Anche l’Arabia Saudita guarda alla Russia come interlocutore e garante mentre gli USA sprofondano nell’irrilevanza e nel default

Mentre l’occidente accelera il processo della propria disintegrazione geo-sociale, le potenze, grandi e medie, dell’Asia e dell’Eurasia proiettano in avanti il processo dell’integrazione economico-monetaria del Kontinentalblok Eurasiatico.

Il 5 ottobre 2017, Putin incontrava il re dell’Arabia Saudita Salman bin Abdulaziz al-Saud, nella prima visita in Russia di un regnante saudita, così accelerando le relazioni tra i due Paesi. Ciò avviene dopo i ripetuti fallimenti della politica saudita al rimorchio di quella del ‘governo invisibile’ degli USA:
– la guerra contro la Siria, dove Damasco, con il sostegno di Russia e Iran, ha respinto le formazioni terroristiche finanziate dall’Arabia Saudita e sostenute dalla NATO e dal Qatar, concorrente di Ryad nel mondo wahhabita.

– inoltre, la guerra più importante persa dai sauditi è stata quella sul prezzo del petrolio, che in un paio di anni aveva intaccato seriamente il patrimonio fondiario dei Saud, spingendo i sauditi ad accordarsi con la Russia nel dicembre 2015.

E sulla base di ciò, re Salman dichiarava a Putin che l’Arabia Saudita è “desiderosa di continuare la positiva cooperazione tra le nostre nazioni nel mercato mondiale del petrolio, favorendo la crescita economica mondiale“, portando alla costituzione di un fondo comune d’investimento sull’energia da un miliardo di dollari, e alla firma di un accordo tra la compagnia petrolifera statale saudita Aramco, la più grande compagnia energetica del mondo, con il Fondo di investimenti diretti (RDIF) e la società petrolchimica Sibur della Russia. Amin al-Nasir, direttore generale dell’Aramco, dichiarava: “Ciò segna una nuova pietra miliare nei rapporti commerciali e nei confronti delle nostre controparti in Russia. La visita di re Salman bin Abdulaziz al-Saud in Russia promuoverà la collaborazione tra società saudite e russe su vari fronti“. Aramco firmava anche un memorandum di cooperazione con l’azienda petrolifera Gazprom Neft. Il volume commerciale tra i due Paesi aveva raggiunto i 2,8 miliardi di dollari nel 2016 e il Fondo Pubblico di Investimento dell’Arabia Saudita, nel 2015, previde investimenti per 10 miliardi di dollari in Russia in cinque anni. I due Paesi decidono anche di collaborare nell’energia nucleare, nell’agricoltura nella tecnologia dell’informazione, nei commercio, investimenti e sviluppo sociale. “Abbiamo un grande potenziale nella cooperazione nel nucleare. L’Arabia Saudita prevede di lanciare un importante programma per l’energia nucleare“, dichiarava il Ministro dell’Energia russo e Co-presidente della Commissione intergovernativa russo-saudita Aleksandr Novak. “L’energia nucleare può diventare una delle fonti base e catalizzatore supplementare dello sviluppo di diverse industrie e tecnologie dell’innovazione in Arabia Saudita“. Va ricordato che l’Arabia Saudita ha sottoscritto un ampio programma elettronucleare con aziende della Repubblica Popolare di Cina. I sauditi sembrano puntare anche all’importazione di grano dalla Russia, avendo l’Arabia Saudita interrotto la produzione di mangimi per animali a causa della scarsità di acqua. Difatti re Salman giungeva a Mosca accompagnato da 285 rappresentanti di grandi aziende saudite. Inoltre, secondo Ryadh, l’Arabia Saudita avrebbe firmato un memorandum d’intesa con l’azienda per l’esportazione di armamenti russi Rosoboronexport, per procurarsi i sistemi d’arma S-400, Kornet-EM, TOS-1A, AGS-30 e Kalashnikov AK-103, per un valore totale di 3 miliardi di dollari. L’accordo per la vendita del sistema missilistico difensivo S-400 all’Arabia Saudita, richiama quello con la Turchia. La Turchia, come l’Arabia Saudita, è un vecchia alleata degli USA, ma ha notato il vantaggio logistico ed economico del sistema di difesa missilistica russo, mettendo in pericolo il dominio commerciale bellico statunitense in Medio Oriente.

Il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov teneva una conferenza stampa con il ministro degli Esteri saudita Adil bin Ahmad al-Jubayr, in seguito all’incontro del Presidente Vladimir Putin con re Salman. Sergej Lavrov esordiva che in geopolitica, come nella vita personale, è importante parlare con amici e nemici, descrivendo “amichevoli e costruttivi” gli incontri tra governanti ed imprenditori dei due Paesi, soprattutto sugli accordi relativi a scambi, investimenti, cooperazione su nucleare, esplorazione spaziale e infrastrutture. Al-Jubayr parlava dei “nuovi orizzonti che non avevamo potuto nemmeno immaginare in passato“, ringraziando il governo russo per aver reso tutto questo possibile. E dichiarava che Arabia Saudita e Russia “non sono Paesi lontani” e che “abbiamo condiviso episodi nella storia“, sottolineando che Mosca e Riyadh rifiutano l’idea di “imporre principi strani ed estranei ad altre società“. L’intento di tale dichiarazione è rendere chiaro il futuro dell’azione internazionale saudita, presentando anche una chiara accusa agli Stati Uniti per la loro politica estera volta ad insediare regimi fantoccio nel mondo. Tale critica indiretta alla politica estera statunitense, per di più espressa in Russia, è il chiaro segnale che l’Arabia Saudita si allontana dalla geopolitica degli Stati Uniti.

Tale processo allarma il ‘governo invisibile’ degli USA, i cui media, come Bloomberg, concludono allarmati che “israeliani, turchi, egiziani e giordani si rivolgono al Cremlino nella speranza che Vladimir Putin, il nuovo signore del Medio Oriente, possa assicurare i propri interessi e risolvere i loro problemi. L’ultimo della fila è re Salman“, nonostante pochi mesi prima Trump avesse stipulato a sua volta colossali accordi energetici e contratti di vendite belliche con i sauditi.Putin, all’ultimo vertice dei BRICS, a Xiamen, a settembre, aveva affermato: “La Russia condivide le preoccupazioni dei Paesi BRICS sull’infelice architettura finanziaria ed economica mondiale, che non tiene conto del crescente peso delle economie emergenti. Siamo pronti a collaborare con i nostri partner per promuovere le riforme del regolamento finanziario internazionale e superare l’eccessivo domini di un numero limitato di valute di riserva“. E quindi non è un caso che l’Arabia Saudita abbia compiuto, negli ultimi due anni, una svolta geopolitica radicale rispetto alla passata linea economico-politica USA-centrica, volgendosi sempre più verso la Cina e ora la Russia. Difatti, l’economia statunitense è dissanguata dalle guerre, perse, nel Grande Medio Oriente, oltre che da un espansionismo militare mondiale e inconcludente. È’ inoltre gravata da disavanzi commerciali e di bilancio e da una devastante deindustrializzazione. “La nostra democrazia è stata presa e distrutta da società che costantemente richiedono ulteriori tagli alle tasse, più deregolamentazione e impunità nel perseguimento di massicce frodi finanziarie, mentre saccheggiano trilioni del tesoro statunitense sotto forma di salvataggi. La nazione ha perso potere e rispetto necessari ad indurre gli alleati in Europa, America Latina, Asia e Africa a seguirla. Si aggiunga la distruzione montante causata dal cambiamento climatico e l’emergere di una distopia. La supervisione di tale crollo ai vertici dei governi federali e statali è affidata a una serie di imbecilli, con buffoni, ladri, opportunisti e generali belluini.

E per essere chiari, parlo anche dei democratici. L’impero s’incaglierà, perdendo influenza finché il dollaro non sarà abbandonato come valuta di riserva mondiale, sprofondando gli Stati Uniti in una depressione paralizzante e costringendo all’immediata contrazione della propria enorme macchina da guerra. Senza un’improvvisa e diffusa rivolta popolare, improbabile, la spirale della morte appare inarrestabile, il che significa che gli Stati Uniti, come li conosciamo, non esisteranno più tra uno o due decenni al massimo.

Il vuoto globale che lasceranno sarà colmato dalla Cina che già si afferma come potenza economica e militare, o forse vi sarà un mondo multipolare tra Russia, Cina, India, Brasile, Turchia, Sudafrica e qualche altro Stato”. “Nell’aprile del 2015 il dipartimento dell’Agricoltura degli USA suggerì che l’economia statunitense sarebbe cresciuta di quasi il 50 per cento nei prossimi 15 anni, mentre la Cina sarebbe triplicata superando gli USA nel 2030”. La Cina è la seconda economia del mondo dal 2010, anno in cui divenne la prima nazione industrializzata del mondo. Il dipartimento della Difesa degli USA ammise che le forze armate statunitensi “non godono più di una posizione inattaccabile rispetto ai concorrenti statali” e “non possono più… automaticamente imporre la superiorità militare locale in modo coerente e durevole“. “Gli imperi in decadenza abbracciano il suicidio volontariamente. Preda del capriccio e incapaci di affrontare la realtà del loro declino, si ritirano in un mondo di fantasia dove i fatti spiacevoli non s’intromettono, sostituendo diplomazia, multilateralismo e politica con minacce unilaterali e di guerra. Tale auto-allucinazione collettiva ha visto gli Stati Uniti commettere il peggiore errore strategico della loro storia, suonando la campana a morto per l’impero, l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq. Gli architetti della guerra nella Casa Bianca di George W. Bush e l’ampio giro di utili idioti della stampa e del mondo accademico ne fecero una cerimonia, non sapendo nulla dei Paesi che venivano invasi, si sono dimostrati incredibilmente stolti sugli effetti della guerra industriale, accecati da una retorica feroce”.

Alessandro Lattanzio

(Fonte: https://aurorasito.wordpress.com/2017/10/06/i-saud-a-mosca-indicano-il-declino-degli-usa/)

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