Homo homini lupus – E’ assolutamente “normale” che Gerusalemme sia la capitale d’israele…

Il 29 novembre 1947, il Piano di partizione della Palestina elaborato dall’UNSCOP (United Nations Special Committee on Palestine) fu approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a New York (Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale).
Come si vede Gerusalemme è città libera, nè ebrea nè palestinese.
E’ con la violenza che Israele se l’è annessa, insieme alla quasi totalità della Palestina imponendo l’apartheid e uccidendo, imprigionando e cacciando i palestinesi.
Sulle truffe USA/ONU, alla faccia della legalità internazionale (divenuta la legge del più forte) riporto una parte di un saggio di Noam Chomsky

La colonizzazione del Medio Oriente:
le sue origini e il suo profilo
Lo “stallo”
Ricapitolerò rapidamente le premesse della situazione, a partire dalla guerra del giugno 1967.
L’esito della guerra fu estremamente gradito agli Stati Uniti, visto che venne meno l’influenza nasseriana nella regione (con grande sollievo della “facciata”) e Israele assunse il controllo della sponda occidentale, di Gaza, degli altopiani del Golan e del Sinai. Ma la guerra aveva portato il mondo pericolosamente vicino a uno scontro tra superpotenze. Si temevano minacciose comunicazioni sulla “linea calda” tra Washington e Mosca. Il premier sovietico Kosygin a un certo punto ammonì il presidente Johnson che “se volete la guerra, guerra avrete”, come riportò anni dopo il ministro della difesa Robert McNamara, aggiungendo la sua opinione che “siamo andati maledettamente vicini alla guerra” quando la flotta degli Stati Uniti “circondò una portaerei [sovietica] nel Mediterraneo”; egli non spiegò i dettagli, ma l’episodio probabilmente risaliva al periodo in cui Israele si impossessò degli altipiani siriani del Golan dopo il cessate il fuoco.
Chiaramente bisognava fare qualcosa. Seguì un processo diplomatico, che condusse alla risoluzione numero 242 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che da allora ha costituito il quadro di riferimento diplomatico. Nonostante fosse stata deliberatamente formulata in modo vago nella speranza di ottenere l’adesione generale, vi sono pochi dubbi sul modo in cui la risoluzione venne interpretata dal Consiglio di sicurezza, compresi gli Stati Uniti: richiedeva una pace completa in cambio del completo ritiro israeliano, forse con qualche reciproco e minore aggiustamento. Che gli Stati Uniti sostenessero questo consenso internazionale emerge chiaramente dai documenti che sono stati divulgati, e in alcuni casi trapelati, compresa un importante ricostruzione del Dipartimento di Stato. Questa interpretazione della risoluzione 242 venne confermata pubblicamente nel piano Rogers del 1969 presentato dal segretario di Stato William Rogers e approvato dal presidente Nixon, nel quale si era sostenuto che “qualsiasi mutamento dei confini preesistenti non avrebbe dovuto riflettere la portata della conquista e avrebbe dovuto limitarsi a variazioni di poco conto necessarie per la mutua sicurezza”.
La 242 non venne attuata. Nonostante tutti avessero firmato, gli stati arabi rifiutarono di accordare una pace completa e Israele rifiutò di ritirarsi completamente. Notate che la 242 e piattamente negazionista: non offre nulla ai palestinesi, che vengono contemplati solo in relazione al problema dei rifugiati.
L’impasse venne rotta nel febbraio del 1971, quando il presidente egiziano Sadat si unì al consenso internazionale, accettando la proposta del mediatore dell’Onu Gunnar Jarring per la pace completa con Israele in cambio del completo ritiro israeliano dal territorio egiziano. Israele accolse di buon grado la dichiarazione dell’Egitto “di essere pronto a intavolare un accordo di pace con Israele”, ma lo rifiutò, affermando che “Israele non si ritirerà entro i confini precedenti al 5 giugno del 1967″. Questa posizione e stata da allora sostenuta senza deviazioni da entrambi i raggruppamenti politici, le coalizioni basate rispettivamente sul partito laburista e sul Likud.
Sadat, facendo propria la posizione ufficiale degli Stati Uniti, pose Washington di fronte a un dilemma: Washington avrebbe dovuto accettarla, lasciando così Israele da sola tra i principali attori dell opposizione? 0 gli Stati Uniti avrebbero dovuto cambiare politica unendosi a Israele nel loro riiiuto a tutt’oggi unilaterale delle disposizioni della 242 concernenti il ritiro Henry Kissinger preferì quest ultima alternativa, perorando la situazione di “stallo”, sulla base di motivazioni così bizzarre che è stato necessario ignorarle, probabilmente a causa dell’imbarazzo; non è il solo caso del genere. Può darsi che la sua principale motivazione fosse quella di soppiantare il suo rivale William Rogers e assumere cosi la direzione del Dipartimento di Stato come stava per fare.
La linea di Kissinger prevalse. Da allora gli Stati Uniti hanno negato non solo i diritti dei palestinesi (all’epoca, forti del consenso interno), ma anche le disposizioni di ritiro della risoluzione 242 così come erano intese dai suoi autori – compresi gli Stati Uniti, contrariamente alle invenzioni successive.
Anche queste sono cose che “non starebbe bene” dire. Pertanto, l’intera vicenda è vietata: espulsa dalla storia.
Nelle sue memorie, il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, allora ambasciatore di Israele a Washington, descrive l’accettazione della “famosa” proposta Jarring da parte di Sadat un “fulmine a ciel sereno”, una “pietra miliare” sulla via della pace, per quanto inaccettabile perché rimaneva l’”impronta elusiva di Sadat”, implicando un “nesso pregiudiziale” tra l’accordo di pace e il ritiro di Israele entro i confini precedenti al giugno del 1967 (in accordo con la 242, così come veniva intesa all’epoca al di fuori di Israele). Negli Stati Uniti, d altro canto, i fatti sono scomparsi. Vengono regolarmente ignorati dai giornalisti e dai commentatori dei principali mezzi di informazione, e abbastanza spesso anche nei lavori accademici. L’esempio più recente è la storia di Mark Tessler, che è più equilibrata della maggior parte delle altre. Nella sua estesa analisi dell’attività diplomatica, non si trova alcun cenno all’ufficiale offerta di pace da parte di Sadat e al rifiuto di Israele, ma una nota a pie’ di pagina fa riferimento a un’intervista del 1971 nella quale Sadat informava il redattore di Neurstoeek Arnaud de Borchgrave “che l’Egitto era pronto a riconoscere Israele e a trattare la pace”. De Borchgrave informò il primo ministro israeliano Golda Meir “che Sadat avrebbe presto ripetuto la sua offerta di pace all’inviato delle Nazioni Unite Gunnar Jarring”, prosegue Tessler, ma la Meir “respinse l’apertura di Sadat”.
Questo è tutto per la “famosa pietra miliare”. Pochi altri si sono anche solo avvicinati cosi tanto alla realtà.
Il rifiuto della 242 da parte degli Stati Uniti su iniziativa di Kissinger cancellò la questione del ritiro dal “processo di pace”. Il problema del negazionismo sorse alcuni anni dopo, quando il consenso internazionale si spostò verso una posizione non negazionista, condivisa anche dai maggiori stati arabi e dall’Olp. Il problema giunse all’apice quando il Consiglio di sicurezza discusse una risoluzione che incorporava il testo della risoluzione 242, ma aggiungeva una disposizione concernente uno Stato palestinese da fondare nella sponda occidentale e nella striscia di Gaza. La risoluzione venne sostenuta dagli “stati del conflitto” arabi (Egitto, Giordania, Siria) e dall’Olp, dall’Unione Sovietica, dall’Europa e dalla maggior parte del resto del mondo. Ad essa posero il veto gli Stati Uniti, che si erano ormai saldamente attestati a capo della frangia più estrema del Fronte della Negazione. Washington pose il suo veto a una risoluzione simile nel 1980. La questione passò allora all’Assemblea generale, che tenne votazioni annuali nelle quali gli Stati Uniti e Israele rimasero isolati all’opposizione (una volta sola in compagnia della Repubblica dominicana); un voto negativo degli Stati Uniti nell’Assemblea equivale a un veto, anche se gli Stati Uniti sono completamente soli, o quasi, come comunemente accade. L’ultima delle regolari votazioni annuali si tenne nel dicembre del 1990, 144-2. Un’altra risoluzione che appoggiava “Il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione” venne presa in esame nel novembre del 1994 (124-2).
Tutto questo è bandito dalla storia, di rado persino riportato, espulso dai documenti in favore di edificanti storie sugli sforzi americani tesi al raggiungimento della pace, contrastati da negazionisti arabi e altri cattivi personaggi, nel quadro, probabilmente, di un cosmico “scontro di civiltà”.
La votazione alle Nazioni Unite del 1990 avvenne poco prima della guerra del Golfo che pose gli Stati Uniti nella posizione di imporre, alla fine, la loro forma estrema di negazionismo. L’amministrazione Bush aveva riaffermato quei principi ben prima, nel piano Baker del dicembre del 1989, il quale non faceva altro che appoggiare il piano Shamir-Peres proposto dalla coalizione di governo israeliana nel maggio del 1989. Secondo il piano Shamir-Peres-Baker, gli Stati Uniti e Israele avrebbero selezionato certi palestinesi che avrebbero ricevuto il permesso di discutere l’”iniziativa di Israele”, ma nient’altro. Il piano teoricamente era pubblico ma trovò un’eco immediata solo nella stampa dissidente, oltre a essere trascurato o mal rappresentato anche in buona parte dei migliori studi accademici. Si è parlato di una sola delle sue disposizioni, quella relativa alle elezioni, per illustrare ciò che la stampa talvolta definisce la “brama di democrazia” dei leader americani: una democrazia che dovrebbe essere realizzata tramite elezioni da tenersi sotto il controllo militare di Israele mentre buona parte del settore istruito della popolazione giace in prigione senza capi di imputazione.
I termini cruciali del piano Shamir-Peres-Baker erano: 1) che non vi puo essere nessun “altro Stato palestinese nel distretto di Gaza e nell’area tra Israele e la Giordania” (es- sendo gia la Giordania uno “Stato palestinese”); e 2) che “Non vi può essere alcuna variazione nello status di Giudea, Samaria e Gaza [la sponda occidentale e la striscia di Gaza] se non in accordo con le linee guida essenziali del governo [israeliano]“, le quali escludono l’autodeterminazione palestinese.
E’ importante tenere a mente che questa era la posizione ufficiale dell’amministrazione Bush, che viene regolarmente condannata per la sua aspra posizione anti-Israele. E’ coerente con l’estremo negazionismo statunitense degli anni precedenti, ed è il contesto in cui si inquadra il “processo di pace” che l’amministrazione alla fine è riuscita a imporre dopo la guerra del Golfo.
Tutto ciò è inaccettabile dal punto di vista dottrinale, e quindi inesprimibile se non addirittura inconcepibile nella cultura intellettuale estremamente disciplinata. I fatti non sono in discussione, ma sono sovversivi per il potere e così è necessario “uccidere la storia”, per mutuare l’appropriato termine che viene usato per descrivere la regolare prassi dei commissari. Dai media, difficilmente provengono obiezioni – anche se alcuni degli eventi sono stati riportati fedelmente, compresi gli eventi del gennaio del 1976 che sono completamente spariti dalla storia ufficiale.
Dal principio degli anni ottanta, la storia divenne semplicemente un’opera buffa, mentre i media dell’élite e la comunità intellettuale si battevano con crescente disperazione “per non vedere” i sempre più evidenti tentativi da parte dell’Olp di passare a un accordo negoziato – occultando anche il fatto, oggetto di ampio dibattito in Israele, che il principale proposito del devastante attacco israeliano in Libano nel 1982 era di minare la minaccia degli sforzi dell’Olp di negoziare un accordo politico.
La colonizzazione del Medio Oriente: le sue origini ed il suo profilo
“Si fa quello che diciamo noi”
La concezione strategica
Lo “stallo”
“La pace del vincitore”: gli accordi di Oslo
Terrore e punizione
Programmi e piani di sviluppo
“Rifiuti umani e scarto della società”

Tratto da Noam Chomsky – “Il potere; Natura umana e ordine sociale” – Editori Riuniti 1997

Per ulteriori info
https://it.wikipedia.org/wiki/Status_di_Gerusalemme

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