Emozioni (tu chiamale se vuoi…) – “La mia fine è il mio inizio”

Mi è capitato di leggere una pagina di Tiziano Terzani (da “La mia fine è il mio inizio”) in cui egli auspica una sorta di “presa di potere” da parte dei poeti. Un sogno romantico che però secondo lui risolverebbe le questioni del mondo, dando una diversa prospettiva alle cose.

Ora, alla base della maggior parte delle poesie e dei poeti c’è la descrizione di un’emozione, parola grossa che definisce qualcosa che è diventato un altro idolo – parallelo e alternativo alla scienza – dei nostri giorni e del nostro mondo fatto di escapismo e di alienazione. Ci si rifugia nell’alibi dell’”emozione” per giustificare qualsiasi sciocchezza – o anche solo il chiudersi a riccio per evitare gli oltraggi del mondo.Ecco che per costoro le emozioni sono il non plus ultra dell’evoluzione umana, dimostrandoci quanto poco ( o niente) ci si sia evoluti, giacchè le emozioni le provano financo gli animali.

Anche a me ogni tanto capita di buttare giù qualche poesia (senza per questo definirmi “poeta”) perchè in effetti ci sono movimenti interiori che sono meglio affidati all’espressione lirica, immediata, concisa, in cui si possono racchiudere idee e concetti in modo fulmineo,per così dire, con una presa diretta che oltrepassa il ragionamento dialettico: agonia ed estasi – nonchè divinità suprema – del mondo moderno.
Tutto ciò però non va da nessuna parte se ci si limita ad esprimere, appunto quelle “emozioni” istituzionalizzate su di un aureo piedistallo da Mogol-Battisti.

Di per sé ovviamente non è sbagliato provare emozioni, che sono parte del bagaglio umano, diciamo sulla via del raggiungimento della piena condizione umana (cosa da cui noi moderni siamo ben lungi). Però quello che non si capisce- e che i poeti volutamente ignorano in genere, è che si tratta di un passaggio propedeutico a qualcosa di superiore, di molto più nobile ed elevato, perchè il senso della vita non si esaurisce nè si limita alla sfera emotiva. Per dischiudere il grande mistero che ci circonda e nel quale siamo immersi non basta affidarsi alle emozioni, che spesso e volentieri diventano dei cattivi padroni più che dei servi docili: ci dominano invece che essere usate come uno strumento verso un fine. Tant’è che queste , come tanti aspetti dell’umano,sono state rapidamente inglobate come forza strutturante del commerciale, per cui leggiamo slogan come : “regalati un’emozione” “l’emozione del gol” “l’emozione dello shopping” e altre simili deficitarie metafore lesive della dignità umana.Si cavalca una tendenza umana per incanalarla negli squallidi meandri del business.

Il punto è che c’è una soglia oltre la quale questo stadio se vogliamo puerile dell’emotività non sa andare, ed è la sfera di ciò che Platone definiva “il mondo intelligibile” ciò che non si può afferrare con la mente usuale, nè col cuore votato all’emozione che più spesso che non è foriera di depistaggi, travisamenti, costrutti illusori che non rispondono alla realtà. Si tratta dell’espansione della coscienza che permette all’essere, svincolato dalle “emozioni” come dalla razionalità, di assistere al dispiegamento di ciò che unicamente si può definire “verità”: andare oltre i paradigmi consueti della sfera psichica , con il suo triste mentale e le montagne russe dell’emozione, è il trampolino di lancio per assumere la reale condizione dell’umano.

Del resto non fu un poeta stesso, che aveva forse qualche freccia in più nel suo arco (non limitandosi alle “emozioni”) a dire: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”?
Il “sommo poeta” ci dice, velatamente, che nemmeno la poesia e la tanto decantata “emozione” può essere fine a se stessa, ma intesa solo come un benefico (anche se può essere molto malefico) strumento di elevazione interiore.

Simon Smeraldo

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