molto bene. Con estrema semplicità riesce a far confluire e catalizzare sulla terra e nella pianta tutto il mondo energetico che riguarda l’agricoltura e il rapporto tra uomo e piante e viceversa. I risultati sono spesso mirabili, entusiasmanti e buoni, ma tutto questo non ci può portare granché lontano senza rivedere nel suo complesso il rapporto dell’uomo con la terra, con la pianta, e tra uomo e uomo.
Nel passato vi erano saperi spirituali e profondi di tipo istintivo che abbiamo perso quasi completamente.
Tuttavia un atteggiamento nostalgico non serve a nulla. Dovremmo avere il coraggio di ricostruire quei saperi con la coscienza, ma in una dimensione del tutto nuova. Il passato è andato e non è riproponibile e oserei dire “grazie a dio” perché insieme a quei saperi c’era anche un tal carico di orrori di cui personalmente faccio a meno volentieri.
La crescita armonica e fluida non può che essere garantita dal giusto equilibrio tra il principio femminino creativo-ricettivo che dovrebbe essere leggermente preponderante, da logica, su quello mascolino attivo-esecutivo. Dovremmo guardare all’Agricoltura del futuro nonché all’uomo del futuro in quest’ottica e sarà una grande fatica perché questo equilibrio è stato rotto più di diecimila anni or sono e li portiamo tutti sulle spalle. Fatica merita e ritengo indispensabile per ritrovare appieno quella gioia di vivere che è intrinseca alla vita stessa. Basta guardare un bambino.
Stefano Bellotti
(http://www.triplea.it/)