Medio Oriente – Dove l’impero USA si squaglia….
Washington riduceva di centinaia di milioni di dollari gli aiuti all’Egitto, ricorrendo alla scusa delle condizioni dei diritti umani a Cairo, ma in realtà per punire l’Egitto non solo per essersi rivolto all’aiuto economico-tecnologico e diplomatico di Russia e Cina, ma per aver sostanzialmente distrutto il piano del cosiddetto “Grande Medio Oriente”, concepito dai neocon e attuato dalla sinistra social-imperialista espressa da Obama e dall’europeismo occidentale. Infatti, quando nel 2013 i militari egiziani deposero il regime islamo-atlantista di Muhamad Mursi, i piani per attaccare direttamente l’Asse della Resistenza, ovvero Libano, Siria, Iraq e Iran, andarono in frantumi, essendo l’Egitto, Paese con una popolazione di 90 milioni di abitanti, visto come serbatoio inesauribile di carne da cannone taqfirita al servizio delle mire imperialiste e nocolonialiste della NATO e relative appendici petromonarchiche del Golfo Persico. Il piano d’aggressione all’Eurasia prevedeva la creazione di una piattaforma regionale islamista, in Medio Oriente, in cui radunare le varie forze taqfirite, oscurantiste, retrive e reazionarie, che in cambio dell’ascarismo geopolitico verso l’atlantismo, avrebbero ottenuto il totale dominio delle società mediorientali. Non a caso, l’apparato terroristico-mediatico atlantista (Hollywood, circo mediatico, università e professoroni, ONG e servizi segreti), preparò per anni il terreno ideologico-culturale per celebrare e far accettare in occidente l’ascesa dei regimi oscurantisti e sanguinari promessi dalla fratellanza mussulmana e dalle sue appendici terroristico-stragiste (Gladio-B): al-Qaida, salafismo armato, emirato islamico, sufismo turco-iracheno, ecc.
I militari nasseriani e la borghesia nazionalista egiziani (disprezzati dal ‘trotskismo accademico anglosassone’, null’altro che escrezione radicale del social-imperialismo londinese), compresero i piani malvagi e devastanti delle centrali imperialiste occidentali e dei loro manutengoli islamistico-idrofobici: la distruzione delle società arabe, devastazione della regione e guerra permanente con le potenze eurasiatiche che, esse sole, possono recuperare il Medio Oriente da una situazione di imminente disastro economico-politico che si preannunciava di durata indefinibile. Va ringraziato il governo di al-Sisi, e il ‘golpe’ popolare-patriottico del nasserismo egiziano, se l’immane disastro geopolitico-regionale, che pareva inevitabile con l’avanzata al potere dell’integralismo belluino e ottuso asservito all’imperialismo e affiancato dal sinistrismo occidentale, è stato sventato.
Da qui la rabbia delle centrali terroristico-propagandistiche occidentale verso l’Egitto, che punta le sue carte sull’alleanza con la Russia, la Cina e l’Iran; utilizzando di tutto a tale scopo: dallo spionaggio pecoreccio e provocatorio di volenterosi sovversivi occidentali in Egitto, alla disinformazione e propaganda delle centrali mediatiche atlantiste, fino al terrorismo islamo-atlantista alimentato e finanziato dal complesso spionistico occidentale (che comprende i servizi segreti e le loro emanazioni pubbliche, le cosiddette ‘ONG’).
L’ultima fase del rancore occidentale verso Cairo si è avuta con Washington che taglia 96 milioni di dollari di aiuti e ritarda altri 195 milioni di dollari in fondi militari per l’Egitto. Il dipartimento di Stato degli USA dichiarava che la decisione è dovuta alla “mancanza di progressi nei diritti umani e al passaggio di una nuova legge che disciplina il lavoro delle organizzazioni non governative, considerata volta a limitarne le attività e che al-Sisi ratificò a maggio”. Ecco, l’impossibilità di sovvertire l’Egitto scatena le ire dell’imperialismo “democratico” e “filantropofago” di Washington, che ricorre all’unico mezzo di cui dispone, le sanzioni, che nel mondo globalizzato di oggi, dopo la Jugoslavia del 1999 e l’Iraq del 2003, non funzionano più, perché non convincono più nessuno. Sarà difficile, per Washington, che qualche altro Paese metta ai comandi un altro Gorbaciov. Gorbaciov è un personaggio passato alla Storia come simbolo dell’autodistruzione e del tradimento, sostituendo nell’immaginario dei popoli la figura di Vidkun Quisling. Checché ne dicano i suoi corifei, che appestano lo spettro della militanza antimperialista occidentale, Gorbaciov è oramai un mero cadavere ideologico; un killer e traditore non più utile ai suoi padroni, perché riconosciuto appunto tale a livello planetario. Perciò, il suo modus operandi, pur riproposto più volte, fa sempre cilecca, perché riconoscibilissimo negli scopi: l’autodistruzione delle nazioni e dei popoli che l’adottano. E’ bastata una volta per capirlo.
Da qui, l’esigenza dell’occidente di ricorrere a metodi più rozzi e brutali, come il terrorismo settario, sanguinario e ottuso che tanto successo raccolse in Afghanistan (più nell’immaginario del pubblico occidentale, che nella realtà afghana). La filiazione del terrorismo strategico islamo-occidentale è stata prolifica e, in pratica, l’unica arma efficiente dell’imperialismo del XXI secolo. Dalla Jugoslavia nel 1992 a Siria-Iraq nel 2014-2015. Di fatti, ricollegandosi al discorso egiziano, non è un caso che, una volta saltato il regime islamista dell’agente della CIA Muhamad Mursi (cittadino statunitense, avendo lavorato presso la NASA, ente che assume solo cittadini degli USA), pochi mesi dopo comparisse a Mosul e in Iraq lo Stato islamico (emirato islamico).
Chiaramente il piano di riserva, nel caso fallisse la trasformazione dell’Egitto in caserma del taqfirismo globale al servizio della NATO e d’Israele. L’appoggio saudita al golpe popolare-patriottico di al-Sisi era dovuto al legittimo timore di Riyadh di finire nel mirino dell’imperialismo statunitense, una volta eliminati l’ostacolo siriano-iraniano e messe in difficoltà Russia e Cina; in quella situazione, cosa avrebbe impedito a Londra e Washington di saltare al collo dei sauditi? E di accaparrarsi le ingenti riserve di petrolio della penisola araba? Il Ministero degli Esteri dell’Egitto, alla punizione inflitta da Washington a Cairo, risponde dichiarando, “L’Egitto considera questo passo un errore di valutazione della natura delle relazioni strategiche che legano i due Paesi da decenni, e ciò può avere ripercussioni negative“. E il 28 agosto, Cairo si dichiarava favorevole a risolvere la crisi siriana attraverso negoziati e a sostenere il processo di pace di Ginevra; il Ministro degli Esteri egiziano Samah Shuqry dichiarava, “L’Egitto promuove l’idea che la soluzione militare sia impossibile per riportare la stabilità alla regione. Ciò può accadere solo attraverso dialogo, negoziati, processo politico…
Per la Siria, la partecipazione dell’Egitto è legata al sostegno e al consolidamento dell’opposizione nazionale siriana, alla continuazione del dialogo attraverso tutti i canali, incoraggiando tutte le parti, incluso il governo siriano, a tenere colloqui sotto gli auspici delle Nazioni Unite e ad aderire al processo di Ginevra. La Siria va preservata, la sua integrità territoriale è importante, le sue istituzioni vanno mantenute nella responsabilità dei servizi alla popolazione, per ripristinare la Siria a beneficio del popolo, far rientrare i residenti fuoriusciti e combattere le organizzazioni terroristiche”. Il ministro concludeva affermando che gli stessi principi dovranno riguardare la soluzione della crisi in Libia.
Ma gli Stati Uniti non entrano in conflitto solo con l’Egitto; l’ambasciatrice del Pakistan alle Nazioni Unite, Maleeha Lodhi, dichiarava che gli Stati Uniti non sono equilibrati nell’approcciarsi verso l’Asia meridionale, “Negli ultimi anni, in Pakistan abbiamo capito che gli Stati Uniti non sono equilibrati nell’approccio verso l’Asia meridionale e, di conseguenza, abbiamo perso qualcosa nei rapporti“.
Lodhi affermava anche che gli Stati Uniti devono perseguire la “pace negoziata in Afghanistan“, dopo 16 anni di guerra che hanno dimostrato che perpetuare il conflitto non è un’opzione futura, “Dobbiamo trovare una pace negoziata in Afghanistan, con il consenso delle Nazioni Unite e della comunità internazionale. So che gli Stati Uniti hanno dichiarato il proprio sostegno a questo obiettivo, in passato, ma questo non potrebbe bastare; essi devono agire per raggiungere e realizzare questo obiettivo“. Infine, il Pakistan decide di rivedere i rapporti con gli Stati Uniti dopo l’annuncio del presidente Trump di eliminare gli aiuti militari al Pakistan perché, “Washington è stufa di Islamabad“. Il dipartimento della Difesa degli USA aveva già bloccato ogni sostegno a Islamabad tramite il Fondo di sostegno della coalizione, che finanziava le operazioni antiterrorismo del Pakistan, mentre il segretario alla Difesa Mattis affermava di non poter provare che il Pakistan combatta a sufficienza il terrorismo.
Infine, Trump accusava il Pakistan di custodire gli “agenti del caos” concedendo santuari ai taliban e ai gruppi islamisti, facendo prolungare la guerra in Afghanistan. “Il Pakistan ha anche dato riparo alle stesse organizzazioni che cercano ogni giorno di uccidere la nostra gente. Gli versiamo miliardi e miliardi di dollari, mentre ospitano i terroristi che combattiamo. Ma ciò dovrà cambiare e cambierà immediatamente. Nessun partenariato può sopravvivere a un Paese che ospita terroristi che attaccano membri e funzionari degli Stati Uniti“, dichiarava Trump. Il governo pakistano rispose dicendo che sono gli Stati Uniti a non voler eliminare i santuari del terrorismo in Afghanistan. L’amministrazione Trump in sostanza afferma che i taliban sono sostenuti dalle agenzie militari e d’intelligence del Pakistan, prospettando l’idea che gli Stati Uniti designino il Pakistan quale Stato sponsor del terrorismo; un modo per giustificare l’incapacità dell’US Army di sconfiggere i taliban e di por fine al conflitto in Afghanistan.
Il Pakistan, davanti alle mosse di Washington, si prepara a vietare le visite del personale diplomatico statunitense senza una preventiva autorizzazione ed approvazione dal governo di Islambad. Infatti, il Pakistan rinviava la visita dell’assistente del segretario di Stato Tillerson, e decideva di rivedere la politica verso gli Stati Uniti. Rex Tillerson aveva minacciato i pakistani, “Abbiamo una certa leva in termini di aiuti e sul loro status di partner non-NATO; tutto questo può essere messo in discussione“. Sebbene ufficialmente il Pakistan beneficiasse di aiuti e tecnologie militari statunitensi, quest’anno gli Stati Uniti rifiutavano 350 milioni di dollari in finanziamenti militari, col pretesto che il Pakistan non farebbe abbastanza per combattere il terrorismo. Tillerson dichiarava che “Il presidente è stato chiaro nel dire che attaccheremo i terroristi ovunque siano. Abbiamo messo persone ad osservare chi offre rifugio ai terroristi, e gli avvertiamo che affronteremo chi fornisce un santuario e gli chiederemo di smetterla“. Per risposta, il Ministro degli Esteri del Pakistan, Khawaja Muhammad Asif, il 28 agosto si recava in Cina, dopo aver annunciato la cancellazione della prevista visita negli Stati Uniti.
In realtà, anche qui gli Stati Uniti sono allarmati dall’approccio del Pakistan verso Cina e Russia sulla questione della stabilizzazione dell’Afghanistan, “il Pakistan si è rivolto alla Russia negli ultimi mesi e le chiede di essere la principale forza stabilizzatrice per una possibile pacificazione dell’Afghanistan. Gli Stati Uniti ne sono allarmati, ed anche se i rapporti Pakistan-Russia erano storicamente tesi, si sono rilassati. I pakistani hanno ora deciso che la Russia, e non gli Stati Uniti, sono la migliore speranza di avere un attore internazionale che porti al tavolo delle trattative e possibilmente riunisca un governo di unità nazionale in Afghanistan, unico modo per far finire questa guerra. Il Pentagono non vuole por fine alla guerra. È soddisfatto dello stallo. È una vacca da mungere per il Pentagono e i contraenti degli USA. Washington non vuole che la Russia s’intrometta in Afghanistan“. Non va dimenticato, infine, che il Pakistan ha appena aderito all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, guidata da Cina e Russia, un colpo devastante per gli interessi statunitensi in Asia.
Infine, neanche i curdi danno soddisfazione a Washington; secondo il notiziario al-Hadath, un grande convoglio militare dell’Esercito arabo siriano e della Polizia Militare russa arrivava a Tal Rifat, città a nord di Aleppo, su richiesta delle Forze Democratiche siriane (SDF), per impedire che le forze turche avanzino nella regione, dato che Ankara aveva inviato rinforzi presso la vicina Azaz.
Alessandro Lattanzio
(https://aurorasito.wordpress.com/2017/08/29/la-disgregazione-dellimpero-usa-una-lettura/)
Fonti:
Times of Islamabad
The Duran
PressTV
FARS