Curdi, da vittime a predoni, con l’aiuto di sion…
Oltre al caso eclatante della Catalunya, il 25 settembre 2017 nel Kurdistan iracheno si è svolto un referendum indipendentista che potrebbe avere enormi ripercussioni in tutto il Medio Oriente. Nello stadio di Erbil, “futura città capitale del Kurdistan”, sventola una bandiera gigante con la Stella di David: Israele è infatti l’unico Stato ad aver riconosciuto l’indipendenza, prima ancora che venga proclamata. Il premier iracheno al-Abadi è il primo bersaglio dei convenuti, e all’interno dell’emiciclo risuonano forti gli inni del pubblico che grida «Amrika, Amrika». E poi «Israil, Israil», perché lo Stato ebraico è un grande sostenitore di Massoud Barzani, presidente dei curdi iracheni. Che dalla Prima guerra del Golfo in poi, nel 1991, ha messo nelle condizioni il Kurdistan di essere uno Stato indipendente di fatto ma non di nome. Ora il regno di Abu Bakr al-Baghdadi è prossimo alla fine ma ha squassato le fondamenta dell’Iraq. L’esercito iracheno è ancora debole, esausto dopo la battaglia di Mosul. I Peshmerga curdi sono invece più forti che mai, con le armi ricevute a vagonate da Israele, Francia, Inghilterra e Stati Uniti. L’avventura del califfo ha consegnato al Kurdistan anche nuovi pezzi di territori e soprattutto Kirkuk che, nel 2014, l’esercito iracheno ha abbandonato e poi conquistato dai Peshmerga. Kirkuk è una città dalle mille etnie e religioni, curdi, turkmeni, arabi sunniti e sciiti, cristiani siriaci. I curdi non sono più maggioranza da decenni ma se la vogliono tenere con tutti i pozzi di petrolio. E, visti gli appoggi internazionali di cui godono, molto probabilmente l’avranno.
Paolo Sensini
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Perché Israele è al fianco del Kurdistan
Nello stato di cose generalmente lugubre della tragedia umana in corso in Siria, il governo israeliano ha per lo meno gettato un po’ di luce sulla lotta del popolo curdo per l’indipendenza. In una serie di segnali diplomatici attesi da tempo, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha promosso l’indipendenza curda davanti a un uditorio di congressisti americani in visita in Israele, mentre si apprende che una delegazione di leader curdi è venuta di recente a Gerusalemme a chiedere il sostegno di Israele.
Non c’è dubbio che l’iniziativa diplomatica di Netanyahu – che è suo compito, dal momento che ricopre anche la carica di Ministro degli esteri – è logica semplicemente perché è la cosa giusta da fare.
La presa di posizione di Israele pone fine, sul piano diplomatico, a decenni di inerzia morale che rasentava l’opportunismo, in modo analogo al riconoscimento del genocidio armeno per mano degli ottomani: anch’esso a lungo ritardato per non offendere i sentimenti dei turchi, che erano nostri alleati.
Ora, invece, importa poco cosa Erdogan possa avere da ridire. Il sostegno di Israele ai curdi arriva in un momento cruciale: per il 25 settembre è previsto un referendum sull’indipendenza della regione del Kurdistan in Iraq.
La nuova posizione di pubblico appoggio ha debuttato la settimana scorsa in un incontro del primo ministro con una delegazione di 33 congressisti repubblicani statunitensi. Netanyahu ha detto ai legislatori americani di essere favorevole all’istituzione di uno stato curdo indipendente nella regione irachena settentrionale, dove i curdi godono già di una sovranità di fatto. Netanyahu ha parlato della sua “posizione positiva” verso uno stato curdo dicendo che i curdi sono un “coraggioso popolo pro-occidentale che condivide i nostri valori”. Successivamente è giunta la notizia, confermata al Jerusalem Post dalla parlamentare laburista di Unione Sionista Ksenia Svetlova, che alti esponenti curdi iracheni sono venuti in visita in Israele nelle scorse settimane e hanno esortato Gerusalemme a sostenere la loro indipendenza, chiedendo anche di inoltrare a Washington la richiesta di fare altrettanto.
Non siamo d’accordo con la posizione degli Stati Uniti secondo cui attualmente, con la vittoria sull’ISIS e un primo ministro iracheno che sta avendo qualche successo, non sarebbe il momento di “agitare le acque” con l’indipendenza curda. Al contrario, siamo convinti che uno stato curdo indipendente sarebbe un bene per il Medio Oriente. Michael Oren, vice ministro presso l’Ufficio del primo ministro israeliano, ha detto che le osservazioni di Netanyahu di fronte alla delegazione americana, oltre alla questione del referendum sono anche frutto della consapevolezza di Gerusalemme della “rapidità con cui l’Iran sta consolidando le sue posizioni nella regione e in Iraq, e del fatto che uno stato curdo contrasterebbe questo trend”. Il che dunque, per combinazione, non è solo la cosa giusta da fare, ma anche il momento e il posto giusto.
Per quante ripercussioni possa eventualmente avere sulla calma di cui attualmente godiamo, è giunto il momento che la gente prenda in considerazione un altro popolo che merita almeno altrettanto, e verosimilmente assai di più, dei palestinesi. L’imperativo morale è più chiaro che mai: essendo un paese che ebbe estremo bisogno di qualunque aiuto possibile, nel 1948, per difendere la nostra vita libertà e indipendenza, è la nostra stessa coscienza che ci guida in questo 2017.
Fortunatamente oggi possiamo agire in quanto stato sovrano, nel nostro interesse nazionale: in particolare per quanto riguarda la minaccia genocida iraniana alla nostra esistenza. Un Kurdistan indipendente non solo amplierebbe le preoccupazioni della Turchia circa le rivendicazioni di indipendenza della sua stessa popolazione curda, ma costituirebbe anche un ostacolo formidabile ai tentativi iraniani di creare una “mezzaluna islamista” dall’Iraq alla Turchia. Alla luce dell’impennata dell’aggressione iraniana in Medio Oriente, uno stato curdo sovrano rappresenterebbe un ostacolo alla via di terra che metterebbe in collegamento il più grande sponsor mondiale del terrorismo con le sue succursali in Siria e in Libano. Una delle strategie più efficaci che Israele può adottare è riconoscere il Kurdistan indipendente e sostenerlo pienamente, anche militarmente, in un’alleanza contro l’Iran. Il capo della potente Guardia Rivoluzionaria iraniana, il generale Qasem Soleimani, ha recentemente ribadito il sostegno a Hamas nei suoi sforzi per eliminare Israele dalla carta geografica. La regione irachena del Kurdistan, guidata dal governo del presidente Masoud Barzani, non permetterà che i rifornimenti iraniani ai gruppi terroristici attraversino il suo territorio.
Come gli ebrei, i curdi sono profondamente convinti che la loro cultura, la loro lingua e il loro destino storico in questa parte del mondo possono essere tutelati e promossi solo conseguendo gli stessi diritti delle altre nazioni indipendenti.
Traduzione: http://www.italiaisraeletoday.it/perche-israele-e-al-fianco-del-kurdistan/
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Commento di P.P.: “Adesso scoppierà la crisi del Kurdistan iracheno, subito dopo il referendum di indipendenza.. Israele gongola, gli USA sono forse un filo preoccupati, i Turchi sono irritatissimi, così come Baghdad e Teheran. La UE non ha voce in capitolo ma probabilmente non saprebbe nemmeno cosa dire. Infine, la Russia non so proprio cosa abbia intenzione di fare in questa mossa della grande partita a scacchi che sta giocando. Forse si proporrà come mediatrice/garante tra Turchia, Iran e Iraq da una parte e Kurdistan iracheno dall’altra. Se le riuscisse metterebbe un’ipoteca anche sul destino del Rojava in Siria. Ma non credo che le sarà tanto facile…”
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Commento di Francesco Votta: “Il Referendum Pro Indipendenza Curdo in Iraq è la prima consultazione del millennio che batte in brogli le primarie del PD. Senza bisogno di cinesi, i curdi buttano nelle urne anche 100 schede al colpo… votanti tra i morti e gli emigrati abbondano…”