La neurochimica della Leadership… – Ovvero: “L’eccessiva competitività è una pazzia!”

Nei corpi militari danno le medaglie a quelli che si sacrificano per far ottenere un risultato agli altri.

Nelle aziende invece i premi li prendono le persone che sacrificano gli altri per ottenere un vantaggio personale.

Come i nostri antenati di millenni fa, noi cerchiamo sicurezza.

Millenni (o centinaia di anni) fa, il pericolo erano le condizioni atmosferiche, gli animali carnivori, gli attacchi delle tribù nemiche.

Le persone cercavano (e cercano ancora oggi) sicurezza, e il leader era quello che aveva il comando perché PROTEGGEVA gli altri dai pericoli.

Era il primo a mangiare quando c’era cibo (e non ce n’era sempre).
Ma era anche il primo ad andare verso il pericolo quando c’era da salvare la tribù.

Da bambino mia nonna mi raccontava che quando era piccola la sua famiglia era composta da 15 persone che vivevano insieme tra figli, nonni, mariti e mogli dei figli. E in questa ‘tribù’ di primi ‘900 si mangiava spesso la polenta con un tagliere grande al centro sopra il quale scendeva – appesa al soffitto – una sola aringa contro cui tutti sfregavano le fette di polenta cercando di prenderne un po’ del sapore.

Ma alla fine l’aringa la mangiava il capofamiglia. Il maschio di casa, non i bambini.

Noi funzioniamo con gli stessi neurotrasmettitori dei nostri antenati:

- L’endorfina, che copre i segnali di dolore che proviamo.

- La dopamina che si rilascia quando otteniamo qualcosa e che può farci rimanere concentrati su un obiettivo, alla ‘motivazione’. Ma che è anche legata agli stati di dipendenza associati alle droghe, alle scommesse, o a controllare compulsivamente la mail per vedere se ci sono nuovi messaggi.

- La serotonina, che è il neurotrasmettitore della Leadership, associato al riconoscimento pubblico, all’orgoglio.

- L’ossitocina, che è associata alla sensazione di piacere che hai quando sei con qualcuno di cui ti fidi.

Ed è per questo che la Leadership non è motivare gli altri.

E non lo è per ragioni neurochimiche, non per sottili distinzioni filosofiche.

Ricorda:

Motivazione = dopamina e endorfina. Poca connessione con gli altri.

Leadership e performance = serotonina e ossitocina. Enorme capacità di entrare in relazione con gli altri, di avere un impatto positivo e di ispirarli nella nostra direzione.

Due mondi diversi. Che prevedono due modi di lavorare diversi.

Simone Pacchiele

(Fonte: https://www.simonepacchiele.com/7549/la-neurochimica-della-leadership/)

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La forte competitività è un valore? No, è una follia!

Competitività. Termine che oggi va molto di moda e che viene continuamente menzionato. Ci continuano a ripetere che serve maggiore competitività per poter risollevare le sorti economiche del Paese e che solo questa sia la ricetta per uscire dalla crisi. Dobbiamo essere più bravi degli altri altrimenti non ci meritiamo di esistere. La competitività in economia è la capacità di giocare con successo nell’arena della concorrenza interna ed internazionale. Questo comporta che la competitività viene raggiunta sulle pelle di qualcuno che ne subirà gli effetti. La maggior competitività dunque si raggiunge sempre e solo nel confronto con un altro individuo che ovviamente soccombe.

Non solo la competitività ma la forte competitività è addirittura un valore sancito nell’art. 2 del TFUE che in particolare dispone che l’UE si debba basare “su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale (omissis…)”. Dunque l’UE ritiene che solo dalla competizione tra consociati, con la forte competizione, si possa ottenere piena occupazione e progresso. Peraltro nello stesso periodo si evidenzia una contraddizione clamorosa tra politica sociale e forte competitività. La prima ovviamente esclude l’altra.

Tale teoria espressa nel TFUE è delirante e contraria ad ogni principio morale e giuridico universalmente riconosciuto. La competizione non è affatto un valore ma costituisce un vero ed autentico ostacolo alla pace ed alla giustizia. La competizione, come detto, per definizione avviene nei confronti di altri soggetti che per una ragione o per l’altra (anche per loro colpa a volte) risultano più deboli. Quando l’odioso Mario Monti diceva che stavamo guadagnando posizioni di maggiore competitività attraverso la distruzione della domanda interna intendeva dire che abbattendo i prezzi il nostro export sarebbe migliorato. Ma ovviamente tali migliori posizioni si raggiungono sul piano interno, come purtroppo abbiamo visto, con la macelleria sociale dell’aumento della disoccupazione e sul piano internazionale si ottengono alle spalle di altri popoli. Ecco quanto è bella la competitività.

La nostra Costituzione, proprio per questo, ha contemplato un modello completamente opposto a quello della forte competizione tra consociati. L’art. 2 Cost. infatti prevede l’obbligo di adempiere agli inderogabili doveri di solidarietà economica oltre che politica e sociale. Inoltre il modello economico della nostra Carta è un modello sociale dove il libero mercato incontra il limite inderogabile del pubblico interesse.

Ovviamente la solidarietà economica non ha nulla a che vedere con la forte competizione che rappresenta un modello diametralmente opposto. Non si è certamente solidali con chi si cerca di superare e sconfiggere. La povertà dei concorrenti diventa inevitabilmente il proprio personale successo. La forte competizione porta ogni essere umano ad esprimere il peggio di se stesso rafforzando sentimenti di egoismo ed individualismo che sono estranei ad un Paese che possa definirsi anche solo minimamente avanzato.

Stranamente in economia il concetto ha preso piede con un connotato positivo. Pare che la gente si sia dimenticata della comune esperienza del vivere quotidiano ed abbia abboccato alla bufala che vuole nella competizione un sommo valore indispensabile per il nostro benessere. La competizione, tanto per parlarci chiaro, è quella che invece ha ispirato ogni conflitto bellico o sociale della storia. Qualcuno voleva prevaricare qualcun altro.

Riflettiamo insieme. Pensate, ad esempio, ai vostri figli. Li mettereste mai in competizione tra loro per avere il vostro affetto? Ritenete che la loro educazione e le loro qualità migliorerebbero se invece che insegnargli il rispetto e la solidarietà voi li indirizzaste verso una forte competitività per primeggiare? Vorreste davvero insegnargli che ciò che conta nella vita è essere “migliori” del prossimo partendo prima di tutto dal proprio fratello?

E rimanendo ai figli pensate che la loro vita sia il lavoro e che il loro unico scopo debba essere vincere nella professione? Guadagnare il più possibile per comprare cose pressoché inutili? Oppure ritenete che il lavoro debba solo essere il modo con cui tutti noi ci guadagnano da vivere concorrendo al progresso materiale e spirituale della società (art. 4, comma secondo, Cost.) e che le ragioni dell’esistenza debbano trovarsi in ben altri valori come la felicità, l’amore, la famiglia, l’amicizia e la solidarietà?

Tornando alle nazioni è evidente come detto che la competizione tra esse non possa favorire in alcun modo la pace ma sia sic et simpliciter l’anticamera stessa della guerra. Un Trattato che fomenta la forte competitività non è un Trattato che ha come obiettivo la pace e la giustizia tra i popoli con conseguente manifesta violazione anche dell’art. 11 Cost. Solo la cooperazione tra nazioni ed uno sviluppo solidale delle stesse attraverso la condivisione delle proprie eccellenze e delle risorse naturali porta nel lungo periodo alla pace. Solo il sostegno ai più deboli crea giustizia ed armonia.

Vogliamo davvero un mondo dove per competere con i mercati emergenti nei quali vige ancora una sorta di schiavitù lavorativa il nostro modello debba divenire la cancellazione dei diritti dei lavoratori e la svalutazione salariale? È regredendo come civiltà che si ritorna “competitivi”?

La verità è che una volta il capitalismo puro aveva un freno. Il blocco comunista costituiva una minaccia costante e rappresentava una barriera contro le spinte più estreme dei falchi della finanza. Vi era l’esigenza di presentare un modello occidentale ricco e sviluppato e dunque lo stato sociale ed il welfare erano ritenuti il fiore all’occhiello della nostra Europa. Battevamo il comunismo sul sociale. Era la vittoria assoluta di un modello!

Alla caduta del blocco sovietico tali esigenze sono svanite e la vera faccia del sistema competitivo turbo capitalista si è imposta con tutta la sua scellerata forza distruttiva. Il capitalismo senza freni è semplicemente un cancro per l’intero pianeta.

Oggi l’Europa è ad un passo dal baratro, stanno per tornare i tempi oscuri della guerra. Questo perché non siamo capaci di rispettare la natura umana che non è quella di vivere come consumatori sclerotici in costante competizione con tutto e tutti. L’uomo è un’animale sociale che non può trovare la piena felicità e la piena realizzazione in una società fondata su egoismo ed individualismo in cui si vive per lavorare anziché l’esatto contrario.

L’uomo non può vivere per consumare, produrre, consumare, produrre ancora e morire. Con questo attggiamento quotidiano quando ci si gira indietro a riflettere ci si accorge immediatamente di aver semplicemente buttato letteralmente nel cesso un qualcosa di unico e straordinario come la vita. Quando ci fermiamo a guardare quello che facciamo ci rendiamo perfettamente conto che ogni minuto speso a guadagnare una sola moneta in più di quelle che sono necessarie all’esistenza è semplicemente tempo che togliamo ai nostri affetti ed alla vera vita.

La competitività invece vorrebbe che per battere la concorrenza si arrivi ad usare ogni secondo della propria esistenza per produrre il più possibile. Cosa trasmettiamo ormai ai nostri figli? Che è meglio avere un inutile oggetto in più in casa che trascorrere del tempo con loro. Che la vita è solo ciò che materialmente si possiede mentre, al contrario, servirebbe più tempo libero per tornare semplicemente esseri viventi. Servirebbe del tempo che dovrebbe anche essere privo di pensieri, essere sereno, cosa non possibile se si vive per lavorare… Ieri parlavo con un Collega che ha avuto un grave lutto, il giorno dopo era in udienza. Questa non è la società che dobbiamo desiderare, questo è un incubo da cui far uscire l’intera umanità.

Proviamo dunque a ripensarla questa civiltà. Un nuovo modello di vita è possibile, un modello che abbia la felicità come obiettivo unico e comune. Il modo peraltro non può sostenere materialmente un ulteriore incremento dei consumi e della produzione. Serve un modello economico solidale e cooperativo. La speculazione deve essere cancellata.

L’unico modo per arrivare a questo è riscattare le nostre sovranità e cancellare il potere del denaro ed i suoi sacerdoti per sempre…

Qualcuno deve iniziare. Non si può aspettare che il potere si smantelli da solo. Quel potere finirà per distruggere tutti noi.

Marco Mori

Fonte: http://www.studiolegalemarcomori.it/la-forte-competitivita-e-un-valore-no-e-una-follia/

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